IL GESU’ DELLA STORIA

È possibile conoscere il Cristo storico?

di Andrea Nicolotti

Fin dalla fine del XVI secolo si scorgono i primi tentativi di comprendere storicamente la figura di Gesù. Soprattutto dall’epoca illuministica, ci si chiese se fosse possibile o meno ricostruire con le fonti a nostra disposizione un storia attendibile di Gesù, diversa da quella predicata dalle diverse chiese cristiane. Nacque così la cosiddetta “Ricerca sul Gesù storico”, che con metodi e presupposti sempre nuovi si è proposta di rispondere a questa domanda.

 

Sommario

La vecchia ricerca su Gesù (1778-1906)

Pantokrator, Cefalù, XII secolo.Quello del Gesù storico è un problema di data relativamente recente. Per l’epoca più antica era ritenuta cosa certa che i Vangeli ci forniscano notizie assolutamente attendibili su Gesù; non si scorgeva in ciò nessun problema. L’indagine storica neotestamentaria di quell’epoca, a parte alcune eccezioni, si limitava essenzialmente a parafrasare e ad armonizzare i quattro Vangeli; soltanto a partire dal XVI secolo, e soprattutto dalla fine del XVIII secolo, ci si chiese se il Gesù realmente esistito e il Cristo predicato dalla Chiesa ed annunciato nei Vangeli fossero la stessa persona. Samuel Reimarus non fu certamente il primo ad occuparsi della questione; ma gli storici moderni (specie di area tedesca) normalmente fanno iniziare da lui un’importante fase della ricerca storica su Gesù. Nato nel 1694 ad Amburgo, professore di lingue orientali, aveva scritto una Apologia degli adoratori razionali di Dio; tenuta volontariamente segreta, fu pubblicata postuma da Gotthold Ephraim Lessing in sette frammenti, uno dei quali era intitolato Dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli. Un altro frammento dell’anonimo di Wolfenbüttel (1778) (I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbuttel pubblicati da G. E. Lessing, Napoli, Bibliopolis, 1977). Si deve distinguere, diceva il Reimarus, tra lo scopo di Gesù, cioè tra l’intento che Gesù perseguiva, e lo scopo dei suoi discepoli. Gesù sarebbe stato un Messia politico ebraico, un liberatore degli Ebrei dal dominio straniero; messo a morte, non avrebbe raggiunto il suo scopo. I suoi discepoli, allora, che cosa avrebbero potuto fare? Essi, non volendo tornare alla propria condizione precedente, avrebbero rubato il cadavere di Gesù, inventato l’annuncio della sua risurrezione e del suo ritorno, creando in tal modo una nuova religione. I discepoli sarebbero stati dunque gli inventori della figura del Cristo. L’impressione suscitata fu grande, ed il rigetto del libello unanime. Tuttavia il Reimarus aveva per la prima volta posto un problema: il Gesù della storia ed il Cristo della rivelazione, sono la stessa cosa, dal momento che storia e dogma sono due cose diverse? Con il Reimarus inizia il problema del Gesù storico: giustamente Albert Schweitzer ha intitolato la prima edizione della sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù (1906) Da Reimarus a Wrede (Von Reimarus zu Wrede. Eine Geschichte der Leben-Jesu-Forschung, Tübingen, Mohr, 1906). La rappresentazione fatta dal Reimarus del Gesù storico era fallace: Gesù non era un rivoluzionario politico. Ma il Reimarus non aveva per caso ragione, almeno in linea di massima, col sostenere che il vero Gesù era diverso dal Cristo rappresentatoci dai Vangeli, soprattutto da quello di Giovanni? Chi era egli nella realtà? A questa domanda cercò di rispondere l’indagine sulla vita di Gesù (Leben Jesu Forschung) iniziata in epoca illuministica, ed in seguito all’interrogativo nacquero infiniti ritratti del Messia. Il difetto di questi ritratti stava nel pregiudizio illuminista e nell’intento antidogmatico che li animava. I razionalisti descrissero Gesù come un moralista, gli idealisti come quintessenza dell’umanità, gli esteti lo lodarono come l’artista geniale della parola, i socialisti come l’amico dei poveri e riformatore sociale. Gesù venne modernizzato: il risultato fu che ogni epoca, ogni teologia, ogni autore ritrovava nella personalità di Gesù il proprio ideale. Tra le opere più note, ricordo laVita di Gesù di Georg W. F. Hegel (1795) (Das Leben Jesu. Aus Hegels teologischen Jugendschriften nach den handschriften der Kgl. Bibliothek in Berlin, Tübingen, Mohr, 1907; trad. ital. Vita di Gesù, Roma, Newton Compton, 1995; Brescia, Queriniana, 2001), di David F. Strauss (1835) (Das Leben Jesu. Kritisch bearbeitet von David Friedrich Strauss, Tubingen, Osiander, 1835-1836; rist. anast. Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1969; trad. ital. La vita di Gesù o Esame critico della sua storia, Milano, Sanvito, 1863-1865) e di Ernest Renan (1863) (Vie de Jésus, Leipzig, société Bibliophile, 1863; trad. ital. Roma, Newton Compton, 1990). Tutte queste diverse vite di Gesù ebbero in comune il fatto che spesso la personalità di Gesù venne tracciata sulla base delle convinzioni dei diversi commentatori. Essa non venne dedotta solo dalle fonti, ma fu prevalentemente frutto di costruzione psicologica liberamente creata; Albert Schweitzer, nell’opera citata, denunciò con acutezza inesorabile molte di queste immagini di fantasia: L’indagine storica sulla vita di Gesù non è partita dal puro interesse storico, ma ha cercato il Gesù della storia come colui che poteva liberarlo dal dogma […] Ogni epoca ha trovato i suoi pensieri in Gesù […] e ogni singolo lo creò secondo la propria personalità (Traggo dalla seconda edizione, tradotta in italiano: Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Brescia, Paideia, 1986 (ediz. origin. Tübingen, Mohr, 1913), pp. 74-75). All’origine di tali questioni, si trova una certa concezione del metodo storico e della conoscenza religiosa. Nel corso del XIX secolo la scienza storica si era proposta un ideale di assoluta obiettività che tendeva ad assimilarla alle scienze naturali, così com’erano intese allora. Appariva necessario liberare i dati non soltanto dagli elementi manifestamente leggendari, ma da qualsiasi apporto soggettivo dello storico. Applicando rigorosamente i principi del metodo storico, si sarebbe isolato l’evento così come avvenne un tempo; poi, combinando questi risultati obiettivi, si sarebbe ricostruita una storia ordinata. Solo così, si pensava, sarebbe stato possibile risuscitare obiettivamente una biografia od un ritratto di Gesù. Ma ogni tentativo di ricostruire una vita di Gesù in tal guisa “scientifica”, che non teneva conto delle numerose altre variabili e utilizzava la critica letteraria delle fonti in maniera troppo personale, dette risultati differenti e spesso inconciliabili. Alcune intuizioni della vecchia Leben Jesu Forschung rimasero attuali anche nella successiva ricerca: la metodologia storico critica, l’ambientazione giudaica della figura di Gesù e lo sforzo di una sospensione dalla dogmatica nell’approccio ai testi.

Il Gesù della storia e il Cristo della fede

I teologi si limitarono in un primo tempo a difendersi da questi tentativi di ricostruzione storica; solo nel 1892 essi presero parte al dibattito tramite uno scritto di Martin KählerIl cosiddetto Gesù storico [historisch] e l’autentico [geschichtlich] Cristo biblico ( Der sogenannte historische Jesus und der geschichtliche, biblische Christus, Munchen, Kaiser, 1956; trad. ital. Napoli, D’Auria, 1993.). Si deve considerare molto attentamente in sé stesso il titolo di questo scritto, se si vuole capire il proposito del Kähler. Questi distingue da un lato tra Gesù e Cristo, e dall’altro tra storico historisch e storico geschichtlich. Con Gesù egli intende l’uomo di Nazareth, come l’indagine sulla vita di Gesù lo aveva descritto; e designa, invece, con Cristo il salvatore predicato dalla Chiesa. Col termine historisch egli indica i puri e semplici fatti del passato, con geschichtlich ciò che racchiude un significato duraturo. Dunque egli contrappone il cosiddetto Gesù historisch, cioè storico-reale, al Cristo geschichtlich, il Cristo storico-biblico, come gli Apostoli lo hanno predicato. Questa la sua tesi: solo il Cristo biblico è comprensibile per noi, ed egli solo ha significato durevole per la fede. In un primo tempo il richiamo del Kähler non ebbe alcuna eco; soltanto anni dopo fu ripreso da Rudolf Bultmann. Questi nel 1929 scriveva: Io sono indubbiamente del parere che noi non possiamo sapere più nulla della vita e della personalità di Gesù, poiché le fonti cristiane non si sono interessate al riguardo se non in modo molto frammentario e con taglio leggendario, e perché non esistono altre fonti su Gesù (Jesus, Berlin, Deutsche Bibliothek, 1929; trad. ital. Gesù, Brescia, Queriniana, 1972, p. 103). Lo scopo primario ed esclusivo dei Vangeli, secondo l’autore, era la catechesi: agli evangelisti non interessava affatto ricostruire la figura storica di Gesù, ma annunciarlo come Cristo Figlio di Dio. Nei Vangeli, dunque, non troviamo il Gesù della storia, ma il Cristo della fede; il personaggio di Gesù è sicuramente esistito, ma la fede di cui è stato fatto oggetto lo ha completamente sottratto alla storia. Pretendere di ricostruire la vita di Gesù a partire dai Vangeli significherebbe quindi cercare in essi proprio quello che non c’è; e quand’anche le ricostruzioni storiche fossero attendibili, esse non avrebbero nulla da dire al credente, perché egli, con la sua fede, salta la storia a piè pari, se ne disinteressa. A Bultmann, il cui pensiero esercitò un’influenza fortissima sulla ricerca del XX secolo, furono mosse varie obiezioni: in primo luogo non convinse il suo atteggiamento di rinuncia totale a qualunque collocazione storico-cronologica degli avvenimenti relativi all’uomo Gesù: non c’è dubbio che la sua figura sia stata in una certa misura idealizzata dagli evangelisti, ma poneva e pone tuttora obiettive difficoltà pensare che questa idealizzazione sia stata talmente radicale da far scomparire totalmente un personaggio dalla storia a non molto tempo di distanza dalle sue vicende. Occorre ricordare qui quella che diverrà una delle più diffuse Vite di Gesù in assoluto, opera dell’abate Giuseppe Ricciotti; uscita nel gennaio del 1941 (Vita di Gesù con una introduzione critica, Milano, Rizzoli, 1941, e successive ristampe e riedizioni a cura di diverse case editrici.) ebbe prima della fine dell’anno ben quattro edizioni, e giunse nel 1948 ad essere tradotta in 15 lingue. A quasi quarant’anni dalla morte dell’autore, è tutt’oggi ristampata (in Italia, con prefazione di Vittorio Messori, Milano, Mondadori, 1996). In essa l’autore si scaglia contro i maggiori esponenti della Old Quest e contro le reazioni di stampo bultmanniano: Ho mirato, dunque a far opera di critica. So benissimo che quest’ultima parola, comparsa già nel titolo, sarà giudicata usurpata da coloro per i quali la scienza critica è soltanto demolitrice e la sua ultima conclusione deve essere un «No» […] Cotesti demolitori sono oramai quasi «superati» […] Oggi, in forza sia delle recentissime scoperte documentarie sia di tante altre ragioni, la saggia critica mira ad essere costruttrice e la sua ultima conclusione vuole essere un «Sì». Pur nel suo carattere divulgativo, l’opera è molto attenta al dato storico e all’analisi documentaria: si può certamente considerarla un importante preludio agli orientamenti successivi. Opera innovativa, se si tiene conto della riluttanza fino ad allora mostrata da gran parte degli studiosi cattolici ad entrare in discussione con le istanze della critica mitteleuropea.

La nuova ricerca sul Gesù storico (1953-1975)

La reazione al pessimismo di Bultmann avvenne per bocca dei suoi discepoli, in occasione di una riunione di suoi ex-allievi di Marburgo. In particolare, Ernst Käsemann si espresse contro Bultmann nel 1953 con un noto articolo dal titolo Il problema del Gesù storico (Das Problem des historischen Jesu, in «Zeitschrift für Theologie und Kirche» LI (1954), pp. 125-153; trad. ingl. The Problem of Historical Jesus, in Essays on New Testament Themes, SBT 41, London, 1964, pp. 15-47.). Qui l’autore avanza tre tesi importanti: 1) Venendo meno ogni connessione tra il Cristo della fede e il Gesù della storia il cristianesimo diviene un mito astorico, e l’annuncio cristiano un annuncio docetista. 2) Se la Chiesa antica aveva così poco interesse per la storia di Gesù, perché produsse i Vangeli, con quel forte richiamo alla storia ad ogni passo? 3) Anche se i Vangeli sono un prodotto della fede postpasquale, essi richiedono una fiducia nell’identità tra Gesù terreno e Signore risorto. L’intervento di Käsemann può essere considerato la data d’inizio della cosiddetta Nuova ricerca sul Gesù storico. La novità di questa «nuova ricerca» non stava tanto nella ricerca stessa, quanto nell’orizzonte teologico in cui essa si inseriva: la «vecchia» ricerca liberale aveva puntato ad un Gesù storico, contrapponendolo alla predicazione dei suoi discepoli; Bultmann aveva capovolto questa impostazione puntando sulla predicazione, resa indipendente dal Gesù storico; la «nuova ricerca» voleva ricomporre la frattura tra i due elementi. A Käsemann dobbiamo l’elaborazione di una serie di criteri grazie a cui sarebbe possibile, dai Vangeli, risalire al Gesù storico e pronunciarsi, con un buon grado di probabilità, sulla storicità effettiva di questo o quel detto o fatto di Gesù. Il metodo di Käsemann fu riassunto nei suoi Saggi esegetici . Il maggior teorico della New Quest fu James Robinson con il suo La nuova ricerca del Gesù storico (Trad. ital. Casale Monferrato, 1985); il primo post-bultmanniano a pubblicare un completo studio storico su Gesù (tuttora valido) secondo la nuova corrente fu nel 1956 Günther Bornkamm, con il suo Gesù di Nazaret (Jesus von Nazareth, Stüttgart, Kohlhammer, 1956; trad. ital. Gesù di Nazaret, Torino, Claudiana, 1977). Nel frattempo, le posizioni scettiche di Bultmann trovarono sempre meno approvazione, come traspare dal volume intitolato Il Gesù della storia ed il Cristo del Kerygma, pubblicato nel 1960 e contenente saggi di J. Jeremias, J. L. Hromàdka, N. A. Dahl, B. Reicke, P. Althaus, O. Cullmann, W. Grundmann, O. Michel, W. Michaelis, H. Riesenfeld, L. Goppelt, G. Delling (H. RISTOW – K. MATTHIAE (a cura di), Das historische Jesus und der kerygmatische Christus, Berlin, Evangelische Verlagsanstalt, 1960).  Due noti trattati nati sulla scia di questo orientamento sono le opere dei cattolici René Latourelle A Gesù attraverso I Vangeli (1978) (L’accès à Jésus par les Evangiles, histoire et herméneutique, Tournai, Desclée, 1978; trad. ital. Assisi, Cittadella, 19883) e Francesco Lambiasi L’autenticità storica dei Vangeli (1976) (II edizione Bologna, EDB, 1986. Anche Gesù di Nazaret. Una verifica storica, Casale, Marietti, 1983). Nella sua Teologia del Nuovo Testamento Leonhard Goppelt si allontanava in questo modo dalla teologia di Bultmann: Per la tradizione dei Vangeli è di primaria importanza l’integrazione tra il ministero terreno di Gesù e il kérygma [= messaggio della Chiesa primitiva], in modo che il primo diventi la base che sostiene il secondo. Questa «reminiscenza» di Gesù rimane, in modo particolare nei grandi Vangeli, l’intenzione primaria […] Se vogliamo esporre la teologia neotestamentaria mantenendone la struttura intrinseca, dobbiamo porre anzitutto il problema del Gesù terreno (Theologie des Neuen Testaments, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1976; trad. ital. Teologia del Nuovo Testamento, Brescia, Morcelliana, 1982-1983, vol. I, p. 65.). Trent’anni dopo l’opera di Käsemann, Ed Parish Sanders scriveva, in aperta opposizione al vecchio giudizio di Bultmann: L’orientamento prevalente oggi sembra il seguente: noi possiamo conoscere molto bene ciò che Gesù stava per compiere, possiamo conoscere una buona parte di quel che disse e questi due aspetti diventano significativi all’interno del giudaismo del primo secolo (Jesus and Judaism, London, SCM, 1985, p. 2; trad. ital. Gesù e il giudaismo, Genova, Marietti, 1992).

La terza ricerca sul Gesù storico

Da qualche tempo si parla di una «terza ricerca» del Gesù storico; il nome pare sia stato coniato da Tom Wright per indicare un nuovo indirizzo ed impulso alla ricerca del Gesù storico, dopo un periodo di stagnazione della precedente indagine: Mentre la cosiddetta New Quest stava ancora cautamente discutendo su presupposti e metodi, producendo lunghissime storie della redazione da cui si poteva spremere una o due gocce in più di autentico materiale gesuano, un movimento totalmente diverso iniziava in luoghi diversi e senza alcuna premessa o programma unificato. Fortificati dai materiali giudaici, ora più disponibili, questi studiosi lavorarono come storici, convinti che è possibile conoscere moltissimo di Gesù di Nazaret e che vale la pena di farlo (S. NEILL – T. WRIGHT, The Interpretation of the New Testament, Oxford, Oxford University Press, 19882, p. 379). Questa nuova scuola rivolge tre critiche alla precedente: l’eccessiva analiticità e importanza della storia delle forme, che rischia di isolare le forme letterarie dal contesto; i rischi dell’utilizzo dei criteri di dissomiglianza di Gesù dall’ambiente giudaico e dalla Chiesa, che rischiano di creare una sorta di Gesù estrapolato dal suo ambiente (criteri che discuteremo più avanti); l’enfasi posta sulla teologia dell’annuncio evangelico come criterio per il recupero di Gesù. Per quanto riguarda il rapporto tra storia e teologia, si va dall’opposizione astiosa di un E. P. Sanders alla auspicata sospensione metodologica di J. P. Meier. I detti ed i fatti di Gesù vengono collocati in un quadro storico più ampio, e si incoraggia un confronto con altre scienze, tra cui quelle sociali. La terza ricerca ha sfatato alcuni luoghi comuni della ricerca precedente, ad esempio nella tendenza a negare (nella Old Quest) o demitizzare (New Quest) i racconti miracolosi, dei quali cerca di ritrovare non la spiegazione scientifica o metafisica, bensì la loro percezione popolare. Si afferma generalmente in modo più fiducioso il valore storico delle fonti primarie, i Vangeli canonici; lo studioso ebreo David Flusser all’inizio della sua monografia su Gesù scriveva: Questo libro è stato anzitutto scritto per dimostrare che è possibile scrivere una vita di Gesù. Certo, possediamo più notizie sugli imperatori a lui contemporanei e su alcuni poeti romani, ma accanto allo storico Giuseppe Flavio e forse Paolo, Gesù è l’ebreo post-testamentario sulla cui vita e dottrina siamo meglio informati (Jesus, Reinbek, Rowohlt, 1968; trad. ital. sull’ultima edizione tedesca Jesus, Brescia, Morcelliana, 1997 (da evitare la precedente traduzione dell’editrice Lanterna, 1976). Al di là di questi lati comuni, i tentativi indicati sotto questa etichetta non sono tali da identificare una prospettiva completamente unitaria. L’istanza di valorizzare maggiormente l’ebraicità di Gesù, presentata come paradigma comune di questa ricerca, va in direzione diametralmente opposta alla sopravvalutazione del Vangelo di Tommaso operata da alcuni, che sfocia in una sorta di Gesù quasi «gnostico», puramente sapienziale, la cui ebraicità è pesantemente cancellata. La mentalità refrattaria alla dimensione escatologica, storico-salvifica e cristologica ci riporta alle consuete alternative tradizionali, più che ad un approccio nuovo. Certe esasperate rappresentazioni di Gesù (rivoluzionario o pacifista, restauratore di Israele, stoico-cinico o mago) paiono ricordare la varietà delle figure tratteggiate dalla Leben Jesu Forschung tardo ottocentesca. Nonostante le solenni dichiarazioni di neutralità storica, dietro agli sforzi di ricostruire il Gesù storico talora affiorano le motivazioni ideologiche: neo-positivismo (E. P. Sanders), teologia della liberazione (Marcus J. Borg Conflict, Holiness and Politics in the Teachings of Jesus, New York, Edwin Mellen Press, 1984; Jesus, a new Vision. Spirit, Culture, and the Life of Discipleship, San Francisco, Harper, 1987). Douglas E. Oakman (Jesus and the Economic Questions of his Day, Lewiston, Edward Mellen Press, 1986)Richard A. Horsley (Sociology and the Jesus Movement, New York, Crossroad, 1989; Jesus and the Spiral of Violence. Popular Jewish Resistance in Roman Palestine, Minneapolis, Fortress, 1993), rapporto con l’ebraismo in senso troppo giudaizzante (E. P. Sanders) o troppo poco (J. D. Crossan). Il differente peso dato alle varie componenti della tradizione di Gesù ed al suo sfondo sociopolitico, culturale e religioso, può creare figure unilaterali di Gesù. Privilegiando la tradizione dei miracoli da un lato e i papiri magici dell’altro, si ha un Gesù mago (Morton Smith Jesus the Magician, San Francisco, Harper, 1978; trad. ital. Gesù mago, Roma, Gremese, 1990) o un pio taumaturgo ed esorcista (G. Vermes); privilegiando la tradizione dei detti sapienziali a discapito di quelli escatologici emerge un Gesù sapiente (F. Gerald Downing Jesus and the Threat of Freedom),J. D. Crossan), oppure, seguendo il procedimento opposto, un profeta escatologico (Ben F. Meyer The Aims of Jesus, London, SCM, 1979) , E. P. SandersJ. Charlesworth). L’accento sulla tradizione della morte di Gesù ne può fare un rivoluzionario prozelota (Samuel G. F. Brandon Jesus and the Zealots. A Study of the Political Factor in Primitive Christianity, Manchester, Manchester University Press, 1967; trad. ital. Gesù e gli Zeloti, Milano, Rizzoli, 1983) o un pacifista vittima dell’oppressione; l’attenzione al contesto giudaico ne fa un Rabbi (David Flusser Jesus, Reinbek, Rowohlt, 1968; trad. ital. sull’ultima edizione tedesca Jesus, Brescia, Morcelliana, 1997 (da evitare la precedente traduzione dell’editrice Lanterna, 1976)., Bruce D. Chilton A Galilean Rabbi and his Bible. Jesus’ Use of the Interpreted Scripture of his Time, Wilmington, Glazier, 1984; Jesus in Context. Temple, Purity and Restoration, Leiden, Brill, 1997) o un fariseo illuminato (Harvey Falk  Jesus the Pharisee. A new Look at the Jewishness of Jesus, New York, Paulist Press, 1985), mentre l’attenzione a quello ellenistico lo dipinge come un filosofo cinico (F. G. DowningBurton L. Mack A Myth of Innocence. Mark and Christian Origins, Philadelphia, Fortress, 1991) , J. D. Crossan). L’enorme varietà dei risultati non pone in questione il valore storico dei Vangeli, ma piuttosto la varietà dei metodi e delle opzioni degli studiosi. A titolo esemplificativo, si potranno esaminare un po’ più da vicino le letture di cinque autori della Third Quest, scegliendo tra coloro le cui opere hanno avuto maggior risonanza tra il pubblico non specializzato: Lo studioso ebreo Geza Vermes nel suo Gesù l’ebreo (1973) (Jesus the Jew, London, Collins, 1973; trad. ital. Milano, Borla, 1983. Anche Jesus and the World of Judaism, London, SCM, 1983; The Religion of Jesus the Jew, London, SCM, 1993; I volti di Gesù, Milano, Bompiani, 2000) e nelle opere successive si propone di porre il ministero di Gesù nell’ambiente giudaico del I secolo; egli è convinto di poter dimostrare la fondatezza dei racconti evangelici, se proiettati sullo sfondo del materiale giudaico parallelo. In breve, la tesi dell’autore è che la figura di Gesù corrisponde a quella dei rabbi carismatici, in particolare Honi e Hanina ben Dosa. La sua analisi dei vari titoli attribuiti a Gesù cerca di dimostrare come possano tutti essere inquadrati nella descrizione dell’uomo carismatico. Nello stesso tempo, in conclusione del lavoro, afferma la «incomparabile superiorità» di Gesù sugli altri venerandi «santi» galilei, lasciando aperto l’interrogativo: se Gesù rimane diverso e superiore, come spiegarlo, e chi è? Ed Parish Sanders (Jesus and Judaism, London, SMC, 1985 (trad. ital. Gesù e il giudaismo, Genova, Marietti, 1992); Gesù, la verità storica, Milano, Mondadori, 1995 (dal titolo inglese assai meno accattivante The Historical Figure of Jesus, London, Allen Lane, 1993).) descrive Gesù come un uomo che condivise la speranza escatologica ebraica come l’attesa di un grande intervento di Dio per la restaurazione di Israele, radicalizzandola e proclamandola imminente; la sua condanna a morte sarebbe stata suscitata dal timore provato dagli Ebrei nel veder crescere il suo movimento. Sanders, come altri studiosi ebrei (M. Buber) o «laici» (tra i quali, nella prima metà del XX secolo, gli italiani postmodernisti Omodeo, Salvatorelli, Martinetti, Parente) ritiene storica la predicazione escatologica e la rivendicazione messianica di Gesù (in opposizione a Vermes). Sanders rigetta la visione di Gesù come santo o maestro, che non spiega le conseguenze della sua attività pubblica – specie la morte – per quella di un Gesù restauratore di Israele; la sua lettura di Gesù come profeta escatologico è molto vicina a quella di A. Schweitzer (Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Brescia, Paideia, 1986 (ediz. origin. Tübingen, Mohr, 1913).). Sanders è stato criticato per il suo metodo, e per aver minimizzato od accantonato alcuni dati assodati della ricerca; inoltre egli ha programmaticamente escluso dalla sua analisi pagine e pagine di racconti evangelici, non sottoponendo alla medesima critica le fonti ebraiche più tardive ( Cfr. ad esempio la critica di G. SEGALLA, Gesù, profeta escatologico della restaurazione di Israele?, in «Studia Patavina» XL (1993), pp. 83-102; ristampato in Id., Sulle tracce di Gesù, Assisi, Cittadella, pp. 265-295). John Dominic Crossan ha fondato nel 1985 con Robert W. Funk il Jesus Seminar, che ha raccolto un gruppo di studiosi della Bibbia (quasi tutti americani) che si sono riuniti per diversi anni votando con palline colorate il grado di fedeltà al vero insegnamento di Gesù di quanto è riportato nei Vangeli. Una pallina rossa significa “Gesù lo ha detto sicuramente”; quella rosa “Pare che possa averlo detto”; quella grigia “Probabilmente non l’ha detto”, e quella nera “Gesù non lo avrebbe mai detto”. Ne è risultata la monografia The Five Gospels: What Jesus Really Said (I cinque Vangeli: che cosa Gesù ha detto veramente), un’edizione dei Vangeli “a colori”, in cui ogni frase riportata è colorata secondo quel criterio. Essi conclusero che l’82% dei detti attribuiti a Gesù non fu realmente pronunciato da lui; della preghiera del Padre nostro, ad esempio, furono considerate autentiche due parole solamente: “Padre nostro”, appunto (In Marco solo il “Date a Cesare” (17,22). In Matteo: 5,38-39 “Porgi l’altra guancia”; 13,33 parabola del lievito; 20,1-15 parabola dei vignaiuoli; 22 il “Date a Cesare”. Delle beatitudini, fu accettato solo il “Beati gli affamati, i poveri ed i tristi”. In Luca 2,20 le medesime beatitudini; 6,27 “Amate i vostri nemici”; 6,29 il discorso del “Porgi l’altra guancia”; 10,30 il buon Samaritano; 13,20 parabola del lievito; 16,1 parabola dell’amministratore astuto. Giovanni è del tutto ignorato). Il titolo I cinque Vangeli allude al Vangelo di Tommaso, che conterrebbe gli insegnamenti più autentici di Gesù; questo va di pari passo alla descrizione dell’attività di Gesù come risposta alla situazione sociale contemporanea del mondo ebraico (stranamente, dato il carattere metastorico del medesimo). La conclusione è quella di un Gesù predicatore di un Regno che non va compreso in senso apocalittico, bensì etico-sapienziale. Crossan ha pubblicato anche un Gesù. Una biografia rivoluzionaria (1993) (Jesus. A Revolutionary Biography, San Francisco, Harper, 1994; trad. ital. Firenze, Ponte alle Grazie, 1994). Gesù è dipinto come un rivoluzionario sociale e femminista, con la volontà di sovvertire le strutture gerarchiche del tempo, praticante la magia in opposizione al culto del Tempio; i tratti della sua predicazione escatologica sono negati, sostituiti da una predicazione volta a scoprire il regno di Dio presente nell’esperienza umana di ciascuno. Il lavoro del Seminar si è attirato molte severe critiche, oltre che per i metodi seguiti, a causa della improbabile colorazione gnostica e cinica di Gesù, e della negazione dell’escatologia futura, così radicata in testi evangelici e forme letterarie diverse. Si tratta forse del peggior esempio degli aspetti fuorvianti della Third Quest, i cui risultati, malamente volgarizzati, hanno alimentato una vasta produzione di materiale giornalistico e cinematografico (si ricordi, ad esempio, il film Stigmate, che si rifà all’idea del Quinto vangelo presentata dallo Jesus Seminar). John P. Meier ha iniziato nel 1991 un’opera attesa in cinque volumi (quattro usciti) dal titolo Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus, New York, Doubleday, 1991-; Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Brescia, Queriniana, 2001-2009), nella quale si può trovare una equilibrata discussione sui principi metodologici e critici della ricerca, con una lunga discussione preliminare sulle fonti giudaiche, pagane ed apocrife (quest’ultime eccessivamente sopravvalutate in ambiente americano, ma qui, forse proprio allo scopo di opporsi a questa sopravvalutazione, talora troppo dequalificate). Il libro di James D.G. Dunn La memoria di Gesù (Christianity in the Making, vol. I: Jesus Remembered, Eerdmans, Grand Rapids, 2003; trad. ital. La memoria di Gesù. 1  Fede e Gesù storico; 2 La missione di Gesù; 3 L’acme della missione di Gesù, Brescia, Paideia, 2006-2007), desidera attirare l’attenzione sul fatto che l’Israele del I secolo era una civiltà orale e che la tradizione di Gesù si sviluppò in forma orale lungo le prime generazioni cristiane, prima dei vangeli scritti e a fianco di questi. Tutto ciò di cui si può disporre sono le impressioni che Gesù fece, il Gesù ricordato. Gli evangelisti probabilmente conoscevano molte di queste tradizioni orali indipendentemente dalla loro conoscenza di raccolte scritte, compresi Marco e Q. Nelle costanti e nelle varietà della tradizione si possono dunque rintracciare gli elementi stabili e le varianti delle esecuzioni e rinarrazioni della tradizione, e non semplicemente la dipendenza letteraria e la redazione dei successivi estensori della tradizione. La tradizione sinottica di cui disponiamo, con la sua registrazione di cose che Gesù disse e fece, testimonia una continuità tra la memoria prepasquale e la proclamazione postpasquale, una continuità di fede.

Fonti e criteri di storicità

La ricerca dell’ultimo cinquantennio è stata propiziata da uno studio nuovo delle fonti già note e dalla scoperta di fonti nuove, soprattutto quelle di Qumràn e di Nag Hammadi, e dal materiale proveniente dagli scavi archeologici 1. Occorre distinguere tra le fonti dirette su Gesù e quelle indirette, che contribuiscono a ricostruire l’ambiente sociale, politico, religioso ed economico in cui Gesù visse. Tra le fonti dirette, anzitutto i Vangeli e gli scritti non cristiani che menzionano Gesù (Flavio Giuseppe, Tacito, Svetonio, le fonti giudaiche, etc.). La novità maggiore sta nello studio delle fonti indirette, giudaiche (apocrifi dell’Antico Testamento, rotoli del Mar Morto, scritti di Flavio Giuseppe, Targum, scritti rabbinici) e greche (papiri magici greci e fonti della scuola stoico-cinica, da utilizzare con attenzione), e nell’utilizzo delle recenti scoperte archeologiche. Nello studio delle fonti vengono applicati metodi diversi: quello storico-critico, che è il medesimo applicato per qualsiasi altro testo dell’antichità, quello storico-letterario (li esaminiamo nella sezione dedicata al Nuovo Testamento) e quello sociologico. Per quanto riguarda l’approccio ai Vangeli, gli studiosi hanno cercato di individuare dei criteri per valutare ciò che in essi proviene da Gesù stesso, per distinguerlo dalla tradizione della Chiesa primitiva; tra i tanti proposti ricordo: Criterio dell’imbarazzo (o contraddizione): È molto improbabile che la Chiesa abbia creato qualcosa che le causasse imbarazzo. La tendenza negli stadi successivi della tradizione è piuttosto quella di attenuarlo (ad esempio, il battesimo di Gesù da parte di Giovanni, che poteva offuscare la superiorità di Gesù di fronte al Battista). Ma non necessariamente ciò che a noi può sembrare imbarazzante lo era per la Chiesa primitiva. Criterio della discontinuità (o dissomiglianza o originalità o doppia irriducibilità): Sono da ritenersi storicamente autentici i dati evangelici non riconducibili né alle concezioni del giudaismo, né al linguaggio, alla prassi e al pensiero della Chiesa delle origini. Questo criterio è stato recentemente un po’ ridimensionato, in quanto la sua applicazione radicale fa di Gesù un isolato dall’ambiente di origine e separato dalla Chiesa che lo considera suo fondatore, insistendo troppo sulla unicità e sulla superiorità di Gesù su di essi. Si tende allora a ritenerlo comunque valido in senso positivo e non in negativo: con questo criterio si può stabilire un nucleo sicuro di detti o fatti a Gesù certamente attribuibili, ma non si possono escludere gli altri in blocco. D’altra parte occorre ricordarsi che la nostra conoscenza del giudaismo e del cristianesimo dell’epoca è pur sempre imperfetta.   Criterio della molteplice attestazioneÈ da considerare probabilmente storico ciò che è attestato unanimemente da più tradizioni neotestamentarie (e/o non neotestamentarie) o che si può ritrovare presente in più forme differenti (narrazioni, controversie, discorsi, ecc.). Occorre però tener conto che l’attestazione di una singola fonte non è un motivo sufficiente per escludere un racconto, e non è impossibile che un detto non autentico ma molto antico sia potuto entrare in più linee della tradizione (relativa antichità quindi, non gesuanità). Criterio della coerenza (o concordanza): Sono considerati probabilmente autentici i detti o le azioni conformi all’ambiente o all’epoca di Gesù e coerenti con il suo insegnamento, la sua prassi e la sua immagine in generale. Questo criterio interviene dopo che una certa quantità di materiale storico è stato isolato dai criteri precedenti. Va comunque ricordato che la predicazione di Gesù, che non ci è nota in forma di esposizione di una dottrina sistematica, non sempre può essere valutata sulla base di questo criterio.   Criterio di spiegazione necessaria (o sufficiente): Sono probabilmente storici quegli elementi la cui autenticità è necessario riconoscere per comprendere altri elementi storicamente accertati. Questo criterio può avere una duplice funzione: da una parte, utilizzando dati già certi, esso cerca di individuare una spiegazione necessaria dei fatti, che sia coerente e sufficiente, la quale illumini e disponga armoniosamente tutti questi elementi (che altrimenti rimarrebbero inspiegabili); dall’altra, quando l’interpretazione necessaria è nota, può essere di aiuto nell’isolare gesti e parole che la supportino. È il caso della spiegazione del perché Gesù fu sottoposto al supplizio capitale (qualcuno parla di un apposito criterio del rifiuto e dell’esecuzione): c’è già un dato di fatto (ovvero la condanna a morte di Gesù da parte delle autorità): il compito diviene quello di cercare gli elementi nei testi che la giustificano. Allo stesso modo, quei dati storici la cui autenticità è già stata verificata servono a spiegarci il motivo della sua condanna, e ne confermano indirettamente la storicità. Non può in questo senso essere storico un Gesù blando, semplice creatore di simboli che parlava per enigmi e non minava alle radici le persone, specie le autorità giudaiche e romane che ne decretarono la morte; la sua esecuzione, infatti, risulterebbe incomprensibile. Alcuni autori preferiscono raggruppare alcuni dei criteri precedenti sotto una denominazione unica: è il caso del criterio di plausibilità storica degli effetti esercitati da Gesù sulla tradizione e del contesto storico in cui egli ha operato. Occorre riaffermare che l’applicazione di questi criteri, i quali hanno un valore diverso tra loro, non è assolutamente meccanica, ma tiene conto di diversi fattori e gradi di probabilità. Essi, inoltre, vengono utilizzati in modo convergente: cum plurima cuncurrunt, maiora sunt indicia.

Osservazioni conclusive

È evidente che la Ricerca su Gesù (Jesus research), o Indagine sul Gesù storico (Quest for the Historical Jesus) ha assunto da cinquant’anni un andamento diverso dal passato, assai produttivo. È senz’altro esatto che non si può pensare di poter scrivere una precisa biografia di Gesù nel senso moderno del termine; tuttavia è possibile risalire in una certa misura al Gesù della storia (non al Gesù degli storici!) ed alla sua predicazione. In primo luogo, sono le fonti che ci vietano di limitarci al kérygma della Chiesa primitiva: ogni versetto del Vangelo ci attesta che l’origine del cristianesimo non è la predicazione della Chiesa, né l’esperienza pasquale dei discepoli, né un’idea del Cristo. L’origine del cristianesimo è un avvenimento storico, e precisamente la comparsa dell’uomo Gesù di Nazareth, crocifisso sotto Ponzio Pilato, ed il suo messaggio. Scrive in proposito James H. Charlesworth: È evidente che gli evangelisti non erano interessati in via prioritaria a far sapere chi era stato il Gesù storico e che cosa aveva detto e fatto; ma sostenere che gli autori del Nuovo Testamento non s’interessavano affatto alle parole e alle azioni di Gesù anteriori alla sua morte sul Calvario, non esprime la loro posizione. Alcuni aspetti particolari della vita di Gesù erano essenziali alla vita quotidiana e alla riflessione dei suoi primi seguaci. Dalla vita di Gesù – come dalle antiche tradizioni formative – essi appresero come pensare, predicare, insegnare, sopportare sofferenze e perfino il martirio. Racconti su quello che Gesù aveva detto e fatto erano condivisi dai testimoni oculari, i quali ovviamente tendevano ad abbellire il racconto, ma dobbiamo ricordare che avevano anche una memoria eccezionale. Oggi noi studiosi passiamo così tanto tempo a leggere le fonti storiche primarie e la bibliografia secondaria da non possedere più la fertile memoria degli antichi, o di quelle persone che ancora oggi, nel Medio Oriente, sono in grado di recitare a memoria la Torah, il Corano o l’Iliade parola per parola (Jesus within Judaism. New Light from Exciting Archaeological Discoveries, Garden City, Doubleday, 1988; trad. ital. Gesù nel giudaismo del suo tempo alla luce delle più recenti scoperte, Torino, Claudiana, 1994, p. 27.

IL GESU’ DELLA STORIAultima modifica: 2015-11-27T19:15:17+01:00da mikeplato
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