LA VIRIDITAS

di Sebastiano Brocchi

 

Vi sembrerà strano che io affronti questo tema alle soglie del solstizio d’inverno. Sembra strano anche a me, questo titolo che richiama la rinascita primaverile della vegetazione, mentre un manto di neve ricopre già gran parte dell’emisfero boreale, e i boschi decidui hanno già perduto l’ornamento di fogliame delle loro chiome…

Questo articolo sarebbe stato adatto al mese di marzo, quando dopo il disgelo la natura torna a tingersi appunto di verde, e di tutti i colori dei fiori. Anzi, ero proprio convinto di scriverlo in quel mese! E invece, non so perché, alla fine ho scelto che la Viriditas avrebbe riempito la mia pagina di dicembre, al posto di temi simbolici sicuramente più pertinenti, come la celebrazione del dies natalis solis, la “natività” nei culti messianici, o gli elementi del folklore natalizio…

Eppure, se ben ci pensate, ogni città, ogni villaggio, e quasi tutte le famiglie cristiane del mondo, proprio in questo periodo hanno acquistato, decorato ed esposto nelle piazze, nelle case, proprio un albero verde. L’albero di natale. E su quasi tutte le porte sono affisse verdi corone di abete o agrifoglio… é come se, proprio nel periodo più ostile alla vita vegetale, il fogliame di quegli alberi che non si lasciano spogliare dall’autunno, i sempreverdi, godesse di una forma di tacita devozione collettiva.

Cosa c’entra tutto questo con la Viriditas… o meglio, cos’è la Viriditas? Nel mio libro “Riflessioni sulla Grande Opera” parlando delle fasi alchemiche, ho approfondito i tre momenti cruciali del processo di palingenesi, ovvero la Nigredo (od Opera al Nero), l’Albedo (od Opera al Bianco), e la Rubedo (od Opera al Rosso). Le tre fasi citate, del resto, sono quelle tradizionalmente nominate ed analizzate.

Ma in realtà, esistono altre fasi, che potremmo dire “intermedie”, che solo di rado compaiono nei testi, e riguardo alle quali esistono pochissime delucidazioni. Fasi di passaggio, “sfumature”, certo, ma non per questo indegne di approfondimento. Anzi. Proprio in esse risiedono importanti insegnamenti dell’Ars Regia. Di queste fasi “minori”, notiamo in particolare la “Viriditas” (od Opera al Verde), ponte fra la Nigredo e l’Albedo; e la “Citrinitas” (od Opera al Giallo), come transito fra Albedo e Rubedo. È ora sulla Viriditas, come detto, che ci soffermeremo.

La parola latina Viriditas, non trova una traduzione italiana che le faccia onore… potremmo, con dei poco felici neologismi, dire “verdezza”, “verdità” o “verditudine”… essa è l’essenza del colore verde. Come ho già avuto modo di spiegare, i colori dell’Opera non vanno intesi secondo la comune accezione del termine, e dunque come tinte visibili, bensì come pigmenti “concettuali”, colori da comprendere. In questo caso, il verde è il colore simbolo della vita, della vita traboccante che attraversa la natura, della linfa che scorre animando gli esseri, della resurrezione primaverile, del germogliare di un nuovo fogliame.

Chi ha visto un bosco reduce da un incendio, può ben comprendere cosa significhi il passaggio della “materia” alchemica dal nero al verde: dopo un periodo di morte apparente, di cinerea fissità e desolazione, di vuoto e silenzio, di distacco e quiescenza, ecco spuntare un po’ ovunque una miriade di piccole gemme verdi, segno esteriore della vita che torna a manifestarsi. In pochi anni il bosco tornerà ad essere animato e rigoglioso.

granoLa spiga, il germoglio, il nuovo albero, il fiore sbocciato, sono fra i simboli più cari ad ogni tradizione esoterica. Essi rappresentano la nascita interiore (e autentica) dell’Iniziato, la nascita in spirito. La Viriditas è l’energia della vita che rianima il morto. Colui che è morto al dominio del mondo e dell’ignoranza, nascendo, “sbocciando”, alla vita interiore e al sentiero della Conoscenza.

Spesso coloro che studiano Alchimia dimenticano l’importanza e lo stretto legame che la “divina scienza” ha intrattenuto, in ogni epoca, con la botanica e i cicli della vegetazione. Nei manoscritti alchemici si parla quasi più di alberi e fiori che di metalli… non a caso le fasi alchemiche rispecchiano i momenti della vita arborea durante l’anno: la Nigredo si può identificare alla “morte apparente” degli alberi in inverno, la Viriditas allo sbocciare delle gemme primaverili, l’Albedo alla fioritura, la Citrinitas all’ingiallimento estivo dovuto al calore e alla secchezza, la Rubedo infine all’infiammarsi dei colori autunnali… come vedete si tratta di fasi vegetali, non metalliche.

Del resto, l’Alchimia stessa (che prende il nome dalla “terra nera coltivabile” e dal processo di coltivazione del grano), è chiamata “Agricoltura celeste” o “interiore”: i suoi ritmi, i suoi mezzi, le sue mete, ricalcano in tutto l’arte agricola. Poiché se l’Alchimia è la scienza della trasformazione interiore dell’uomo, il suo scopo è quello di far germogliare l’individuo, che da “albero secco” possa così divenire “albero fiorito” (cfr. Christian Jacq, “Le Voyage Initiatique”).

Non dimentichiamo che su questo concetto si basavano molti degli antichi Misteri, primi fra tutti i Misteri Eleusini. «Erano questi i più importanti Misteri dell’antichità, che per circa 2000 anni (approssimativamente, dal 1500 a.C. al IV secolo d.C.) erano festeggiati ad Eleusi, in Grecia, in onore della dea Demetra e di sua figlia Persefone, e, anche se forse all’inizio rivestirono solo un’importanza locale, divennero ben presto un aspetto rilevante della vita politica e soprattutto religiosa in Atene.

I miti Eleusini erano “misteriosi” poiché potevano assistervi solo gli iniziati, i quali dovevano mantenere il segreto perché i riti intesi a promuovere la fertilità dei campi assumevano un carattere magico.

La parte più importante del culto era rappresentata dall’iniziazione degli adepti nella sala centrale del tempio di Demetra ad Eleusi (detta Telesterian). Durante la cerimonia d’iniziazione, era messo in scena il racconto della ricerca da parte di Demetra di sua figlia Persefone. L’obiettivo centrale della cerimonia era costituito dalla ricerca dell’immortalità e della felicità nel mondo dell’aldilà, che gli antichi greci ritenevano strettamente connesse alle vicende della dea.

Ogni anno, il 19 Boedromione, un corteo partiva da Atene e raggiungeva Eleusi; durante il cammino i fedeli cantavano un inno di cui ci è rimasto solo il titolo: “Iacchos”. Lo “Iacchos” in seguito fu personificato in un dio o in un eroe che accompagnava e guidava il corteo. Un altro aspetto del corteo era lo scambio di frizzi e motti osceni fra i partecipanti, secondo un costume diffuso nelle feste di Demetra, e in generale nelle cerimonie a sfondo agricolo. Va ricordato che i fedeli si astenevano da cibi e bevande finché non arrivavano al santuario. A questi cortei, è certo, che vi partecipassero tutti gli Ateniesi,e non solo gli iniziati (mestai), e ciò dimostra che questi riti non erano alla fine molto segreti. Inoltre c’era l’obbligo di versare piccole offerte in denaro ai sacerdoti e di sacrificare un porcellino; da ciò venivano esclusi i più poveri,ma in compenso erano ammessi gli stranieri e le donne.

Secondo Clemente Alessandrino gli iniziati quando entravano nel telesterion (tempio) dicevano: “Ho digiunato, ho bevuto il ciceone, ho preso dalla cista, dopo aver compiuto l’atto rituale ho deposto nel calathos (canestro) e dal calathos nella cista”. Era vietato nominare l’oggetto che passava dalla cista al calathos; secondo Teodoreto di Ciro l’oggetto era l’organo sessuale femminile. Nel telesterion durante la notte, si ricordavano il rapimento di Persefone, il dolore e l’affannosa ricerca di Demetra non in forma drammatica, ma con canti e salmodie. Il culmine della liturgia era costituito dall’evocazione e dall’epifania della Core. Quindi i misteri eleusini sono i misteri della Core. Nell’anaktoron, lo ierofante chiamava la dea, senza pronunciare il suo nome,e percuoteva una lastra di bronzo. Era poi accesa una”gran fiamma”; si apriva la porta dell’anaktoron, da cui la luce si diffondeva per tutto il telesterion, e il sacerdote usciva levando in alto una spiga. Ci si attenderebbe che la spiga rappresenti Core, e che il sacerdote annunci il ritorno della dea. La spiga è invece il simbolo del fanciullo Brimos (temibile, forte); in quest’ultimo si riconosce Pluto, figlio di Persefone e Plutone; il grande fuoco di Eleusi è associato all’epifania di Persefone. Altre fonti affermano che lo ierofante annunci il ritorno della giovane dea rapita,e la sua maternità» (da www.latinomedia.it).

È difficile per l’ermetista non intravedere simili alti significati metafisici in trattati come le “Bucoliche” e le “Georgiche” di Virgilio, a mio avviso decisamente sottovalutati nella loro accezione filosofica. La vita rurale, il mondo agricolo, è preso a modello di un più sottile mutamento, quello messo in atto dal mistico nel campo della propria genesi interiore. E anzi, proprio questo potrebbe essere il messaggio segreto tramandato dal misterioso “Quadrato del Sator”.

Quadrato magico del Sator«Con l’espressione quadrato del Sator si indica una struttura a forma di Quadrato magico composta dalle cinque parole latine: SATOR, AREPO, TENET, OPERA, ROTAS, che, considerate di seguito (da sinistra a destra o dall’alto in basso), danno luogo ad un palindromo (frase che rimane identica se letta da sinistra a destra o viceversa). (…) Il curioso quadrato magico è visibile su un numero sorprendentemente vasto di reperti archeologici, sparsi un po’ ovunque in Europa. (…) Qual è il significato del quadrato magico? Per quale ragione ha avuto tanta diffusione? Difficile stabilire il significato letterale della frase composta dalle cinque parole, dal momento che il termine AREPO non è strettamente latino. Alcune congetture su tale parola (nelle Gallie e nei dintorni di Lione esisteva un tipo di carro celtico che era chiamato “arepos”: si presume allora che la parola sia stata latinizzata in “arepus” e che nel quadrato essa avrebbe la funzione di un ablativo strumentale, cioè un complemento di mezzo) portano ad una traduzione, di senso oscuro, quale “Il seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote”, della quale si cerca di chiarire il senso intendendo il riferimento al seminatore come richiamo al testo evangelico.
Pensando invece che il termine AREPO sia il nome proprio di un misterioso seminatore, si arriva alla traduzione: “Arepo, il seminatore, tiene con cura le ruote”, che sembra prosaicamente alludere a pratiche agricole
» (da Wikipedia).

A mio modo di vedere, tradurre “opera” con “cura”, e “tenet” con “tiene”, risulta fuorviante alla comprensione dell’arcano di questa antica iscrizione esoterica. Giacché “opera”, in ambito iniziatico, è sempre stato il termine con cui viene designato il mistero alchemico, la grande trasmutazione. Generalmente gli Alchimisti si riferiscono ad essa nominandola “Opus Magnus”, ma l’“Opus”, in realtà, designa il prodotto finito, il frutto del lavoro. In questo caso la Lapis Philosophorum. Mentre per parlare del lavoro in senso stretto, del processo che porta al risultato, il termine corretto è “Opera” (da “opera, operae”).

Tenet” (da tĕnĕo tĕnĕo, tĕnes, tenui, tentum, tĕnēre), è un vocabolo molto più complesso di quel che appare, e non indica il solo gesto del “tenere”.

I suoi significati sono:

«1 tr.

(a) tenere, reggere, avere in mano
(b) abbracciare, toccare
(c) ricordare, tenere a mente
(d) capire, intendere, comprendere, sapere
(e) toccare un luogo, arrivare, giungere
(f) dirigere, rivolgere, mantenere la rotta, far vela verso una direzione
(g) contenere, includere, comprendere, tenere in sé
(h) possedere, occupare, presidiare, controllare, dominare, comandare
(i) (anche trasl.) conservare, mantenere, osservare, difendere un luogo o una posizione
(j) ottenere, conseguire
(k) attirare, avvincere, tenere l’animo di qualcuno, dominare sentimentalmente
(l) sostenere, tener ferma la propria opinione
(m) trattenere, arrestare, frenare, impedire
(n) obbligare, legare, vincolare
(o) (per lo più al pass.) sorprendere, cogliere in fallo, riconoscere colpevole
(p) (rifl.) fermarsi, restare in un posto
(q) fissare, tenere gli occhi fissi
(r) attenersi a qualcosa
2 intr.
(a) occupare un luogo, prendere posizione
(b) (detto di una pianta) attecchire, mettere radici
(c) dirigersi, andare, veleggiare
(d) durare, continuare, mantenersi, conservarsi, sussistere».

Significati fra i quali sottolineerei quelli di carattere metafisico: “capire, intendere, comprendere, sapere”.

Ecco dunque una frase priva di senso o comunque priva di qualsiasi importanza misterica, quale era “Il seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote”, acquisire non solo un significato, ma un’estrema rilevanza esoterica, se letto “Il seminatore, col suo carro, comprende le ruote dell’Opera”.
Ovvero: il seminatore, il contadino, l’agricoltore, che con il loro carro attraversano le campagne nelle corso delle diverse stagioni dell’anno, preparando la terra, arando, seminando, curando le piantagioni ed infine raccogliendo le messi, detengono senza saperlo, il segreto dei ritmi e dei processi della Grande Opera, che i maestri del passato insegnano essere simili in tutto ad una ruota: alla ruota dei lavori agricoli, alla ruota del ciclo naturale…

LA VIRIDITASultima modifica: 2014-08-13T00:44:29+02:00da mikeplato
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