Salmo dei Naaseni

L’Inno o Salmo dei Naaseni ci è stato tramandato da Ippolito nei Philosophoumena (V, 10, 2). Gli Ofiti Ippolito li chiama però solamente “gnostici”, e dice che non si definiscono semplicemente “pneumatikoi” ma “oi pneumatikoi“, nel senso di esclusività, depositari tout court della favilla divina decaduta nel carcere della corporeità, e,in quanto tali, elitariamente destinati alla salvazione. I Naasseni affermano, pertanto, non solo di essere destinati per natura alla ricomposizione finale, ma anche e soprattutto di essere gli unici ad avere reale coscienza di Gesù Benedetto: come Gesù costituisce la “terza porta” attraverso la quale diviene possibile il ricongiungimento degli spirituali con l’unicità perfetta, allo stesso modo il Redentore del Salmo rappresenta l’instrumentum divino grazie a cui si realizza la diffusione della gnosi fra coloro che sono destinati a riceverla. I sistemi gnostici cristiani dei Naasseni hanno la peculiarità di ritenere il Serpente che tentò Eva come il Portatore di Conoscenza, ossia della capacità di distinguere tra Bene e Male preclusa al Demiurgo. Il Demiurgo Jaldabaoth, considerato inferiore al Vero Dio, è identificato con il Geova dell’Antico Testamento. Gli stessi nomi di questi gnostici sono molto interessanti. Ofiti viene dal greco ophis ‘serpente’, ed è a sua volta una traduzione letterale di Naasseni, dall’ebraico nahash, che pure indica il rettile strisciante.  Se vogliamo fare un confronto con le dottrine dualiste del Medioevo, risulta chiaro che il Catarismo non appartiene alla classe di sistemi gnostici ofiti, in quanto non ammette un ruolo positivo per il Serpente. Per l’Insegnamento dei Buoni Uomini, il Serpente è infatti il prodotto dalla bava di Satana-Geova, che ha insegnato ad Eva l’accoppiamento penetrandola con la coda. In ogni caso, comune al Catarismo e allo Gnosticismo dei Naasseni è la visione dello spirito gettato in un abisso di tenebra da cui non riesce più ad uscire. Questo è evidente ad esempio proprio dalla lettura dell’inno in oggetto, tramandatoci da Ippolito. I Naasseni sopravvissero più a lungo di altri gruppi gnostici: Agostino di Ippona li descrive, affermando che praticavano l’allevamento dei serpenti, facendo poi sfiorare ai rettili il pane che usavano per un sacramento eucaristico. Dall’inizio del V secolo d.C. le tracce dell’Ofismo si perdono, a seguito della repressione sempre più aspra da parte dell’Impero ormai convertito al Cristianesimo niceno. Non si conosce il nome del fondatore del movimento degli Ofiti. Tuttavia è certo che avevano una letteratura che comprendeva la Predica dei Naasseni e il Diagramma degli Ofiti. Questi due complessi testi teologici sono andati perduti, ma ne esistono descrizioni molto dettagliate nei lavori di due autori ostili: il pagano Celso e il cristiano Origene.

Ai principî cosmogonici esplicitati nei primi due versi, si affianca un terzo
nomo, l’anima, la cui ousia risulta profondamente travagliata dal contatto con la materia degradata: le sofferenze e lo smarrimento del sé nel labirinto della sostanza ilica saranno tuttavia destinate a cessare grazie all’intervento di Gesù Redentore, la cui discesa nel carcere del sema (corpo) segnerà l’effettiva ricomposizione nel Pleroma degli spirituali. Tale processo risulterà realizzabile solo previa diffusione della gnosi, conoscenza dei mysteria che conduce all’effettiva liberazione degli pneumatici dalla materia. Il nucleo centrale appare caratterizzato, pertanto, da un problema di consapevolezza: la missione del Redentore esplicitata negli ultimi versi del Salmo si delinea in un’azione finalizzata al recupero, da parte degli pneumatici, della coscienza circa la favilla divina che in loro alberga, alla rivelazione dei segreti che si celano al di là delle forme;  e al disvelamento di ciò che della santa via è nascosto. Parrebbe di trovarsi di fronte a un testo destinato alla recitazione, in chiave iniziatica, da parte di un gruppo di adepti in procinto di ottenere la telethe (verità) gnostica. Ci si troverebbe di fronte alla trasmissione di un vademecum rituale comprendente sia la formula liturgica (il Salmo), reiterabile e destinata agli iniziandi in procinto di ricevere la rivelazione della conoscenza gnosticamente intesa (o una preghiera da recitarsi da parte degli iniziati durante la varie celebrazioni cultuali), sia il contenuto misterico (Predica dei Naasseni).

L’anima gnostica, il cui travaglio è descritto nel salmo, è racchiusa nel corpo fisico, e resa in catene dalla percezione dei sensi, incapace di trovare soddisfazione, appagamento, in quanto la circonda. Il mondo esterno  assume forma di  un intricato labirinto. Essa non trova lenimento alcuno al dolore, che anzi è amplificato dalla constatazione che ad esso non vi è uscita. Questo salmo Naaseno rappresenta al meglio l’origine della speculazione gnostica, che non è riconducibile a  fenomeno depressivo, ammantato di retorica o aulico fraseggio, ma bensì attivo interrogarsi su di uno stato di disagio, di perenne insoddisfazione, d’intuizione che vi è altro oltre il fitto ordito della realtà. Lo gnostico riconosce un disagio intimo, non dettato dall’avere, ma dall’essere, ed ad esso vuole dare risposta e rimedio. Il primo atto dell’anima gnostica è rappresentato dal riconoscimento di una prigione, e dalla ricerca di una via verso la libertà. Non è, infatti, il primo atto di colui che desidera evadere, quello di rendersi conto della prigionia in cui versa? Questa volontà di trascendenza non è forse ciò un attivo relarsi? “Questo fuoco è ingannevole, poichè dà agli uomini un’illusione di verità e li imprigiona in una dolcezza tenebrosa”  (tratto dal Libro di Tommaso l’atleta). Una sorta di profonda malinconia pervade tutto il pensiero gnostico, fino a prendere la forma della nostalgia che accompagna il pneumatico lungo il proprio viatico terreno. Se ogni aspetto di questo mondo è avvertito come estraneo ed alieno, è perché lo gnostico nella visione che incarna, è figlio di un’altra terra, di un reame lontano, e si trova per caso, capriccio o colpa, proiettato in una nazione lontana dagli usi incomprensibili. Attraverso i sensi l’anima è inebriata, portata a dimenticare una condizione di stato, precedente a questa in cui adesso si ritrova, ma che persiste a livello di rimembranza. Ecco che individuiamo nella nostalgia, la radice di ogni costruzione mitologica gnostica. E’ la nostalgia, intesa sia come profondo lamento per ciò che fu, sia come, perenne, richiamo verso quella che sarà definito il Ritorno al Pleroma. Ritorno al Pleroma, o casa del Padre, è lo Zenit del percorso gnostico, la conclusione del sentiero di luce, e verso la luce, che l’anima deve compiere, guidata dalla voce della nostalgia, potente Koan interiore. La nostalgia è la creazione del mito dal mito, o per meglio dire la germinazione della mitologia e cosmogonia gnostica, dove il Nadir è rappresentato dalla condizione umana. Un mito titanico, per pochi eletti, che dal basso dalla prigionia, cercano di risollevarsi verso ciò che è perduto. E’ necessario rilevare come sia proprio la nostalgia, frutto della considerazione di ciò che si è, e di ciò che si prova a divenire, la pietra fondante di tutto il pensiero gnostico, il cardine attorno cui tutto ruota. E’ nel dilemma dell’uomo, nel dramma di uno spirito incorruttibile in un corpo corruttibile che si forgia il pensiero gnostico. Un pensiero che si articola nel rapporto fra uomo e uomo, uomo e creazione e uomo dio. Lo gnostico non trova risposte nella Creazione, nella ciclicità del tempo, nel deperimento della materia, alla propria condizione. Egli si pone domande, cerca risposte, che incarnano uno spirito antisociale, anticomunitario, in quanto non vede nella comunità, nel sociale, negli ideali, nella religione, soluzione al lamento, termine al movimento di ricerca. L’unica soluzione ad un universo feroce, che divora la vita per donarsi la vita, è volgere lo sguardo interiore verso un Dio prima di dio, estraneo al dolore del cosmo. Se attorno all’uomo vi è disperazione, e morte, ciò non può essere frutto del vero Dio, ma di un Demiurgo, di una divinità inferiore e di maligna, che si manifesta nell’ordine costituito, nella catena degli eventi. Ecco quindi il Dio oltre Dio: Altissimo, luminosissimo, e assolutamente incomprensibile per l’uomo non gnostico. Un Dio così diverso e lontano dal carnale Dio del mondo monoteistico giudaico, circondato da un Abisso di Silenzio.  Come estremità opposta lo gnostico ha un’idea infima della materia e della Creazione, proprio in virtù di quanto esposto in precedenza: la non risposta che essa fornisce al dilemma umano. L’indagare i costrutti gnostici attorno a questo tema, esulano l’attuale portata di questo lavoro, teso esclusivamente ad evidenziare la molla che tutto pone in movimento: la nostalgia. L’anima gnostica s’interroga sul come e sul perché è oggi relegata in un corpo. Ecco il punto fondamentale che allontana ogni ombra di depressione dall’universo gnostico. Il pneumatico si pone delle domande sulla sofferenza che attanaglia il cuore, ed ad essa cerca risposta, individuando una via di uscita. L’anima gnostica non si lascia schiacciare dal peso della vita senza senso, ma anzi individua in essa un momento di purificazione, per quanto dolorosa necessaria alla risalita. Constata lo stato delle cose, comprende che deve darsi, e mantenere al contempo coscienza di se. L’anima gnostica è sola, ma questo non l’abbatte, non distrugge l’anelito salvifico. Nessuna indicazione “diretta e lineare” nella creazione, della via del ritorno, ma ciò non le impedisce di essere una pianta solare ( l’uva è un frutto cristico). Apprendimento, ecco la via di uscita. Attraverso il porsi nel mondo, nel trarre esperienza da ogni accadimento, vi è la risposta ad ogni quesito. Se manca l’istruttore, allora è lo gnostico che si istruisce. Oltre alle considerazioni che hanno accompagnato il nostro percorso fino a questo momento, non possiamo disconoscere come emerga una triplicità di elementi, che nelle loro relazioni determinano e formano l’essere gnostico: il suo sentire. Spirito, Anima(gnostica) e Creato, dove la seconda sostanza è posta al centro, dilaniata, attratta, dall’uno e dall’altro polo. Un polo superiore che avverte, che intuisce, che anela, e un polo inferiore che la invade, la inebria tramite il desiderio, i sensi, i bisogni della materia. La nostalgia gnostica perdura per tutta la vita, durante il tragitto infinito nel labirinto dei sensi, delle ombre e luci della mente… Ad un passo dalla follia, ad un passo dalla santità. In quanto la gnosi salvifica e liberatoria non è un tendere, è un essere o non essere, e fino a quando non è raggiunta perdura lo stato nostalgico, che anzi tende a dilaniare con maggiore violenza l’animo dello gnostico che più si inerpica lungo la via senza ritorno.  Chi sono i sette se non i le pulsioni, i desideri dei sensi, e i dodici non sono forse la ciclicità del tempo attraverso il ripetersi dei giorni, dei mesi e delle stagioni ? Tempo e desideri ci legano a questo mondo. Da questo straziante condizione di essere e non essere, da questa amara constatazione sulla natura umana, si determina  la convinzione nello gnostico, di essere diverso: straniero, in terra straniera.

Salmo Naaseno

Principio generatore del tutto
fu l’intelletto primigenio,
secondo dopo il primogenito fu il caos effuso,
mentre per terza, operando, l’anima abbracciò il principio:
per questo motivo, assunta la forma di cervo,
è stanca di essere dominata, nel suo agire, dalla morte.
Talora, avendo somma autorità, contempla la luce,
talora invece, sbalzata nelle miserie, piange:
ora piange e gioisce
ora invece piange ed è punita,
ora è punita e muore,
ora invece nasce,
e, infelice per i mali,
entra vagando nel labirinto senza uscita.
Disse allora Gesù: «guarda, Padre;
questa, preda dei mali, sulla terra
vaga lontano dal tuo soffio.
Tenta di fuggire l’amaro caos
e non sa come passare.
Per lei mandami, Padre:
con i sigilli scenderò,
attraverserò tutti gli eoni,
svelerò tutti i misteri
e mostrerò le forme degli dèi.
I segreti della santa via,
chiamandola gnosi, trasmetterò».
Salmo dei Naaseniultima modifica: 2018-02-26T12:59:40+01:00da mikeplato
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