L’UOMO SI MASCHERA

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di Alessandro Conti Puorger

IL PRIMO COLPO DI SCENA
L’attore è chi agisce in un certo ambito del sociale in rapporto con altri, come chi promuove un’azione giudiziaria, legale, amministrativa o interpreta un personaggio in teatro, ma si dice anche attore, in senso lato e ironico, chi si comporta come un “attore” nella vita reale, vale a dire sta davanti agli altri come se recitasse una parte, perché manca di spontaneità, ma lo stesso soggetto, colto in altri ambienti, si manifesta e vuole apparire in tutt’altro modo.
Il teatro, infatti, è l’insieme di più discipline che assieme rendono possibile la rappresentazione di un evento avvenuto o immaginario, ma è pure termine relativo al luogo ove operano gli attori per sviluppare lo spettacolo.
La maschera, poi, com’è noto, è uno strumento di scena che l’attore in teatro indossava per coprire gli occhi, fino anche l’intero viso o è “l’indumento” con cui veste l’intera persona per rappresentare il soggetto desiderato.
Alcune volte poi l’attore nel recitare la parte pur se non ha nulla indosso è come se avesse una maschera che non fa riconoscere il vero io, infatti, o si maschera in senso fisico o pur sempre si maschera, fingendo, con parole e atti scenici, d’essere il personaggio che intende rappresentare, indossando per quanto gli riesce la psicologia di un altro presentando i suoi sentimenti, pur tuttavia comunque non è lui, ma in quei momenti vuol che gli spettatori intendano altro di ciò che è onde, in definitiva, è palese portatore di una “bugia” che tutti danno per scontata e accettano come fosse vera.
Più bravo è l’attore, più è credibile la “bugia”; ossia è veramente efficace se nello spettacolo diviene sempre più simile all’originale che vuole rappresentare.

Ciò premesso, leggendo le Sacre Scritture giudeo-cristiane, in particolare quelle della Bibbia, dette Antico Testamento dai cristiani e Tenak dagli ebrei, con specifico riferimento ai racconti, tipo “midrash”, della creazione nei capitoli 1 e 2 del libro della Genesi, dopo la descrizione dello scenario in cui si dovrà sviluppare la storia dell’umanità, si viene colpiti da un primo colpo di scena.
In quella che è la descrizione di un mondo in divenire con personaggi autentici, figure di verità, Creatore e creature, dopo che appare formata la prima coppia di un uomo e di una donna, in una scena idilliaca, il Gan Eden, in un’atmosfera d’amore, gioia e gratitudine, ecco che si verifica un “coup de théâtre”.
Appare, il primo personaggio, la prima maschera e in un luogo puro e santo appare un essere che nasconde la propria identità; un lupo vestito d’agnello.
Da quel momento è iniziata una vera e propria tragedia a tinte fosche con molti morti che ancora non sono finiti, ma di cui secondo l’ultimo libro del Nuovo Testamento dei cristiani, l’Apocalisse, siamo all’ultimo atto.
La morte è entrata nel mondo e con sé la paura è entrata nel cuore dell’uomo impedendo rapporti sinceri tra loro sì che i primi atti sociali furono l’incolparsi tra i coniugi (Genesi 3,12) e un fratello che uccide il gemello (Genesi 4,8).

Il libro della Genesi al capitolo 3, quando appunto ha inizio il terzo atto racconta: “Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: È; vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?” (Genesi 3,1)

Un animale parlante, quindi, un essere ben strano che subito cerca di far cadere in errore ed esordisce con una bugia, la prima bugia; è il mentitore!
Questi propina la non verità; è il contrario, l’opposto di Dio.
D’altronde se Dio voleva creare l’uomo come un essere libero doveva pur fargli vedere il contrario di Sé per fargli scegliere cosa volesse!

“Egli ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. Grande infatti è la sapienza del Signore, egli è onnipotente e vede tutto. I suoi occhi su coloro che lo temono, egli conosce ogni azione degli uomini. Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare.” (Siracide 15,16-20)

Il testo ebraico per “animali selvatici” scrive, “chaaiiat hasshadoeh”, ossia chi vive nella campagna, nella steppa , ma tra quelle lettere si nasconde il vero soggetto nascosto lo “shed” il demonio, uno spirito maligno che al plurale “shedim” si trova in:

  • “Hanno sacrificato a demoni che non sono Dio…” (Deuteronomio 32,17)
  • “Immolarono i loro figli e le loro figlie agli dei falsi “.

C’è da immaginare tutta una situazione che l’autore ispirato della Genesi da evidentemente per scontata, relativa a fatti pregressi avvenuti nell’assemblea celeste (Vedi: il libro di Giobbe) e poi alla cacciata degli angeli ribelli che pare cogliersi pur se in modo succinto proprio dalle lettere di “chaaiiat hasshadoeh”: “dall’assemblea di IHWH confinato entrò il demonio nel mondo ” e quale fu la bugia che disse quel mentitore?

Dio, quello vero, il Creatore, aveva detto di non mangiare solo di un albero del giardino, di quello della conoscenza del bene e del male.
È, quindi, da ritenere che lo spirito istigatore del male, precipitato sulla terra, aveva animato un corpo, come un attore si mette la maschera, di un animale.
(Vedi: “Il midrash della pesca gloriosa“)

La donna, che poi dal maschio della coppia sarà chiamata Eva, rispose che solo dell’albero del bene e del male non si poteva toccare, ma il divieto era solo di mangiarne e il serpente, evidentemente arrotolandosi sull’albero come immagina l’iconografia, dimostra l’errore di Eva e la convince a mangiarne.


Il sogno della Vergine di Michele di Matteo


La Bibbia, sin dal momento iniziale, ma anche cruciale, ci presenta il serpente, incarnazione del nemico, causa di tentazione non superata che fece perdere all’uomo lo stato di grazia con cui si rapportava direttamente con Dio.
Per comprendere perché l’umanità è tentata dal serpente, sono state formulate varie ipotesi, sta però il fatto che in molte culture arcaiche il serpente, che vive nascosto in buche della terra, è simbolo del mondo dei morti e il suo apparente ringiovanire con la muta della pelle induceva gli antichi a ricorrevi nella speranza di rinnovarsi evitando il morire totale.
D’altronde la paura della morte condiziona di fatto tutta la vita dell’umanità.
Vi furono anche visioni positive del serpente che, essendo in collegamento col mondo dei morti, rappresentava la benedizione delle anime degli antenati e la fede nella guarigione e nella rinascita come fa ricordare il colubro di Esculapio, consacrato al Dio della medicina.
Nel mito greco di Asclepio figlio di Apollo dio della medicina, quindi, delle guarigioni, istruito in tale scienza dal centauro Chirone, appare un serpente arrotolato a un bastone di legno.
Secondo il mito dalla dea Atena Asclepio ebbe il dono di avere lo stesso sangue di Medusa, la Gorgone; se gli sgorgava dalle vene del fianco sinistro era velenoso, ma se dal fianco destro guariva ogni malattia e perfino, si dice, risorgesse i morti.
Il serpente è segno di contraddizione perché in genere apportatore di veleno che produce la morte, ma è anche utile per produrre medicine che guariscono da varie malattie.


Il bastone di Asclepio, capace di guarire ogni tipo di malattia, simboleggia le arti sanitarie e presenta il serpente, simbolo di conoscenza di rinascita e di fertilità per il cambiamento della pelle, con la verga che indica un semplice strumento della medicina, come un bisturi e simili; il bastone di Asclepio spesso è confuso con il caduceo, associato Ermes, dio del commercio.
Questo bastone presenta due serpenti avvolti a spirale con le ali per indicare l’intelligenza che cerca di dominare la materia con la conoscenza.
È una rappresentazione del bene e del male tenuti in equilibrio dalla bacchetta del dio che concilia tra loro gli opposti, creando armonia tra elementi diversi, come l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria, indi ricorre spesso come simbolo dell’alchimista e del farmacista.
I due serpenti, infatti, rappresentano la dose terapeutica, curativa e l’altro la dose tossica, il veleno. (Numeri 21,4-9 presenta un serpente di rame su un’asta che vince gli altri serpenti e Gesù in Giovanni 3,14s lo riferisce a se stesso)

Paracelso, infatti, insegna: “Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.”

Tornando al racconto della caduta in Genesi 3, la donna ne diede da mangiare al marito e la coppia, subito avendo preso conoscenza e coscienza del “peccato”, ebbe paura e in 3,8-10 “udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto.”

La paura provoca l’impulso a nascondersi a camuffarsi col fogliame dello sfondo del giardino per non farsi vedere e sostiene la Bibbia che il primo atto dopo il peccato da parte della prima coppia umana fu, quindi, il mascherarsi, ma anche l’amore tra di loro ebbe un brutto colpo, infatti poi Adamo davanti a Dio ebbe a incolpare Eva, come se lui fosse un bambino indotto in errore.

Quel versetto Genesi 3,10b “ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto” in ebraico si presenta in questo modo: “ho avuto paura”: , “perché sono nudo”: “e mi sono nascosto”: .

Li, in ebraico aver paura, temere è che se si legge lettera per lettera con i significati delle icone relative a ciascuno segno (Vedi: “Parlano le lettere“), si può commentare, “una forza su corpo – testa – mente inizia “, quindi, opprime come fa la paura che colpisce.
Per nascondersi, poi, è usato il radicale che è relativo anche a “occultarsi, celarsi, coprirsi, rintanarsi” e leggendo quel radicale come detto lettera per lettera si ottiene “si chiude in casa uno ” o anche “chiudere l’ingresso ()“, insomma, è proprio un rintanarsi anche ontologico “chiudersi dentro all’Unico “, una profonda alterazione del rapporto col Creatore.
In quel “perché sono nudo” tra le righe si scorge un commento “la rettitudine spazzata () è stata da un verme ()” come se il mangiato dell’albero della conoscenza avesse un tarlo che ha tarato l’esistenza della coppia e della discendenza, portando via l’originaria rettitudine infusa da Dio.

A quel dire, Dio ribatté: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?” (Genesi 3,11)

In pratica Dio gli dice, chi ti ha raccontato che eri nudo? Chi te l’ha fatto credere? Certamente il peccato! Ecco che allora “Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì.”

L’uomo, destinato alla luce, in ebraico “‘or” , per portarla nel mondo come farà poi il Messia, il primo uomo perfetto senza peccati, invece, a causa del peccare, porterà una tunica di pelle “o’r” , come un animale.
(“…Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” e “Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” – Giovanni 8,12 e 9,5)

Le lettere di “o’r” ci dicono che, di fatto, l’embrione dell’umanità, sin dalle sue origini, s’è messo nella condizione solo di recare il peccare, che rovina il mondo e le sue creature, il cui radicale in ebraico è anche .

Nasce perciò l’idea di confrontare le lettere ebraiche di “luce” e “pelle”:

  • luce “‘or” , conduce all’idea del Dio “Unico portare nel corpo “, destino originario dell’uomo senza il peccato;
  • pelle “o’r” ci parla del “peccare () nel corpo ” e il peccare ecco “a vedere porta aperto ” e viene anche in chiaro che il corpo appare come nudo. (Genesi 3,21 “Il vestito d’Adamo“)

L’uomo ora è mascherato con una tunica di pelle che ricopre la sua nudità; l’uomo originario, pensato da Dio, invece, era vestito della gloria del Creatore!
L’uomo non poteva mangiare dell’albero della vita in quella condizione perché comunque la paura gli avrebbe impedito di stare alla presenza della “Shekinah”, ed allora, sarebbe stato per sempre infelice, diviso dal suo Dio.

Il Signore, allora, per evitare ciò, come medicina scacciò la coppia dal giardino per un tempo: “…perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto”. (Genesi 3,23b)

L’uomo avrebbe dovuto attendere il dono della veste bianca del Battesimo preludio al vestito glorioso della risurrezione: “In realtà quanti siamo in questa tenda sospiriamo come sotto un peso, perché non vogliamo essere spogliati ma rivestiti, affinché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita.” (2Corinzi 5,4)

In definitiva l’uomo si maschera, finge di amare l’altro, ma può arrivare solo a un certo limite per la paura della morte; solo lo spirito del difensore, il “Paraclito”, di chi ha amato vincendo la morte, di Lui, il Giusto, Gesù Cristo, può far cambiare (1Giovanni 2) e far vincere all’uomo la paura della morte.

IL DEMONIO – LA SCIMMIA DI DIO
Genesi 4, racconto di Caino ed Abele, nuovo atto della tragedia biblica.
Gli uomini sono ormai fuori dal paradiso terrestre col demonio che ha campo libero di prendere possesso delle persone e si nasconde in esse, insomma, si maschera in loro per assorbirne il soffio vitale che non può più ricevere direttamente, infatti, il demonio nella sua fuga da Dio, in cerca di una propria autonomia di vita, ha così trovato un escamotage, assorbire vita dagli uomini.
Essendo Dio giusto e amante delle sue creature, non intendendo buttar via l’acqua sporca con dentro il bambino, il demonio è ora un parassita che va sopportato per un tempo, ma non per l’eternità.
L’uomo si libererà dal serpente solo con la morte, ma Dio gli prepara una casa nei cieli, questa è la storia di salvezza che viene intessuta dal Creatore per amore dell’uomo e che formerà oggetto di tutto lo sviluppo biblico.
In linea col fatto d’aver mangiato nel Gan Eden dell’albero proibito, a prova della contraddizione del bene e del male che conteneva quell’albero e che ci dice perché non era opportuno mangiarne senza una spiegazione a monte, ecco che da quella prima coppia nacquero i primi frutti, due figli in cui la contraddizione si fece carne, tanto che uno, Caino, uccise l’altro, Abele.
Dopo quel primo omicidio nel colloquio che seguì col Signore, alla domanda “Dov’è Abele, tuo fratello?”, dopo il tentativo inconcludente di negare l’evidenza, Caino ebbe a dire a Dio “Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque m’incontrerà mi ucciderà.” (Genesi 4,14)

Per quel nascondersi è usato il radicale di “occultarsi, ricoprirsi, celarsi, rifugiarsi” da cui “setoer” “nascondiglio, rifugio riparo” e, come al solito, quelle lettere sono eloquenti, perché suggeriscono un “circondare tutto il corpo ” o “in un foro – buco confinare il corpo “.
Il peccato comporta, un imprinting per tutti i discendenti della prima coppia, come Adamo ed Eva hanno l’istinto di nascondersi e di mascherarsi.

Quel “…perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto” (Genesi 3,23b), detto da Dio in effetti, è: , ossia, traslitterando “la’bod oet ha-adamah ‘asoer luqqach misshat” e provando a decriptare queste lettere con riferimento all’epopea del Messia, nota attraverso i Vangeli, risulta profetizzata l’incarnazione e il sì di Maria, infatti: “Il Potente per servire verrà nel mondo in un uomo , entrerà in una donna (), nel corpo l’accoglierà per salvare () i viventi ” e tutta di seguito: “Il Potente per servire verrà nel mondo in un uomo, entrerà in una donna, nel corpo l’accoglierà per salvare i viventi.”

Una donna fu la prima a essere indotta a sbagliare e una donna sarà la prima ad accogliere il rimedio; la profezia, infatti, era stata esplicita, “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno.” (Genesi 3,15)

Occorrerà però che la storia della salvezza si sviluppi fino a che ci saranno i sì di Maria e Giuseppe, in un vero matrimonio di piena fedeltà di una coppia, uomo e donna, col Creatore, matrimonio perfetto come quello della Santa Famiglia di Nazaret da cui grazie allo Spirito Santo verrà il frutto atteso, il Redentore. (“Il primo matrimonio con il Signore“)

Torniamo a Caino, che in ebraico si scrive , di cui il testo propone un primo derivare dal radicale di acquistare , ma lo stesso racconto poi propone la vera origine, il radicale di “invidiare, provare invidia ed essere geloso”.
Il fratello gemello di Caino (infatti, Eva concepì una volta e partorì due volte) fu chiamato Abele “Haboel” , “vanità”, colui che svanisce, infatti, “uscirà annullato “, in quanto “bel” è anche un modo per esprimere la negazione, il no.

Le lettere aiutano a entrare nel racconto sulle cause del loro comportamento.
Caino si era lasciato andare alla tentazione dell’invidia nei riguardi del fratello, aveva in pratica detto sì al demonio, insomma era in suo possesso.
In lui, in Caino “a rovesciarsi era stato l’angelo (ribelle)”.

Nel racconto, infatti, appare subito un giudizio di Caino sul comportamento di Dio, indice di ribellione profonda, in quanto, dentro di sé accusa Dio di favoritismo ingiusto, perché Dio avrebbe gradito più le offerte del fratello Abele.
Abele invece, come suggeriscono le lettere del suo nome era propenso a essere “aperto dentro al Potente “.
Il fatto, in verità, era che in lui, in Caino, agiva il peccato di continua invidia.

Il Signore in Genesi 4,6s, infatti, l’avverte e nel Suo dire, per la prima volta nella Bibbia (visto che la Genesi è posto come primo libro), appare la parola “peccato”, “Il Signore disse allora a Caino: Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta…”

Nel folklore ebraico c’è che alcuni degli uomini dell’episodio della torre di Babele di Genesi 11 secondo un “midrash” in Bereshit Rabba si dice che furono trasformati in animali e demoni e vi si parla di scimmie.
Il demonio – la scimmia di Dio – cerca di scimmiottare Dio e la scimmia nell’immaginario ebraico rappresenta in modo traslato il male che cerca di prendere il posto di Dio, mascherandosi da portatore di luce.

Martin Lutero in W.A. 56, 249 scrisse: “Una scimmia può imitare bene le azioni degli uomini, ma non per questo è un uomo. Se diventasse uomo, senza dubbio non diverrebbe tale in virtù degli atti con cui ha imitato l’uomo, ma in forza d’altro, cioè per l’azione potente di Dio.”

Dall’articolo “Cosa nasconde il racconto della Torre di Babele?” riprendo alcuni dei seguenti pensieri.

La lettera ebraica , la 19a di quell’alfabeto col valore numerale di 100, che si chiama la “qof” , il cui significato è proprio scimmia (“scimmia” si trova in 1Re 10,22 e 2Cronache 9,21), è l’unica lettera che s’estende sotto la linea inferiore di tutte le altre 22 lettere (la lettera invece è l’unica che lo fa per quella superiore) che la tradizione immagina scritte sul trono di Dio e preesistenti la creazione.

Tra quelle lettere dell’alfabeto ebraico (Vedi: “Alfabeto ebraico, trono di zaffiro del Messia“) la “qof” è perciò quella che ha la capacità di scendere nel mondo degli inferi, perciò la scimmia “qof” rappresenta le forze del male che scimmiottano malamente l’operare del bene.

Presento una prova del valore della lettura con le lettere e come queste siano atte a provocare racconti e “midrash”.
Ora, scimmia = “qof” e Caino = .

Caino inizia con la lettera “qof” e non poteva non venire in mente all’autore del Genesi, quando parla di lui nel capitolo 4, anche la parola scimmia.
Caino è il primo che commette un omicidio uccidendo il fratello e quindi è un evidente frutto del male e il suo nome non è scelto a caso, ma è attentamente studiato dall’autore per farlo iniziare con quella lettera.
Leggendo le lettere della parola scimmia si ottiene un interessante risultato: “Rovesciato porta il viso – faccia – volto ” che descrive il camminare della scimmia a quattro mani col viso girato più verso terra che al cielo.

Lo stesso autore del Genesi ecco che allora in occasione dell’episodio di Caino, come abbiamo visto, ha scritto: “perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto” (Genesi 4,6-7), ossia, perché ti comporti come una scimmia?

Provo ora con le lettere ebraiche a evidenziare come si può trarre l’idea che vi sia un potere demoniaco che prende possesso delle persone che cerca di imitare malamente il soffio di Dio che dona la vita.
Nel racconto della Genesi, ove si raffigura la creazione del primo uomo, che Dio impastò nel fango e in cui soffiò l’alito vitale, quando è detto Dio “soffiò nelle sue narici un alito di vita” (Genesi 2,6b) nello scritto in ebraico notiamo che balzano in evidenza i due volti di Dio (1) e dell’uomo (2), faccia a faccia e, all’uomo ancora inerte appunto Dio soffiò il soffio di vita :


Decripto questi segni con i criteri del mio metodo in “Parlano le lettere“:

Portò IHWH la bocca , per chiudere Dentro dell’origine il soffiò . La colomba () (dell’esistenza recò l’energia ) che accese nell’uomo la vita ; fu un vivente .”
Faccio anche notare che quel soffio di vita in effetti, si presenta come un plurale duale di vita , quindi, quel soffio prevede due vite.

Passo ora al capitolo 4 della Genesi della creazione dei figli dall’uomo che è il parallelo rovesciato del capitolo 2 della creazione di Adamo, figlio di Dio.
Nel capitolo 4 si sviluppa l’opera iniziata dal demonio nel Capitolo 3 nell’episodio della tentazione portata a buon fine; qui il demonio – la scimmia di Dio – scimmiotta Dio e il soffio (in 4,6b) avviene dal serpente (2) su Caino (1):

E perché è abbattuto il tuo volto? Perché? Che è avvenuto?


Per decriptazione s’ottiene: “l’emanazione dalla bocca (2) il serpente portò alla bocca (1) l’inviò per l’esistenza appiattire – spengere ().”

Il maligno prova a condizionare le vicende dell’uomo inquinandone lo spirito per renderlo “figlio del serpente”; risultato visivo di tali operazioni sono gli indemoniati in cui il demonio si maschera.
(Vedi: il paragrafo “Gli indemoniati” di “Numeri nei vangeli e nell’apocalisse annunci del Messia“)

In conclusione, “Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.” (Genesi 4,8)

Abbiamo imparato la lezione, infatti, quando si disse della prima apparizione del famoso serpente tentatore del giardino dell’Eden, abbiamo posto attenzione su “animali selvatici”, “chaaiiat hasshadoeh” , ossia di chi vive nella campagna , il che portò a considerare la presenza demoniaca, lo .

Caino “parlò con Abele”, ma lo fece in modo avversativo, come trapela dal testo che scrive “‘oel-Hoeboel”, “contro Abele”, onde “parlò” è li un eufemismo.

Accadde, in effetti, che Caino come un demone “a rovesciarsi fu con energia ” su Abele, lo “rovesciò opprimendolo ()” e l’uccise, onde questi ebbe almeno il grande vantaggio di essere il primo uomo che morì, quindi, Abele “Haboel” fu portato via, uscì del mondo, “uscì da dove ormai abitava il serpente ” e fu pronto per “entrare nella casa del Potente “di lassù.
(Vedi: “Visione su Abele, il pastore gradito al Signore“)

IL TEATRO NELL’ANTICO TESTAMENTO
Se nei libri dell’Antico Testamento si cercano le parole “teatro, attore, tragedia, commedia o dramma” non si trovano citazioni salvo che negli Atti degli Apostoli in 19,29 e 31 ove c’è la parola “teatro”, invero quello della città di Efeso, grande città dell’Anatolia-Lidia, alla foce del fiume Caistro, sulla costa ionica dell’attuale Turchia, dove si recò San Paolo.
Il teatro greco pare abbia avuto origine nel IV secolo a.C. in occasione di feste religiose in onore del dio Dioniso, il dio greco, il Bacco dei romani, che si esprime con la festa, il baccanale, il caos, l’istinto primordiale, la sensualità, e di Apollo, il dio dell’armonia e dell’equilibrio, dell’estetica.
I due dei sembrerebbero in opposizione, ma sono complementari, intendendo il mito avvicinare alla spontaneità di Dioniso la guida con una legge d’armonia di Apollo, evitando o mitigando il lato caotico e imprevedibile.
Il mito, infatti, narra che Apollo, figlio di Latona, uccise con una freccia Pitone, l’enorme serpente mostruoso (ricorda il Leviatan della Bibbia) figlio di Gea, la madre Terra che per ordine di Era moglie di Zeus gelosa di Latona che amoreggiava con Zeus, s’era opposto a sua madre e la femmina di Pitone, la Pitonessa diventò sacerdotessa di Apollo, prototipo della chiaroveggente che parla per lui.
Apollo e Dioniso sono il tentativo greco di far coesistere bene e male, avendo il mito concluso e insegnato che ciò porterebbe l’uomo a crescere in conoscenza.
Associate ad Apollo sono le 9 Muse figlie di Zeus e della Memoria che rappresentano l’ideale dell’Arte, intesa come verità ed espressione dell’eterna magnificenza del divino ciascuna delle quali sovrintende un ramo del tutto rappresentata con un segno distintivo: Clio, la Storia, seduta con una pergamena in mano, Euterpe, la Poesia lirica, con un flauto, Talia, la Commedia, con una maschera, una ghirlanda d’edera e un bastone, Melpomene, la Tragedia, con una maschera, una spada e il bastone di Ercole, Tersicore, la danza, con plettro e lira, Erato, la Poesia amorosa, con la lira, Polimnia, colei che ha molti inni, il mimo in genere, Urania, l’Astronomia, con un bastone puntato al cielo e infine Calliope, la Poesia epica, con una tavoletta ricoperta di cera e uno stilo.
Le città greche celebravano i miti anche con la rappresentazione teatrale che pretendeva promuovere un’attività morale, religiosa e il dibattito ideologico nonché la riflessione collettiva e ne conseguiva che il popolo imparava i precetti religiosi, rifletteva sul mistero dell’esistenza e sul senso sociale del loro modo di ritenere il giusto vivere.
La cultura ebraica ortodossa, invece, già da molti secoli prima basava la propria realtà esistenziale sulla Torah che non invita di certo all’attività teatrale, anzi se ne deduce da questa che quella è in netta opposizione.

Dalle 10 parole, il decalogo in Esodo 20 (Deuteronomio 5,8-20) è comandato:

  • Esodo 20,4 – “Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra.”
  • Esodo 20,16 – “Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.”

Questi comandamenti proibiscono di rappresentare “miti e dei”, proteggono il prossimo dalla falsa testimonianza e impegnano ciascuno alla verità in tutte le manifestazioni, onde presentare agli altri una facciata che non sia verace fa cadere nella sfera del peccato.
Il teatro, anche quando non intende rappresentare un mito religioso, quindi, non contrario al primo dei due comandamenti citati, intende rappresentare realtà con personaggi che comunque fingono di essere altro, indi lo spettacolo rischia di entrare tra quanto proibito dal “Non pronuncerai falsa testimonianza”.

Per la Torah, poi, ricordo non in modo esaustivo, sono proibiti i mestieri:

  • nel campo occulto, esoterico, divinatorio e simili (Deuteronomio 18,10-13),
  • la prostituzione femminile e maschile (Deuteronomio 23,17s),
  • l’usura (Esodo 22,25s; Levitico 25,36s; Deuteronomio 23,19),
  • la costruzione di idoli (Esodo 20,4; Levitico 26,1; Deuteronomio 4,16s.23s; 27,15).

Vari mestieri del genere erano puniti con la morte come:

  • la strega (Esodo 22,18),
  • l’indovino (Levitico 20,27),
  • il falso profeta (Deuteronomio 13,5)
  • il ladro di uomini (Deuteronomio 24,7).

Gli Ebrei, grazie alla rivelazione del Sinai avevano la certezza di avere il possesso della verità che raggiungevano con lo studio della Torah, onde, a differenza dei greci, non avevano bisogno di fingere con il teatro la profezia, anzi nel migliore dei casi lo ritenevano una perdita di tempo.

Del pari la stessa letteratura e la musica, come il teatro, erano al limite, essendo rappresentazioni, immagini traslate che sfidano, indirettamente, il comandamento biblico: “Non ti farai idolo né immagine alcuna”.

L’attività dello “tzadiq” o giusto ebreo ruota, infatti, attorno allo studio ed alla pratica della Torah e ciò che ne è fuori è tollerato nella misura in cui si pone al servizio della esigenza spirituale e ammesso solo se riguarda la ricerca scientifica che produca amore e timore di Dio e santificazione del Suo nome.
Il teatro, in effetti, si presentò agli Ebrei come estraneo, corrotto e di pagano, proveniendo dai Greci e poi dai Latini, culture tutte avverse; si pensi solo ad Antioco Epifane, ai Maccabei e poi ai Romani, nemici e invasori d’Israele.

La severità della morale ebraica rifuggì per secoli dal teatro.
I saggi d’Israele nel commentare l’inizio del primo Salmo del Salterio, “Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi (o empi), non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti (o stolti), ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte” (Salmo 1,1-2) conclusero divieto e raccomandazione d’evitare il teatro “Beato colui che non si è recato ai teatri e ai circhi degli stranieri.” (Avodah Zarah 18)

Teatro e circo erano per i tempi del Talmud il polo opposto alle sinagoghe e alle “Yeshivah” o scuole rabbiniche dove si studiava la Torah.
Si pensi che ancora XV secoli dopo nel teatro rinascimentale il mantovano Leone dé Sommi, per conto del duca di Mantova dal 1579 al 1587 produsse il teatro della “Compagnia degli ebrei” con un dramma dal titolo “Magen Nashìm” che scandalizzò i rabbini avendo usato la lingua sacra per il divertire i “gentili”.

Quel teatro ebraico ha il suo primo inizio con ispirazione alla tradizione della festa di “Purim” che ricorda un fatto accaduto XXV secoli orsono in Persia durante il regno di Assuero e narrato nella Bibbia dal rotolo di Ester.
Hamàn, perfido consigliere del re, che poi fu punito, cercava di sterminare tutti gli ebrei del regno, ma grazie alla regina Ester, giovane ebrea in incognito, divenuta moglie del re e dello zio Mordechai, capo della comunità ebraica, gli ebrei furono salvi.

La festa di “Purim” o delle Sorti cade il giorno 14 del mese ebraico di “Adar” preceduto da un giorno di digiuno a ricordo di quello fatto da Ester e Mordechai prima del giorno fatidico ed è caratterizzata da uno spirito gioioso. I bambini usano mascherarsi a ricordo del ribaltamento delle sorti ed è uso travestirsi, anche durante la funzione al tempio.
Non a caso il nome Ester in ebraico è vale a dire “la nascosta”, scritto come quel “nascondere” di Caino in Genesi 4,14, onde il mascherarsi; infatti, in quel giorno è ammesso come pure, addirittura, ubriacarsi.
(“Ester, un libro che… nasconde l’epopea del Messia“)

La festa di “Purim” ha dei paralleli con quella di “Kippur” (“La festa di Yom Kippur” di “Le feste ebraiche della venuta del Messia“) oltre che nel nome per:

  • “Purim” ha alla vigilia il suo digiuno come “Kippur” ha il suo giorno di digiuno;
  • pure a “Kippur” c’è l’idea del mascherarsi, infatti, quel giorno si mette lo scialle rituale (il tallèd) anche la sera e alcuni si vestono di bianco, segno di purezza;
  • “Kippur” come “Purim” ha l’idea dalla “sorte”, infatti, secondo la Torah era estratto a sorte il capro espiatorio;
  • “Kippur”, come “Purim”, viene dopo uno scampato pericolo, infatti, ricorda il perdono di Dio al popolo dopo il peccato d’idolatria con il vitello d’oro;
  • “Kippur” è il giorno in cui si annulla la dimensione materiale, in cui non si mangia e non si beve, e “Purim” è il giorno in cui invece si annullano le dimensioni spirituali e intellettuali in cui si mangia e si beve fino a non distinguere fra chi sta dalla parte del bene e chi del male.


L’IPOCRISIA
L’ipocrisia, da cui ipocrita, deriva dal greco “ypo”, cioè “sotto”, e “krités” dal verbo “kríno” di “passare al setaccio”, onde il “krités” è chi passa al setaccio un discorso, ne coglie gli aspetti di verità e lo valuta per prendere una decisione, quindi, è un decisore, un critico, che stima un qualcosa, ma quel “ypo” rende riduttivo l’operato, di quel decisore che sottovaluta, sottostima, non valuta a pieno o addirittura svaluta quanto invece col suo atteggiamento pare voler sostenere.
In definitiva l’ipocrisia è una bugia e l’ipocrita è un bugiardo, uno che si maschera, un simulatore, portatore di un comportamento che intende far credere, o che vuole suggerire agli altri di possedere credenze, opinioni, virtù, ideali, sentimenti, emozioni o addirittura fede religiosa che invece non possiede.
In ultima analisi un ipocrita non si comporta spontaneamente, ma è un attore.

Dai greci, infatti, “ypocrites” era chiamato l’attore che con la voce, il gesto e se necessario con una maschera rappresentava un personaggio a lui estraneo.
Persona viene, in effetti, da un termine teatrale, dal greco “prosopou”, che in effetti è maschera dell’attore, termine entrato in Italia tramite l’etrusco “phersu” e/o dal latino “personare”, parlare attraverso, appunto, attraverso le maschere che nel teatro antico erano in genere evidenti e scostate un poco dal viso onde alteravano e ampliavano le voci.
La maschera, infatti, serviva a dare le sembianze del personaggio, ma anche a permettere alla voce dell’attore di andare lontano e venire udita dagli spettatori.

Oggi con il detto “parlare con prosopopea” s’intende un discorso enfatico rispetto al tema trattato o atti, parole e atteggiamenti superbi.
La maschera, poi, secondo lo psichiatra e psicanalista C.G. Jung indica quella parte di personalità con cui l’individuo, senza rivelare le proprie strutture profonde, si presenta nell’ambiente usuale quotidiano.
Alla base dell’ipocrisia c’è la finzione, figlia di una paura, quella di farsi vedere come si è veramente onde per il desiderio di essere accettati si è disposti a presentarsi con aspetti che l’altro pensiamo possa desiderare nascondendone altri che riteniamo per lui disdicevoli, ma insiti nella nostra vera personalità.
Pur senza entrare nella situazione di gravi conflitti in cui esistono fronti che rivestono ruoli contrapposti, di fatto, anche negli usuali, semplici rapporti, pacifici e sociali, si può rilevare il verificarsi che ciascuno ha comportamenti diversi, secondo chi è presente, insomma, siamo un poco tutti alquanto camaleontici, ossia ci adattiamo alle circostanze.
Se sono solo due i presenti, i due hanno un loro modo di colloquiare e di interagire, ma se entra in scena un terzo, deviano un poco per adattarsi al nuovo venuto e questi è disposto a stare al gioco e cerca di adeguarsi agli altri.
Le mutazioni così proseguono anche al sopraggiungere di altri ancora per trovare un sistema di minor conflittualità possibile e il tutto prosegue più o meno pacificamente finché la sfera di minima libertà individuale resta garantita.

In definitiva, è insito nell’uomo di cercare di presentare al meglio il proprio io nella misura che uno ritiene di conoscersi, compatibilmente al grado di accettabilità da parte dell’altro, se lo si vuol mantenere nella propria cerchia.
Chi più e chi meno, tutti siamo comunque dei simulatori, anche se d’intensità diversa, accade così che ogni essere umano ha più facce, una per le persone più vicine, altre che usa in situazioni sociali e alla presenza di conoscenti generici e altre ancora per gli sconosciuti, ma la vera faccia rimane nascosta ai più e forse anche a se stesso!
Certi modi di essere, che sappiamo essere negativi, pur se solo per educazione vengono evitati, spesso però in privato sono invece adottati.
Tanto più, chi esce dal seminato, nasconde ipocritamente il proprio agire.
Ecco che il rapportarsi con gli altri è condizionato da quanto si è disposti a sacrificare del proprio egoismo a vantaggio di una certa coesistenza.
Ciò porta all’opportunismo ed è evidente che, minore è l’interesse per l’altro, minore è il sacrificio che è fatto nel limitarsi a non essere il vero se stesso.
Uscire dai binari con comportamenti limiti e peccaminosi avviene spesso più facilmente con o in presenza di sconosciuti che con gli intimi.
Tutto questo deviato stile di comportamento nasconde una triste realtà, soprattutto per l’uomo religioso specie se cristiano, l’essere peccatore la cui base è l’egoismo che sopravaluta il proprio personale benessere rispetto all’amore senza limiti per Dio e per il prossimo.

I comandamenti di Dio passano in un secondo piano, sono perciò sottovalutati, “ypo” – “krités” e ne consegue che per la definizione data all’inizio di questo paragrafo, sotto tale aspetto si diviene ipocriti e anche apostati, in quanto, di fatto è rinnegata per un momento la propria religione.
L’apostasia, infatti, dal greco “apò” lontano e “stàsis” o “ìstemi” stare, indi un collocarsi fuori, è l’abbandono formale e volontario dalla fede, anche momentaneo e si può considerare una degenerazione dalla virtù.

L’IPOCRISIA NELLA BIBBIA
Nella Bibbia cristiana “ipocrita” si trova solo nel Nuovo Testamento, come pure “ipocrisia”, termine però che due volte è citato anche nel deuterocanonico Siracide, ma nella Tanakh, la Bibbia ebraica in ebraico, invero, si trova invece il termine “chaneph” che deriva dal radicale relativo al profanare.
“Chaneph” , sta per apostata, e nei testi ebraici è spesso tradotto come “ipocrita” e potrebbe essere tradotto pure come “ipocrita” nelle Bibbie cristiane.
Questo termine si trova in Giobbe 8,13; 13,16; 15,34; 17,8; 20,5; 27,8; 34,30; 36,23; Salmo 35,16; Proverbi 11,9; Isaia 9,16.17; 10,6 e 33,14 ove in italiano dalla C.E.I, vedo che è preferita la traduzione con empio, malvagio, perverso, prevaricatore o infame.

Forse un’idea sul significato di “chaneph” come ipocrita, può dedursi dal dividere le lettere In + , ove “chen” è “grazia, stima, bellezza” ed allora ne viene il pensiero “grazia, stima, bellezza con la parola “, sottinteso essere in “grazia, stima, bellezza”, appunto, solo però a parole o “nascondersi emettendo parole “.

Spesso c’è una pratica impossibilità a tradurre il testo ebraico e ciò che si ottiene è un’interpretazione, mai una traduzione, perché ogni consonante sta a rappresentare una realtà, è un simbolo, e il significato della parola non nasce solo dall’insieme delle consonanti che la compongono, ma anche dai singoli valori di ogni consonante e dallo stesso discorso in cui è inserito il termine.
In definitiva in ebraico la “parola” è un evento, non è un suono.

Al momento dell’atto creativo “‘Elohim” combina e permuta le singole consonanti che diventano i “mattoni” della Creazione e traducono il volere divino in realtà onde le lettere per la tradizione ebraica sono degli “‘avanim”, vale a dire pietre, il materiale base con cui Dio crea il mondo.

Sul tema del mascherarsi, del camuffarsi e comunque del nascondersi, nella Tenak vi sono però alcune circostanze che vado a evidenziare.
Saul, caduto in disgrazia, per le proprie trasgressioni sentendo venir meno l’aiuto divino, morto ormai il profeta Samuele che l’aveva unto re, andò a chiedere consiglio a una negromante, una strega insomma, che la tradizione rabbinica identifica in una certa Zefania, madre di Abner, primo cugino e comandante in capo dell’esercito.
(“Dallo She’ol, inferi o Ade, al Regno dei risorti“)

C’è in 1Samuele 28 un versetto in cui si legge “Saul si camuffò, si travestì e partì con due uomini. Arrivò da quella donna di notte. Disse: Pratica la divinazione per me con uno spirito. Evocami colui che io ti dirò.” (1Samuele 28,8)

Quel camuffarsi li è “vaiitechappesh” dal radicale , “nascondere il volto alla luce ” e qui risuona in tutto il suo vigore quanto dice Gesù: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.” (Giovanni 3,19-21)

Nell’articolo che prima ho segnalato ho tra l’altro decriptato anche tale versetto 1Samuele 28,8 la cui prima parola è appunto in ebraico ottenendo: “A recare è la fine di nascosto all’orgoglio che brucia nei corpi e che sta nei cuori ad accendere la perfidia. Fu nei viventi all’origine a chiudersi nei corpi ove fu dalla matrice a portarsi. Fu il serpente dalla rettitudine fuori a recare alle origini e bruciò l’energia che c’è negli uomini ove fu in seno per vivere a portarsi, e fu ad abitarli. L’Unico gli portò la maledizione da donna di notte nel mondo. A recargliela fu l’Unigenito che a vivere in un corpo si versò. In pienezza si portò in un vivente all’oppressione del maledetto; dentro un primogenito si recò. Dentro fu a portarsi nel mondo l’Altissimo. Dal serpente fu a venire l’Unigenito per bruciarlo nei corpi. Per l’origine dell’essere ribelle da maledizione sarà la rettitudine.”

Come ho già fatto notare in “La libertà è un cammino“, esaminando i testi del libro dell’Esodo si trova che viene tradotto con “libertà” il termine specifico di “chafeshi” che in esso vi si trova:

  • Esodo 21,5 – “Ma se lo schiavo dice: Io sono affezionato al mio padrone, a mia moglie, ai miei figli; non voglio andarmene in libertà …”
  • Esodo 21,26-27 – “Quando un uomo colpisce l’occhio del suo schiavo o della sua schiava e lo acceca, gli darà la libertà in compenso dell’occhio. Se fa cadere il dente del suo schiavo o della sua schiava, gli darà la libertà in compenso del dente.”

In pratica il padrone farà uscire lo schiavo dalla condizione di .

Lo stesso termine ebraico di “chafeshi” si trova nel testo ebraico anche per tre volte in Deuteronomio 15,12.13.18, sempre relativo agli schiavi ed è tradotto dalla C.E.I. con “lo rimanderai libero”, in definitiva “affrancato”, quindi, anche “franco” da pesi civili e da tasse, secondo il radicale che si trova così usato anche in Levitico 19,20, per dire libero dal peso della “chafeshi”.

Considerato che “chap” è “innocente, puro” e “shi” è “dono” a quell’individuo è ridata la dignità, nel senso che sarà puro per dono .

Oltre che di mascherarsi e travestirsi visto come “nascondere il volto alla luce ” il radicale ha anche il significato di “investigare, cercare, esaminare, essere ricercato”, infatti, le lettere con i loro significati intrinseci lo consentono in quanto fanno vedere uno che “di un nascosto la faccia Illumina “, per riconoscerlo, quasi per farlo uscire dall’oscurità.

“Chuppa” , infatti, è copertura e “sh” graficamente è luce, ossia “coperto per la luce”, in definitiva, in ombra.
Ecco così che il verbo ha anche l’accezione di “nascondersi” usato anche per chi ha un morbo o un’infermità particolare onde deve vivere in luoghi, in case separate “chafeshit” , come i lebbrosi.
Si pensi che “noefoesh” è “respiro, anima” e questa anima se è non ha più l’energia , ma è chiusa , imprigionata, ma anche “nasconde l’orgoglio “.

In definitiva uscire dalla “chafeshit” non è l’accezione larga e totale della libertà, ma una liberazione da un vincolo particolare Anche il re d’Israele come ho messo in evidenza in “Giosafat re, profezia di resurrezione” si traveste per paura di essere ucciso “Il re d’Israele disse a Giosafat: Io per combattere mi travestirò. Tu resta con i tuoi abiti. Il re d’Israele si travestì ed entrò in battaglia.” (1Re 22,30) Viene in questo versetto per due volte quel verbo .

Nell’articolo che ho citato ho decriptato quel versetto ottenendo:

1Re 22,30 – Portato fu da primogenito a vivere nel corpo dalla madre il Potente.
Così in Israele Dio fu ad entrare. Si portò alla luce il Verbo per amore. Nel mondo scelse di nascondersi il Verbo, in un simile abitare. Per il Padre da vivente combatterà. Lui finirà nel mondo del serpente la vergogna. Dentro la fortuna ci risarà, la rettitudine riporterà, sarà a finire nella tomba l’orgoglio nei viventi. La potenza della rettitudine sarà a risorgere i corpi. La divinità riporterà, sarà dentro a ristare. Ricomincerà dentro i viventi il vigore della vita a rientrare.

Il verbo è pure usato per essersi reso irriconoscibile nel versetto “Il profeta andò ad attendere il re sulla strada, dopo essersi reso irriconoscibile con una benda agli occhi” in 1Re 20,38.

In un altro episodio di cui ho parlato in “Tamar si traveste per essere antenata di Giuseppe” si trova che questa donna si traveste da prostituta e “Giuda la vide e la credette una prostituta, perché essa si era coperta la faccia.” (Genesi 38,15)

Per quel coprirsi è usato ove la lettera “kof” è una mano aperta che avvolge completamente – tutto l’esterno .
Appare, poi, abbastanza diffusa nella Tenak l’idea di falsità e di menzogna.
Nella traduzione in italiano della C.E.I. del 1975 si trovano:

  • falso, falsa, falsi, falsità e i modi verbali di falsificare complessivamente per 119 volte di cui 84 nell’Antico Testamento e 10 volte nella Torah, ma falsità da sola si trova 5 sole volte, in Giobbe 27,4; 31,5; Proverbi 30,8; Isaia 28,15 e in Malachia 2,6;
  • menzogna/e, menzognera/o/i 117 volte, di cui 105 nell’Antico Testamento, ma due sole volte nella Torah in Esodo 23,7 e Levitico 19,11.

In Isaia 28,15 si trovano ad esempio entrambi i termini, falsità e menzogna, accumunati con la morte e gli inferi: “Voi dite: Abbiamo concluso un’alleanza con la morte, e con gli inferi abbiamo fatto lega; il flagello del distruttore, quando passerà, non ci raggiungerà; perché ci siamo fatti della menzogna un rifugio e nella falsità ci siamo nascosti”.

Menzogna è “kazab” e menzognero “kazeb” dal radicale di mentire, ingannare, raggirare e le lettere suggeriscono “un retto colpire in casa ” o “come una mestruata “, considerato che “zab” è donna mestruata da “zob” mestruazione e ci dicono quanto grave e considerato il mentire, atto che attenta spesso a svalutare i retti e che di fatto rende impuri come se si portasse tracce di morte, perché dice il Siracide “Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua.” (Siracide 28,18)

Gesù in Giovanni 8 definisce il demonio padre della menzogna omicida dall’origine: “voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.” (Giovanni 8,44)

Falsità è “shoeqoer” dal radicale di dire il falso, ove tenuto conto che il radicale è dare da bere, la falsità è “dare da bere () alla mente – testa “, quindi ubriacare la mente.

L’inizio del libro dei Salmi col primo versetto del Salmo 1 apre tutto uno spaccato sul mondo degli uomini negativi da cui è bene tenersi lontani dalla loro compagnia: “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti”. (Salmo 1,1)

Si cade nel male per il cattivo esempio, indi è da evitare d’intraprendere già il primo dei tre gradi progressivi in cui poi inevitabilmente si resta irretiti:

  • non seguire, cioè non camminare con gli empi, i “reshaiim” .
  • non indugiare, cioè non andare per la strada dove camminano i peccatori “chatt’aiim” .
  • non sedere in compagnia degli stolti “letsiim” .

Il singolare di “letsiim” è “lets, termine che definisce i beffardi, gli insolenti, i cinici, gli sfacciati, gli svergognati, chi “prepotentemente si alza “.
Insolenza, infatti, si dice “latson” .

Un modo di dire stolto è “kesil” , ad esempio in Salmo 49,11 “Vedrà morire i sapienti; lo stolto e l’insensato periranno insieme e lasceranno ad altri le loro ricchezze” ove le lettere suggeriscono “come – vaso pieno è del serpente “, sente solo se stesso, perché si sente potente come un faraone; lo stesso termine “kesil” si trova in Giobbe 9,9; 38,31, in Amos 5,8 e Isaia 13,9-10, ma ivi designa un gruppo stellare, la costellazione di Orione, ove i faraoni pensavano di andare dopo morti con la loro nave percorrendo la via lattea, quindi, ove “il trono () c’è del serpente “.

La lettera “lamed” è, infatti, una testa con sopra il segno di una energia, come il faraone aveva il serpente ureo a diadema sul capo, onde la costellazione di Orione, del faraone, sarà annullata nel giorno del giudizio del Signore, appunto come avverrà per ogni stolto: “Ecco, il giorno del Signore arriva implacabile, con sdegno, ira e furore, per fare della terra un deserto, per sterminare i peccatori. Poiché le stelle del cielo e la costellazione di Orione non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce.”

In definitiva tutto ciò che si nasconde, si maschera, che è falso, che è stolto, porta al peccato e in qualche modo si collega sempre al serpente delle origini che è negativo tanto che anche un modo per dire “no” è “l’o”, o , il serpente delle origini o il serpente che si portò alle origini.

Nel libro di Giosuè si trova un episodio in cui il popolo di una città che stava per essere votata allo sterminio nell’occupazione della Terra Promessa, con astuzia, grazie a un mascheramento, riuscì a diventare alleato d’Israele.
Questi furono gli abitanti di Gabaon e il racconto è ai capitoli 9 e 10 appunto del libro di Giosuè che ho commentato e decriptato in “Giosuè e la congiura dei re“.

Il capitolo 9 racconta che dopo l’entrata degli Israeliti in Canaan e la conquista di Gerico e di Ai “…tutti i re della parte occidentale del Giordano, della zona montuosa, della Sefela e di tutto il litorale del Mare Grande verso il Libano – gli Ittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei, i Gebusei – si allearono per far guerra contro Giosuè e Israele sotto un unico comando”. (Giosuè 9,1s)

S’era formata una coalizione dei re Amorrei dei territori a sud della terra promessa per contrastare il pericolo degli Israeliti, nuovi numerosi e bellicosi sopraggiunti nel delicato panorama di quel settore fortemente conteso.
Gli Israeliti nel frattempo erano accampati a Galgala, a un paio di chilometri a oriente di Gerico e si verificò però un fatto inatteso: “Gli abitanti di Gabaon, invece, quando ebbero sentito ciò che Giosuè aveva fatto a Gerico e ad Ai, ricorsero da parte loro a un’astuzia…”. (Giosuè 9,3s)

Gabaon o “Gibe’on” detta anche semplicemente Gaba, odierna El-Gib, fu una città importante, del popolo Eveo, situata a circa 10 chilometri a nord-est di Gerusalemme e a 22 km ad ovest di Gerico, quindi, in ambito centrale rispetto ai territori della coalizione nemica.
Città vicine a lei dipendenti erano Chefira, Beerot e Chiriat-Iearim.
Evidentemente Gabaon era una città sita su una collina che in ebraico appunto si dice “gibe’ah” e si scrive e “Gibe’on” si può considerare forse un diminutivo come “piccolo colle”.
“Gibe’on” si può anche considerare parola composta da:

  • la prima parte è “alto, altura”;
  • la seconda potrebbe essere “abitazione” come in 1Samuele 18,9 da un radicale che significa anche abitare usato in Isaia 13,9 e i gabaoniti “abitano in alto” rispetto alla zona depressa di Gerico;
  • ma potrebbe anche essere “colpa, delitto, crimine, reato, iniquità” e ricordare indirettamente che razza di furfanti vi abitavano e l’iniquità da loro perpetrata nei confronti d’Israele.

I Gabaoniti, come riferisce il racconto della Bibbia, con l’inganno, riuscirono ad ottenere da Giosuè un patto d’alleanza tanto che poi come racconta Giosuè 10 gli Israeliti per rispettare il patto sancito dovettero andare loro in aiuto.
L’inganno che originò il tutto fu che una delegazione di Gabaoniti si presentò al a Galgala dichiarandosi come proveniente da terre lontane, forse desertiche, presentandosi con provviste di cibi vecchi, otri sdruciti e sandali consunti.
Solo dopo una promessa di alleanza sancita con giuramento gli Israeliti vennero a scoprire la loro effettiva provenienza.
Non poterono però che far buon viso a cattivo gioco, perché ormai vincolati da quella promessa di alleanza.
Giosuè li maledisse e li destinò a lavori umili, ma ebbero salva la vita.
Passando al campo spirituale ciò fa capire bene che il nemico, il demonio, è molto astuto perciò si può infiltrare in molti modi, quindi, occorre un costante grande discernimento.

IL TEATRO E I CRISTIANI
Come ho accennato il Teatro ha avuto i propri esordi in Grecia con miti pagani rappresentati nelle feste in onore degli dei quali Venere e Dioniso.
Già tale esordio, col presentare il mondo degli idoli, rese sospetto al cristianesimo tutto l’ambito teatrale quale un territorio minato e pervaso di pericolosità per i catecumeni ed i cristiani adulti.
Dalle tragedie greche, in cui i testi spesso oggettivamente sono capolavori letterari di autori classici, indiscutibili per forma e valore espressivo, gli spettacoli teatrali si evolsero con la commedia e poi si svilirono con i mimi e i pantomimi in cui l’aspetto base di un testo era sempre meno rilevante e assumeva importanza il comportamento ludico dei corpi, delle movenze e del colloquiare blasfemo, spettacoli indecenti cui poi s’aggiunsero i giochi circensi ivi comprese le lotte tra gladiatori.
Da attori si passò agli istrioni (dal latino “histrio-nem”, dall’etrusco “Híster”, derivante da “Histria”, regione confinante con l'”Illiria” da cui si dice venissero i primi commedianti) che erano mimo e ballerino chiamati “istrioni”, perché gli attori etruschi, non parlando il latino, si limitavano a rappresentare spettacoli di pantomima, danza, e musica.
Furono così chiamati “Histriones” dai romani e tale nome passò poi anche agli attori della commedia e, infine, pure a quelli della tragedia.

Cicerone, Orazio e Seneca ebbero a sostenere che trovavano disdicevole il crescere negli spettacoli teatrali degli aspetti di scena, del balletto, della mimica e della recita all’impronta rispetto a quello letterario.
Il graduale declino dell’Impero Romano e della società portò, infatti, così in generale l’aggravarsi degli aspetti più deleteri degli spettacoli scenici che esaltarono soprattutto gli aspetti ludici, lascivi e truculenti fino a perdere quasi ogni continuità con le forme più nobili dei testi classici della tragedia e della commedia e nel frattempo persero sempre più consistenza mentre si affermava in modo sempre più ampio, nonostante le persecuzioni, l’annuncio del cristianesimo fino ai tempi di Costantino.
Questi, infatti, dopo la sconfitta del rivale Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio a Roma nel 312, nel 313 con Licinio imperatore d’Oriente, a Milano emanarono un Editto, con il quale fu concessa libertà di culto ai cristiani e furono emanate leggi in loro favore, poi quando Licinio riprese a perseguitare i cristiani, Costantino nel 324 lo sconfisse, divenne unico imperatore e trasferì la capitale a Bisanzio, chiamandola Costantinopoli ed esortò i sudditi orientali ad abbracciare il cristianesimo.

È da premettere sul tema degli spettacoli e del cristianesimo come sfondo, e buona norma quanto dice San Paolo: “Tutto è lecito! Sì, ma non tutto giova. Tutto è lecito! Sì, ma non tutto edifica.” (1Corinzi 10,23)

Era, però, intanto cresciuta la condanna dello spettacolo teatrale e circense da parte di padri della Chiesa, gli spettacoli, infatti, sono realtà ambivalenti ove vero e falso si confondono.
I divieti e gli inviti a stare in guardia dei Padri della Chiesa si riferiscono specialmente agli spettacoli, a cominciare da Clemente Alessandrino, che considera teatro e stadio come “cattedre di pestilenza” (“Pedagogus”, iii, 76,3).

Gli apologisti condannano, senza attenuanti, il circo e l’anfiteatro, perché vedere uccidere un uomo senza evitarlo è come ucciderlo.
Scrive Girolamo che il vizio entra nell’anima per i cinque sensi, le cinque finestre del corpo e se il vizio cattura la libertà dell’anima è perché la rende schiava delle passioni e gli spettacoli teatrali erano potenziali veicoli di vizi.
L’attore finge, ma induce in chi lo guarda autentiche passioni, quindi, concrete tentazioni e diviene strumento del demonio che tenta l’uomo a cercare di soddisfare la propria accesa concupiscenza.
Per Cipriano lo spettacolo in genere può e deve essere identificato con l’idolatria (“De spectaculis”, 4).

Sant’Agostino osserva che spesso i cristiani danno cattivo esempio a chi si avvicina alla Chiesa, infatti: “Sono i catecumeni a scandalizzarsi per il fatto che i medesimi uomini riempiano le chiese nelle feste cristiane e i teatri in quelle pagane” (“De catechizandis rudibus”, 25, 48), vari documenti, peraltro, informano di “teatranti cristiani e non solo di aurighi, ginnasti e musici, ma anche di mimi e pantomimi” quando, durante la controversia ariana, scelsero di esibire misteri cristiani, parodiando il battesimo e il martirio (Agostino, “De baptismo”, vii, 53).

Non s’accettavano al battesimo gli aurighi, i circensi, i gladiatori, i sacerdoti, i custodi dei templi pagani, i maghi, gli ipnotizzatori, gli indovini, gli interpreti dei sogni, i fabbricanti di amuleti, gli scultori e i pittori e chi praticava o gestiva la prostituzione, (“Tradizione apostolica” 11,2-15 del 215 attribuito a Ippolito di Roma).

Ci fu poi un giudizio severo sulle “donne di teatro” valutate d’infima condizione sociale e di dubbia reputazione (Giovanni Crisostomo, “Contra ludos et theatra”, 2).

Tertulliano di Cartagine 150-230, scrittore e apologeta cristiano, non accolto tra i Padri della Chiesa perché aderì alla setta eretica dei Montanisti, ebbe peraltro ad asserire in “De praescriptione haereticorum” 7,12 “nobis curiositate opus non est post Christum Iesum nec inquisitione post evangelium” ossia per i Cristiani “non c’è più spazio per la curiositas dopo l’incontro con la Verità di Cristo”.

In “De spectaculis” sono considerati immorali gli spettacoli teatrali e circensi, ispiratori d’idolatria, i giochi atletici, violenti e inutili come il pugilato e la lotta e in “De cultu foeminarum” Tertulliano parla della “falsa imitazione” riguardo la maschera: “Ciò che è naturale è opera di Dio, ciò che è artificiale è opera del diavolo”, “aemulator” e “interpolator” dell’opera divina… la scimmia di Dio.
Questo autore in “De spectaculis” afferma ai capitoli:

  • I – I cristiani respingono gli spettacoli di cui i pagani si dilettano.
  • III – Gli spettacoli sono proibiti dalle Sacre Scritture.
  • X – E i giochi scenici sono imbevuti di principi idolatrici.
  • XIV – È da evitare ogni forma di concupiscenza mondana.
  • XVII – I teatri sono sentine d’impurità e di disonestà.
  • XVIII – Le tragedie, le commedie hanno in loro qualcosa d’illecito e di empio.
  • XXVI – Il teatro è cosa che ha in sé carattere demoniaco.

Tertulliano poi si sofferma sui mestieri che è opportuno vengano lasciati prima d’essere battezzati, perché avvicinano al culto degli dei (“De idolatria”, 12,4).

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente la Chiesa cattolica diffusa in tutta Europa, non apprezzava il Teatro e scomunicava gli attori; pur tuttavia sopravvissero i giullari, eredi del mimo e della farsa atellana, che intrattenevano la gente nelle città e soprattutto nelle campagne con canti e acrobazie.
Ci fu un processo d’inculturazione, peraltro raccomandato già da Gregorio Magno (VI-VII secolo), onde alcuni rituali drammatici si riversano nella teatralità cristiana alimentandola.
Progressivamente poi la Chiesa farà proprie alcune tecniche spettacolari per il loro potere di fascinazione e si arriverà a spettacoli sacri, drammi religiosi e sacre rappresentazioni attraverso cui i fedeli, spesso analfabeti, apprendevano i principali fatti raccontati dalle Sacre Scritture.
La professione teatrale viene però riconsiderata nel quadro della scolastica e in particolare da Tommaso d’Aquino (XII-XIII secolo) e s’imposero i drammi liturgici, specie nel tempo di Passione; la cosiddetta Passione cassinese ne è il documento più antico (XII secolo).

Il primo luogo scenico del teatro medievale fu la Chiesa ove s’iniziò a mettere in scena passi del Vangelo commentati dal sacerdote, indi spostati sul sagrato.
Apparvero poi testi in volgare come le laudi (ne ha scritte 93) del Beato Iacopone da Todi (1230/6-1306) molte delle quali da pensare quasi testi da scena con cui si scaglia contro le tentazioni eretiche, la diffusa corruzione ecclesiastica e i vizi mondani ed indica per rimedi la via della santità e la scelta del rigore ascetico.
A lui, infatti, si deve la forma della “lauda drammatica”, un componimento poetico scritto per essere recitato nelle occasioni liturgiche tra cui la più celebre è “la Donna del Paradiso” ove si rappresenta la Passione di Cristo, descritta attraverso varie voci.
La Madonna e il Cristo sacrificato diventano così il fulcro del teatro religioso italiano, vale a dire lauda in volgare, sorta nell’ambiente laico delle confraternite d’ispirazione penitenziale, diffusasi tra XIII e XV secolo in forma drammatica.

Ricordo, infine, la “lectio divina” dell’11 giugno 2012 sul battesimo al convegno ecclesiale della diocesi di Roma di Benedetto XVI, che si espresse così: “Nella Chiesa antica la seconda delle rinunce battesimali era formulata così: Rinunciate alla pompa del diavolo?” ora “la pompa del diavolo erano soprattutto i grandi spettacoli cruenti, in cui la crudeltà diventa divertimento, in cui uccidere uomini diventa una cosa spettacolare: spettacolo, la vita e la morte di un uomo. Questi spettacoli cruenti, questo divertimento del male sono la “pompa del diavolo”, dove egli con apparente bellezza appare con tutta la sua crudeltà.”
Per questo, nota ancora Benedetto XVI, “questa rinuncia era molto reale: era la rinuncia a un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio…
Lascio adesso a ognuno di voi di riflettere su questa “pompa del diavolo”, su questa cultura alla quale diciamo “no”. Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura… in cui non conta la verità; anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura, che cerca solo il benessere materiale, ma nega Dio, diciamo no.”

Rientra oggi in questo discorso il rapporto del cristiano con i media, televisione e Internet, che consentono di vivere facilmente nella falsità con vite doppie.

IL NUOVO TESTAMENTO E L’IPOCRISIA
Gesù nella sua predicazione ebbe a dire: “Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti”. (Matteo 13,33)
Ovviamente deve essere il giusto lievito.
Il giusto lievito per far crescere la Chiesa è il Kerigma, l’annuncio di un evento.
È nato il primogenito, c’è stata la prima vittoria sulla morte di un giusto, pieno d’amore, ucciso in croce dai peccati di ogni uomo, il primo risorto dai morti per la salvezza e la giustificazione di tutti, l’Unigenito di Dio.

Lo stesso spirito di Gesù sarà, quindi, il vero lievito, quello per cui fu risorto per primo il corpo e porterà la risurrezione a iniziare in tutto il corpo della Chiesa; “lievito”, infatti, in ebraico è “she’or” .
Ora, il lievito, nell’immaginario biblico ha due aspetti, uno positivo e uno negativo, infatti, essendo un fermento fa crescere la pasta, ma anche la può portare alla distruzione.
Il lievito per la prima volta che è citato nella Bibbia è in Esodo 12,15 in occasione delle prescrizioni per la Pasqua.
Se si vanno ad analizzare le lettere che costituiscono il termine “she’or” e le si leggono con i loro significati grafici si può avere:

  • “a sorgere – illuminare inizia il corpo – la testa “.
  • “distruzione ( = ) del corpo “.

Accade, infatti, che il Signore Gesù pone in guardia i propri discepoli anche su un lievito che rovina tutta la massa.
Questo che rovina la massa, il corpo della Chiesa, il lievito da cui occorre prendere le distanze e cercare di non cadervi, è l’ipocrisia.
Gesù, infatti, ebbe a dire:

  • Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia.” (Luca 12,1b)
  • “Fate attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei… Allora essi compresero che egli non aveva detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei.” (Matteo 16,6.12)
  • “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!” (Marco 8,15)

Per far capire bene ai discepoli dei suoi tempi Gesù fa appunto gli esempi dei farisei, di Erode e dei sadducei.
Lo zelo dei farisei era formalista e falso zelo religioso, solo esteriore.
Erano chiamati “perushim”, i “separati” dall’ebraico “pārûsh”, cioè “distinto”, “colui che è separato” e la separazione risale alla divisione che avvenne assieme agli Esseni (160 – 150 a.C.) in opposizione ai sacerdoti dei Maccabei, onde, “perushim” vale come dissidenti, secessionisti.
(Per caso “pārûsh” ha le stesse lettere di maschera in etrusco; vedi Paragrafo su “L’ipocrisia”)

Dopo la distruzione nel Tempio del 70 il farisaismo da secessionista in pratica divenne il giudaismo residuale, autore del Talmud.
I Farisei, credevano nella risurrezione, la ricompensa dei giusti, ma negavano l’attesa apocalittica della prossima fine, erano critici verso il messianismo e davano anche alla Torah il valore di quella scritta, contrariamente ai Sadducei.
Lo zelo di Erode e del partito degli erodiani era mosso dalla brama del potere e di dominare sugli altri, onde a tal fine erano disposti a uniformarsi agli usi dei pagani per rendere la propria condizione di vita più tollerabile e faceva loro giustificare anche l’idolatria.
I Sadducei, invece, erano dei liberi pensatori, scettici nei confronti di tutto ciò che era soprannaturale.

Gesù, nostra Pasqua da San Paolo è considerato il lievito nuovo di sincerità e di verità mentre il lievito vecchio è malizia e perversità, infatti: “Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità.” (1Corinzi 5,6-8)

Il famoso discorso della montagna, ai capitoli 5, 6 e 7 del Vangelo di Matteo, è tratteggiato l’uomo nuovo e sul tema dell’ipocrisia si sofferma più volte, seguiamolo:

  • Matteo,5,8 “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.”
  • Matteo 5,20 “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.”
  • Matteo 6,1s “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.”
  • Matteo 6,5 “E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente; in verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.”
  • Matteo 6,16 “E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.”
  • Matteo 7,4; Luca 6,42 “O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.”
  • Matteo 7,15-17 “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.”

L’immagine del lupo vestito da pecora è calzante e rappresenta pienamente l’azione demoniaca della doppia faccia dell’ipocrita che cela insani desideri.
E chi è il lupo se non uno pieno del desiderio di sfamarsi che entra in un recinto in cui sono le docili prede costituite dagli agnelli di un gregge?
La prima volta che si trova “lupo” è in Genesi 49,27 nelle benedizioni di Giacobbe, quella riferita a “Beniamino è un lupo che sbrana” ove lupo è “z’eb”, quindi, proprio uno “colpito dal desiderare ()” d’uccidere e sbranare.

Dice il libro del Siracide 13,17: “Che cosa vi può essere in comune tra il lupo e l’agnello? Lo stesso accade fra il peccatore e il pio“, ma ai tempi del Messia “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello…” (Isaia 11,6)

L’avere una doppia faccia, in effetti, riguarda un poco tutti; infatti, scagli la prima pietra chi prima o poi almeno in qualche occasione, non v’è caduto.
Del resto “Non c’è, infatti, sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi.” (Qoelet 7,20)
Ipocriti! Cioè siete solo degli attori, proclama Gesù nei riguardi del popolo d’Israele, quando nel Vangelo di Matteo, ricordando le parole del profeta Isaia 29,13, dice: “Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.” (Matteo15,7-8; Marco 7,6)
Del pari “ipocriti” Gesù chiamerà i discepoli dei farisei e gli erodiani che lo tentavano con la domanda se era lecito pagare il tributo a Cesare e disse loro: “Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?” (Matteo 22,18b)

Nello stesso Vangelo di Matteo al capitolo 23 abbiamo un brano di ben 20 versetti relativo alla ipocrisia degli scribi e dei farisei, in cui per ben sette volte viene detto loro “Guai a voi” e gli epiteti sono veramente pesanti, farisei ipocriti, guide cieche, sepolcri imbiancati, serpenti e razza di vipere; quindi, di fatto preda domata dal tentatore con le motivazioni di cui in appresso.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geenna due volte più di voi.
Guai a voi, guide cieche, che dite: Se uno giura per il tempio, non conta nulla; se invece uno giura per l’oro del tempio, resta obbligato. Stolti e ciechi! Che cosa è più grande: l’oro o il tempio che rende sacro l’oro? E dite ancora: Se uno giura per l’altare, non conta nulla; se invece uno giura per l’offerta che vi sta sopra, resta obbligato. Ciechi! Che cosa è più grande: l’offerta o l’altare che rende sacra l’offerta? Ebbene, chi giura per l’altare, giura per l’altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che lo abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità.
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri. Serpenti, razza di vipere, come potrete sfuggire alla condanna della Geenna?” (Matteo 23,13-32)

Esempio evidente d’ipocrita è il servo infedele che quando non c’è il padrone spadroneggia e gozzoviglia, ma al ritorno senza preavviso del padrone vedendone evidente l’ipocrisia “lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti.” (Matteo 24,51)

Gesù chiama ipocriti anche quelli che lo criticano perché guarisce il prossimo anche nel giorno di sabato, come nel seguente episodio: “…il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato. Il Signore gli replicò: Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?” (Luca 13,14-16)

MORTE, ESTREMO MASCHERAMENTO
È da ricordare che la cacciata dal Paradiso terrestre fu un atto d’amore di Dio verso l’uomo, affinché questi non restasse in eterno schiavo del demonio, cioè del nulla che si oppone a Dio, del “Belial” il falso Dio, colui che la “negazione è di Dio “.

In effetti, col peccato di orgoglio compiuto dai primogenitori chi veramente fu cacciato fu Dio dal cuore dell’uomo, infatti “Quale rapporto… ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Belial, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele? Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli?” (2Corinzi 6,14-16)

Prova è che all’uomo nel peccato pare come se Dio gli nascondesse il volto.
Giobbe, infatti, di questo si lamenta “Perché mi nascondi la tua faccia e mi consideri come un nemico?” (Giobbe 13,24) mentre, in effetti, è l’uomo che è divenuto nemico di Dio.

Dio aveva avvertito l’uomo quando lo mise nel paradiso terrestre, “…dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire.” (Genesi 2,17)

Si parla di morte, eppure Dio non l’ha creata, “Dio non ha creato la morte” scrive, infatti, Sapienza 1,13; allora?
Quel “dovrai morire” di cui parla Dio, in effetti, è scritto di “morte moriresti” “mowet temut” che, come seconda lettura, dice “della vita Porteresti a finire l’innocenza ; ne porteresti la croce “.

In effetto il peccato ha portato la croce della sofferenza e della paura della morte.
Al versetto Genesi 3,3 la donna lo ripete al serpente che gli risponde in 3,4 negando quella verità: “…Non morirete affatto!” “l’o movet temutun” non morirete , finalmente nell’uomo si porterà l’energia ” e in parte era vero, infatti, si porterà dentro l’angelo ribelle.

Dio però voleva rispettare la libertà dell’uomo, condizione essenziale per la sua esistenza e preso atto della sua volontà di seguire il Suo contrario, Dio lo lasciò libero, ma ideò un atto di misericordia estremo: “…il Signore Dio disse: Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva per sempre! Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita.” (Genesi 3,22-24)

L’alternativa, se l’avesse lasciato la, sarebbe stata che avrebbe mangiato anche dell’albero della vita e sarebbe vissuto in eterno lontano da Dio, ossia nel nulla.
Eliminare per sempre il maligno in quella occasione avrebbe ormai provocato la fine anche dell’uomo, perché gli avrebbe di fatto negato l’esistenza strettamente connessa alla libertà per lui di scegliere anche il nemico, onde non sarebbe stato un figlio libero, ma un robot.
Occorreva un modo, perché il demonio abbandonasse il corpo dell’uomo che il maligno aveva invaso con il “no” e poi dare all’uomo stesso una nuova opportunità regalandogli la piena natura divina, contro la quale il demonio nulla può e rapire poi dalla terra l’uomo stesso, reso giustificato, tanto amato da Dio, ormai libero dal demonio e portarlo nei cieli.

La domanda che s’impone è: perché la morte? Perché Dio la consente?
Risponde il già richiamato libro della Sapienza:

  • 1,13s -“Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza…”
  • 2,23s – “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.”

Ricordiamoci però che “Non c’è infatti sulla terra un uomo così giusto che faccia solo il bene e non pecchi.” (Qoelet 7,20)

Sappiamo anche che il demonio non può creare nulla e che, come sopra citato, l’uomo è predisposto per l’immortalità.
È allora da concludere che esiste la morte del corpo, “entrata nel mondo” come rimedio “per invidia del diavolo”.
Stante l’evento della risurrezione di Cristo è da concludere che la morte fu ideata come una manifestazione temporanea pensata da Dio come rimedio.
Per quell’angelo ribelle, cacciato dal regno dei cieli, la vita dell’uomo, di fatto, era ormai l’unica risorsa; occorreva perciò che il demonio prendesse atto di una circostanza oltre la quale vantaggi dall’uomo non ne poteva più avere e ciò risulta evidente con l’evento della “morte”.
L’uomo può, infatti, peccare solo in questa vita!
In questa vita “Non si scappa dalla prigionia di Satana”.

Il mondo è, ormai, la fortezza in cui s’è rifugiato il demonio, ma Gesù gli ha scassinato la casa come ha detto: “Ma se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. Come potrebbe uno penetrare nella casa dell’uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa.” (Matteo 12,28s)

Lui, Gesù, gli ha scassinato la casa, gli ha rubato gli antichi padri dalla tomba, ci ha regalato il battesimo che scaccia il demonio e quando questo fosse a tornare ci ha muniti del dono dei sacramenti del perdono e del sacramento dell’unzione degli infermi che è anticipano il dono della risurrezione finale.
Grazie al dono della risurrezione palesatoci con l’evento pasquale di Cristo, la morte, in effetti, diviene un mascheramento dell’uomo, il suo nascondimento per essere sottratto dalle grinfie del peccato di questo mondo.
Beh, c’è una pagina in Giobbe, che è preludio di questo pensiero.
Si trova nei capitoli 12-14 nella risposta a Sofar di Naamà.

I versetti chiave sono i seguenti: “Invece l’uomo, se muore, giace inerte; quando il mortale spira, dov’è mai? Potranno sparire le acque dal mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi, ma l’uomo che giace non si alzerà più, finché durano i cieli non si sveglierà né più si desterà dal suo sonno. Oh, se tu volessi nascondermi nel regno dei morti, occultarmi, finché sia passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me! L’uomo che muore può forse rivivere? Aspetterei tutti i giorni del mio duro servizio, finché arrivi per me l’ora del cambio!” (Giobbe 12,10-14)

Giobbe, figura del “Giusto” sogna che Dio lo nasconda, lo mascheri soltanto da morto, ma che poi gli ridia la vita.
Ci sarà, in effetti, un mondo nuovo con l’estrema beffa al demonio!
Questo sogno s’è attuato in Cristo Gesù e attendiamo cieli e terra nuova, la nuova Gerusalemme per vivere da risorti con Lui.

APPENDICE
Ho provveduto alla decriptazione dei 75 versetti (25 + 28 + 22) dei tre capitoli 12-13-14 del libro di Giobbe da cui esce evidente l’epopea del Messia e dei doni che porterà con la risurrezione.
Ciascun versetto l’ho trattato come presento il seguente:

Giobbe 14,13 – “Oh, se tu volessi nascondermi nel regno dei morti, occultarmi, finché sia passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me!




A vivere risaranno . Sarà il drago ad abitare negli inferi . Alla fine , sceso dalle persone (), inviato sarà a finire in un buco , finalmente lancerà () lamenti , per sempre . Il fuoco gli recherà dentro con ira , lo pesterà , sarà la fine del serpente , gli sarà la legge recata , finirà il ricordo dell’angelo (ribelle) dall’esistenza .

Capitolo per capitolo riporto di seguito il testo della traduzione C.E.I. del 2008 e la decriptazione.
Leggendo tutto di seguito si comprende chiaramente il disegno di salvezza.

GIOBBE 12 – TESTO C.E.I. E DECRIPTAZIONE
Riporto il testo della traduzione C.E.I. 2008 e tutto di seguito testo decriptato.

Giobbe 12,1 – Giobbe prese a dire:

Giobbe 12,2 – Certo, voi rappresentate un popolo; con voi morirà la sapienza!

Giobbe 12,3 – Anch’io però ho senno come voi, e non sono da meno di voi; chi non sa cose simili?

Giobbe 12,4 – Sono diventato il sarcasmo dei miei amici, io che grido a Dio perché mi risponda; sarcasmo, io che sono il giusto, l’integro!

Giobbe 12,5 – Allo sventurato spetta il disprezzo”, pensa la gente nella prosperità, spinte a colui che ha il piede tremante.

Giobbe 12,6 – Le tende dei ladri sono tranquille, c’è sicurezza per chi provoca Dio, per chi riduce Dio in suo potere.

Giobbe 12,7 – Interroga pure le bestie e ti insegneranno, gli uccelli del cielo e ti informeranno;

Giobbe 12,8 – i rettili della terra e ti istruiranno, i pesci del mare e ti racconteranno.

Giobbe 12,9 – Chi non sa, fra tutti costoro, che la mano del Signore ha fatto questo?

Giobbe 12,10 – Egli ha in mano l’anima di ogni vivente e il soffio di ogni essere umano.

Giobbe 12,11 – L’orecchio non distingue forse le parole e il palato non assapora i cibi?

Giobbe 12,12 – Nei canuti sta la saggezza e in chi ha vita lunga la prudenza.

Giobbe 12,13 – In lui risiedono sapienza e forza, a lui appartengono consiglio e prudenza!

Giobbe 12,14 – Ecco, se egli demolisce, non si può ricostruire, se imprigiona qualcuno, non c’è chi possa liberarlo.

Giobbe 12,15 – Se trattiene le acque, vi è siccità, se le lascia andare, devastano la terra.

Giobbe 12,16 – In lui risiedono potenza e sagacia, da lui dipendono l’ingannato e l’ingannatore

Giobbe 12,17 – fa andare scalzi i consiglieri della terra, rende stolti i giudici;

Giobbe 12,18 – slaccia la cintura dei re e cinge i loro fianchi d’una corda.

Giobbe 12,19 – Fa andare scalzi i sacerdoti e rovescia i potenti.

Giobbe 12,20 – Toglie la parola a chi si crede sicuro e priva del senno i vegliardi.

Giobbe 12,21 – Sui potenti getta il disprezzo e allenta la cintura dei forti.

Giobbe 12,22 – Strappa dalle tenebre i segreti e porta alla luce le ombre della morte.

Giobbe 12,23 – Rende grandi i popoli e li fa perire, fa largo ad altri popoli e li guida.

Giobbe 12,24 – Toglie la ragione ai capi di un paese e li fa vagare nel vuoto, senza strade,

Giobbe 12,25 – vanno a tastoni in un buio senza luce, e barcollano come ubriachi.

Giobbe 12,1 – A riportarsi fu. Testimoniarono che l’Unigenito s’era riportato a casa e che era l’Unigenito vivo col corpo.

Giobbe 12,2 – In verità un vivente retto era, all’Unigenito crocefisso nel seno la vita si riportò. Si rivide con le piaghe l’uomo. Dalla morte, dalla tomba, così vivo ne riuscì.

Giobbe 12,3 – Gli riscorse la vita. Di notte alla casa in pianto vivo si riportò. Così in pienezza dagli apostoli, meraviglioso, l’ucciso rifù vivente. La rettitudine della vita riportò l’Unico al Crocifisso a vivere. Fu annullata così dai viventi la recata maledizione.

Giobbe 12,4 – Per bruciare il nascosto serpente cattivo con la perversità l’Unigenito a riuscire fu al mondo. Gridate: alleluia. A riportarsi fu in azione. L’energia fuori ha portato della risurrezione; la tomba ha recato a riversare il giusto. L’innocente rifù in vita.

Giobbe 12,5 – Al serpente la calamità a casa gli si porta a colpirlo con potenza. Ad operare il risorto dalla croce si porta per finirlo. Per la distruzione l’energia invia agli apostoli che retti si portano da angeli del Potente. Con la Madre recano testimonianza lanciando la rivelazione.

Giobbe 12,6 – Fu risorto; con potenza fu riportato dall’Unico al mondo. Potente rifù in vita. Dal serpente ucciso fu. La vita si riportò dentro al cuore. Alla tomba lo portò dalla croce. Il serpente la vita dal corpo gli fece scorrere; con forza colpito fu. Di Dio la maledizione con il risorto corpo gli uscì nell’esistenza. L’Unigenito di Dio gli era entrato in casa, con forte mano si porterà.

Giobbe 12,7 – E l’Unigenito si portò dal serpente per salvare dalla maledizione; l’inviò il Padre al mondo per la morte portare a finire nei corpi. Per ardere il peccare il Verbo riuscì. La risurrezione in vita sarà ai viventi recata; nella gloria saranno così.

Giobbe 12,8 – Per l’Unico porterà la risurrezione ad esistere nelle tombe che da rifiuto nei corpi scenderà e lo finirà dai corpi; ad ardere recato sarà in un buco dal Verbo che si sazierà del serpente come d’un pesce che sia uscito dal mare.
(In questa descrizione del ritorno a casa del Risorto con la profezia della fine del male i serpenti arsi si paragonano ai pesci ed il Vangelo di Luca evidenzia il segno profetico compiuto da Gesù risorto: “Gli offrirono una porzione di pese arrostito.” Luca 24,42)

Giobbe 12,9 – A vivere fu per il serpente una calamità che in azione dentro alla prigione del serpente entrasse una retta esistenza. Furono le mani del Signore in azione. La risurrezione del Crocifisso nel mondo a colpirlo venne.

Giobbe 12,10 – Iniziò la liberazione dentro l’esistenza col giudizio della superbia. Per tutti i viventi portò lo Spirito della rettitudine; da lingue in casa di fuoco sulla testa iniziarono a essere illuminati. (Profezia della Pentecoste)

Giobbe 12,11 – Uscì il no dell’Unico. Per colpirlo una formica fu inviata, dalla croce la grazia portò, dalla tomba per affliggere il maligno. Per amore in azione in un vivente la potenza riportò.

Giobbe 12,12 – Dentro fu il dono della risurrezione a esistere in un vivente. Dalla tomba per la rettitudine si rivive. Nel mondo portò l’Unico in un corpo la rettitudine ad esistere. A vivere fu un uomo retto portatosi da angelo nel mondo.

Giobbe 12,13 – In azione in un vivente si riportò nella tomba per la rettitudine la vita. Fuori si riportò in cammino. Dentro portò in un corpo ad entrare la potenza; ed in azione giù nel mondo nell’oppressione recò l’energia ad entrare.

Giobbe 12,14 – Al mondo l’energia fu ad entrare in un corpo in pienezza. La porterà al serpente nemico. Tra lamenti a forza imprigionato si vedrà il serpente. Gli uomini porterà l’Unigenito dal serpente ad essere liberati.

Giobbe 12,15 – Uscito dagli apostoli fu visto giù col corpo a casa vivente; fu dalla Madre a portarsi. Fu dentro alla simile a recare la forza della risurrezione. Il vigore alla Madre recò fu ad entrarle col soffio la rettitudine per recarla in terra.

Giobbe 12,16 – In azione ai viventi recò in azione Questa per portarli alla salvezza dal serpente che ha recato lo sviare. Dall’orgoglio, porterà a salvare chi cammina al mondo.

Giobbe 12,17 – Per reciderlo fu la della rettitudine la forza a recare in azione giù a stare nella Madre che simili per potenza al serpente porterà. La contesa nei giorni fu al mondo a recare per il Potente al serpente.

Giobbe 12,18 – La Madre reca in giro un corpo di viventi in cammino di cui è la vita liberata, ed è l’origine della ribellione con l’Unigenito a colpire, per recare alla moltitudine dei morti l’energia dell’esistenza per riuscire vivi.

Giobbe 12,19 – Per reciderlo c’è così la rettitudine nel mondo. Agli apostoli che stanno con la Madre il risorto ha recato la potenza. Al serpente recano guai. Il drago sarà a vivere l’esistenza in un buco per la potenza del Verbo.

Giobbe 12,20 – In vita dalle spine del Calvo (Calvario) riuscì al serpente. Rinviato per l’Amen fu in vita e dal cuore che hanno visto i viventi colpito, versò l’energia nei giorni che rovescerà le tombe.

Giobbe 12,21 – Ai simili la parola della rettitudine dentro recò da arma in azione al serpente che l’impurità fu ai viventi a recare. Nei viventi, colpito sarà nelle assemblee ove l’Unigenito la parola sarà a riversare; ci sarà la guarigione per il mondo.

Giobbe 12,22 – Ai viventi si rivela (che) dal profondo (agli inferi) si riportò il Crocifisso, la vita degli angeli fu a rientrargli, risorto così lo portò a ristare su l’Unico. Il serpente l’Unigenito porterà dai corpi arrostito alla morte.

Giobbe 12,23 – Per liberare il cammino fu la divinità in cammino a riportarlo. Fu la vita riportata dalla forza del Padre nel sangue che lo risorse. Nel cuore nella tomba la potenza scorse e fu in vita a riportarsi per essere da consolazione.

Giobbe 12,24 – La vita in pienezza rifù nel corpo potente. Il Figlio Unigenito risorto fu. Lo videro i viventi riuscire in terra. A portare fu il Crocifisso in azione la Madre. Da dentro finirà la perversità col rifiuto in giro della rettitudine.

Giobbe 12,25 – Fu per liberare i simili dalla tomba che risorse. La rettitudine, che reca la potenza dell’Unico, l’Unigenito recava nel corpo e fu dalla croce vista con le piaghe; la risurrezione così si portò in un corpo.

GIOBBE 13 – TESTO C.E.I. E DECRIPTAZIONE
Riporto il testo della traduzione C.E.I. 2008 e tutto di seguito testo decriptato.

Giobbe 13,1 – Ecco, tutto questo ha visto il mio occhio, l’ha udito il mio orecchio e l’ha compreso.

Giobbe 13,2 – Quel che sapete voi, lo so anch’io; non sono da meno di voi.

Giobbe 13,3 – Ma io all’Onnipotente voglio parlare, con Dio desidero contendere.

Giobbe 13,4 – Voi imbrattate di menzogne, siete tutti medici da nulla.

Giobbe 13,5 – Magari taceste del tutto: sarebbe per voi un atto di sapienza!

Giobbe 13,6 – Ascoltate dunque la mia replica e alle argomentazioni delle mie labbra fate attenzione.

Giobbe 13,7 – Vorreste forse dire il falso in difesa di Dio e in suo favore parlare con inganno?

Giobbe 13,8 – Vorreste prendere le parti di Dio e farvi suoi avvocati?

Giobbe 13,9 – Sarebbe bene per voi se egli vi scrutasse? Credete di ingannarlo, come s’inganna un uomo?

Giobbe 13,10 – Severamente vi redarguirà, se in segreto sarete parziali.

Giobbe 13,11 – La sua maestà non vi incute spavento e il terrore di lui non vi assale?

Giobbe 13,12 – Sentenze di cenere sono i vostri moniti, baluardi di argilla sono i vostri baluardi.

Giobbe 13,13 – Tacete, state lontani da me: parlerò io, qualunque cosa possa accadermi.

Giobbe 13,14 – Prenderò la mia carne con i denti e la mia vita porrò sulle mie palme.

Giobbe 13,15 – Mi uccida pure, io non aspetterò, ma la mia condotta davanti a lui difenderò!

Giobbe 13,16 – Già questo sarebbe la mia salvezza, perché davanti a lui l’empio non può presentarsi.

Giobbe 13,17 – Ascoltate bene le mie parole e il mio discorso entri nei vostri orecchi.

Giobbe 13,18 – Ecco, espongo la mia causa, sono convinto che sarò dichiarato innocente.

Giobbe 13,19 – Chi vuole contendere con me? Perché allora tacerei e morirei.

Giobbe 13,20 – Fammi solo due cose e allora non mi sottrarrò alla tua presenza:

Giobbe 13,21 – allontana da me la tua mano e il tuo terrore più non mi spaventi.

Giobbe 13,22 – Interrogami pure e io risponderò, oppure parlerò io e tu ribatterai.

Giobbe 13,23 – Quante sono le mie colpe e i miei peccati? Fammi conoscere il mio delitto e il mio peccato.

Giobbe 13,24 – Perché mi nascondi la tua faccia e mi consideri come un nemico?

Giobbe 13,25 – Vuoi spaventare una foglia dispersa dal vento e dare la caccia a una paglia secca?

Giobbe 13,26 – Tu scrivi infatti contro di me sentenze amare e su di me fai ricadere i miei errori giovanili;

Giobbe 13,27 – tu poni in ceppi i miei piedi, vai spiando tutti i miei passi e rilevi le orme dei miei piedi.

Giobbe 13,28 – Intanto l’uomo si consuma come legno tarlato o come un vestito corroso da tignola.

Giobbe 13,1 – Nel mondo per uccidere il serpente in un corpo l’Unigenito alla fine entrò per agire nell’esistenza. Un angelo fu ad illuminare la Madre da cui si vedrà uscire l’Unigenito. Questi, inviato fu e in un’arca l’energia del Potente entrò.

Giobbe 13,2 – Così per sbarrarlo nel tempo anelò d’essere per aiutare; in azione al termine fu nel cammino a vivere. Io sono con il rifiuto l’aborto ad incontrare, così ci fu un vivente retto tra i viventi.

Giobbe 13,3 – Nel corpo della Madre per incontrare nell’esistenza il maledetto maligno dalla nube da figlio si portò nel mondo. Recò il vigore della divinità. Di Dio in un fratello il Verbo fu a scendere.

Giobbe 13,4 – L’Unigenito si portò perché venisse a vivere in un cuore la meraviglia della risurrezione per riversare nei corpi la guarigione. Fu Dio in cammino con la potenza della rettitudine in un vivente.

Giobbe 13,5 – A vivere fu per stare dal drago nel mondo in un carpentiere, ove scelse di chiudersi nel corpo. Fu della risurrezione a recare l’energia e nella croce entrato ne riuscì. Rifù in cammino vivo onde il vigore della rettitudine uscisse.

Giobbe 13,6 – Per bruciare dai viventi il peccare l’energia l’Unico al crocefisso riportò. Il vigore completamente fu riportato al corpo, che dentro recò al Crocifisso la risurrezione. Il Verbo nel Crocifisso era stato nel mondo. Per riversare il dono, dentro si portò.

Giobbe 13,7 – Al mondo al serpente la maledizione dalla croce la Parola portò. Al malvagio, alla perversità del serpente porterà termine. La peste recherà al verme che è nel mondo.

Giobbe 13,8 – Al mondo di persona fu a portare il segno che col fuoco/resurrezione la malvagità farà venir meno. Di Dio il Crocifisso la lite gli porta con gli apostoli.

Giobbe 13,9 – Ad uscire dal cuore portò da dentro la rettitudine che c’era (quando) fu nella tomba versato il corpo dell’Unigenito crocifisso. Per la rettitudine la vita ricominciò. Pur con le piaghe aperte con segnato il cuore un uomo dalla croce uscì per finire il serpente; e a casa si riportò.

Giobbe 13,10 – Al mondo a riportarsi vigoroso e così fu lo spavento (per il demonio) della rettitudine a vivere con l’Unigenito. A vivere dentro ad un buco l’idolo invierà. Sarà dagli uomini bruciata la malvagità.

Giobbe 13,11 – Al mondo al serpente l’Unico col Risorto viene a portare la fine nel tempo. L’Unico all’oppressione in vita riportò la Parola dalla tomba. L’impuro sarà a separare l’Altissimo con la rettitudine dai viventi.

Giobbe 13,12 – Il colpito Agnello ri-inviato è così in vita a liberare dal serpente. È l’ira nel corpo al serpente a camminare in casa. È il veleno in un corpo per il superbo ad essere così in vita.”

Giobbe 13,13 – Uscito dalla tomba con il corpo che era stato risorto, si riportò vivo dalla Madre che con gli apostoli stava. Portò l’Unigenito un’ape. Unita con gli apostoli sarà a portarsi a spazzare da dentro il cattivo serpente che sta nei viventi del mondo.

Giobbe 13,14 – Della Vergine donna l’Unigenito nella carne fu a casa, illuminò gli apostoli fu a portar loro l’alito onde fosse ad iniziare il dono per i viventi, dentro la rettitudine a soffiar (loro) fu. (Giovanni 20,22 “Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”)

Giobbe 13,15 – Uscì l’energia, fu versata dal cuore con potenza agli apostoli. Il ‘no’ ai guai dell’ammalare così per via fu al maledetto. La parola gli apostoli furono a portare dell’Unigenito e con la rettitudine furono a stringerlo.

Giobbe 13,16 – In cammino dalla Madre Lui di notte, Gesù così fu con potenza. Dio di persona fu a recare la grazia, il soffio fu a recarle dell’Unico.

Giobbe 13,17 – Risorto in vita, agì per portare la resurrezione ai viventi, onde dell’affanno la fine fosse portata. Iniziò l’annuncio che dalla croce rifù a casa l’Unigenito. Questi fu a inviare la rettitudine ai viventi.

Giobbe 13,18 – Ad uscire gli apostoli per il mondo da inviati dall’Unigenito preparati completamente furono. La vita del risorto soffiata nel cuore fu con la conoscenza completa. Fu la rettitudine ad esistere dell’Unico inviata; fu originata dal giusto.

Giobbe 13,19 – In vita rifù Lui, fu per la lite a rialzarsi, rifù così ad esistere nel tempo. Uscì di fratelli un corpo che la risurrezione reca. L’Unigenito nel cammino li portò in azione.

Giobbe 13,20 – Con l’Unigenito così la risurrezione finalmente è in vita, Dio completamente ad operare in azione dai viventi ad aiutare è, questi vivo di persona, è con la sposa l’Unigenito; iniziano in pienezza i segni del corpo.

Giobbe 13,21 – La rettitudine che sgorga nei viventi dall’alto è generata, la legge portano dell’Unico agli uomini, così di Dio indicano la casa. In azione tutti gli apostoli sono.

Giobbe 13,22 – E a chiamare porta l’Unigenito gli apostoli che rettamente sono l’Unigenito a testimoniare, iniziano a portare dell’Unico la parola, recano al mondo della resurrezione la forza che nel Figlio c’è stata.

Giobbe 13,23 – La rettitudine ai viventi esce. Dal serpente sono in azione gli apostoli ed indicano che portò il peccato e la croce, con la superbia che la rovina portò con la chiusura del cuore. sono a riaprirlo, ad aiutare con forza sono i miseri.

Giobbe 13,24 – Il serpente dai viventi esce per la parola degli apostoli che sono la rettitudine a indicare in pienezza. L’indicazione è al corpo – popolo a portare della fine della tomba. Con la risurrezione del Figlio che c’è stata, il rifiuto recato gli è dentro al cammino.

Giobbe 13,25 – Nel mondo, che per l’agire del serpente uscì l’impurità, il Verbo agli sviati col corpo porta il precetto, viene a rovesciare il fuoco forte dentro della risurrezione, segno che lo caccerà.

Giobbe 13,26 – Come è indicato negli scritti, l’Altissimo le erbe amare gli ha portato. Dalla croce gli porta la legge. È per la risurrezione con gli apostoli la forza dell’iniquità portata a finire con l’energia del peccare che nel corpo c’è.

Giobbe 13,27 – Si riportò dalla croce risorto a casa con le forate mani, il corpo rivelò che era stato in croce risorto ai viventi. Portava il corpo per la rettitudine potente di luce. Lo spavento fu in azione al serpente. Con la risurrezione di un corpo un fuoco ha lanciato nel cammino al serpente. Fu il Crocifisso ad indicare la legge al mondo. (“Amatevi gli uni gli altri” Giovanni 15,x)

Giobbe 13,28 – Portò Lui con la rettitudine di marcire la forza a casa del serpente. Nel mondo per spengerlo in cammino d’aiuto l’Unigenito la sposa ha recato ad operare.

GIOBBE 14 – TESTO C.E.I. E DECRIPTAZIONE
Riporto il testo della traduzione C.E.I. 2008 e tutto di seguito testo decriptato.

Giobbe 14,1 – L’uomo, nato da donna, ha vita breve e piena d’inquietudine;

Giobbe 14,2 – come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma.

Giobbe 14,3 – Tu, sopra di lui tieni aperti i tuoi occhi, e lo chiami a giudizio dinanzi a te?

Giobbe 14,4 – Chi può trarre il puro dall’immondo? Nessuno.

Giobbe 14,5 – Se i suoi giorni sono contati, il numero dei suoi mesi dipende da te, hai fissato un termine che non può oltrepassare.

Giobbe 14,6 – Distogli lo sguardo da lui perché trovi pace e compia, come un salariato, la sua giornata!

Giobbe 14,7 – È vero, per l’albero c’è speranza: se viene tagliato, ancora si rinnova, e i suoi germogli non cessano di crescere;

Giobbe 14,8 – se sotto terra invecchia la sua radice e al suolo muore il suo tronco,

Giobbe 14,9 – al sentire l’acqua rifiorisce e mette rami come giovane pianta.

Giobbe 14,10 – Invece l’uomo, se muore, giace inerte; quando il mortale spira, dov’è mai?

Giobbe 14,11 – Potranno sparire le acque dal mare e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi,

Giobbe 14,12 – ma l’uomo che giace non si alzerà più, finché durano i cieli non si sveglierà né più si desterà dal suo sonno.

Giobbe 14,13 – Oh, se tu volessi nascondermi nel regno dei morti, occultarmi, finché sia passata la tua ira, fissarmi un termine e poi ricordarti di me!

Giobbe 14,14 – L’uomo che muore può forse rivivere? Aspetterei tutti i giorni del mio duro servizio, finché arrivi per me l’ora del cambio!

Giobbe 14,15 – Mi chiameresti e io risponderei, l’opera delle tue mani tu brameresti.

Giobbe 14,16 – Mentre ora tu conti i miei passi, non spieresti più il mio peccato:

Giobbe 14,17 – in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio delitto e tu ricopriresti la mia colpa.

Giobbe 14,18 – E invece, come un monte che cade si sfalda e come una rupe si stacca dal suo posto,

Giobbe 14,19 – e le acque consumano le pietre, le alluvioni portano via il terreno: così tu annienti la speranza dell’uomo.

Giobbe 14,20 – Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va, tu sfiguri il suo volto e lo scacci.

Giobbe 14,21 – Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa; siano disprezzati, lo ignora!

Giobbe 14,22 – Solo la sua carne su di lui è dolorante, e la sua anima su di lui fa lamento.

Giobbe 14,1 – All’Uomo è stata la potenza portata in aiuto della risurrezione. Nel mondo per mietere è in vita ad esistere la Madre, porta il fuoco dentro al nemico in cammino per colpirlo. (“Ecco io vi dico: Levate i vostri occhi… Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete.” Giovanni 4,35bs)

Giobbe 14,2 – Da casa alzatisi sono scesi, vengono fuori, portano con forza la parola, che reca figli nelle assemblee con la rettitudine. Giù al serpente recano il ‘no’ con forza in azione; tra i viventi si portano a sbarrarlo.

Giobbe 14,3 – L’ira in azione al serpente a colpirlo nel mondo gli aprì il Crocifisso. Una sorgente di rettitudine ha recato l’Unigenito dalla croce. Era nel Crocifisso dentro la forza de Padre; il fuoco gli soffiò dal cuore in azione dalla piaga.

Giobbe 14,4 – La Madre fu da forza il Crocifisso ad inviare dal cuore che nel mondo reca al verme immondo il ‘no’ dell’Uno.

Giobbe 14,5 – Inizia con la Madre una trebbia ad essere in vita. Sono i viventi ad essere portati alle acque. In pienezza soffia nel corpo dell’Uno la resurrezione che è stata portata dall’Unigenito dalla croce. Il vigore versano e nell’agire illuminano le esistenze. È dalla croce portato il “no” ad esistere del servo.

Giobbe 14,6 – Il Risorto si vide uscire dal mondo, a vivere in alto fu a portarsi per stare dall’Uno. Dal Potente Eterno fu col corpo a salire. Riuscirà così la figura col corpo; un giorno ritornerà! (Vedi: Ascensione Luca 24,50-53 e Atti 1,6-11)

Giobbe 14,7 – Così fu la forza della risurrezione in azione con potenza dal legno dal Crocefisso. Lo sperare nel mondo iniziò per la Madre che l’essenza dell’Agnello crocefisso portò a testimoniare. Fu, ai malati con la parola a portare ad essere puri, segni reca, il “no” indica al sepolcro.

Giobbe 14,8 – Dell’Unigenito la Madre è colpi a rovesciare con forza con gli apostoli dentro la terra al demonio. Il fuoco gli porta, reca in azione frutti. Il morire in cammino colpisce del peccare.

Giobbe 14,9 – Il ribelle chiusosi nei viventi per starvi a vivere, con forza, per la Parola che nelle menti chiuse porta in azione la risurrezione, esce per la mietitura. Dentro i viventi portano gli apostoli la carità ad agire.

Giobbe 14,10 – Recano (gli apostoli) nel cammino il Figlio che è stato dalla morte riportato; è al mondo la potenza della risurrezione recata ad esistere al morire dell’uomo e all’Unico sarà a riportarlo.

Giobbe 14,11 – Alle origini colpì il serpente i viventi. Fu nei viventi a vivere l’angelo (ribelle) l’esistenza. Fu dai viventi a portare l’energia ad uscire dai corpi. Furono alle tombe i corpi dentro portati a disseccarsi…

Giobbe 14,12 -…ma un uomo a giacere porterà il serpente. L’Unigenito è risorto a testimonianza che dentro del serpente la fine ci sarà. Dal cielo il “no” è rovesciato, è il precetto recato al serpente. Per l’Unigenito saranno visti i corpi riportati in vita risorti per l’energia della purezza.

Giobbe 14,13 – A vivere risaranno. Sarà il drago ad abitare negli inferi. Alla fine, sceso dalle persone, inviato sarà a finire in un buco, finalmente lancerà lamenti, per sempre. Il fuoco gli porterà dentro, con ira lo pesterà, sarà la fine del serpente, gli sarà la legge recata, finirà il ricordo dell’angelo (ribelle) dall’esistenza.

Giobbe 14,14 – Riinizieranno in vita ad essere dalla morte gli uomini. Fuori saranno dalle tombe a riesistere al mondo. Tutti risaranno a vivere, risaranno le schiere ad esistere. Inizia lo sperare che dall’eternità dentro porti l’Unigenito il cambiamento completo dell’esistenza.

Giobbe 14,15 – Alla fine si riverserà alla vista, si porterà “io sono”, si rivedrà con gli angeli dalla sposa in vita, si vedrà il risorto riuscire, sarà con mano forte così completamente dal trono la Parola.

Giobbe 14,16 – Così risarà, nel tempo riuscirà, giù l’Eterno sarà, segnato dai fori il Verbo porterà il corpo, con potenza verrà, brucerà dai viventi il male del serpente, del peccare la fine sarà.

Giobbe 14,17 – Delle tombe alla fine i viventi da dentro su coi corpi porterà guariti, ad ardere si vedrà essere portata finalmente dai cuori dal Verbo con potente azione il serpente di cui la colpa fu.

Giobbe 14,18 – E i corpi dei viventi rigenererà. Aborto sarà da dentro portato il serpente e giù ne porterà nei corpi ad essere l’azione finita. Lo rovescerà dalla vita nella putredine che ai viventi recò.

Giobbe 14,19 – (In quest’ultimo stralcio di profezia non si parla più del serpente.) Per l’Unico dal Figlio saranno liberati dalla tomba, risorti saranno i morti, li inonderà appieno la Parola di forza di vita, usciranno dalla polvere, con l’originario corpo su si porteranno, la speranza completa dell’Uomo esce dal Padre da legge divina.

Giobbe 14,20 – Alla fine con autorità fuori li porterà con potenza per sempre e saranno dal mondo in cammino i viventi risorti da angeli a uscire. Il Verbo dagli angeli sarà a portarli ed alla fine a vivere in pace fuori li condurrà.

Giobbe 14,21 – Saranno tra i retti in vesti di lino condotti. Tra i figli saranno portati e dal Potente Unico saranno alla conoscenza recati. Saranno su a vederlo col corpo e portati dal Potente Unico saranno a casa, saranno angeli del Potente i viventi recati.

Giobbe 14,22 – Dall’Unico retti con la carne (a casa risorti col corpo) condotti dall’Altissimo e saranno così dal Padre portate le anime e dall’Altissimo sarà portato a finire il lutto.
(Apocalisse 21,4b “non ci sarà più la morte, né il lutto né il lamento, né affanno”)

L’UOMO SI MASCHERAultima modifica: 2018-06-25T16:51:41+02:00da mikeplato
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