Il Sogno secondo la Tradizione

f_dreams11m_48b6a37.jpg

di Mike Plato

IL SOGNO

Morir, dormire e poi sognare, forse…Poiché in quel sonno della morte, quali sogni possiamo sognare, quando rinnegassimo questo nostro fastidioso involucro ? (Shakespeare, Amleto 3.1.66)

Il Dizionario Enciclopedico del Paranormale della Mondadori così definisce il sogno: “stato psico-fisiologico connesso con il sonno. La storia dell’atteggiamento umano nei riguardi del sogno si può dividere in due periodi: prima e dopo l’avvento della psicanalisi, prima e dopo la pubblicazione del monumentale lavoro di Freud, l’Interpretazione dei Sogni”. Cosa è davvero il sogno? E’ una proiezione dell’inconscio e dei suoi conflitti, come ipotizzò Freud, o è qualcosa di più? Il termine “sogno” in greco era “eniupnion” che alla lettera significa “nel sonno”. L’ebraico “halom-sogno” – “halam-sognare” rimanda cabalisticamente allo spagnolo “alma-anima”. A sua volta “alma” è affine al greco “αλμα” che significa tanto “salto” che “acqua marina-salnitro”. Cosa suggerisce questa equazione cabalistica multilingue? Il sogno è un salto che chiamare verso l’alto o verso il profondo non cambia la sostanza delle cose; è un salto nel basso astrale o nell’alto astrale. Più il sonno è profondo, maggiore è la possibilità di sognare, e soprattutto di fare sogni importanti. Per capire quale sia il nesso tra l’acqua e il sogno, basterà dire che in gergo esoterico i sogni vengono definiti sogni d’acqua o sogni di fuoco. I sogni d’acqua provengono dal fegato, che assorbe tutte le impressioni della psiche inferiore. Questi sono pura attività onirica espressione dei moti dell’ego e del suo inconscio, il quale ultimo, in gergo alchemico, era definito come “acqua”, colmo di karman e di conflitti, recenti e antichi. L’acqua, ossia il sangue (in particlolare il flusso venoso), è la nostra psiche inferiore. I saggi insegnavano che la nostra anima bassa è acqua, e la chiamavano “anima umida”. I cabalisti la chiamavano “nepesh”. Due filosofi iniziati, ossia Eraclito (nei Frammenti) e Porfirio (nell’Antro delle Ninfe) hanno fatto scuola sotto questo aspetto. I sogni di fuoco, vere e proprie comunicazioni del divino, promanano dalla ghiandola pineale che riceve dall’essere di luce in noi. Come si fa a riconoscere un sogno d’acqua da un sogno divino? È semplice. I sogni elementari hanno uno scarso contenuto simbolico. Se hanno qualcosa da dire, ciò riguarda solo la vita profana, e mettono in luce ansie, paure e nodi della bassa psiche (inconscio), associata alla luna (simbolo del basso astrale). I sogni divini sono colmi di simboli, esprimono verità ignote al sognatore, richiedono un’interpretazione comunque ardua, spesso impossibili da comprendere al momento. Sono spesso profetici, talvolta specchio del grado evolutivo spirituale che il sognatore ha conseguito. Gli alchimisti, in tal senso, davano molta importanza all’onirico, considerato fedele termometro dei progressi compiuti nell’opera. Essi speravano di vedere nei sogni quella scansione cromatica (nero, bianco, rosso) che confermava la bontà del lavoro svolto. Questo genere di sogni lascia stupiti al risveglio, ed alcuni di essi rimangono talmente scolpiti nella memoria da non venir dimenticati mai. Direi che Platone ne dette una splendida definizione, seppur non completa, affermando che i sogni erano l’azione dell’immaginazione nel sonno (Timeo 45e). Dico non completa perché questa definizione può andar bene per i sogni che Platone stesso definiva “leggeri” (Timeo 45e), quelli della categoria “acqua” per intenderci. Pur essendo un grande iniziato, Platone non accennò ai sogni divini, e la sua definizione fu fatta propria dalla psicanalisi, in particolare quella di Freud che definì il sogno così: “mezzo per sopprimere le eccitazioni psichiche che vengono a turbare il sonno, soppressione che si effetta con l’aiuto di soddisfazioni allucinatorie” (Intro alla Psicanalisi). È questa una visione alquanto profana del sogno, inteso come forma di immaginazione nel sonno atta a sfogare nodi non sciolti e istinti repressi. Il sogno, quindi, per la psicanalisi, avrebbe una funzione terapeutica per la psiche inferiore; aiuterebbe a far emergere e a risolvere tutti i mali della psiche, soprattutto quelli legati alla sfera sessuale. Sotto un certo aspetto ciò è vero, ma l’analisi freudiana non spiega e non può spiegare, con quel metro, i sogni “divini”. Queste due forme oniriche sono implacabili: discriminano l’umanità in due categorie: gli ilici e gli psichici da una parte, e gli spirituali dall’altra. Solo coloro che seguono una via di evoluzione spirituale e che hanno un’anima spirituale  possono ricevere sogni spirituali. E la critica dei profani secondo cui questo genere di sogni emergono nel sonno solo perché alcuni individui sono in contatto quasi perenne con le cose spirituali, non è fondata. Nella quasi totalità dei casi, questi sogni offrono informazioni o presentano situazioni del tutto sconosciute al sognatore, veri enigmi che vengono spesso sciolti solo dopo del tempo. In Repubblica 571, Platone fu molto abile nel descrivere il motivo per cui la massa profana fa sogni normali, e pochi sognano divinamente: “presso altri, piaceri e desideri sono particolarmente violenti e numerosi…Questi si risvegliano durante il sonno, quando tutto il resto dell’anima dorme –con ciò mi riferisco alla sua parte razionale, moderata e predominante- e si risveglia l’altra parte, quella bestiale, selvatica, che si riempie di cibo e bevande; e questa, facendosi largo nel sonno, cerca di emergere e soddisfare le sue voglie. In tali condizioni, essa osa fare di tutto come se fosse libera da ogni remora imposta dal pudore e dalla saggezza”. Quindi, chi è incapace di sogni spirituali, ed è la maggior parte, lo è perché alimenta quasi sempre e solo l’anima animale –Platone la chiama anima concupiscibile-  e non quella spirituale che, indebolita, non riesce ad emergere nel sonno, sopraffatta dalla bestia. Il verso dell’Amleto che ho citato custodisce un’antica saggezza. Il sonno e il sogno, opportunità eccezionali per tentare di ricevere una comunicazione dal divino, rispecchia nei profani solo la loro incapacità a coltivare l’anima spirituale. Nei profani, la vibrazione onirica non riesce a sfondare il muro del basso astrale, che è colmo di forme-pensiero materiali e degradate. Per questo Platone dice: “tuttavia non si può negare che un uomo tanto più attingerà alla verità e tanto meno sarà vittima di mostruosi incubi notturni, quanto, a mio giudizio, saprà darsi un sano e morigerato regime di vita, arrivando al sonno con la sua anima razionale ben vigile, nutrita di begli argomenti e ricerche…In tale stato egli attinge in grado massimo alla verità”. Se Platone ha ragione, ne consegue che i mistici avevano ben ragione di attuare pratiche ascetiche, spesso anche dure, per nutrire lo spirito a danno dell’anima concupiscibile, e per questa via mettersi in condizione di divenire delle potenti radio-riceventi, facendo ascendere la propria anima ad un livello astrale superiore a quello che rappresenta una muraglia invalicabile per tutti gli altri. I primitivi sapevano immediatamente riconoscere i sogni religiosi, li chiamavano “grandi sogni” e spesso essi erano prerogativa delle grandi figure carismatiche: il capo tribù, lo stregone, la sacerdotessa, che avevano il compito di sognare per tutta la tribù, proprio perché la loro vita si svolgeva su un piano sovrannaturale ed era votata alla virtù e alla continenza sessuale. Gli sciamani dei nativi americani, per ottenere la visione-sogno che rivelava la loro missione in quella vita, se ne andavano in isolamento, attuavano digiuni, conservavano l’energia seminale. Il capo Sioux Cavallo Pazzo, un vero Re-Sacerdote del suo popolo, era un mistico-guerriero che spesso si isolava per ottenere, attraverso i sogni, messaggi con cui la divinità interiore gli manifestasse la sua volontà. In tal senso, il deserto di Gesù era una vera e propria attitudine sciamanica ma, nel caso del Cristo, l’isolamento e la continenza avevano un obiettivo ancor più grande: l’unione con lo Spirito, e non semplicemente un contatto. Mi sembra che nella storia di Giuseppe -il grande sognatore della Bibbia, più ancora di Giacobbe e di Daniele- il particolare della continenza sessuale, suggerito dal rifiuto delle avances da parte della moglie di Potifar (Genesi 39:8), sia determinante per capire che occorre passare giocoforza per il controllo e la conservazione dell’energia sessuale per ottenere sogni divini. Condizione necessaria ma tuttavia non sufficiente

SOGNI E VISIONI

sistine-chapel-michelangelo-paintings-17.jpgE’ di grande interesse capire quale sia il pensiero della Bibbia (tradizione giudaica e cristiana) sul sogno. Non ci sono dubbi sul fatto che il sogno, nell’antichità, fosse ritenuto un mezzo di comunicazione con il sovrannaturale, e questa credenza nella Bibbia, con tutta la sua autorevolezza, è certamente avvalorata. Non a caso in 1 Samuele 28:6 è detto che “Saul consultò il Signore, e il Signore non gli rispose né attraverso sogni, né con gli Urim e Tummim, né per mezzo dei profeti”. Dal versetto, si evince che il sogno era considerato una possibilità di interazione con il Logos, insieme agli Urim e Tummim (mezzo oracolare conferito ad Aronne), e alla parola dei profeti (a loro volta in comunicazione diretta con Dio attraverso sogni, visioni e la voce divina detta Bat Qol. Il Signore stesso lo dichiara: “ascoltate le mie parole! Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui (Numeri 12:6)…io effonderò il mio spirito su ogni uomo, i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni (Gioele 3:1)”. Il testo biblico suggerirebbe in più punti che  sogno e visione siano considerati una cosa sola: “Dopo aver armato ciascuno di loro, li riempì di gioia, narrando loro un sogno degno di fede, anzi una vera visione” (2 Maccabei 15:11). “…Parla nel sogno, visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul loro giaciglio” (Giobbe 33:15). “E sarà come un sogno, come una visione notturna” (Isaia 29:7). “Daniele, mentre era a letto, ebbe un sogno e visioni nella sua mente (Daniele 7:1)”. E’ evidente che Daniele abbia la visione del Vecchio dei Giorni in sogno e non da sveglio (Daniele 7:9); che Giacobbe veda la scala degli angeli in sogno notturno; e che Paolo riceva visioni notturne, quindi sogni, in Atti 16:9.  Moshe Maimonide, il grande filosofo dell’ebraismo, nel rispetto delle parole dello Spirito di Numeri 12:6,  scrisse opportunamente che “non c’è rivelazione profetica se non in visione o in sogno” (cap. 41 di Guida dei Perplessi). Ne consegue che il profeta ha un rapporto privilegiato con lo Spirito di Profezia, Dio stesso in noi. Si dice di colui che è investito di una qualche funzione profetica e fa sogni divini che “è sceso su di lui lo Spirito di Dio” (Giudici 14:6), “lo ha rivestito lo Spirito di Dio” (Giudici 6:34), “ha riposato su di lui lo Spirito di Dio” (Numeri 11:25). Lo Spirito che ispira in sogno è detto anche  “mano del Signore”, mano che fu sopra Eliseo (2 Re 3:15) e sopra Ezechiele (Ezechiele 1:3). Le raffigurazioni alchemiche della mano divina che emerge da una nuvola rappresentano lo spirito che emerge dall’alto astrale (nuvola) per porgere chiavi importanti a colui che lavora su di sé. Il profeta sprofonda nel sonno, esclude la coscienza inferiore e la sua anima astrale sale in vibrazioni mentre lo Spirito (Gerusalemme Celeste) scende. Si schiude il sogno profetico, in cui Dio lancia un messaggio indirizzato esclusivamente al suo fedele oppure da condividere con altri che non sono altrettanto ricettivi, poiché il loro terzo occhio è chiuso, sclerotizzato. Maimonide fa notare che il sogno realmente profetico è una rivelazione dello Spirito e non un semplice ammonimento o un dialogo. Chi sogna un sogno profetico non dice mai al risveglio “ecco, era un sogno”. Allorché Giacobbe vede la scala angelica, al risveglio afferma: “certo, il Signore é in questo luogo, e non lo sapevo” (Genesi 28:16); al contrario di Salomone di cui è detto: “e Salomone si risvegliò, ed ecco era un sogno” (1 Re 3:15). Secondo Maimonide, quest’ultima fattispecie ha un grado profetico inferiore allo “in sogno parlerò con lui” di Numeri 12:6. E credo che entrambe siano inferiori alla visione ad occhi aperti, il più elevato dei gradi profetici. Giovanni vede l’Antico rapito in estasi e non in sogno (Apocalisse 1:14), Mosè riceve la visione del roveto ardente in stato di veglia, e altrettanto Abramo nell’atto di vedere il triplice angelo (Genesi 18:2) e Giosuè quando sollevò gli occhi e vide il Signore degli Eserciti (Giosuè 5:13-14). In ogni modo, non tutti i sogni sono inviati da Dio, e non tutti coloro che dichiarano di averli avuti dicono la verità. L’Antico Testamento mette in guardia sui sogni e invita a saper discernere perché “dalle molte preoccupazioni vengono i sogni”  (Ecclesiaste 5:2).  Siracide 34:2-7 è ancor più severo: “come uno che afferra le ombre e insegue il vento, così chi si appoggia ai sogni…I sogni hanno indotto molti in errore, hanno deviato quanti avevano in essi sperato”. In Geremia 29:8, il Signore insegna ad evitare i sogni di coloro che non sono con lui: “Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni, che essi sognano” (Geremia 29:8). Ciò non significa che i sogni siano fumo, ma che occorre arrivare a comprendere quali sogni vengano dal divino e quali dall’umano. Chi è con Dio, e da Dio è custodito, riceve sogni divini. Ma Dio offre sogni anche a coloro che non hanno ancora iniziato il cammino del ritorno, proprio allo scopo di stimolarli all’interpretazione e a infondere loro il senso del meraviglioso utile per tentare la strada della riconciliazione. Coloro che sono molto avanzati sulla via sanno riconoscere l’origine divina dei sogni e, conoscendo bene gli archetipi superiori, sono anche in grado di interpretarli. Nel testo biblico vi sono sogni che contengono messaggi o ordini inequivocabili di Dio. Non deve fuorviare il fatto che siano Dio o l’Angelo di Dio a palesarsi nello stato onirico. Si tratta della stessa Intelligenza interiore che sceglie una forma o aspetto (Angelo), laddove non ha forma e aspetto. Con il sogno, il Signore interiore o Io eterno si manifesta al “viator” per comunicare, ma di norma sceglie simboli talvolta estremamente complessi e di ardua interpretazione poiché, come insegnato dal grande Eraclito nel frammento 120: “il Dio non dice e non nasconde: significa”, ossia parla per immagini. Solo a pochi egli parla con chiarezza, evitando enigmi e simboli. Mose fu uno di questi (Numeri 12:8). Giuseppe, il campione biblico dei sogni e della loro interpretazione, sogna i 13 covoni e i 13 astri (Genesi 37:5-9), ed è l’unico in grado di interpretarli. Neanche Giacobbe, in tutta la sia grandezza, possiede le chiavi per interpretare i grandiosi sogni del figlio. Giuseppe dispone di un talento naturale, ma lui stesso afferma che è il Signore ad avere in suo potere le interpretazioni (Genesi 40:8). Analoga fattispecie ritroviamo in Daniele, che sembra beneficiare del medesimo talento posseduto da Giuseppe: “Dio rese Daniele interprete di visioni e di sogni (Daniele 1:17)…Fu riscontrato in questo Daniele, che il re aveva chiamato Baltazzàr, uno spirito superiore e tanto accorgimento da interpretare sogni, spiegare detti oscuri, sciogliere enigmi. Si convochi dunque Daniele ed egli darà la spiegazione» (Daniele 5:12). Le vicende di Giuseppe e Daniele, venerati e portati ai massimi onori per l’espressione di questo particolare talento, derivante dalla presenza di un essere superiore in loro, stridono con la quasi totale indifferenza del mondo contemporaneo verso l’importanza di certa attività onirica. Figurarsi poi poter vedere interpreti di sogni divini venir venerati come personaggi di grande onorabilità e rispetto! Ergo, Io Sono produce il sogno, crea simboli ed immagini, e in alcuni casi offre l’intuizione necessaria per comprenderli. Dio in noi predilige interagire con coloro che seguono la via, ed il simbolismo onirico serve per insegnare piccoli e grandi misteri in modo velato, per svelare il futuro, o per informare dello stato di evoluzione spirituale, come accade in particolare a coloro che seguono con assiduità la via alchemica. Gli alchimisti avevano grande interesse per i sogni perché da essi capivano se il lavoro produceva frutti o meno. In generale, i Figli della Luce imploravano il Dio di inviare messaggi attraverso sogni. Ma Dio, nei suoi imperscrutabili ed insindacabili fini, può scegliere anche i pagani, ossia i non iniziati, per veicolare messaggi importanti rivolti a singoli o gruppi. Egli insegna o parla a chi vuole e quando vuole, nelle forme ritenute più opportune. Ciò accade ad Abimelech, re di Gerar (Genesi 20:3), col quale Dio instaura persino un dialogo; al Faraone di Giuseppe (Genesi 40);  e probabilmente alla moglie di Pilato che fu turbata da un misterioso sogno che concerneva il Cristo prossimo alla condanna (Matteo 27:19). Nel Nuovo Testamento la funzione del sogno come rivelazione del divino sembrerebbe ridimensionata, ma in alcune occasioni, il Logos, nell’aspetto dell’Angelo Gabriel, comunica verità importanti: “Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Matteo 1:20). “Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese (Matteo 2:12)”. E’ probabile che tutto ciò che occorreva dire sul sogno sia riportato nell’Antico Testamento. Gesù venne per completare la Torah e non per annullarla.

Il Sogno dei Cabalisti
Una certa branca della Cabala, detta «estatica» ci ha lasciato una serie di tecniche interessanti per attivare il sogno profetico-simbolico. Al di là della teoria del sogno, credo sia molto utile per tutti coloro che sono in «cammino» accedere ad una serie di conoscenze efficaci per stimolare il nostro Antico di Giorni ad incontrarci nella «terra di mezzo» dell’onirico. I cabalisti estatici erano molto più interessati, rispetto ai loro colleghi speculativi, alla sperimentazione di stati di coscienza alterati, che essi raggiungevano con la tecnica dei nomi divini. Questa era una forma più sofisticata del cd. “dhikr” dei sufi, o dei mantra tipici dell’induismo, poiché il cabalista coniugava la pronuncia dei nomi con la visualizzazione mentale delle lettere ebraiche che egli ruotava e combinava in modi diversi. È da dire che non tutti i cabalisti estatici assegnavano ai sogni una valenza gnoseologica. Ma il saggio Hayyim Vital, per fare un esempio, raccolse molti sogni propri e altrui per addivenire ad una migliore conoscenza di Dio, come fece a suo modo anche Carl G. Jung onde analizzare l’inconscio collettivo. Vital era convinto che il sogno fosse una forma inferiore di rivelazione profetica e di captazione di messaggi celesti, poiché nel sogno Dio non si paleserebbe mai se non attraverso i suoi intermediari angelici, che poi altro non sono, come più volte detto, aspetti del Dio in noi. La tecnica degli estatici era detta della «domanda onirica» (ebr. shelat halom). I primi ad utilizzare questa tecnica furono i discepoli di Abulafia, il re della cabala estatica, sfruttando la tecnica della combinazione mentale delle lettere che il maestro aveva loro insegnato. In verità, Abulafia adoperava la tecnica combinante solo per gli stati di veglia, al fine di ottenere risposte dal Dio interiore (che Abulafia chiamava Intelletto Agente) o soprattutto dai suoi «volti intermediari». Egli ebbe a scrivere: “la Cabala estatica consiste nella conoscenza di Dio per mezzo delle 22 lettere. Da esse, come pure dai segni vocalici e dagli accenti per la cantillazione, sono composti i Nomi divini e i sigilli (combinazioni differenti delle lettere del Tetragramma YHWH n.d.a.). Essi parlano con i profeti nei loro sogni, negli Urim e Tummim (tecnica mantica citata in Esodo 28:29-30 n.d.a.), e durante la profezia (visione profetica ad occhi aperti, come quella di Giovanni a Patmos n.d.a.)”. Mi sembra evidente che qui Abulafia descriva una scala ascendente della rivelazione: sogni, Urim e Tummim, profezia. La rivelazione è indotta dai Nomi divini, e può palesarsi anche in sogno che, per Abulafia e la sua scuola iniziatica, rappresenta comunque una forma di comunicazione privilegiata con Dio, e l’unica possibile in virtù dell’inaccessibilità delle altre rivelazioni, in particolare le rivelazioni diurne.  Guenon direbbe che ciò accade poiché l’umanità, nel suo complesso, ha perso il contatto con il Centro Spirituale Primordiale, accessibile solo a pochissimi uomini. Sognare significa dunque aprirsi al mondo in cui l’incontro con il divino è ancora possibile, e ove è ancora possibile ricevere la Verità su noi e sul nostro mondo: il regno astrale, ovviamente meno vibrante del regno spirituale in noi, e comunque soggetto ad interferenze di tutti i tipi. Per aiutarvi a comprendere questo concetto, faccio l’esempio delle attività di comunicazione con radio trasmittenti-riceventi. Le bande più basse sono inflazionate e piene di disturbi di ogni tipo. Via via che si sale in frequenza, la comunicazione e la ricezione di segnale diviene più pulita e più elitaria, se mi è concesso. Questa analogia ci rivela, indirettamente, che l’uomo ha perso la capacità di penetrare l’alto astrale per non dire lo spirituale. Alcuni di noi riescono a salire di più rispetto ad altri, ma il fatto che ci si fermi a quote basse costringe l’altra parte di noi a scendere più giù, cosa che il nostro Angelo non gradisce alquanto. Ciò comporta che dobbiamo noi attuare uno sforzo ascetico tale da eliminare zavorra karmica e permettere all’Angelo in noi di poter scendere e incontrarci ad una quota vibrazionale a lui più congeniale, ove può parlare con più chiarezza e senza interferenze, comprese quelle del nostro Ego. Ulteriore paradosso è che questo salire per noi è in effetti uno scendere, un calarsi nelle profondità di noi stessi, poiché altezza e profondità sono una cosa sola. Abulafia e i suoi allievi utilizzavano la tecnica della visualizzazione del nome divino in lettere ebraiche inciso nel cuore per porre interrogazioni a Dio. Yitzhaq di Acco, uno di loro, ebbe proprio in sogno un chiave importante. Si trattava del versetto ebraico di Deuteronomio 18:13 “tu sarai perfetto verso il Signore tuo Dio”. Il cabalista prendeva le cinque parole ebraiche e le disponeva in tutte le possibili sessanta combinazioni. Inoltre egli prendeva il Tetragrammaton YHWH e visualizzava nella mente (astrale) una certa combinazione sequenziale delle tre lettere presenti nel nome sacro (YHW). Si assiste al paradosso che Ytzhaq ricevesse in sogno una tecnica per fare domande oniriche e avere sogni divini. Egli deve pronunciare le lettere del Nome divino presenti in un versetto biblico, cambiando semplicemente l’ordine delle parole. Interessante comunque che Ytzhaq, nei suoi scritti, utilizzi l’espressione ebraica «niw we-lo nim», che appare già nel Talmud, per indicare uno stato tra veglia e sogno, ossia il dormi-veglia, pista assolutamente privilegiata per ottenere grandi rivelazioni, in particolare l’ascolto della Voce divina, come insegnato anche da Giamblico ne “I Misteri Egizi” e da molti Sufi. Un altro cabalista estatico, Yehuda Albotini, consigliava di chiedere il permesso allo spirito divino prima di utilizzare qualsiasi tecnica di domanda onirica, e di evitare di utilizzarle per motivi magici o escatologici. Un’altra corrente estatica non legata a quella abulafiana si occupò profondamente di sviluppare tecniche oniriche: la scuola cabalistica spagnola legata al corpus letterario del “Sepher ha Meshiv”, ossia «il Libro dell’Entità che risponde», corpus che potrebbe essere datato intorno al 1470 d.C.. Nel corpus il sogno rivestiva un’importanza enorme, al punto che l’autore dell’opera si riteneva fosse Dio stesso. Rabbi Abram ben Eleazar ha Levi, cabalista espulso dalla Spagna e vicino alla corrente del Sepher ha Meshiv, documentò la tecnica per indurre Dio a rivelarsi nei sogni: “coloro che sono esperti nelle conversazioni con gli angeli officianti per mezzo della domanda cui viene risposto in sogno, o per mezzo della domanda cui viene risposto nello stato di veglia, sanno che l’Angelo che risponde, lo fa a volte in modo chiaro, con una risposta che è soddisfacente, e a volte per mezzo di un’allusione, e con una risposta ambigua, mentre a volte non risponde affatto, dal momento che non è un obbligo per gli angeli officianti rispondere a chiunque domandi, a maggior ragione quando si ponga una domanda su un tema non appropriato, o che l’angelo non ha il permesso di rivelare, o di cui non si conosce la risposta, poiché non tutti i temi sono noti agli angeli officianti”. La rivelazione in sogno può essere vista come uno stato di possessione in cui l’Angelo (Intelletto Agente) si impadronisce dell’anima. Nel Sepher, figura di primo piano è Elia, considerato mediatore tra Dio e gli uomini, e certamente allusione al Melkizedek sacerdote dell’Altissimo. Di Elia, Dio dice nel Sepher che “la mia potenza è legata a lui, ed egli è legato alle vostre anime e rivela a voi i segreti della mia Torah, senza una parola”. Elia-Melkizedek utilizza anche e soprattutto il sogno per offrire rivelazioni gnostiche e profetiche, perché egli “è legato alle vostre anime”. Ma per avere una buona risposta in sogno, occorre porre una buona domanda, ossia una domanda di natura gnostico-spirituale, e non certo una richiesta profana, nonché attuare un programma di digiuni mirati accompagnati all’eliminazione temporanea di carne dalla dieta e di astinenza sessuale. Talvolta i cabalisti di questa corrente invocavano Dio con i quattro santi nomi dei fiumi citati in Genesi 2: Pison, Ghicon, Tigri ed Eufrate. Chiedevano poi ai quattro nomi di mostrare un sogno veridico riguardo ad una precisa domanda onirica che era meglio fosse finalizzata alla conoscenza dei grandi misteri celati nella lettera della Torah, sempre che il richiedente fosse degno di ricevere risposta in merito. Il cabalista chiedeva di fatto un appuntamento notturno al Dio, e ciò ricorda da vicino la relazione erotico-spirituale tra l’anima e lo spirito descritta nel Cantico dei Cantici 5:2: “io dormo, ma il mio cuore veglia. La voce del mio Diletto bussa”. Chi è che veglia? E chi è che bussa? Noi che chiediamo? O Dio bussa alla nostra porta? In verità, noi bussiamo e Dio bussa a noi. “Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”, disse Gesù, che sapeva che l’anima e lo spirito sono l’uno specchio dell’altro. E questi, talvolta, in sogno possono incontrarsi.

L’Arte del sogno secondo Castaneda

L’arte di sognare è la capacità di utilizzare i sogni comuni e trasformarli in consapevolezza controllata grazie ad una speciale forma di attenzione detta “attenzione sognante” (Il Dono dell’Aquila)

La teoria sui sogni di Castaneda, o meglio quella degli sciamani Nagual del Messico, che Castaneda ha avuto il merito di illustrare, è sinceramente affascinante. Una sintesi della sua visione del mondo è necessaria per capire come si colloca il sogno nel suo sistema. Don Juan Matus, il maestro di Castaneda, sosteneva che il nostro mondo, da molti di noi ritenuto unico e assoluto, non era che uno di un insieme di mondi consecutivi, inseriti l’uno nell’altro come strati di una gigantesca cipolla. Nonostante la nostra condizione, dal punto di vista vibrazionale-energetico, ci consentisse di percepire solo il nostro mondo, noi abbiamo tuttavia la capacità di penetrare in quegli altri, mondi reali, unici, assoluti e coinvolgenti quanto e più del nostro. Ma il desiderio di penetrare in quei regni è condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre energia per afferrarli, verità ben nota agli alchimisti e ai mistici. Questa energia è dall’uomo profano sprecata nel mantenimento della sua falsa percezione di sé, nel rafforzamento della sua  presunzione egotica. L’esistenza di questi regni è indipendente dalla nostra consapevolezza, ma loro inaccessibilità dipende interamente dal nostro condizionamento energetico. In virtù di questo condizionamento limitante, noi percepiremmo solo questa realtà e la considereremmo l’unica. Gli sciamani nagual di Castaneda conoscevano alcune tecniche per accumulare energia necessaria ad ampliare la nostra gamma percettiva: insomma, per alterare stabilmente gli stati di coscienza e osservare tutti i mondi del Verbo. Queste tecniche sono note come Arte del Sognare e si basano su quella che Castaneda definiva “riconfigurazione dell’energia della consapevolezza” per percepire l’essenza energetica delle cose. Il sogno è una porta verso altri regni, ma pochissimi conoscono quest’arte e la padroneggiano. Don Juan spiegava che “tutto è energia fluttuante (Eraclito insegnava panta rei – tutto scorre)  l’intero universo è energia. La base sociale della nostra percezione dovrebbe essere la certezza fisica che conta solo l’energia. Dovremmo operare un grande sforzo per portarci a percepire l’energia come tale”. Per i Nagual, il sognare non è ciò che comunemente conoscono i profani, ossia penetrare nelle zone basse dell’astrale (individuale e collettivo) e subirne l’energia e i suoi flussi,  ma il percepire nuovi mondi, percepire i diversi livelli di energia e controllarli. In breve: chi domina il sognare, domina anche questa realtà, poiché la nostra è solo una realtà di effetto. Il segreto risiede tutto nel cd. “punto di unione”. I Nagual riescono a vedere l’energia umana e affermano che l’uomo in realtà è come un uovo luminoso, il suo corpo di energia, configurazione fantasma composta da energia pura. Questo corpo-energia è penetrato dai milioni di filamenti di energia che attraverso il tutto. Ma solo una parte di essi passano nel punto di unione, un punto energetico, un centro di luce ben preciso che sembra deputato alla percezione, e che si trova sulla superficie del corpo energetico all’altezza delle scapole. Nelle loro visioni, i Nagual si resero conto che lo spostamento del punto di unione sul campo di energia umana, potenziava la percezione e la consapevolezza. Non c’è niente di simile nel sistema mistico occidentale dei centri di forza, che vede nel terzo occhio o ajna chakra il centro deputato alla consapevolezza e alla visione superiore. Questo spostamento poteva essere anche all’esterno del globo luminoso, ossia uno spostamento che definirei “verticale”, ed è paragonabile all’allungamento di un telescopio per potenziare la visione a distanza. Ciò sposta i contorni della forma energetica, o persino altera la forma dello stesso. La tecnica per spostare il punto di unione, per far entrare filamenti di energia di natura diversa dall’ordinaria consapevolezza, e vedere le energie, era chiamata “seconda attenzione”. Quando l’uomo sogna, il punto di unione sul corpo astrale si sposta da solo in un’altra posizione, ma solo in orizzontale. Con opportune tecniche, è possibile volontariamente spostare il punto d’unione, e persino controllare il sogno. Don Juan consiglia di manifestare l’intento ad alta voce, con grande forza, intensità e desiderio, formulare col verbo la propria volontà. Lo scopo del Sognare è condensare il proprio corpo energetico sino a farne un’unità di percezione, temprarlo, renderlo agile e coerente con l’esercizio graduale. Lo sciamano o iniziato che sia deve giungere a intendere che il corpo energetico sia conscio di stare per addormentarsi, e ancor più intendere di essere un sognatore e di poter controllare il sogno: sentire con tutto il proprio essere di divenire un dominatore del sogno. L’arte del sognare necessita dell’apertura di sette varchi, veri e propri ostacoli, che potrei, in certo senso, equiparare ai sette sigilli del libro di Apocalisse. Il primo varco, per come descritto da Don Juan, sembra la descrizione del dormi-veglia, una fase sottovalutata ma che sembra essere uno stadio importante non solo per ricevere visioni ma anche la voce di Dio in noi. Bisogna divenire consci di entrare in una sensazione simile ad una piacevole pesantezza che ci impedisce di aprire gli occhi. Essere consapevoli che si è in dormiveglia o che vi si sta per entrare è fondamentale per connettersi al proprio corpo energetico e spostare con l’intento il famigerato punto d’unione. Sognare non è un addormentarsi e subire, ma un processo di risveglio e di conquista di potere. In tal senso, l’attenzione del sogno è la condizione di essere consapevoli degli oggetti dei nostri sogni, la chiave per ogni azione nel mondo degli sciamani. Ma la cosa più intrigante è che, secondo Don Juan, l’attenzione è anche la consapevolezza di individuare coscientemente nel sogno elementi immessi a sproposito da una forza estranea. Questi sono l’attività dei cd. “esploratori” nei nostri sogni. Si tratta di esplosioni di energia aliena e sconosciuti che si mescolerebbero con i componenti dei nostri normali sogni da noi interpretate come oggetti. Ciò avviene solo quando penetriamo in sogno in altri regni, e quando attraverso la porta onirica si diffondono correnti di un’energia sconosciuta. La mente umana tradurrebbe queste energie come oggetti dello scenario onirico. Ma uno sciamano ben preparato riesce a distinguere queste energie aliene dal resto, ed è capace di intercettarle e di isolarle cancellando tutto il resto. Questo è il secondo varco. Ciò richiede una grande attenzione del sogno, una consapevolezza all’interno dello scenario onirico tale da svegliarsi persino in un altro sogno, volontariamente, per entrare nel terzo varco, ove si inizia ad interagire con esseri energetici che Don Juan chiama inorganici, coi quali è possibile attivare uno scambio energetico e di consapevolezza. Talvolta può accadere di incontrare ivi l’Emissario del Sogno, una forza impersonale che agisce su di noi e che ci parla solo delle cose senza darci consigli. Il tutto è sempre frutto dello spostamento del punto di unione, come se si utilizzasse la manopola di frequenza della radio per spostarsi su altre stazioni emittenti. La celebre Arte dell’Agguato dei saggi di Castaneda consiste proprio nel divenire abili nel fissare il punto di unione, e non solo spostarlo: stabilizzarlo su una posizione per rimanere ancorati alla percezione di quella vibrazione. Si noti che nel sistema dei Nagual, l’utilizzo di sostanze psicotrope come l’aiahuaska o la meskalina non sono ammesse per alterare la percezione. Essi cercano la libertà assoluta agendo direttamente sulle leve del corpo energetico, onde far sì che la radio umana possa captare frequenze ben al di là delle possibilità umane. La loro ricetta sciamanica è duro lavoro, applicazione, talvolta ascetismo. Essi definiscono le sostanze psicotrope pericolose perché causano una focalizzazione sul fisico e perché sono una via troppo semplice all’astrale superiore, il che impedisce di fare il lavoro su sé stessi necessario per divenire un “percettore” stabile e non occasionale. Quindi il sogno, più che lo stato di veglia, è il cancello privilegiato per entrare nei regni che il nostro spirito conosce assai bene e ove può guidarci per ritrovare la luce. I pericoli in questo viaggio esistono perché entità poco misericordiose esistono. Basta leggere il Libro dei Morti degli egizi per rendersene conto.

 

L’onirismo alchemico e la trasmutazione dell’anima

Ying_Yang_Dove_Crow_by_fallen_angel_112358.jpgCome annunciato, chiuderei questo lungo excursus sui sogni facendo un’irruzione nell’immaginario onirico di quel grande alchimista che fu Zosimo di Panopoli. Zosimo fu una personalità iniziatica multiforme. Fu un ermetista del 300 d.C. circa, i cui temi echeggiavano quelli del Poimandres (Corpus Hermeticum), ma al contempo era assai vicino ai sistemi e alle ideologie degli gnostici alessandrini, il tutto impreziosito da una eccezionale conoscenza del processo alchemico. Insieme alla sorella Theosobeia, Zosimo compose un’enciclopedia di 28 volumi sull’Alchimia, col nome di Cheirokmeta. Il numero 28, legato ai cicli lunari, è l’indice chiaro di quale fosse l’importanza, nel processo trasmutativo, delle fasi lunari e della loro osservazione da parte dell’operatore. Per analogia micro-macro, lo stesso avviene nella normale coltura dei campi, nella quale il contadino semina sempre in luna nuova per sfruttare la forza dell’astro lunare in ascesa. Nei suoi scritti, Zosimo sembra molto interessato alla questione del proto-Antropos, il primo uomo, alla sua caduta e alla sua vendetta sulle forze arcontiche che governano la materia, in particolare quella corporale. Sebbene non fosse un cristiano per come lo si intenderebbe oggi, è evidente che i temi toccati da Zosimo siano prossimi a quelli del cristianesimo gnostico. Questo Uomo, nascosto nell’uomo carnale, deve risorgere per andare al di là di quella che lui chiamava “buona e cattiva sorte” predeterminata dagli astri arcontici, signori del karman degli individui e dei popoli. Il suo monito è estremamente prezioso, ed è indirizzato a tutti gli esoteristi (maghi, cabalisti, alchimisti) che si illudevano di poter operare con l’ausilio di favorevoli congiunzioni stellari-planetarie. Zosimo affermava che il vero iniziato deve andare oltre i poteri arcontici ingannatori. In ogni modo, la resurrezione dell’Antropos o Agatodaimon (spirito buono celato nell’anima) implica la trasmutazione del metallo di cui è formato o in cui aleggia (Genesi 1:3). Laddove gli alchimisti medievali e rinascimentali parlano della scansione piombo (nigredo) – argento (albedo) – oro (rubedo), Zosimo usa il termine rame per indicare il metallo (l’anima) nel suo stato grezzo e reso impuro dalla mescolanza con la materia. Il metallo è ciò che in noi può trasformarsi in qualcos’altro. La voce “metallo” viene dal greco “meta allos – verso qualcos’altro”, “che va oltre se stesso”. Altri alchimisti parlano di pietra anziché di metallo, ma ciò che si cela dietro il nome è sempre lo stesso principio: il sangue, la genetica, l’anima, che deve passare a uno stato più nobile insieme alla mente e ai suoi processi. Non è casuale che il sangue abbia un sapore ferroso, e gli antichi lo assimilavano a un metallo liquido. Quindi, la scansione cromatica descrive lo stadio della trasmutazione genetica e corrispondentemente lo stato di coscienza destinato a mutare. I Sufi parlano di “makam-stazioni” il cui avanzamento era l’oggetto dello sforzo alchemico sulla nostra “tintura”. E qui veniamo al sogno di Zosimo che tanto interessò C.G. Jung, cui va l’indubbio merito di aver scoperto, custodito e interpretato le visioni dell’alchimista panopolitano descritte nel “Peri Aretès” (delle virtù). Non v’è qui lo spazio sufficiente per descrivere il sogno in tutti i dettagli, ma una premessa è d’obbligo: chiunque, nel passato o nel presente, abbia intrapreso un cammino alchemico, ha compreso quale sia l’importanza del sogno al fine di avere un termometro fedele del cambiamento. Sognare il corvo è del tutto ricorrente e ordinario per chi sia giunto alla fase di una perfetta nigredo, così come lo è sognare una bianca colomba o una vergine o dei gigli bianchi al termine della dealbificazione. Talvolta le immagini oniriche cambiano, ma il significato celato è sempre il medesimo. Jung si rese ben presto conto che il simbolismo alchemico nei sogni era piuttosto vario, ma riconducibile sempre alle tre fasi. Così è per il sogno-visione di Zosimo. Nella prima fase, egli incontra un certo Ione, sacerdote sacrificatore di se stesso, che deve sottoporsi alla decapitazione, chiaro simbolo della nigredo e della metamorfosi psichica. Ione divora e vomita uroboricamente se stesso, ciò in linea con la piena identificazione del sacrificatore e del sacrificato. Ione è l’intimo di Zosimo stesso che divora le sue tendenze e pulsioni carnali, poiché è sull’anima carnale che sta operando. Ione rappresenta la pietra o prima materia che inizia il suo “solve”, il suo smembramento per creare quel caos necessario al nuovo ordine mentale e genetico. Ione è il vecchio Osiride che cuoce alchemicamente nel suo stesso brodo. Egli è nel brodo, egli è il brodo. In quanto sacrificatore-sacrificato, lo si può ricondurre alla misteriosa figura di quel Melkizedek che cito spesso e che nel salmo 110 si pone al di sopra dei poteri immondi. Zosimo, pur apparentemente dissociandoli, equipara Ione all’Uomo di Rame, ossia al piombo alchemico, che sorveglia la cottura dei metalli. All’inizio della seconda trattazione, Zosimo si trova ad affrontare una salita, che si esplica attraverso sette gradi. Nel sogno, Zosimo col suo scendere prima, e poi salire i quindici gradini di luce e tenebre, testimonia un processo psichico di trasformazione. Il simbolismo della scala è presente non soltanto nella tradizione ebraico-cristiana con Giacobbe e la sua visione degli angeli che salgono e scendono i gradini, ma anche nel sufismo e nello shintoismo. Occorre scendere nelle viscere della terra, principio alla base del noto “vitriolum”, ma questo scendere, questo morire a se stessi, questo mortificarsi di fronte a Dio, è una risalita poiché contestualmente l’uomo interiore si rafforza. Quindi, chi scende sale. Gesù parla degli ultimi che saranno primi, di coloro che si svuotano dell’ego per riempirsi del Sé (e non di sé), di coloro che sono poveri in spirito perché si sentono poveri di fronte alla ricchezza dell’Io divino. L’Ego inizia a smettere di farsi Dio sotto la pressione della prima materia (Michael-Mercurio-Ione). Non a caso Michael in ebraico significa “chi è come Dio?”, il che è un richiamo all’abbandono dello stato di caduta originaria in cui Adam volle divenire “come Dio” sotto la spinta ingannevole degli Elohim Arconti. Zosimo, poi, che già sta sognando, si addormenta nel sogno e sogna un “barbiere”. Questo indica un alto livello di penetrazione nell’interiore animico. Il barbiere, evoluzione dell’uomo di rame, incarna il ruolo di guida spirituale, indossa un mantello rosso e un abito regale, e sta per essere avvolto dalle fiamme. Successivamente, compare un vecchio di nome Agatodémone, dalle vesti così candide che abbagliano lo sguardo, anch’egli pronto a gettarsi tra le fiamme per sacrificarsi. Il vecchio vestito di bianco splendente è un evidente richiamo alla purezza dell’argento fuso, ottenuta durante il processo di trasformazione del piombo-rame in argento. Agatodémone, che rivela a Zosimo la propria identità di Uomo di Piombo, simboleggia la trasformazione alchemica del piombo in argento. Continuando nel viaggio onirico, il nostro incontra un altro sacerdote, sempre vestito di bianco, che annuncia la trasformazione dei corpi in sangue e la resurrezione dei morti. Zosimo, non si comprende se si sia destato, si addormenta di nuovo e vede tre figure. La prima brandisce una spada, la seconda trascina una terza legata. Il prigioniero è luminoso e candido e il suo nome è «Culminazione del Sole». Egli sarà decapitato e squartato, i suoi muscoli saranno cotti e separati dalle parti grasse. Zosimo, infine, si sveglia di nuovo e comprende di aver assistito a un altro processo di trasmutazione alchimica, mentre colui che impugna la spada annuncia il compimento dell’ascesa per i sette gradi della coscienza, e la realizzazione dell’Opus. Concludo invitando il lettore a sforzarsi di interpretare i sogni in senso alchemico. L’anima spirituale spinge violentemente l’uomo carnale a intraprendere l’Opus. Ciò implica che i sogni pre-Opus possano celare una disperata richiesta di aiuto da parte del nostro mercurio. Fraintenderli, o peggio snobbarli, potrebbe significare il rischio della seconda morte, l’annientamento dell’anima, un’eventualità che proprio gli alchimisti tentavano di scongiurare. A buon intenditor…

 

C.G. Jung, i sogni e il richiamo dell’Archetipo

carl gustav jung.jpg«Se nella mia qualità di psicologo affermo che Dio è un archetipo, intendo con ciò il “tipo” che si trova nell’anima. Tipo deriva notoriamente dal greco “tiupos” che sta per colpo o impronta. La parola stessa “archetipo” presuppone un soggetto che dia l’impronta, che imprima”. Questo scriveva Jung in Psicologia e Alchimia e, sotto un determinato aspetto, mi trova d’accordo. Ognuno di noi ha un’anima, e ogni anima è legata ad un preciso archetipo eterno. Ma, si faccia attenzione, quando si parla di carattere archetipale, Jung non allude al carattere transitorio immesso dagli dèi inferi, dipendente dall’energia planetario-zodiacale che permea di sé il corredo genetico, e che dura il tempo di un solo ciclo esistenziale. No, qui si parla del “carattere” eterno proprio dell’anima a prescindere dalle reincarnazione. A questo carattere, a questo “imprinting”, si associa un destino eterno che il cristianesimo chiama “provvidenza”, laddove si parla di fatalità degli astri (greco heimarmene) in relazione all’archetipo infero. E’ un sublime insegnamento del Poimandres (Corpo Ermetico). Quindi, secondo Jung, l’archetipo eterno in noi è il nostro Dio interiore, il nostro Io gigante, la nostra immagine primordiale a somiglianza di Elohim creatore. Se ne deduce che se si segrega questo nucleo-archetipo eterno, ovvero l’idea di Dio celata nel profondo dell’anima, si tradisce la missione primordiale e l’uomo decade per essere schiavo delle forze karmiche governate dagli Arconti planetari-stellari. E’ la condizione dell’umanità intera, più o meno per tutti noi. Solo chi assurge al rango vibrazionale del Melkizedek, il Re di Giustizia, può mettere i suoi piedi sul drago (le gerarchie inferiori che controllano i destini degli umani che dormono) e divenire re di sé stesso, completamente libero da ogni controllo, e finalmente sottomesso al solo Padre supremo (salmo 110: 1-2). Non credo che le anime siano tutte uguali, non credo che tutte le anime presenti qui siano state emanate dal potere più alto. Credo piuttosto che la maggior parte delle anime terrestri siano ipostasi delle Potenze karmiche. Solo un gruppo ristretto di anime ha natura e finalità cristiche. Ognuno di noi è ciò che è nel suo intimo, e non potrebbe essere superiore a ciò che è animicamente parlando. Risulta ovvio che alcuni di noi celano un archetipo di un altro e ben più grande potere creativo, e quell’archetipo si riverbera nei sogni, come è facile supporre. Jung si occupò di questa fattispecie e, pur legato allo gnosticismo e all’ermetismo, credo avesse compreso solo una porzione della verità quando affermava che gli archetipi erano i contenuti dell’inconscio collettivo. Ciò è vero se ci riferiamo agli archetipi inferiori-astrali, ma quelli eterni-spirituali appartengono al super-conscio, e non tutti gli uomini hanno in dono siffatta super-coscienza perché, statene certi, se essi la possedessero non sarebbero totalmente sopraffatti dal potente inganno della materia. Prima o poi la coscienza divina fa capolino nella nostra vita e, volenti o nolenti, iniziamo a “camminare” per cercarne l’unione. “Tu non mi cercheresti se non mi possedessi…non sono io a possedere te, ma tu possiedi me”. Questo mi fu detto in sogno dal mio Io spirituale. Sembra che per tutta una vita il nostro vero Essere sonnecchi beatamente per poi irrompere come un lampo nella notte. Accade a tutti coloro che sinceramente cercano Dio in loro. In realtà il nostro Amato, più che sonnecchiare, ci fa fare le giuste e necessarie esperienze profane per poi richiamarci ai doveri superiori e alla nostra sacra missione. E’ come se ci dicesse: “basta giocare, ora si fa sul serio. Hai assaporato il gusto dei piaceri mondani. E’ tempo che assapori il gusto dolce dei piaceri e doveri spirituali”. Quando gli ebrei, in Esodo, non ne vogliono sapere di lasciare l’Egitto, il messaggio simbolico è lampante: molti di noi non ne vogliono sapere di lasciare il mondo delle passioni, un Egitto schiavizzante, perché crocifigge l’anima alla materialità e all’illusione. Per questo Dio dentro ci dice “fa ciò che vuoi, in piena libertà”, rammentandoci la più sacra legge del libero arbitrio che ci consente di scegliere se seguirlo sulla via impervia e dolorosa oppure continuare ad essere profani nel mondo profano e straniero. Mi rattrista vedere oggi alcuni di noi che, pur “chiamati”, pur facendo sogni in cui l’Io archetipale reclama giustamente l’anima del sognatore, decidono di rimanere volontariamente incastrati nella loro vita mondana, rischiando di perdersi per sempre per loro scelta e nessuno può aiutarli se non loro medesimi. E così Giobbe 21:14 mostra ciò che questi esseri, i perplessi o indecisi, hanno sempre risposto e sempre risponderanno a Dio: “allontanati da noi, non vogliamo saperne delle tue vie”, riproponendo la ribellione primordiale degli angeli ribelli. Ma il figlio risponde a sua volta ai perplessi: “tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca…Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Apocalisse 3:15-20). Sento un gran numero di persone dire di aver fatto sogni davvero strani, molto particolari e vividi, ricchi di un simbolismo misterioso. Sarà sempre più così, perché il tempo stringe, a prescindere dal cambio vibrazionale imminente. Il tempo stringe perché la vita è breve, e noi dobbiamo compiere l’opera – che consiste nel massimo di evoluzione possibile per una data vita – prima che giunga a noi l’ora fatale. Questa è la nostra personale missione. La Bibbia ci insegna: “ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi (Qoelèt 12:1)…Compite la vostra opera prima del tempo, ed Egli a suo tempo vi ricompenserà (Siracide 51:30)…Quando ero ancora giovane ricercai assiduamente la Sapienza (Io Sapiente nell’uomo, Melkizedek-Hermes) e sino alla fine la ricercherò”. In sogno, o anche in dormi-veglia, l’Archetipo divino decide di iniziare a manifestarsi, creando scenari onirici talvolta meravigliosi, talvolta terribili. Alcuni, infatti, iniziano ad agire in senso spirituale mossi dalla paura: la paura della morte e della seconda morte. Per questo è detto: “inizio della Sapienza è il timore del Signore” (Siracide 1:12, Proverbi 1:7 e 9:10 e 15:33, Salmi 111:10, Giobbe 28:28), il principio alla base della nascita del desiderio di conseguire una sapienza gnostico-iniziatica, ovvero “chi sono, da dove vengo, dove mi trovo, cosa è questo mondo, dove vado”. Altri necessitano dell’amore e quindi ricevono sogni meravigliosi per alimentare l’amore e il desiderio della Luce. YHWH e Cristo sono i due volti di Dio indirizzati a ciascun tipo, l’uno del timore e l’altro dell’amore. In alcuni poi i sogni sono un perfetto equilibrio di timore e amore. Indifferentemente, questo tipo di sogni ha il puro scopo di consentire al sognatore di prendere coscienza di un fatto: dentro l’io c’è un altro Io, l’Io vero, come recitato nel Credo Niceno (Io-Dio vero da Dio vero, emanato e non creato, della stessa sostanza dell’Io Padre). Gli gnostici, in certa misura, allegorizzavano dinamiche interiori descrivendole come eventi o dialoghi cosmici. Nel trattato del corpus di Nag Hammadi, Origine del Mondo 113:10, Sophia risponde severamente ad un Jaldabaoth (demiurgo infero) convinto di essere l’unico Dio e illuso del fatto che nessuno vi sia al di sopra di lui: “tu sei in grave errore Samael, prima e al di sopra di te esiste un uomo splendente immortale”. L’Ego umano è convinto di esser solo dentro di lui, ma è in errore perché in lui giace un essere più grande che dimora in una superiore dimensione della mente di Dio. Il “chiamato” in sogno o con una voce capisce che nel suo universo interiore riposa un altro mondo con un altro dio, oggetto della venerazione degli ego degli iniziati che iniziano a piegare il ginocchio di fronte alla Shekina (divina presenza) temendola (timore reverenziale) poiché è una severa maestra, e amandola con tutte le forze (Deuteronomio 6). Ma cosa sognano i “chiamati”? Semplice, simboli prettamente alchemici poiché, da che mondo è mondo, l’alchimia è il cibo necessario all’anima per copulare con lo spirito. Scrive Jung: “simboli onirici sono le immagini di natura archetipica che si presentano in sogno e che descrivono il processo di centratura, ovvero la formazione di un nuovo centro di personalità…Ho dato a questo centro anche il nome di Sé” (Psicologia e Alchimia). Jung afferma che di un solo individuo ha raccolto mille sogni ed esaminatone trecento. Ma sappiamo che nella sua vita Jung ne ha esaminati molti di più legati ad una molteplicità di soggetti. Egli capì che il simbolismo alchemico è alla base dello scenario onirico dei “chiamati”, prima e durante l’iter alchemico. In tal senso, i sogni sono un metronomo accurato della scansione dell’iter trasmutatorio, un “feed-back” fedele dei propri progressi spirituali e genetici. E’ il livello interpretativo più profondo dello “screen” onirico, e gli iniziati devono e vogliono prenderli molto sul serio.

Il Sogno secondo la Tradizioneultima modifica: 2009-03-03T23:59:00+01:00da mikeplato
Reposta per primo quest’articolo

6 Responses

  1. Maurizio Spagna
    at |

    Al fin d’amore

    La sera vestiva di nero
    lasciava molto alta l’intenzione
    l’eleganza provocava
    ma era gentile-

    Presto o tardi
    Sparsa nel tremore
    in miseria
    audacia
    e un po’ d’imbarazzo
    quella pelle oscura
    abbagliava al fin d’amore…
    Ammirava ansimante
    il proscenio di in corpo filante-

    Ed io
    seducevo il mio sangue
    limpido e caldo
    ad un profetico affine-

    di Maurizio Spagna

    Con Maurizio Spagna
    si è consacrato
    Il Rotoversi.com
    La cultura poetica in linea con la vita…
    Verso i nostri sogni riversi ma scritti per sempre-
    Un raccoglitore di poesia on line-

    Maurizio Spagna
    http://www.ilrotoversi.com
    info@ilrotoversi.com
    L’ideatore
    Scrittore e Poeta-

  2. julianrosenberg
    at |

    nelle tradizioni esoteriche “vere” vengono insegnati precisi rituali atti ad attirare a comando forze astrali che traghettano la coscienza astrale del veggente in altri piani dimensionali che non sono nè sogni nè sogni lucidi bensi altre realtà coerenti con sè stesse!qui incontriamo i simboli archetipali che traducono in immagini comprensibili all’uomo forze che sono astratte!e in tutte queste tradizioni il maestro che si incontra è il cosiddetto “angelo custode” o “gurudeva”secondo l’induismo.sarà lui il mastro di chiavi che aprirà per noi le porte tra i diversi piani!la tradizione cabalistica prevede a tal proposito un ritiro di 40 giorni in preparazione a tale “incontro”. pur non conoscendo direttamente tutte le tradizioni anche nel percorso iniziatico macumbero-vudu si segue un iter analogo!

  3. julianghido
    at |

    non bastano i nomi divini per accedere all’astrale !ci sono riti che sfruttano simboli,incensi, corrispondenze e altri elementi materiali opportunamente caricati!!la vera cabala non la si acquisisce solo sui libri, serve medianità oltre al saper cosa fare!quanto a castaneda…beh,considerando che la sua associazione spaccia banale aerobica ,fatta pagare a peso d’oro ,come mezzo esoterico!!!lui dice di ver avuto un maestro che gli ha concesso visioni meravigliose,ma guarda caso i suoi discepoli di queste esperienze non ne hanno visto neanche l’ombra!prima usava pejote per “vedere”,poi il maestro gli dice che serve il “tocco”energetico per vedere,poi ,ancora,gli viene detto che non serve il tocco ma basta l'”intento”!insomma bisognava riempire un pò di libri tra l’altro riciclando lle teorie del taoismo e le tecniche di chi kung disciplina energetica taoista!!!

  4. Lleyton
    at |

    Caro Mike,
    ecco ciò che cercavo di cui ti avevo accennato via mail: mi stampo tutto e lo medito bene in serata.

  5. Lleyton
    at |

    E’ un periodo in cui mi ritrovo spesso a pensare alle “lande del sogno”, per dirla con H.P.Lovecraft, e in particolare agli assalti che si possano subire durante i viaggi onirici. Mi chiedo se sia possibile, subito un attacco in sogno, perire e lasciare il proprio involucro corporeo a qualcun’altro che prende il nostro posto sulla terra (una sorta di changeling, per rendere il concetto, ma so che il changeling è un fenomeno differente).
    Mi pare ricordare che un frequentatore abituale del blog, ma non rammento con precisione chi, avesse raccontato di aver subito un assalto di tal fatta.

  6. Maurizio Spagna
    at |

    FROLLINO
    …i veri veri artisti sono invisibili
    e introvabili,
    le strade e il tempo ce li consegneranno,
    come FROLLINO…

    Nel buio manuale
    Frollino l’artista
    Era accanto al suo sgabello…

    Finì a testa in giù
    L’abilissimo

    E poi
    Salì sul gradino campale
    Da cui inciampò
    Dietro una spinta tridimensionale

    Belle arti
    Predestinate
    Alla buona miseria
    E una presa all’anima
    Con uno sputo

    Fu una delle sue ultime dediche
    Al mondo
    Moribondo di stranezze.

    Frollino l’artista
    Era accanto al suo sgabello
    Che ammorbidiva
    Il nostro freddo scanno…
    Scarno di gusto.

    Frollino l’artista
    Era l’assomiglianza
    Ai nostri sogni.

    ©
    di Maurizio Spagna
    Da “Il cuore degli Angeli”
    http://www.ilrotoversi.com
    info@ilrotoversi.com
    L’ideatore
    paroliere, scrittore e poeta al leggìo-

Comments are closed.