INTERVISTA A GRAZIA MARCHIANO’

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di ANTONIO GNOLI

I suoi genitori come l’accolsero dopo tre anni? “C’era perplessità e sospetto, soprattutto da parte di mia madre che rimase traumatizzata quando le annunciai che Zolla mi aveva chiesto di andare vivere con lui. Era il 1977. Allora abitava nel sottoscala di una pensione all’Aventino”. Il 1977 è l’anno in cui muore Cristina Campo. “Morì nel gennaio. Da tempo i rapporti tra Cristina e Elémire si erano alterati. Non vivevano più insieme. Nella casa di Montepulciano, dove Grazia Marchianò vive, ci sono i segni della sua doppia passione: per l’Oriente e per Elémire Zolla. Ricordo una visita – forse un paio di anni prima che il professore morisse, nel 2002. Allora, il maestro, che con i suoi libri aveva reso meno scontata la cultura italiana, mi apparve nella luce di una eleganza mentale assoluta, inscritta in una composta rassegnazione. Come se l’intelligenza nomade del suo io, la vocazione a sorprendere l’interlocutore, si fosse intimamente adattata a un ambiente appartato e quieto. Che io sia qui, dunque, in un freddo pomeriggio intristito dalla pioggia, non è solo per il tardivo omaggio a un grande sapiente ma anche per tentare di comprendere la persona che per quasi trent’anni gli è vissuta accanto. E mi viene da pensare a quale destino ci si consegna convivendo con una personalità prorompente. Nel caso della Marchianò ho la sensazione che quel destino sia duplice: da un lato abbia cercato di seguire la scia dell’uomo che ha amato, dall’altro ha provato a liberarsene. In fondo è questo il messaggio che mi giunge con sommessa determinazione, da una donna consapevole che c’è ancora un lavoro da svolgere (la cura dell’opera omnia di Zolla per Marsilio), ma anche una nuova strada da intraprendere.

Si riconosce in questo duplice karma?
“Il karma non è mai qualcosa di fatale che ha a che vedere con la rassegnazione, non è il destino come l’Occidente lo conosce. Karma sono le azioni, soprattutto spirituali, che compiamo. Tali da liberarci dalla pesantezza dell’ego. Con Elémire abbiamo compiuto un lungo tratto di strada. Mi ha affascinato la sua immensa cultura. Ma non mi considero una sua immagine riflessa. E poi quale delle tante?”.

Nel senso?
“Nel senso che Zolla è stato in periodi diversi molte cose diverse. Sommando esperienze anche contrastanti. Tra me e lui ci fu una reciproca distanza. Non ha mai influito sulla mia vita accademica. E del nostro rapporto non me ne sono mai avvantaggiata”.

Quando dice che non ha influito cosa intende esattamente?
“Mi sono formata in India dove ho vissuto per tre anni. Non conoscevo ancora personalmente Elémire. Ho insegnato per 30 anni a Siena estetica comparata, mettendo a confronto la cultura indiana e quella occidentale. Quando ci siamo conosciuti sapevo chi fosse e volevo incontrarlo, frequentarlo. Fu Armando Plebe, il mio relatore di laurea, che disse a Zolla di una ragazza che essendo stata in India voleva conoscerlo. Si incuriosì”.

Vi incontraste quando la prima volta?
“Incontrai Zolla nel 1969-70 al tempo in cui era segretario dell’Istituto Accademico di Roma. Avevo scritto un saggio rimasto inedito sulla presenza del diabolico nella narrativa piemontese del dopoguerra, esaminando questa vena nei romanzi di vari scrittori: Calvino, Citati, Soldati, Arpino, e lo Zolla autore di Minuetto all’inferno, che vinse il Premio Strega per l’opera prima 1956. Alcuni di loro mi risposero: Calvino e Zolla, che mostrò di apprezzare l’intuizione sul diabolico. Poi lo invitai a tenere una conferenza all’università della Calabria dove, appena tornata dall’India, avevo ottenuto il mio primo incarico”.

Zolla venne?
“Sì, tenne una conferenza sul “Simbolismo dei mestieri tradizionali”. Parlò davanti a un gruppo di studenti e professori di estrema sinistra, in un clima incendiario. Ai loro occhi lui era lo strano reazionario che pubblicava dall’editore Rusconi. Circondato da questa fama scoppiò un subbuglio. Riuscì, comunque, a portare a termine la sua lezione”.

Non erano anni facili per chi osteggiava la cultura marxista.
“Non lo erano. Del resto la parte tradizionalmente più “sovversiva” del catalogo Rusconi fu scelta e voluta da Zolla. Autori come Marius Schneider, Guido Ceronetti, Pavel Florenskij, Simone Weil, Eric Voegelin, Giorgio de Satillana o lo stesso Tolkien, del quale aveva imposto Il signore degli anelli, erano totalmente estranei all’egemonia culturale della sinistra. Sì, furono anni difficili, tanto è vero che alla fine degli anni Sessanta andò a vivere in America per continuare i suoi studi sullo sciamanesimo. Cominciò allora a scrivere in inglese. Era un modo per tornare alle sue origini, alla lingua ereditata dal padre”.

Le sue origini invece quali sono?
“Sono nata a Parma. Mio padre avrebbe voluto seguire il proprio sogno di pittore. Invece dovette lavorare per mantenerci. Mia madre ebbe molte aspettative nei miei riguardi che io “tradii” lasciandole un senso di sgomento”. Che cosa la deluse? “La mia partenza per l’India la gettò nell’ansia. Pensava che fossi una delle tante fricchettone in cerca di scampoletti spirituali. Pensava che mi drogassi. Ma non erano questi gli scopi del mio viaggio”.

Cosa fece in India?
“Cercai i miei maestri. Due lo furono in particolare: Nisargadatta Maharaj della dottrina Vedanta e Osho le cui lezioni ascoltai in un appartamento di Bombay”.

Negli anni Settanta si creò in Occidente una cultura New Age. Osho ne divenne una delle icone. Poi, negli Stati Uniti dove si era trasferito, fu travolto dagli scandali.
“Conobbi Osho molto prima che queste cose accadessero e delle quali lui personalmente non fu mai responsabile. Rajneesh, era il suo nome, fu uno straordinario maestro. Viveva in un appartamento a Bombay, frequentato da devoti indiani e giovani occidentali. Commentava le Scritture indiane e seguivo i corsi di meditazione tenuti da suoi allievi avanzati. Partecipai a dei ritiri in Rajasthan. Rajneesh costituì un movimento trasgressivo denominato “Nuovo Sannyas”. Trasgressivo perché aggiornava il concetto tradizionale di “rinuncia” caratteristico della pratica antica del sannyas, rovesciandolo. Aderii in pieno a questa visione ma presi congedo dal movimento. Tornai dunque in Italia”.

I suoi genitori come l’accolsero dopo tre anni?
“C’era perplessità e sospetto, soprattutto da parte di mia madre che rimase traumatizzata quando le annunciai che Zolla mi aveva chiesto di andare vivere con lui. Era il 1977. Allora abitava nel sottoscala di una pensione all’Aventino”.

Il 1977 è l’anno in cui muore Cristina Campo.
“Morì nel gennaio. Da tempo i rapporti tra Cristina e Elémire si erano alterati. Non vivevano più insieme. Lui, del resto, insegnava a Genova e lei metteva in pratica le sue convinzioni ortodosse”.

Perché secondo lei i rapporti tra i due si deteriorarono?
“In questo caso credo di poter dire che Elémire rifiutò l’impegno diretto di Cristina per l’ortodossia cattolica. E non perché fosse a favore del Concilio Vaticano II, ma perché non poteva ammettere una militanza così forte ed esposta. Zolla è sempre stato estraneo a qualunque tipo di adesione”.

Tornerei a sua madre. Perché fu traumatizzata dalla notizia del suo rapporto con Zolla?
“Aveva altre aspirazioni per me. Ricordo che mi disse: ma come fai a metterti con un uomo così, un vecchio e per giunta malato? Restò sconvolta”.

Con Zolla vi sposaste?
“Nel 1980, matrimonio civile. E dopo quel gesto calò su di noi un silenzio assoluto”.

Cioè, cosa accadde?
“Quasi tutti i suoi amici, quelli che avevano attraversato la sua vita, smisero di frequentarlo”.

A chi si riferisce?
“C’erano quelli della prima cerchia, di quando giunse a Roma nel 1958, cioè Moravia, Siciliano, lo stesso Pasolini. Poi il suo amico strettissimo, Pietro Citati”.

Zolla come reagì?
“Non reagì. Vede, era un uomo malato ma con una mente geniale e con un senso di assoluta solitudine ed estraneità al mondo”.

Non pensa che il distacco dagli amici dipendesse dal fatto che ai loro occhi lo Zolla che avevano conosciuto non era più lui e che forse subiva troppo la sua influenza?
“Quella che abbiamo vissuto insieme è stata una stagione splendida segnata da una progressiva messa a distanza dei vecchi amici, e una evidente loro avversione nei miei confronti ma il vero motivo mi è rimasto senza risposta. Forse il fatto di non avere un temperamento mondano, di essermi arroccata con lui in una vita solitaria a Montepulciano può essere stato scambiato per alterigia. Le ostilità sono proseguite dopo la morte, via via che raccoglievo i suoi scritti. Centinaia di pagine di scavo nel suo pensiero, nella sua visione del mondo sono passate inosservate e il vecchio ostracismo verso di lui è ricaduto su di me. Mi sono disciplinata a reggere questa ed altre prove”.

Quando dice “stagione splendida” si riferisce all’ultima fase del pensiero di Zolla?
“Ne Il conoscitore di segreti illustro le stagioni della biografia di Zolla che lui avrebbe voluto cancellare, cui corrispondono altrettante fasi del suo impegno di scrittore e di incontri femminili determinanti. La prima, tra Torino e i primi anni romani, fu la fase letteraria segnata dal brevissimo e tormentato matrimonio con Maria Luisa Spaziani. La seconda fu l’incursione nella mistica cristiana, l’immersione nel pensiero tradizionale ( Che cos’è la tradizione 1971), la formulazione di un’antropologia spirituale senza confini ne Le potenze dell’anima (1968), e il primo viaggio negli Usa ( I letterati e lo sciamano, 1969). È la fase segnata dalla convivenza con Cristina Campo. Alla sua morte, inizia la terza fase di consuetudine con me della spiritualità orientale. È stata un’adesione convinta e totale di cui è prova l’immenso ventaglio tematico della rivista Conoscenza religiosa (1969-1983) con i fascicoli speciali sull’India, il Taoismo e il Buddhismo, la Simbologia, lo Sciamanesimo”.

Dal suo racconto viene fuori un’immagine di lei e Zolla proiettati in un mondo altro. Ma in una coppia c’è la vita di tutti i giorni. La vostra come fu?
“Piuttosto complicata, aggravata dal fatto che stabilì rapporti difficili con i miei genitori”.

Non è che loro lo avessero pienamente accettato.
“È vero, ma è come se i rispettivi mondi non comunicassero e Zolla non fece nulla per appianare le difficoltà. Mia madre morì pochi mesi dopo il nostro matrimonio. Mio padre, un uomo sostanzialmente mite, cercava un qualche straccio di rapporto. E quando, dopo le ripetute ostilità, mio padre gli disse che non gli doveva nulla, fu la fine. Mi sentivo scaraventata in mezzo a queste tensioni terribili ed era molto complicato trovare un punto di equilibrio. Poi mio padre si ammalò di angina”.

Cosa accadde?
“Era l’ultima estate del 1988, affittai per lui una piccola casa vicino Cortona, in modo che potessi stargli vicino e assisterlo. Ma Elémire non sopportava questo signore che chiedeva solo di vivere. Poi papà si aggravò. Il ricovero in ospedale coincideva con un viaggio con Zolla in Birmania. Chiesi a Elémire cosa dovevo fare. Rispose: io parto”.

E lei?
“Decisi di seguirlo. Fu una scelta terribile. Ma sapevo che, se non avessi ceduto, il nostro rapporto si sarebbe dissolto”.

La sua è una storia molto tormentata.
“L’adesione a un sapere che nel corso di un quarto di secolo ho condiviso alla luce del mio bagaglio personale di conoscenze, e d’altra parte il desiderio di assisterlo nella sua fragilità di uomo fisicamente colpito da svariate patologie, affrontando in totale solitudine situazioni drammatiche di ricoveri e malattie fino all’aggravamento irreversibile negli ultimi anni a Montepulciano, sono stati i motivi dominanti di una “devozione” umana e intellettuale totale. A fronte di questa esperienza illuminante, i rammarichi soggettivi, le occasioni di tristezza e talvolta di rimpianto nei confronti dei miei genitori sono marginali”.

Sono trascorsi quasi 15 anni dalla scomparsa di Zolla. Come ha riempito la sua vita?
“Come una persona che ha rotto la bolla nella quale si era chiusa. Voglio dire che accanto all’attività svolta e da svolgere per il suo lavoro, per i suoi libri, c’è anche la mia esigenza di conservare una libertà interiore. Per questo nel 2008 sono stata per alcuni mesi in Giappone in un monastero buddhista a Koyasan al fine esclusivo di studiare laicamente i processi mentali frutto della meditazione profonda e del silenzio”.

C’è riuscita?
“Lo spero, purtroppo oggi parole come “esoterismo”, “spiritualità”, “mistica”, “risveglio” sono inquinate da tutto quello che l’Occidente ci ha messo dentro. Bisogna guardare le cose come sono, è questo il maggior insegnamento di Zolla. Quanto al buddhismo giapponese, è molto diverso

 

da quello indiano. Quest’ultimo si basa sulla dottrina, sulla parola, sulle spiegazioni. L’altro sul gesto e il silenzio. Il percorso interiore non è frutto di discussioni dialettiche ma di una apprensione solitaria. Come del resto è stata quasi tutta la mia vita”.

INTERVISTA A GRAZIA MARCHIANO’ultima modifica: 2018-09-06T13:31:20+02:00da mikeplato
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