LA VIA E LA RELIGIONE

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Intervista a Piero Verni. biografo italiano del Dalai Lama e noto esperto di Buddismo tibetano.

M.R.Silvestri: E’ uscito il volume Buddhismo, nella serie i Dizionari delle Religioni. Una collana nata come strumento conoscitivo, un mezzo per informare e far comprendere in maniera laica le differenze e i punti di contatto delle diverse religioni e delle diverse culture. Hai letto il volume? Cosa ne pensi?

Piero Verni: Il libro è fatto sicuramente bene e non contiene inesattezze. Mi dispiace solo che la bibliografia non tenga conto di quella nuova generazione di importanti tibetologi che si recarono da giovani in India agli inizi degli anni ’70 e che ebbero la fortuna di poter studiare presso i più grandi lama tibetani del secolo scorso. Si trattava di maestri che erano appena fuggiti dal Tibet ed arrivati sul versante indiano dell’Himalaya. Quei ragazzi occidentali invece, erano partiti quasi tutti come hippies in cerca di avventura ma per alcuni l’incontro con il Buddismo tibetano fu fondamentale e cambiò il corso delle loro esperienze umane e lavorative. Alcuni di loro infatti, una volta tornati in Occidente, posero le conoscenze acquisite sul campo al servizio dell’iter universitario e divennero studiosi di primo piano. Mi riferisco a gente come Jeffrey Hopkins, Glenn Mullin, Robert Thurmann (tra l’altro padre dell’attrice Uma Thurmann)… questo, ripeto, è l’unico appunto che mi verrebbe da fare al libro. Ma per quanto mi è dato da vedere è l’intero mondo accademico italiano, almeno per quanto riguarda gli studi orientali, ad essere molto spesso chiuso nei confronti di percorsi culturali del genere di quelli che ho appena citato.

 

MRSIl Buddhismo non è una religione di stato, si è diffusa in tutta l’Asia e in Occidente adattandosi a culture totalmente diverse. Quali sono le caratteristiche che le hanno consentito di diffondersi così?

PV: In alcuni paesi, come il Tibet tradizionale, il Bhutan odierno, il Giappone e la Thailandia in determinate epoche storiche, il Buddismo è stato, od è andato molto vicino ad essere, una religione di stato. Certo sempre con caratteristiche molto peculiari a questa o quella situazione. Credo che quando si parla della diffusione del Buddismo, dall’India dove era nato in altri stati asiatici, si debba sempre avere presente la grande apertura di questa tradizione alle culture dei paesi in cui si radicava e, nel medesimo tempo, un’altrettanto grande fedeltà alle proprie radici. Per usare un linguaggio occidentale potremmo dire che ha sempre mantenuto un rapporto armonioso tra struttura e sovrastruttura. Voglio dire che ovunque il buddismo si è diffuso ha acquisito molte delle forme esteriori dell’area o della nazione nella quale si andava diffondendo. Per questo possiamo parlare di un buddismo giapponese, di un buddismo tibeto-himalayano, birmano, cingalese e via dicendo. Però il cuore degli insegnamenti buddisti è stato quasi sempre trasmesso in maniera piuttosto fedele all’insegnamento originario del Buddha.

 

MRSCome mai la religione buddista è conciliante con le altre confessioni più di tutte le altre religioni? Come mai si può essere buddisti e, ad esempio, cristiani allo stesso tempo?

PV: Su quest’ultima affermazione non sarei tanto d’accordo e mi ricordo di aver avuto la fortuna di poterne parlare a lungo con il Dalai Lama. La principale autorità del Tibet consiglia sempre di rimanere, se possibile, all’interno della tradizione nella quale si nasce. In diverse occasioni ha detto, “Fate molta attenzione, cercate di vedere bene se all’interno della vostra tradizione non ci sia proprio posto per voi. Se arrivate alla conclusione che la vostra religione non fa per voi allora accostatevi ad altre –magari al Buddismo- però sempre tenendo presente la difficoltà che comporta un passo del genere. In modo particolare il pericolo dell’esotismo… vale a dire che la nuova religione vi interessi solo perché diversa da tutto quello che avete conosciuto“.

Il Dalai Lama, a mio modesto avviso del tutto giustamente, ritiene che ogni strada, ogni religione, se percorsa nel modo corretto porti alla medesima meta: il cambiamento positivo dell’essere umano. Però si deve scegliere una via, non si può saltellare perennemente da una all’altra. O sei buddista o sei cristiano, certo sempre nel rispetto delle convinzioni altrui. Comunque la religione è una via, non è un’etichetta. Il Buddismo è molto distante da un postulato quale: non esiste altro dio all’infuori di me.

Non esiste una via che vada bene per tutti, così come non esiste un alimento che piaccia a tutti, ognuno è libero di scegliere la propria via, di seguire le proprie inclinazioni. L’importante è raggiungere lo scopo che si prefigge.

 

MRS: Il XIV Dalai Lama del Tibet ha dichiarato qualche tempo fa che il suo successore potrebbe essere anche scelto attraverso un metodo di elezione democratica. Questo non mette in discussione il concetto cardine di reincarnazione?

PV: Fra i tanti pregi del Dalai Lama c’è quello di essere estremamente diretto e sincero. Quello che pensa in quel momento non ha problemi a condividerlo con chi lo ascolta. Però, nel sistema dell’informazione nel quale ci troviamo, questo pregio può risultare negativo dal momento che se non le si contestualizza alcune affermazioni possono venir stravolte.

Di questo tema specifico con il Dalai Lama non ho mai parlato, ma non credo che su questo argomentoabbia già preso una decisione definitiva. Ritengo invece che abbia avanzato un’ipotesi. Per quanto mi riguarda, ritengo che non sia una buona soluzione.

Il Dalai Lama per i tibetani rappresenta un archetipo che è fondamentalmente legato al concetto di reincarnazione. Come il Dalai Lama mi ha ripetuto tante volte, l’istituzione Dalai Lama nasce in un certo momento della storia del Tibet per essere d’aiuto politicamente al popolo tibetano. E quindi potrebbe darsi che, così come è nata, possa finire. Se posso sommessamente esprimere il mio punto di vista, ritengo che in una condizione così complicata dal punto di vista politico e sociale, con il Tibet occupato dai cinesi, oltre centomila profughi che vivono in India e altre decine di migliaia sparsi per il mondo, sarebbe una buona cosa se il Dalai Lama riflettesse sull’ipotesi che con lui termini l’istituzione Dalai Lama. Si potrebbe lasciare la guida spirituale del popolo tibetano ai maestri che delle diverse scuole buddhiste e quella politica ad un primo ministro ed un governo laico eletti democraticamente. Comunque spero che sia prematuro occuparsi di questi argomenti ed auguro al XIV Dalai Lama del Tibet di rimanere a fianco del suo popolo per ancora molto tempo.

 

MRS: In che senso il buddismo nega l’anima?

PV: Il buddismo nega l’anima perché nega l’esistenza della realtà così come noi la concepiamo. Nega che esista qualsiasi cosa esistente di per sé slegata da tutto il resto. Il buddismo nega una realtà immanente, tutto fa parte di una catena di fattori interdipendenti che danno però vita a cose reali.” Prendi un’automobile. E’ reale, magari anche bella, veloce e potente. Però è solo il frutto dell’assemblaggio delle sue differenti parti. Nessuna di quelle parti possiamo definire che sia “la” macchina. Però il loro insieme dà vita ad una macchina. C’è una corrente della fisica contemporanea generalmente nota come fisica quantistica, che è arrivata a conclusioni piuttosto coerenti con il buddismo. La materia non esiste perché è tutto un dispiegarsi di neuroni, elettroni, atomi, in movimento. Anche per il Buddismo tutto è mutamento. Però il Buddismo postula anche l’esistenza di un’energia mentale, che in genere nelle traduzioni in lingue occidentali dei testi buddhisti viene chiamata continuum mentale, che trasmigra da un involucro fisico all’altro e, proprio perché è dinamica, non s’identifica con il corpo e va oltre la morte del corpo.

LA VIA E LA RELIGIONEultima modifica: 2011-02-25T16:05:00+01:00da mikeplato
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One Response

  1. Merlo
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    Grazie, Mike.

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