Creare la propria realtà: Quale realtà? E chi la crea?

di Isabella di Soragna

E’ ormai un tema new age da parecchio tempo: – Noi creiamo la nostra realtà.-
Avendo finalmente scoperto “il Segreto” della manifestazione, di cui va a ruba il libro-feticcio, possiamo trovare il modo, con la giusta perseveranza e concentrazione del pensiero “positivo”, di creare ricchezza, successo e quant’altre cose del genere. Da ragazza, senza conoscere nulla del Segreto, visualizzavo un posto di parcheggio che regolarmente trovavo e lo ritenevo normale. Dallo stato più o meno florido di una piantina che qualcuno mi aveva regalato, intuivo lo stato della mia relazione con quella persona. Tutte le cose erano per me in costante correlazione. Ma se mi avessero detto di farne un gioco di potere, per ottenere beni materiali avrei fatto una bella risata. Mi resi conto poi che questo mi avrebbe ancor di più invischiata nell’irrealtà e nella sofferenza. Notavo anche che se desideravo veramente qualcosa, mi sentivo strappata dall’intima comunione con l’ambiente. Infatti il desiderio è sinonimo di separazione e quindi di sofferenza.

Quindi il gran Segreto del “simile attira il simile” mostra come diventare degli acrobati del pensiero-fai-da-te, dei fachiri o yoghi perfetti, rimanendo però sempre nel mondo delle favole e soprattutto senza risolvere il vero problema e vedremo come. Il simile che si attira veramente sarà soprattutto quello che noi cerchiamo di sopprimere inconsapevolmente e non è proprio quello che amiamo di noi, ma la nostra ombra nascosta. Indagando si realizza che non è il simile che attira il simile … ma vi è solo un unico programma che si riflette in qualunque cosa crediamo fuori di noi.. E non è un “io” che decide. Anzi non vi è nessuna decisione.
“Creare la propria realtà” significa dunque solo rimanere immerso nelle proprie credenze e superstizioni per far sopravvivere un concetto di sé che ci eluderà sempre e che ci isola sostanzialmente.
I famosi “maghi”, che ora tornano alla ribalta con i libri di Harry Potter, riuscivano a creare dal nulla ogni sorta di entità a seconda del bisogno. Le streghe però vennero bruciate, perché erano sgradite alla chiesa, visto che portavano via l’autorità alla religione con il loro potere occulto.
Tutte le religioni, i dogmi politici, le istituzioni, le filosofie sono dei “metaprogrammi” che a nostra insaputa dirigono il nostro sistema nervoso, come una chiave USB o un dischetto che mettiamo nel computer. Noi crediamo di creare un benessere che si rivela passeggero, aleatorio, un cerotto che non cura l’infezione e che in nessun modo ci darà la vera felicità che cerchiamo.

Chi dirige che cosa? Siamo veramente noi a dirigere o sono le nostre paure ed attaccamenti? Qual è il movente di tutto questo?
Il credere che esiste un mondo là fuori, pronto ad elargirci felicità e sicurezza, se sappiamo come controllarlo, è credere di poter esorcizzare quel senso di frattura prodotta dalla paura viscerale di morire che è tipica dell’uomo pensante e non dell’animale. L’istinto di sopravvivenza fisica del cervello rettiliano (v. “Il cervello trino”di Mac Lean) viene confuso con i circuiti della corteccia cerebrale raziocinante, ossia il terrore dell’animale colpito a morte viene mescolato con il “concetto di anticipazione” del cervello neocortex razionale, di perdere il senso di essere, a cui crediamo fermamente come “individuale” e che invece ci emargina. Questa percezione è solo il risultato di vari circuiti neurali che determinano una funzione(o meglio finzione) di un corpo-mente, sintesi chimiche che si manifestano come apparente unicità individuale.
Purtroppo questi giochi “creativi” o magici non diminuiscono affatto questa paura, anzi la nutrono e ci chiudono ancor di più in un bozzolo egoista che ci maschera la realtà senza confini sempre presente. Se abbiamo bisogno di successo o ricchezza significa che ci manca qualcosa e non siamo liberi.

Si sarebbe forse trovata la soluzione per i paesi del terzo mondo, cioè far sparire la fame dal pianeta e tante altre belle cose? Pie illusioni naturalmente. Il mondo non cambia, se il nostro strumento rimane ostinato nel raggiungere mète egoiste materiali o spirituali credute esterne.

Come già ho scritto(v. articoloCome sai che esisti?”), i tibetani, i cabbalisti e forse altre civiltà si esercitavano con la meditazione a creare i famosi “tulpa” o “golem” * (per i cabbalisti) dopo almeno sei mesi di visualizzazioni, invocazioni e rituali. Il problema era poi che queste entità, che erano anche servitori utili, apparivano non solo al meditante, ma ad estranei e diventavano, a lungo andare, impertinenti, irascibili e anche malvagi. Quindi per disfarsene era necessario meditare “a rovescio” per altrettanti mesi per liberarsene.
Vi era però un’altra maniera (più seria) di visualizzare per il praticante lama buddista: quello di concentrarsi su una divinità, assegnatagli come compito da un maestro, per un determinato e lungo periodo, finché anch’essa si materializzava in qualche modo. Tuttavia era importante, anzi indispensabile che il monaco lasciasse ogni volta partire nella vacuità, da dove veniva, il dio o la dea che rappresentava un’energia psichica su cui esercitarsi. Il punto-chiave era che il meditante non vi credeva affatto, anche se questo non influiva sull’esito della pratica e poi non considerava il suo agire come una materializzazione a cui attaccarsi. Era solo una continua dimostrazione dell’irrealtà della materia e del gioco costante di energie che provenivano dal vuoto e tornavano al vuoto. Il corpo e lo spirito di ognuno, erano anch’essi considerati uscenti dalla Vacuità Ultima e ad essa ritornavano. Ne ho fatto la prova personalmente. Era un modo di rendersi conto di fatto che la concentrazione sulle strutture inferiori del sistema nervoso potevano controllare il costruttore della realtà, una realtà di sogno però. Da concetti intellettuali, la non-esistenza e la non-dualità diventavano evidenze – l’assenza di divisione della manifestazione non era più una cosa a cui credere, ma era vissuta. Bastava scegliere i simboli appropriati e soprattutto non crederci. Per molti questo suona altamente illogico. Prova ne sia che, avendo scoperto che “creiamo la nostra realtà” ci crediamo talmente che consideriamo importante raggiungere obbiettivi mondani e attaccarci ad essi!

La coscienza inventa perfino lo spazio-tempo e ci crede, si abitua ad esso, come al nome che si dà al neonato, al quale egli è obbligato ad identificarsi dopo ripetute istruzioni. Nel sogno o negli stati alterati di coscienza(con o senza droghe) essa inventa altri tipi di spazi, ma nessuno è reale, né quello ad occhi aperti né quello ad occhi chiusi. La rete di risonanze o vibrazioni che chiamiamo sistema nervoso crea la finzione di una coscienza – un insieme di campi di energia interdipendenti – ma rimane …una “bella addormentata”. Essa aspetta il principe azzurro che la svegli dai mondi paralleli che si susseguono senza sosta. Chi assume droghe cerca disperatamente di uscire dal sogno, ma invano, poiché egli crea altri sogni a volte peggiori che lo addormentano ancora meglio.
Tornando ai tibetani, altri esercizi erano quelli ad esempio di visualizzare demoni che facevano a pezzi le persone in un cimitero. Alcuni monaci tuttavia, pur sapendo che erano creazioni mentali… morivano di paura, poiché appunto sorgeva in loro il dubbio che fossero diventati veri.
Seguendo il filo del discorso, non è forse possibile che, se riusciamo a creare divinità o servitori per mezzo della concentrazione mentale e di un’attenzione sostenuta per mesi, possiamo anche creare situazioni e personaggi con cui in seguito interagiamo credendoli autentici? È forse possibile che oltre a visualizzare quello che coscientemente desideriamo, in realtà diamo forma a quello che giace sepolto nel nostro programma ancora sconosciuto? Perfino i figli che nascono dal nostro corpo, non potrebbero essere creazioni che crediamo di conoscere, ma che poi si rivelano indipendenti, rivelando come in uno specchio magico le nostre vere tendenze?
Questo ci porta a considerare che anche quando incontriamo una persona o mettiamo al mondo un bambino, all’inizio tutto sembra corrispondere alle nostre aspettative, ma poi col tempo – come il tulpa di Alexandra David Neel(v. articoloCome sai che esisti?”)- ci sfuggono di mano e si rivelano i difetti che altro non sono che le nostre proiezioni sepolte nell’inconscio: dal momento che non possiamo vedere alcuni nostri aspetti, inconsapevolmente li “materializziamo” fuori di noi o meglio proiettiamo(in fondo è come guardare su uno schermo la pellicola illuminata dal proiettore), appunto per poterli osservare. Il problema è che li crediamo “esterni”, veri e ci attristiamo o ci arrabbiamo, in quanto non vediamo che sono solo fantasmi creati dal nostro sistema. Si vede dunque che il famoso inconscio è invece ben visibile, sia nei nostri problemi somatici o malattie che negli incontri che facciamo giornalmente, solo lo crediamo “fuori” e cerchiamo di controllarlo o combatterlo invece di integrarlo.
Allora a che serve il “pensare positivo”, l’attirare a sé miliardi di dollari, quando questo si rivela evanescente come una nuvola? È una presa in giro anche quella di dire:“-So che non vale niente, ma tant’è.. facciamoci una casetta a Beverly Hills!” Il fatto è che non sono le nostre necessità consce, da poter controllare per ottenere i benefici materiali o spirituali, ma quelle inconsce che alla lunga hanno il sopravvento. Ho un bel visualizzare o credere nel principe azzurro o nella vincita al lotto, saranno sempre le mie irrisolte paure o programmi sepolti ad avere la meglio un giorno o l’altro, anche se al momento vinco al gratta e vinci o alla borsa di Hong Kong o sposo un emiro saudita. Ma soprattutto CHI è che VUOLE ottenere questo o quello? Il solito fantasma.
-Siamo responsabili della nostra vita! – altra chicca che sentiamo nei circoli spirituali. Anche quella di nascere nei bassifondi di Calcutta o di finire in un lebbrosario? CHI ha deciso di scontrarsi con un camion o di incontrare l’anima gemella? Allora ci inventiamo le vite passate o i marziani. E nascere o morire? Un’IDEA, un CONCETTO!!! Noi crediamo di “decidere”, di pensare positivo e di ottenere quello che sembra mancarci, in realtà questo fa già parte del copione, mentre noi gongoliamo nel nostro autoinganno di padreterni!
Il bello è che in questo modo continuiamo a vivere come prima, pur illudendoci di dominare, gestire, volere, quello che in realtà ci sarebbe accaduto lo stesso!
O siamo responsabili di tutto o di nulla, mi sembra. È sempre la mente che cerca di controllare tutto e tutti e di fatto riesce a raggranellare solo qualche briciola, ma solo ingannandosi pienamente, un po’ come il gallo della favola ben nota che si rese conto un giorno che non era lui a far sorgere il sole come aveva sempre ritenuto vero. Ne ebbe una depressione e non cantò più! La nuova moda è di credersi maghi e maghelle, pensare positivo evitando malattie e insuccessi. Anche se intuiamo di vivere un sogno, vogliamo che il sogno sia sempre bello e rifiutiamo quando è un incubo.
La sola cosa che può realmente cambiare la nostra vita (solo se è già nel copione) è di entrare profondamente e senza alcun pensiero nella sensazione acuta del dolore o del lutto o dell’insuccesso, di accettarlo senza compromessi, di viverlo senza nominarlo: in questo modo il bene ed il male, cioè le nostre resistenze che ci creano conflitto e dolore poco alla volta si annullano e si cancella la malattia(che è un blocco energetico irrisolto) o il problema relazionale. Soprattutto svanisce il mito di un’inesistente dualismo. E questo avviene non perché lo decide un piccolo fantasma, ma – carta astrologica alla mano – perché è GIÀ successo, è già avvenuto, dato che lo spazio tempo è solo un prodotto della mente. Il tema astrologico non determina “l’influenza” dei pianeti, come si credeva, ma è la mappa di risonanze delle energie in gioco alla nascita e che seguono il loro corso apparente, indicandoci le qualità operanti al momento – che lo vogliamo o no. ORA. Non c’entra né la fatalità né il determinismo: noi SIAMO il nostro tema-bioprogramma che si svolge come un elastico infinitamente piccolo stirato nello spazio-tempo fittizio. A questo punto ci viene il dubbio, investigando un po’ più a fondo, se tutto questo ha un qualche valore o se appunto, come sanno bene sia mistici che fisici, vale come un gioco di magia per bambini.

Ci inventiamo mondi paralleli per mezzo di droghe, LSD o ayuasca col neo-sciamanesimo imperante. È utile, come diceva don Juan nei libri di Castaneda vedere che ci sono mondi paralleli altrettanto reali al momento dell’esperienza, come quando sogniamo, ma il ripetere ed abituarsi ad essi è di nuovo soccombere alle lusinghe del miraggio. Non realizziamo che siamo un composto chimico, un sapiente dosaggio dei cinque elementi di base, l’arcobaleno creato dalla coscienza. E che cos’è la coscienza? L’abbiamo seriamente indagato? Un insieme di funzioni del cervello, concettuale, mantenuto dall’apporto di cibo: se questo manca o c’è una disfunzione, non vi è senso di essere presenti. Nascendo, questo non era percepibile, poi ecco il senso di essere, relativo e fluttuante, che ci viene insegnato e può impossessarsi della nostra immacolata identità senza forma: questa a sua volta si incolla ad un personaggio inventato, limitato e vulnerabile – e quindi in perpetua lotta di sopravvivenza – mentre in realtà tutto accade senza la decisione dell’apparente soggetto. Michael Gazzaniga noto neurofisiologo, ma anche molti altri scienziati ci hanno mostrato sperimentalmente come la decisione è già stata prodotta dal sistema nervoso, prima del nostro renderci conto di aver scelto qualcosa. E noi (o il programma già avviato che NON SIAMO) vogliamo ottenere la felicità terrena, aumentando così l’illusione?

Questa cosiddetta coscienza inventa lo spazio ed il tempo, poi appunto nel sogno o sotto effetto di droghe o altri stati alterati, inventa altri spazi, ma o sono tutti reali o nessuno lo è. È il sistema nervoso, labile e menzognero che ci fa credere ad un immenso e reale caleidoscopio, ad un arazzo infinito, quando è invece solo una punta di pennello a creare questa fantasmagoria di sensazioni cementate dalla memoria. Ci si identifica quindi ad un corpo come ad un’entità fissa e reale ben separata dal resto delle apparenze circostanti, mentre invece ogni notte sparisce e impercettibilmente cambia forma con gli anni. Il mondo invece, cioè le cose, le persone, gli ambienti che percepiamo come “esterni”, sono solo “il risultato di modelli di energia che s’infiammano nel nostro cervello”. I 100 milioni di ricettori sensoriali creano ed interpretano, per mezzo della placca olografica(anch’essa un’insieme di funzioni) situata nel cervello medio, un processo che noi definiamo “mondo esterno” e in cui si può conservare l’informazione grazie alla memoria. In realtà viviamo un sempiterno presente e la memoria è solo un congegno che ci dà l’impressione di un passato che in realtà avviene solo …ora! Il futuro è solo una proiezione del passato, ma in realtà è già avvenuto…ora! Questo spiega come è possibile la previsione dei medium o cartomanti. Di fatto anche il presente è solo un concetto labile che si avvera già passato!
Ecco cosa dice Michael Talbot nel libro “Mysticism and new physics”(1980) che assomiglia come due gocce d’acqua ad un passaggio delle Upanishad:
-Secondo Keith Floyd(neurofisiologo) un modello olografico rende comprensibile i processi cerebrali come la memoria, la percezione e la creazione di immagini. Ogni ricordo o frammento d’informazione immagazzinato è rinviato su altri frammenti d’informazione creando “un modello di pura e perfetta ambiguità.-“ Lo schermo della coscienza può quindi essere visto come una forma organica della placca olografica; esso produce delle percezioni tridimensionali e ricrea immagini con uguale facilità… Se l’ologramma organico non avesse percezioni tridimensionali da produrre, creerebbe la sua propria realtà per percepire/concepire. Individui posti in isolamento sensoriale, hanno allucinazioni e si mettono a sintetizzare realtà completamente interiori. Quando lo spirito umano è completamente tagliato fuori dal sedicente mondo fisico, ha questa incredibile facoltà di creare il suo proprio mondo: alberi, persone, colori, odori…l’universo fisico nel suo insieme è solo il risultato di modelli d’energia neurale che s’infiamma nel nostro cervello.
Lo stesso dicasi per i sogni notturni, che ci appaiono incredibilmente reali e solo al risveglio consideriamo come fantasie.
E ancora ci racconta Talbot:
– Un numero crescente di neurofisiologi studiano le funzioni superiori del cervello paragonandolo al sistema nervoso ottico che produce una sorta di bioluminescenza. Questa luce all’interno del cervello è forse la sorgente d’illuminazione di cui parlano le Upanishad. Floyd mostra che la zona del cervello mediano situato dietro i nervi ottici è il luogo neurale che agisce come una placca olografica. La ghiandola pituitaria, il talamo, l’ipotalamo e la ghiandola pineale sono associati al fenomeno della coscienza. Molti pensano che la ghiandola pineale è il resto di un organo sensoriale. È fatta di un tessuto sensibile alla luce come la retina dell’occhio. – Questo – precisa Floyd – darebbe peso all’idea che essa servirebbe da piano al modello di ambiguità sul quale sono costruite le percezioni e dove si ricostruiscono i ricordi.-
(L’oriente considera quest’organo come porta del risveglio spirituale).Cercando di determinare le relazioni che esistono tra i vari organi del cervello, la neurofisiologia ha sollevato un problema appassionante. Se la ghiandola pineale ha un ruolo essenziale in ciò che tocca la memoria e la percezione, la sua ablazione dovrebbe produrre una profonda anomalia in queste funzioni. Invece non è il caso. L’escissione della ghiandola pineale nei topi provoca la disfunzione dell’orologio biologico dell’organismo, nulla di più.
Floyd continua: -….considerazioni ulteriori mi suggerivano che lo schermo, la placca olografica che cercavo di identificare come un organo, doveva invece essere una funzione di una zona del cervello piuttosto che un organo e cominciava ad emergere che la ghiandola pineale occupava il punto mediano in un campo di energia neurale. È a questo punto che sorge la luce che è sperimentata come il piano di coscienza sul quale il binomio di immagini/oggetti, trasformandosi, rappresentano la realtà esteriore.-
La conclusione di Floyd è che la coscienza non comporta solo un organo o gruppo di organi, ma l’interazione di vari campi all’interno del cervello.
Il neurofisiologo Karl Pribram fa anch’egli l’ipotesi di un modello olografico della coscienza. I modelli olografici sono incredibili meccanismi di associazioni, capaci di realizzare istantaneamente dei rinvii correlati e di produrre ogni sorta d’interferenze – cosa che è propria del pensiero quando risolve un problema. Come dice Pribram:- Gli ologrammi sono catalizzatori del pensiero. Benché non ne facciano parte, essi facilitano il processo del pensiero.-

Se cosi’ stanno le cose è evidente che togliendo di mezzo qualsiasi pensiero o concetto a proposito del mondo manifestato e della sensazione di esistere, che è ancora un pensiero, l’universo che appare incommensurabile, si rattrappisce nello spazio e nel tempo. In quello che ora sto scrivendo si riuniscono implodendo, le migliaia di galassie, i dinosauri, le crociate, il Risorgimento, il mio primo giorno di scuola, il dispiacere per il lutto recente, la risata di un bambino che gioca, la fitta al cuore del mio futuro infarto e i milioni di anni che passerò su Marte e Venere. Non è forse stato provato che rivivendo una dolorosa e antica memoria sepolta, si può cancellarne l’emozione traumatica? Non è fantascienza questa, la fantascienza è quella che noi crediamo di vivere! È evidente che se tutto sembra avvenire non tanto in uno spazio-tempo fisso e tenace, ma in una frazione di millesimo di secondo, è più semplice affermare che… non è mai successo nulla!!!
Eppure ci diamo la pena di voler diventare miliardari o di acquisire poteri magici: poteri su che cosa? Un mondo virtuale, di sogno, con desideri dovuti a memorie che nemmeno ci appartengono e che ci condizionano a nostra insaputa!
Allo stesso modo quando i neo-illuminati (che abbondano ora grazie a brevi seminari intensivi) decantano la mancanza di ego, la meraviglia della coscienza infinita e la felicità che ne deriva, sognano come prima, forse un sogno migliore. Beati loro. Oppure come dicevo prima, affermano che tutto è un’illusione, tranne il loro ego ben nascosto che vuol far soldi o avere una salute perfetta!

La comprensione profonda del mondo-come-sogno, l’inesistenza effettiva di un “io”, può certamente avvenire all’istante e senza preavviso. Tuttavia i concetti che si sono incollati sono tenaci, non scompaiono in un attimo ed il rischio è di forgiarsi un’altra entità astratta e beatifica che camuffa le identificazioni e le maschere protettive, più dure del cemento, o di distaccarsi solo intellettualmente dalla falsa entità. Questo non significa che si debba migliorare lo statu quo o correre da esperti terapeuti o sperare in pratiche metodiche per arrivare a Quello che siamo già e non potremo “sapere mai”. Sapere è solo divisione quindi illusione.

Quello che serve invece è a mio avviso una totale, viscerale adesione a qualunque cosa accade – spiacevole o piacevole che sia – in quanto essa può cancellare le creazioni mentali ossessive, appunto come faceva Alexandra per estinguere il tulpa che aveva accanitamente creato per mesi. Sono soprattutto i nostri rifiuti ai dolori, le nostre maschere difensive, i tanti personaggi che interpretiamo quotidianamente e che portiamo appiccicati, a dover sparire accogliendoli, entrando nel vivo di ognuno senza parole, per poter annullare quella separazione tra soggetto e oggetto in realtà mai esistita, ma di cui siamo intimamente convinti che è reale. Intellettualmente possiamo vedere che la separazione alla fine si rivela una supposizione e non una prova scientifica. Ma non basta, ci vuole una costante applicazione a non rifiutare nulla. Non significa passività, ma attenzione e pazienza. In questo modo è come vivere l’ “io sono” consigliato da Sri Nisargadatta o il “Chi sono io?” di Ramana, per rimanere costantemente nell’istante e allo stesso tempo toccar con mano l’illusorietà del concetto corpo-mente. Che è solo un pacco di impulsi nervosi e di memorie a cui diamo importanza e cibo coi nostri costanti desideri di “altro”. Le nostre visualizzazioni inconsapevoli, che ci sono costate mesi e anni di concentrazione, non si cancellano in un soffio. L’importante è smantellare e destrutturare i processi: una radio smontata completamente non potrà più emettere o ricevere programmi, mi pare. Anche se siamo costantemente immersi, anzi siamo l’Inesprimibile comunque, esso non si potrà palesare in un organismo ricoperto da una pesante edera di identificazioni più o meno nascoste.
Certamente anche qui possiamo giungere alla conclusione che, pur credendo di fare qualcosa, non abbiamo fatto né ottenuto nulla. Viviamo l’apparenza, ma non ne siamo più illusi.
Cosa c’è di più beatifico del vivere la vita scorrendo con la corrente ed il cuore in pace qualunque cosa accada? Non è questa la felicità del povero o del selvaggio che non ha niente in apparenza, ma TUTTO in realtà, proprio perché è libero da tutto? Chi cerca successo e denaro sarà sempre uno schiavo delle proprie illusioni ed attaccamenti – dovuti a memorie del passato e non alla sua vera decisione – poiché gli daranno dolore una volta scomparsi.

L’essere è simile ad una bolla di sapone, o a una nuvola che si sovrappone al sole e poi scompare, ma a cui abbiamo creduto come a qualcosa di tangibile. L’essere non è mai “esistito”, l’esistenza è un concetto. Il resto non ha importanza.
Nessuna parola è adatta a esprimere quello che è al di là del nulla, al di là dello zero, dove le parole non possono esistere.- diceva Ranjit Maharaj, saggio indiano.

Siamo puro Assoluto che non sa di essere.

Creare la propria realtà: Quale realtà? E chi la crea?ultima modifica: 2018-03-24T22:15:58+01:00da mikeplato
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