SINDONE. LO STATO DELLA RICERCA

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COSA E’ LA SINDONE (di Giulio Fanti)

La presentazione della reliquia cristiana più famosa del mondo, che da secoli fa discutere teologi e scienziati su come si sia prodotta, frutto di un processo naturale spontaneo, opera d’arte o vera testimonianza della Resurrezione di Cristo.

La Sindone è un lenzuolo di lino rettangolare dalla manifattura molto antica, lungo 4,4 m e largo 1,1 m, che porta impressa un’immagine frontale e dorsale di un uomo duramente flagellato e morto in croce e che, secondo la tradizione, ha avvolto il corpo di Gesù di Nazareth, il quale «ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2:6). Molti scienziati confermano questo, ma qualcuno ancora sostiene con ogni mezzo che la Sindone sia l’opera di un artista, forse medievale. Tale accanimento è probabilmente causato dal fatto che, se si ammette che Gesù sia stato avvolto nella Sindone e abbia sofferto tutte quelle torture per noi uomini, si dovrebbe anche agire di conseguenza in riferimento agli insegnamenti evangelici. Dato che molto spesso una trattazione mista, storico-scientifico-religiosa, del problema causa interferenze che ne limitano l’oggettività, si preferisce trattare di seguito la questione soltanto dal punto di vista scientifico.

Descrizione
Il termine “sindone” deriva dal greco antico sindon e indica un lenzuolo o un pezzo di stoffa. Al primo sguardo appaiono le bruciature causate dall’incendio di Chambéry (Francia), che nel 1532 danneggiò gravemente la Reliquia; esse si presentano come macchie giacenti su due linee longitudinali e un insieme di fori, causati da un oggetto rovente che colpì la cassetta in cui si trovava piegato il Lenzuolo. È meno facile scorgere le seguenti caratteristiche, che appaiono evidenti dopo un’analisi più attenta:

– la doppia immagine corporea, frontale e dorsale, di un uomo che fu avvolto nel Lenzuolo in seguito alla flagellazione, alla coronazione di spine, alla morte per crocifissione e dopo essere stato trapassato, da morto, con un colpo di lancia al costato destro;
– le tracce di sangue e siero che corrispondono alle ferite dell’Uomo avvolto e che presentano caratteristiche assai particolari, anche perché non evidenziano sbavature; indicano quindi che l’Uomo non fu estratto manualmente dal Lenzuolo;
– alcuni aloni causati da acqua che probabilmente ha inquinato il sacro Lino in tempi molto antichi;
– altre tracce lasciate da incidenti precedenti a quello del 1532; si possono per esempio osservare tracce di cera riconducibili a un uso del sacro Lino come tovaglia d’altare in tempi antecedenti alla metà del XIV sec. d.C.;
– alcune microtracce d’interesse per lo studio del Lino, quali il polline e il terriccio.

Nel 1973 e nel 1978 il botanico Max Frei Sulzer individuò sulla Sindone granuli di polline di piante presenti in Francia e in Italia, ma anche di molte altre, tipiche delle zone desertiche del Medio Oriente; purtroppo Frei morì nel 1983 prima di portare a termine un lavoro esaustivo. Alcuni studiosi criticano i risultati ottenuti perché carenti di un’analisi statistica e sarà necessario, perciò, eseguire nuove indagini in futuro. Gli studi condotti nel 1978 dagli scienziati dello STURP (Shroud of TUrin Research Project), un gruppo di una quarantina di professori e ricercatori statunitensi che ininterrottamente, in 120 ore di prove sperimentali dirette sulla Sindone, ottennero i risultati scientifici più attendibili e approfonditi, hanno fornito informazioni importanti: per esempio, sul tessuto, nella zona di uno dei talloni, ci sono tracce di polvere che fanno dedurre che l’Uomo abbia camminato scalzo. Le particelle mineralogiche presenti in quella zona sono di aragonite, con piccole quantità di stronzio e ferro, e sono molto simili ai campioni di carbonato di calcio prelevati da una tomba a Gerusalemme. È stato trovato anche materiale terroso in corrispondenza dell’immagine della punta del naso e del ginocchio sinistro, il che porta a dedurre che l’Uomo sia caduto a terra senza possibilità di ripararsi con le mani, che erano legate al patibulum, la parte orizzontale della croce. Fino al giugno 2002 si potevano vedere le toppe cucite dalle suore clarisse nel 1534 per riparare parzialmente i danni provocati dall’incendio di due anni prima, ma ora queste pezze sono state asportate e i fori dovuti all’incendio sono stati lasciati scoperti. La manifattura della Sindone è rudimentale e il lino usato è stato filato a mano. Ogni filo di tessuto è composto da un centinaio di fibrille e l’evidente irregolarità fa pensare a una manifattura grossolana. Ogni fibrilla ha un diametro di circa 0,015 mm. La torcitura “Z”, in senso orario, è opposta a quella “S” più comune nei tessuti confezionati nell’antico Egitto. Questo elemento fa pensare a un’origine siro-palestinese: lini con torcitura “Z” sono stati infatti rinvenuti a Palmyra (Siria), ad Al-Tar (Iraq) e nel deserto della Giudea. La tessitura, che presenta errori e salti di battuta, è del tipo “tre-a-uno” e forma il cosiddetto aspetto a “spina di pesce”. Alcuni scettici affermano che la particolare tessitura daterebbe la Sindone al Medioevo perché non era nota nell’antichità: sono stati trovati invece reperti simili a Palmyra, nell’attuale Siria, databili al III sec. d.C., e in Egitto risalenti al II sec. d.C.

L’immagine umana
Le due tenui sembianze di un corpo umano, a grandezza naturale, sono la parte più importante della Sindone. Il corpo raffigurato è quello di un uomo sulla trentina con la barba e i capelli lunghi; risulta morto prima di essere deposto; è dotato di evidente rigidità cadaverica. L’Uomo della Sindone presenta molteplici traumi: tumefazioni sulla fronte, sulle arcate sopracciliari, sugli zigomi, sulle guance e sul naso; nel complesso, però, il volto ha un aspetto composto e sereno. La barba e i capelli complicano la spiegazione della formazione dell’immagine corporea, perché non è facile riprodurre sperimentalmente la loro sofficità. La barba sembra parzialmente strappata e i capelli della parte sinistra del capo sono più marcati. L’immagine corporea ha caratteristiche chimico-fisiche molto particolari che per il momento la scienza e la tecnica non riescono a riprodurre nella loro completezza; l’immagine, quindi, non è un dipinto, una stampa o una fotografia e non è il risultato di una strinatura prodotta con un bassorilievo riscaldato. Anche se non è ancora noto il meccanismo all’origine dell’impronta, si può ipotizzare un fenomeno come un lampo di radiazione. Per questo motivo due anni fa si è formato su internet un gruppo di studiosi della Sindone, nominato ShroudScience, composto da una settantina di ricercatori tra cui docenti universitari, medici e scienziati di tutto il mondo, alcuni a favore dell’autenticità, altri contro, con lo scopo di approfondire le caratteristiche dell’immagine corporea e di cercare di capire quale fenomeno potesse averla generata. ShroudScience ha deciso di redigere una lista di caratteristiche chimico-fisiche della Sindone sulla quale poi basare le future discussioni sulle possibili ipotesi di formazione dell’immagine. La lista, non ancora definitiva, consiste in più di 120 fatti indiscutibili e in più di una trentina di dati in fase di studio, come ad esempio il polline, la radiodatazione, la presenza di spezie quali aloe e mirra. Fra le caratteristiche più importanti è emerso che l’immagine corporea è dettagliata, con una risoluzione di pochi millimetri, ma nello stesso tempo senza contorni definiti; essa, inoltre, non è fluorescente in luce visibile, ha caratteristiche tridimensionali e l’intensità del colore, giallo paglierino, è simile in ogni zona perché i chiaroscuri dell’immagine non hanno diverse tonalità di colore, ma sono causati dalla presenza di un numero più o meno elevato di fibrille di lino di uguale intensità di colore, affiancate a fibrille prive di colore. Per capire l’estrema superficialità dell’immagine, si pensi che un filo di lino della Sindone è composto da un centinaio di fibrille e soltanto le fibrille appartenenti ai 2-3 strati più esterni del filo sono colorate, le altre no. Ma c’è di più. Le fibrille del lino sono di forma cilindrica cava all’interno, costituite principalmente di cellulosa, ma quelle della Sindone sono ricoperte da un sottile strato composto da amido e polisaccaridi, forse apposto durante la tessitura per fare scorrere meglio i fili dell’ordito. Sulle fibrille colorate non c’è traccia di pigmenti né tanto meno di colore trasferito direttamente o per capillarità; la cellulosa che compone la fibrilla non è colorata. Il colore risiede solamente nello strato superficiale esterno ed è derivato da una disidratazione dei polisaccaridi. Se si toglie questo sottile rivestimento a una fibrilla colorata si osserva il suo nucleo privo di colore. Com’è possibile ottenere in laboratorio un risultato simile? Per il momento non ci sono risposte esaustive, anche perché il prodotto dovrebbe avere caratteristiche di tridimensionalità, negatività, ecc. La tecnica di formazione dell’immagine che meglio approssima tali risultati potrebbe essere quella basata sul cosiddetto “effetto corona”, che consiste in un intenso campo elettrostatico generato da un corpo umano e che scarica parzialmente gli elettroni sul lenzuolo di lino, ma devono essere condotti ancora molti studi prima di affermare che questa è la causa dell’immagine corporea.

Le macchie di sangue  e siero
L’immagine corporea si è formata su un lenzuolo già macchiato di sangue e siero. Le tracce rosse sono di sangue e corrispondono alla posizione sul corpo delle ferite; esse si sono formate per contatto diretto e attorno a esse si possono notare i relativi aloni di siero. Queste tracce sono estremamente difficili da riprodurre con mezzi artificiali, perché si tratta di sangue coagulatosi sulla pelle di un uomo ferito e ridiscioltosi per fibrinolisi, a contatto con la stoffa umida. È sangue umano molto antico contenente metaemoglobina e bilirubina. Sono evidenti segni di lesioni lacero-contuse riconducibili al flagrum, il flagello romano: si contano un centinaio di colpi. In corrispondenza del cuoio capelluto ci sono numerose impronte correlabili a ferite da punta provocate da una corona di spine; da esse dipartono diverse colature di sangue coagulato, secondo la direzione della gravità, quando l’Uomo era in posizione eretta. Sul lato destro della cassa toracica si nota una ferita che è stata prodotta da una punta di lancia; da questa è uscito un fiotto di sangue più denso del normale, seguito da una fuoriuscita di siero: è tipico di un uomo deceduto in seguito a un notevole accumulo di sangue nella zona toracica. Questa panoramica generale, anche se ovviamente non esaustiva per un problema così complesso quale quello delle caratteristiche scientifiche della controversa Reliquia, ha lo scopo di essere un’introduzione propedeutica agli ulteriori approfondimenti che saranno trattati nei prossimi articoli.

LA STORIA DELLA SACRA SINDONE. GLI ANNI PERDUTI (di Adriano Forgione)

Il Telo di Torino, sebbene appaia in Francia alla metà del 1300, ha alcune correlazioni con reliquie venerate in Terra Santa a partire dai primi secoli dopo Cristo. Come giunse in Europa e che ruolo ebbero i Templari nella sua conservazione?

Esiste una storia sconosciuta della Sindone, che ci narra di un telo risalente al I sec. d.C. con un’immagine di Cristo nota come Immagine di Edessa (dal VI al X sec.) e come Mandylion (dal X al XIII sec.). Essa era la più rinomata figura di Gesù su tela ed era ritenuta non essere opera dell’arte di un pittore, non essere stata eseguita da mano umana ed essere stata miracolosamente impressa da Cristo stesso. Gli artisti di ogni angolo del mondo conosciuto si recavano a copiare quell’immagine. Nell’ultimo quarto del secolo scorso gli storici hanno ipotizzato che quel telo in realtà fosse la sacra Sindone. Le immagini del corpo impresso sulla Reliquia sono composte da cellulosa ossidata e deidratata. Il lino ingiallisce o si scurisce naturalmente con il tempo per ossidazione e deidratazione. Anche se qualcosa (il maggiore sospetto cade su una qualche specie di radiazioni) ha causato un imbrunimento più veloce o maggiore rispetto al resto della Sindone, l’ingiallimento generale del lino è avvenuto a causa del processo di invecchiamento. Un tale fenomeno confermerebbe le descrizioni che abbiamo dell’Immagine di Edessa/Mandylion. Esso spiegherebbe un altro paradosso storico. Anche se i Vangeli, oltre a diverse fonti apocrife e storiche dei primi secoli della nostra era, menzionano chiaramente il sudario di Cristo, nessuno di essi parla di un’immagine su un telo. Allo stesso modo, mentre esistono diversi racconti storici e persino leggendari che affermano che l’Immagine di Edessa abbia origine nel I sec., nessuno di essi è stato scritto prima del 1500. Molti studiosi oggi credono che il Mandylion, in realtà, sia stato riscoperto nel VI sec., quando pesanti inondazioni hanno indotto alla ricostruzione delle mura della città anatolica, in quanto il lenzuolo con l’impronta del corpo potrebbe essere stato rinvenuto in un nascondiglio nelle mura, nel quale sarebbe stato riposto secoli prima, senza che presentasse alcuna impronta.  L’Immagine di Edessa/Mandylion è stata descritta in varie fonti storiche come una “sindone”, nel senso di sudario; come un telo lungo diversi metri; come un himation, il grande mantello oblungo degli antichi greci; e come un peplum, il classico abito drappeggiato; oltre a essere definito un piccolo telo. Cosa interessante, questo telo era indicato anche con la parola tetradiplon, che in greco significa “piegato in quattro”. In tutta la letteratura, questa parola viene usata unicamente per definire l’Immagine di Edessa, e potrebbe essere intesa a descrivere il modo in cui la Sindone era piegata e incorniciata quando veniva mostrata solo l’immagine facciale. Nel 1978 gli scienziati dello STURP hanno scoperto chiari segni di questa piegatura in quattro sulla Sindone. Tali segni, simili a quelli che si producono quando si piega un lenzuolo, consistono in sette righe di piegatura (in realtà non si è potuta verificare la presenza della settima riga a causa di bruciature, rattoppi e macchie d’acqua). Se la Sindone viene piegata in tal modo, resta visibile solo la testa in una cornice orizzontale, invece che verticale. E’ interessante notare che tutte le copie che sono state fatte del Mandylion prima della sua scomparsa nel XIII sec., tranne due, sono state eseguite su tele orizzontali. Ora, il ritratto di un viso su una tela orizzontale è innaturale e contrario a tutte le convenzioni artistiche. E questa potrebbe essere una delle ragioni più forti a sostegno della teoria che la Sindone e il Mandylion siano lo stesso oggetto. Il fatto che una caratteristica del genere persista attraverso tanti secoli suggerisce che tutti gli artisti che hanno copiato il Mandylion devono aver tentato di riprodurre perfettamente l’originale, che usavano come modello. A partire dal VI sec., con la riscoperta dell’Immagine di Edessa, il modo tradizionale in cui veniva rappresentato Gesù viene alterato drasticamente. Prima di allora Cristo veniva usualmente raffigurato come un giovane senza barba e dai capelli corti. Dopodiché acquisisce l’immagine tradizionale cui siamo abituati, con i capelli lunghi che cadono sulle spalle, con una parte raccolta nel mezzo, un naso maggiormente prominente, un viso più allungato e definito, con i baffi e la barba biforcuta: come nella Sindone. Il Mandylion e l’Immagine di Edessa venivano anche descritti negli stessi termini applicabili alla Sindone com’è visibile a occhio nudo. Venivano definite vaghe, sbiadite e offuscate, come un’impronta, e si diceva che non fossero dipinte con il colore dall’arte di un pittore. Inoltre, erano famose per non esser state realizzate da mano umana e per essere state impresse da Cristo stesso.

Descrizioni analoghe
Vi è anche un certo numero di descrizioni e di dipinti che rappresentano l’intera figura e sono simili all’immagine totale della Sindone. Osserviamo ora due di questi testi che vennero redatti agli inizi del XIII sec., appena prima della sparizione del Mandylion da Costantinopoli. Il primo viene da La conquista di Costantinopoli di Robert de Clary, un soldato della IV Crociata che descrive le sue visite giornaliere alla città del Bosforo, mentre la sua armata era accampata minacciosamente fuori dalle mura. Descrivendo la Sindone e il suo aspetto affermava: «C’era un’altra delle chiese, che chiamavano Nostra Signora di Blachernae, dove veniva conservata la Sindone, in cui si diceva che Nostro Signore era stato avvolto, che veniva mostrata in piedi ogni venerdì, cosicché la figura di Nostro Signore poteva esservi vista completamente, e nessuno, sia costui greco o francese, seppe mai che cosa accadde a quel sudario quando la città venne presa».  Appena tre anni prima, nel 1201, Nicola Mesarites, sorvegliante imperiale delle reliquie a Costantinopoli, scrisse anch’egli della Sindone. In quell’anno, durante una rivolta di palazzo, difese una cappella dalla sommossa. In connessione con ciò scrisse: «In questa cappella il Signore risorge ancora, e la Sindone con i lenzuoli funebri ne sono chiara prova […] ancora odorosi di fragrante mirra, sfidando il decadimento, perché avvolgeva il misterioso cadavere nudo dopo la Passione». Interessante notare che l’Immagine di Edessa/Mandylion è stata esposta pubblicamente con molta parsimonia, eccetto che in tempi di grandi ambasce e sarebbe stata conservata nello stato in cui è la Sindone oggi. Inoltre, un esame dei numerosi pollini trovati nel sacro Lino dimostra che la maggior parte di essi è più facile da trovare in Medioriente piuttosto che in Europa, dove la Sindone è rimasta sino al 1350. In realtà, i pollini mostrano una storia del Lenzuolo più chiara e definita per quanto riguarda la sua permanenza a Gerusalemme e in Turchia che per il suo trasferimento nel vecchio continente. In seguito all’attacco di Costantinopoli durante la IV Crociata, all’inizio del XIII sec., il Mandylion scompare per sempre dalla storia. Alla metà del Trecento la Sindone, del tutto simile alla descrizione dell’Immagine di Edessa, appare per la prima volta a Lirey, in Francia, sotto il patronato di Geoffrey de Charny.

I Templari
La distanza tra Costantinopoli e la Francia non è poi così vasta e al tempo si verificavano innumerevoli contatti tra le due regioni, specialmente nel corso della IV Crociata, che potrebbe essere responsabile dell’arrivo del sacro Telo in Europa.
La spiegazione più popolare è che i Templari, uno dei grandi ordini cavallereschi nati dalle crociate, abbiano conservato la Sindone/Mandylion in questo periodo intermedio in una delle loro inespugnabili fortezze disseminate per tutto il Medioriente e in Europa. I Cavalieri del Tempio si erano costruiti una reputazione come uno dei gruppi più coraggiosi e fieri delle campagne in Oriente, tanto da attrarre nei loro ranghi gli uomini dal sangue più nobile del loro tempo. Essendo stati i primi banchieri in Europa e una delle principali fonti delle finanze della IV Crociata, si trovavano nella posizione migliore per agire come guardiani, mercanti e prestatori su pegno per il fiorente mercato delle reliquie. I Templari vennero in seguito accusati di possedere diverse copie di un idolo, o testa, chiamato Bafometto, che offriva ai propri membri iniziati uno sguardo alla suprema visione di Dio raggiungibile sulla Terra. Per le particolari messe templari si dice che avessero eliminato le parole di consacrazione, in quanto Cristo era presente in una maniera molto più potente, grazie alla sua immagine. L’idolo templare veniva variamente descritto di dimensioni naturali, incorporeo, testa maschile barbuta, pallido e scolorito. Un dipinto datato tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. e rinvenuto in un luogo appartenuto ai Templari presso Templecombe, in Inghilterra mostra molte somiglianze con alcune copie dell’Immagine di Edessa e potrebbe essere stato basato sul loro idolo o su una delle copie. Nel 1307 i rossocrociati furono vittime di un attacco da parte delle forze di re Filippo IV di Francia. Nonostante le ricerche, la reliquia non fu mai trovata. Gli storici dicono che l’idolo templare, il Bafometto, sia successivamente riemerso a Lirey per mano di un certo Geoffrey de Charny nel 1355 (era quindi la Sindone). Nel 1314, accanto al Gran Maestro templare Jacques De Molay, fu messo al rogo un altro nobile maestro di alto lignaggio: il precettore di Normandia, una regione poco distante da Parigi. Il suo nome era Geoffrey de Charny, avo e omonimo di colui che la espose quattro decadi dopo.

I TEMPLARI E LA SINDONE DI GESU’ (di Adriano Forgione)

Barbara Frale, storica e ricercatrice dell’Archivio Segreto Vaticano, ha individuato prove documentali che indicano la presenza della Sindone tra i Templari. Ne parla nel suo saggio I Templari e la Sindone di Cristo, apportando prove dell’esistenza del Sacro Telo molto tempo prima della datazione suggerita dall’esame al C-14 del 1988. FENIX ha  intervistato la dottoressa Frale.

La Sindone, la Reliquia più importante della cristianità, il Telo sepolcrale che avrebbe avvolto il corpo di Gesù crocifisso e che sembrerebbe essere stato “impresso” dall’energia scaturita nel sovrannaturale momento della resurrezione, sarebbe stato custodito dall’Ordine Templare in un preciso momento della sua storia. Questa è la scoperta, basata sulle ricerche documentali della storica dell’Archivio Segreto Vaticano, Barbara Frale, pubblicata nel suo saggio I Templari e la Sindone di Cristo (Ed. Il Mulino) in cui spiega approfonditamente il legame tra il noto Ordine di cavalieri e la Reliquia, ancora oggi oggetto di aspre discussioni. Sino a poco tempo fa solo ipotizzato dallo studioso di Oxford Ian Wilson, il legame con i Templari è oggi un fatto storico, in quanto La Frale ha identificato alcune documentazioni relative ai processi contro i Templari, da cui si evince che la Reliquia, oggi conservata a Torino, era divenuta un importante oggetto di venerazione e sommo privilegio per i capi dell’Ordine, profondamente legato alla figura di Gesù Cristo. «Ho identificato queste documentazioni – ci ha confermato la Frale, da noi intervistata – mentre svolgevo il dottorato di ricerca sul processo ai Templari all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ho schedato tutte le deposizioni rilasciate dai Templari durante quel processo e che sono giunte fino a noi. Infatti, il documento di cui parlano gli articoli sinora pubblicati è solo una delle varie testimonianze».

In mano ai Templari
Un documento che assume, però, un ruolo di rilievo nella ricerca storica sulla Sindone, sui Templari e su quello che oramai è il loro rapporto, storicamente accertato: «È una deposizione molto simile a tante altre e come tante altre contiene certi elementi che possiamo definire “inquinanti”. Mi riferisco ad esempio a delle dichiarazioni che appaiono vistosamente forzate, inserite nel testo quasi di prepotenza dietro la pressione degli inquisitori. Sappiamo infatti che molti Templari rilasciarono una prima dichiarazione, che però non fu presa per buona e non fu verbalizzata perché era troppo “pulita”, non conteneva dettagli abbastanza scabrosi. Dato lo scandalo che Filippo il Bello aveva montato, gli inquisitori pensavano che mentissero. Così li fecero torturare lungamente, poi li interrogarono di nuovo: stavolta le confessioni erano come “condite” di dettagli macabri e scandalosi (la presenza di streghe ammantate di nero e così via), perciò furono creduti. Però vi sono informazioni sulle quali possiamo essere certi che non furono deformate dalle pressioni e dalle violenze, perché sono indifferenti ai fini dell’accusa di eresia: se l’idolo era una statua, oppure una tavola di legno dipinta, oppure un telo di lino, agli inquisitori non importava. Purché l’interrogato ammettesse che esisteva davvero un idolo, andava bene tutto». Circa il contenuto del documento la dottoressa Frale scrive sull’Osservatore Romano, anticipando i temi del suo libro, che: «Nell’anno 1287 un giovane di buona famiglia del meridione francese, chiamato Arnaut Sabbatier, chiese e ottenne di entrare nell’ordine religioso e militare dei Templari: qualcosa che nella società del tempo costituiva un gran privilegio sotto molti punti di vista. Nato a Gerusalemme poco dopo la prima crociata, con la missione di difendere i cristiani di Terrasanta, quello del Tempio diventò ben presto l’ordine più potente e illustre del medioevo cristiano. Durante la sua cerimonia d’ingresso, dopo aver preso i tre voti monastici di povertà, obbedienza e castità, il precettore condusse il giovane Arnaut in un luogo chiuso, accessibile ai soli frati del Tempio: qui gli mostrò un lungo telo di lino che portava impressa la figura di un uomo e gli impose di adorarlo baciandogli per tre volte i piedi». Dunque quel Telo di lino con una figura impressa era la Sindone e a quanto pare svolgeva un ruolo importante nel periodo in cui fu in possesso dei Templari, essendo impiegata nella cerimonia di ingresso di alcuni frati del Tempio, come suggerisce il documento. Il rituale del bacio sui piedi dell’immagine del Salvatore è qualcosa che troviamo ancora oggi in relazione al Sacro Telo ma anche in altre forme liturgiche cristiane. Ho chiesto alla dottoressa Frale se avesse rilevato altre forme liturgiche legate alla Sindone ma «per ora ho appurato solo quest’uso di baciare le ferite dei piedi, qualcosa di simile a quello che la Chiesa cattolica fa oggi durante la liturgia del Venerdì Santo, quando i fedeli baciano le ginocchia o i piedi di un crocifisso». Potrebbe sorgere il sospetto che l’associazione tra il “telo di lino che portava impressa la figura di un uomo” e la Sindone sia solo un’ipotesi, non essendovi certezza che si tratti dello stesso oggetto. Bisogna però sottolineare che per essere impiegato nella cerimonia d’ingresso, che aveva ovviamente un carattere segreto, doveva trattarsi di un oggetto o Reliquia cui i Templari davano enorme importanza. Inoltre, a favore della tesi non c’è solo quel documento che suggerisce la custodia della Sindone da parte dell’ordine del Tempio di Gerusalemme. Altre testimonianze ne confermano la custodia da parte di questi, come ci dice la Frale: «Oltre alla descrizione di questo culto in cui si baciano i piedi di una figura d’uomo su un lungo telo di lino, ci sono altre descrizioni che permettono di mettere a fuoco meglio la questione: un frate dice che l’immagine non era dipinta, ma era strana e fatta come un segno di bianco e di nero; un altro dice che era di colore rossiccio. Poi ci sono tanti altri indizi, compreso il fatto che il Precettore di Normandia Geoffrey de Charny che era il braccio destro del Maestro Jacques de Molay apparteneva alla stessa famiglia che custodiva la Sindone alla metà del Trecento. In realtà la famiglia Charny era legata ai Templari già dal secolo XIII».

Segretamente custodita
In effetti la cronaca storica della Sindone si intreccia strettamente con la presenza dei Templari in Terra Santa. L’Ordine Templare rivestirebbe, grazie alle scoperte della Frale, un ruolo fondamentale nelle vicende della Sindone antecedenti alla sua ricomparsa in Francia a metà Trecento, nella chiesa-collegiata di Lirey, sebbene gran parte di quel periodo resti ancora oscuro. È la stessa dottoressa Frale ad avercelo confermato direttamente: «Devo precisare che non conosciamo tutta la storia della Sindone anno per anno e per conto mio trovo scorretto sul piano metodologico il voler azzardare per forza delle ipotesi che ci permettano di coprire l’intero arco di tempo (1204-1353) in cui la Sindone “sparisce” dalle fonti storiche note. Sappiamo che le prime testimonianze nell’ordine dei Templari rimontano al 1260 circa, quindi prima può essere stata in mano ad altri custodi. Poi nel 1312 l’ordine del Tempio fu sciolto, quindi per forza di cose dovette passare in altre mani. Diciamo che, per il periodo 1260-1312 circa, la custodia presso i Templari è avvalorata da molte prove».  In effetti, nel 1312 l’ordine monastico-cavalleresco dei Templari venne sciolto dopo essere stato messo sotto processo dal re di Francia Filippo il Bello con l’accusa di eresia. Uno dei capi d’accusa fu quello di adorare un viso incorniciato da una barba e dai lunghi capelli, somigliante molto al volto della Sindone e al Mandylion di Costantinopoli. Nelle fonti del processo è chiamato “Bafometto”. Il Bafometto non fu mai trovato ma si è ipotizzato che avesse a che fare con il viso di Gesù. Nel 1945, a Templecombe, sede templare inglese, venne alla luce un’immagine ispirata chiaramente al viso sindonico, dipinta su legno di quercia tra il XII e il XIV secolo. Le scoperte della Frale offrono corpo a queste informazioni. La studiosa infatti conferma che il Bafometto, l’idolo templare che fu alla base di molte accuse di eresia all’Ordine, fosse in realtà la Sindone: «Circa il Bafometto, i Templari messi sotto interrogatorio descrivono tanti oggetti diversi, molti non ne sanno nulla ma per mettere fine alle torture confessano tutto ciò che gli aguzzini vogliono sentirsi dire. La maggior parte delle descrizioni riguardano in realtà dei reliquiari fatti a rilievo con la testa di un qualche santo e solo una parte minima di esse si riferisce alla Sindone. In effetti lo stesso Filippo il Bello fece mettere per iscritto nel suo atto d’accusa che solo pochissimi Templari erano al corrente dell’“idolo”. In ogni caso, l’unico studioso che lanciò un’ipotesi affascinante e seria su questo aspetto fu Ian Wilson, laureato in storia a Oxford, che scrisse un libro nel 1978. Gli altri, venuti dopo, sono più che altro scrittori dilettanti che si improvvisano storici senza aver fatto gli studi necessari, perciò sbagliano a leggere i documenti antichi e scrivono teorie che non reggono alle prove storiche. Leggere e capire documenti vecchi di sette secoli richiede anni di studi specialistici, svolti sotto la guida di storici molto esperti. Personalmente ho sviluppato la ricerca a partire dal 1996 lavorando in uno dei migliori atenei d’Europa, l’Università di Venezia, e i professori che mi hanno seguito mi hanno imposto subito una regola d’oro, che ho poi tenuto sempre a mente: leggere solo libri scritti da storici veri, storici di professione. Gli altri fanno solo perder tempo e confondono le idee». In effetti Ian Wilson, nel suo saggio The Shroud of Turin del 1978, aveva già avanzato l’ipotesi che i Templari avessero custodito la Sindone, il cui telo sarebbe stato piegato in otto parti uguali, come già avveniva quando era conservata a Edessa (dove veniva chiamato Tetradyplon), affinché fosse visibile il solo viso. Secondo Wilson era la Sindone il vero Bafometto templare. Dunque, perché tanta segretezza da parte dell’Ordine nel custodire la Reliquia, se questa si inseriva perfettamente in un contesto ortodosso? Barbara Frale non ha dubbi sulle effettive ragioni di questa scelta da parte dei Templari: «La tennero segreta per vari motivi, non ancora tutti chiari. Il primo e più forte era il seguente: l’oggetto era stato rubato durante un massacro sul quale Innocenzo III aveva gettato la scomunica. Sappiamo che i Templari non furono responsabili del furto e che la reliquia andò in mano alla famiglia del nobile francese Othon de la Roche. Ho idea che i Templari la comprarono da questa famiglia, alla quale apparteneva un altissimo loro dignitario chiamato Amaury de la Roche, che ebbe incarichi di primo piano nel Tempio proprio nel 1260-1270, esattamente l’epoca in cui compaiono le prime testimonianze dell’”idolo” (il Bafometto) presso i Templari. Inoltre non dimentichiamo che sull’acquisto di reliquie pendeva la scomunica, lanciata dal IV Concilio del Laterano nel 1215».

La vera immagine di Gesù
Che fossero stati i Templari ad aver custodito la Sindone prima della sua apparizione ufficiale in Europa nel 1353 potrebbe essere rilevabile proprio dal modo in cui questa comparve a Lirey, in Francia. Come ha spiegato la Frale il “primo mediatore” tra Templari e Sindone fu Othon De la Roche, imparentato con il potente dignitario templare Amaury de la Roche. Nel rogo del 1314 che spense la vita dell’ultimo Gran Maestro Templare Jacques de Molay, venne bruciato anche Geoffroy de Charny, Gran Precettore di Normandia. Il velo sindonico riappare esattamente per mano di un suo diretto discendente, suo omonimo, Geoffroy de Charny, cavaliere crociato e Signore delle terre di Lirey (diocesi di Troyes, importante commenda templare). Geoffroy fece costruire una chiesa a Lirey per ospitare e mostrare il telo sindonico, come provato da una lettera datata 1389 e firmata dal vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, in cui si afferma che la Sindone era stata esposta in pubblico intorno al 1355. Probabilmente gli Charny erano stati i custodi della Sindone dal momento del suo arrivo in Francia. Nel 1745 circolava in Francia un documento chiamato “Manoscritto Schifman” che sosteneva che Jacques de Molay aveva confidato al figlio di Guglielmo di Beaujeaux (altro celebre Grande Maestro) dov’era nascosto uno scrigno d’argento con alcuni beni di Re Baldovino di Gerusalemme. Molay affermava di aver fatto portare lo scrigno in Francia facendolo passare per la bara di Beaujeaux, morto durante l’assedio di Acri. La descrizione sembra corrispondere al contenitore d’argento che racchiudeva la Sindone a Chamberry e che fuse in parte danneggiandola durante l’incendio della chiesa nel 1532. Nel 1418 si torna a parlare della Sindone nelle mani della stessa famiglia grazie a Humbert, conte de La Roche (non a caso un discendente di Othon de La Roche, segno forse di un segreto che si passava attraverso linea familiare) che aveva sposato Marguerite, una nipote di Goffredo di Charny, divenendo signore di Lirey. Tra le reliquie in suo possesso si cita “la sembianza o raffigurazione della Sindone di Nostro Signore”. Marguerite, divenuta vedova, nel 1443 dichiarò di disporre del velo sindonico conquistato in guerra dalla sua famiglia e nel Marzo 1453 lo donò a Ludovico di Savoia, che lo fece collocare nella Cappella Santa del castello di Chambéry dove resterà conservato fino al 1578. Sarà poi trasferito a Torino, prima come proprietà dei Savoia e poi donato al Vaticano. Il resto è storia nota. In base a questa ricostruzione la Sindone sarebbe quindi il telo Acheiropoietos adorato dagli edesseni e il Mandylion di Costantinopoli, poi finito nelle mani dei Templari che la ritennero, con tutta probabilità, la vera immagine di Gesù crocifisso. Su questo aspetto la Frale è molto chiara, scrivendolo di suo pugno su L’Osservatore Romano in questi termini: «In questo nuovo libro ho analizzato fonti inedite riguardanti i Templari e la storia antica della Sindone giungendo a una conclusione: nel corso del Duecento, quando la società cristiana è turbata dalla proliferazione delle eresie che negano la reale umanità di Cristo, l’Ordine del Tempio, a causa delle sue molte immunità, rischia di diventare una specie di porto franco per gli eretici di lignaggio cavalleresco che cercano d’intrufolarvisi per mettersi al riparo dalle autorità inquisitoriali. Se questo fosse successo davvero, il Tempio si sarebbe trovato destrutturato nella sua identità religiosa. I capi dell’Ordine frequentavano la corte bizantina per la quale avevano svolto varie mediazioni diplomatiche, conoscevano l’enorme sacrario imperiale di Costantinopoli dove per secoli gli imperatori avevano raccolto con cura minuziosa le più famose e antiche reliquie di Cristo, della Vergine e dei santi. Sapevano anche che i teologi bizantini avevano enfatizzato il potere delle reliquie di Cristo per contrastare la predicazione degli eretici, soprattutto delle sette di stampo docetista e gnostico secondo le quali Cristo era un essere di solo spirito e non aveva mai avuto un vero corpo umano, ma solo l’apparenza di un uomo. Insomma, i Templari si procurarono la Sindone per scongiurare il rischio che il loro Ordine subisse la stessa contaminazione ereticale, che stava affliggendo gran parte della società cristiana al loro tempo: era il miglior antidoto contro tutte le eresie. (…) Una volta aperta completamente, la Sindone portava l’immagine impressionante di quel corpo massacrato proprio come era avvenuto a Gesù secondo i vangeli: si vedeva tutto, la carne dei muscoli tesi nella rigidità che accompagna le prime ore dopo la morte, il volto gonfio sotto l’effetto delle percosse, la pelle strappata dagli aculei del flagello. E c’era tanto sangue, sangue dappertutto, quello che secondo l’evangelista Matteo era stato “versato per molti in remissione dei peccati” (Matteo, 26, 28). L’umanità di Cristo sopraffatta dalla violenza degli uomini, quell’umanità che i catari dicevano immaginaria si poteva invece vedere, toccare, baciare. Questo è qualcosa che per l’uomo del medioevo non aveva prezzo; qualcosa ben più potente dei sermoni dei predicatori e anche della repressione degli inquisitori».

Del tempo di Gesù?
Quanto afferma la Frale si inserisce bene in quelli che sono gli aspetti tuttora dibattuti sulla Sindone, vale a dire la sua datazione e chi è l’Uomo dell’immagine. «Secondo Giovanni Paolo II era proprio la reliquia più splendida della Passione», ci dice la studiosa. «Come storico nell’esercizio delle sue funzioni, sono tenuta a non dare giudizi. Come cristiana, mi fido dell’istinto religioso di questo grande pontefice. La Sindone ci può dare una quantità enorme di informazioni sul passaggio terreno di Gesù, informazioni di tipo storico e archeologico. Le questioni religiose però rimangono legate alla fede. È la dimensione del mistero, dinanzi alla quale lo storico, l’archeologo e lo scienziato che lavorano in modo serio si devono fermare». In effetti, nell’ultimo secolo sono decine gli scienziati che hanno studiato la Sindone, offrendo risposte che sembrano dare solidità alla narrazione evangelica e alla figura di Gesù. Gli studi multidisciplinari sul Sacro Telo proseguono e tutti convergono nel definire la Reliquia come risalente al tempo di Cristo e la cui impronta, fatta di pura Luce, non ha, sinora, spiegazioni scientifiche plausibili. L’unico esame che si dissocia da questo coro unanime è quello al C-14 svolto nel 1988. Il 21 Aprile 1988 un gruppo interdisciplinare di studio, coordinato dal British Museum prelevò dei campioni dal Telo sindonico, affidandoli alle analisi al radiocarbonio di tre laboratori di ricerca a Oxford, Tucson e Zurigo. I risultati si rivelarono deludenti. Secondo gli studiosi, la reliquia risaliva a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C., quindi al medioevo. Ma i documenti appena scoperti dalla Frale confermano che il Telo è molto più antico e si assommano a una nutrita serie di evidenze scientifiche dello stesso tipo. «Durante il mio corso di laurea ho studiato fisica con un docente che era uno scienziato in servizio presso l’Acceleratore Nucleare del Gran Sasso, il prof. Marco Severi. Il corso di chimica era invece diretto da un altro noto esperto, in servizio anche presso l’Università di Roma “La Sapienza”, il prof. Paolo Carelli. Non sono uno scienziato e la mia formazione è più che altro umanistica; ma per quello che ho imparato, il metodo di datazione al radiocarbonio si basa sul conteggio delle particelle subatomiche. È una cosa di una difficoltà estrema, perchè il problema è capire quali di queste particelle provengono dal reperto e quali no. L’inquinamento che un reperto ha potuto subire altera il risultato in modo determinante e la Sindone è stata per secoli toccata, baciata, bruciata, sfregata con teli dipinti per farne reliquie e così via. Non credo che in quel test ci sia stata frode. Credo si sia trattato di un semplice esperimento, in cui l’errore umano è sempre possibile. Era un caso completamente nuovo, difficilissimo da gestire e pieno di incognite. Quanti esperimenti falliti precedono ogni nuova scoperta scientifica?». In effetti è proprio così che sembrano essere andate le cose. Lo scorso mese di Aprile è stato pubblicato un video in cui uno dei principali studiosi coinvolto nell’esame al C-14 della Sindone, Raymond Rogers, esperto di effetti termici dello Scientific Laboratory di Los Alamos, ha rivelato, poco prima di morire per cancro nel 2005, di aver comparato il pezzo di stoffa della Sindone analizzato nel 1988 con altri pezzi di stoffa del Sacro Telo, identificando il campione analizzato come un frammento di tessuto impiegato per la riparazione del Sudario dopo che era stato danneggiato da un incendio. Dunque, per errore, gli esperti avrebbero prelevato campioni non corretti dalla Reliquia. Le analisi chimiche effettuate da Rogers successivamente avrebbero dimostrato che il pezzo-campione, di dimensioni contenute, conteneva cotone ed era stato trattato e tinto in modo che corrispondesse per colore e consistenza al telo in lino del Sudario originale. Dunque il frammento analizzato da Rogers nel 1988 proverrebbe da una riparazione postuma di epoca medievale. Il Dott. Rogers ha dichiarato: «Le fibre di cotone sono state rivestite abbastanza pesantemente di colorante, in modo da farle corrispondere al lino durante una riparazione. Ho concluso, dunque, che la zona del Sudario da cui furono prelevati i campioni, fu manipolata con abilità da qualcuno. Si tratta di materiali diversi utilizzati nel Sudario, per cui l’età che abbiamo prodotto al C-14 è imprecisa. Siamo sicuri che quella non era la stoffa originale della Sindone di Torino. Il campione analizzato al radiocarbonio ha proprietà chimiche completamente diverse dal tessuto principale». Una notizia che conferma quanti sbagli furono realizzati durante le analisi del 1988. Ciò si inserisce nelle tracce che indicano l’esistenza della Sindone ben prima della sua apparizione ufficiale a Lirey, in Francia nel XIV secolo. La scoperta da parte della storica dell’Archivio Segreto Vaticano, Barbara Frale, pubblicata nel suo saggio, non fa che avvicinare ulteriormente la scienza alla Verità ultima del Sacro Sudario per identificare con certezza l’Uomo in essa impresso. Se anche il C-14, una volta ripetuto su campioni corretti, dovesse fornire l’età che tutte le altre prove scientifiche offrono, ovvero il tempo di Cristo, allora rimarrebbero realmente poche incertezze su chi sia davvero l’Uomo che lasciò quell’inspiegabile immagine di luce. Un’identità su cui i Templari non ebbero dubbi.

LA STORIA DELLA SACRA SINDONE IN EUROPA (di Mark Antonacci)

Sin dal primo istante in cui la Sindone viene esibita in Europa, nella modesta chiesa di legno di Lirey, in Francia, tra il 1350 e il 1390, attrae l’interesse di una folla enorme, costituita principalmente da pellegrini, ma anche da un famoso detrattore. Il Telo fu posto nella chiesetta francese da Geoffrey de Charny: molti studiosi credono che egli ricevette la Reliquia da un parente che ricopriva una carica importante tra i cavalieri templari, il Precettore di Normandia, che portava lo stesso nome e cognome. Tuttavia non potremo mai saperlo con certezza, perché Geoffrey de Charny fu ucciso inaspettatamente durante la Battaglia di Poitiers nel 1356, prima che potesse spiegare come fosse venuto in possesso dell’inaudito Lino.

Il memorandum d’Arcis
Il detrattore di cui parlavamo prima era il vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis, la cui diocesi comprendeva Lirey. In un infame memorandum del 1389, che sembra essere nella migliore delle ipotesi la bozza di una lettera che avrebbe dovuto essere spedita al papa di Avignone, pur non esistendo nessuna prova, il vescovo afferma che un falsario aveva confessato di aver dipinto l’immagine sul Sacro Lenzuolo 34 anni prima. Questo memorandum non era datato né firmato ed era semplicemente indirizzato a uno scriba perché lo copiasse in bella, ma neanche di ciò esiste prova. Il messaggio si inserisce nel contesto di una diatriba in corso con la modesta chiesa collegiata di Lirey, accusata dal vescovo di avarizia, mentre la cattedrale incompiuta che egli presiedeva era crollata e le sue spese superavano le entrate, in parte anche a causa dello spostamento dei pellegrinaggi a Lirey. Non solo l’autore del falso rimane senza nome, ma non esiste alcun documento che provi una confessione simile o che sia stata condotta un’investigazione a monte. Il biglietto, inoltre, è infarcito di strati compositi di dicerie, senza considerare che gli esami medici e scientifici hanno dichiarato impossibile per chiunque riprodurre l’immagine e le macchie di sangue della Sindone.  Lungo tutta la storia della sua permanenza in Europa, questo testo è stato citato da tutti i detrattori del sacro Telo, impedendo così che il Lenzuolo venisse conosciuto o accettato universalmente come il sudario di Gesù. Lo scritto, infatti, non fu completamente screditato sino a quando la Sindone non venne esaustivamente e scientificamente esaminata nel 1978, data in cui, sempre per la prima volta, si tentò di ricostruire la storia del sacro Telo prima del suo arrivo in Europa. Quindi, solamente negli ultimi 25 anni sono stati studiati gli obiettivi indizi empirici derivanti dal Lino stesso, anche se la maggior parte di essi è tuttora ignota ai più, in quanto la controversa datazione al radiocarbonio sostiene che il Telo sia medievale e quindi non poteva essere il sudario di Gesù. La triste verità è che la storia della Sindone in termini di conoscenza o di comprensione da parte del grande pubblico è sempre stata una minima frazione di quanto meriti la sacra Reliquia e gli indizi senza precedenti estratti da essa. L’essere stata esposta o esibita raramente, in special modo agli inizi in Medioriente, ma anche in Europa, ha contribuito alla relativa oscurità, tra l’altro immeritata, che l’ha avvolta sino a oggi.

Nelle mani dei Savoia
Dopo la morte di Geoffrey de Charny, suo figlio, Geoffrey II, nel 1389 richiese che la Sindone venisse messa in mostra, sempre a Lirey. Fu proprio questa popolare esibizione che indusse il vescovo d’Arcis a scrivere il suo storico e assurdo memorandum. Alla morte di Geoffrey II, con il pericolo incombente di bande di predoni, i canonici di Lirey consegnarono la Sindone a Margaret de Charny, figlia di Geoffrey II, e al suo nobile marito, Umberto di Villersexel, che nel 1418 la misero al sicuro nel loro castello di Montbard. In seguito, la Reliquia venne spostata a St. Hyppolyte sur Doubs, dove fu occasionalmente esposta sino alla morte di Villersexel, nel 1438. Nel decennio successivo il diacono e i canonici della chiesa di Lirey negoziarono con Margaret de Charny il ritorno della Sindone presso di loro e arrivarono addirittura a farle causa per il possesso. Nonostante le sue ripetute promesse la donna, due volte vedova e senza eredi, non restituì mai il riverito Telo a Lirey, ma piuttosto cercò un luogo adatto e sicuro per conservarlo. E non avrebbe potuto trovarne uno migliore della famiglia Savoia, alla quale affidò il Lenzuolo intorno al 1453. I Savoia erano un casato influente, estendevano il loro dominio su diversi territori e avrebbero regnato l’Italia dal 1870. Per i suoi “preziosi servigi” la donna ricevette dal duca Luigi I di Savoia il castello di Varombon e i redditi della proprietà di Miribel, nei pressi di Lione. Negli anni immediatamente successivi, i canonici di Lirey minacciarono Margaret de Charny di scomunica se non avesse restituito loro la Sindone e alla fine, nel 1459, la lettera di scomunica arrivò. Fortunatamente il fratellastro, Charles de Noyer, negoziò un accordo con il quale il duca Luigi I acconsentiva al pagamento di 50 franchi d’oro e una rendita annuale dei redditi del castello di Giallard, nei pressi di Ginevra, a beneficio dei canonici di Lirey per la perdita e la cessione della Sindone. Ciò ebbe come effetto la revoca della scomunica un anno prima della scomparsa di Margaret de Charny, nel 1460. Cinque anni dopo, il duca Luigi I moriva a Lione. Una cronaca di famiglia avrebbe in seguito documentato l’acquisizione della Sindone come il suo più grande successo. Anche se la Reliquia rimase per la maggior parte del tempo a Chambery tra il 1465 e il 1502, i Savoia non stabilirono una sede permanente per il Telo in quel periodo, ma lo spostarono frequentemente di castello in castello e lo portarono persino con loro in viaggio. Ma nel 1502 la Sindone venne spostata dalla chiesa francescana di Chambery in una “sede permanente”, nella cappella reale della rinnovata chiesa di Sainte Chapelle, sempre a Chambery, dove venne messa in mostra sul Sommo Altare e quindi riposta nel suo scrigno e depositata in una cavità appositamente ricavata dal muro retrostante. Per motivi di sicurezza davanti alla cavità fu posizionata una griglia con quattro lucchetti che potevano essere aperti solamente con quattro chiavi separate. Anche se queste precauzioni prevennero il furto della Sindone, risultarono disastrose nelle ore frenetiche successive alla mezzanotte del 4 dicembre del 1532, quando la Sainte Chapelle prese fuoco. Le quattro persone in possesso delle chiavi della grata non poterono essere localizzate e fu necessario l’intervento di un fabbro per rimuoverla affinché il reliquiario potesse essere tratto in salvo. A quel tempo il Telo era piegato in 48 parti e tenuto in un contenitore foderato d’argento. Le porzioni del Lenzuolo che erano a contatto con l’argento incandescente vennero completamente incenerite, mentre anche altre parti risultarono bruciacchiate (particelle del rivestimento d’argento potrebbero anche essersi liquefatte e cadute sul Telo). Fortunatamente, l’Immagine è stata danneggiata solamente dai gomiti alle spalle, ma gli eventi appena narrati risultano nella serie di bruciature, buchi e macchie d’acqua visibili ancora oggi. Nel 1534 le clarisse di Chambery operarono numerose riparazioni sul Telo e vi cucirono 16 toppe sui fori delle bruciature. Queste toppe sono state rimosse con il restauro del 2002. A causa dell’invasione delle truppe francesi, la Sindone fu spostata da Chambery in Piemonte nel 1535 e a Vercelli nel 1537. Quando l’esercito transalpino saccheggiò Vercelli nel 1553, uno dei canonici della cattedrale della città, Antoine-Claude Costa, nascose la Sindone nella propria casa frustrando le aspettative di una mezza dozzina di soldati che irruppero nella chiesa in cerca del sacro Telo. Nell’arco di un decennio la Sindone sarebbe tornata a Chambery in seguito alla firma di un trattato, al ritorno dei Savoia nei loro legittimi territori e al matrimonio tra il duca Emanuele Filiberto e Margherita di Valois. Nel 1566, durante un’esibizione privata ad Annecy, una donna si inginocchiò davanti alla Sindone pregando per avere un figlio. L’anno successivo diede al mondo un bimbo, che in seguito sarebbe divenuto San Francesco di Sales.

La fissa dimora
Nel 1578, il pio cardinale Carlo Borromeo si incamminò a piedi da Milano diretto a Chambery per presentare i suoi rispetti alla Sindone, quando il duca Emanuele Filiberto ordinò che il Telo venisse portato a Torino, per abbreviare il viaggio dell’alto prelato. Anche se la natura dello spostamento lo faceva sembrare temporaneo, il sacro Lenzuolo finalmente trovò una “fissa dimora” (infatti, l’unico esame approfondito svoltosi nel 1978 ebbe luogo in seguito a una mostra che celebrava il 400° anniversario dell’arrivo della Sacra Sindone a Torino). Nel 1792, quando la collezione reale francese di reliquie della Sainte Chapelle di Parigi venne profanata dagli insorti della Rivoluzione Francese, diversi resti sacri probabilmente connessi al noto Telo sepolcrale vennero distrutti, ma la Sindone rimase al sicuro a Torino. Nel 1898, venne applicata al sacro Lenzuolo la prima forma di tecnologia moderna quando un avvocato di nome Secondo Pia ne scattò la prima fotografia e mostrò al mondo per la prima volta che una grande quantità di informazioni poteva essere acquisita dalla Sindone e dalle sue immagini. Nel 1939, dopo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale e a causa dell’interesse mostrato dai nazisti nei confronti del sacro Telo, esso venne segretamente portato nell’abbazia benedettina di Montevergine ad Avellino, per poi tornare di nuovo a Torino nel 1946. Con un plebiscito nazionale tenutosi sempre nel 1946, gli italiani decisero di porre fine alla monarchia, interrompendo così il breve regno di Umberto II di Savoia, il quale morì nel 1982 lasciando la Sindone in eredità al Vaticano, a patto che non venisse spostata da Torino. Nel 1997, mentre venivano eseguiti lavori di restauro nella cattedrale di San Giovanni Battista, luogo dove viene tuttora conservato il sacro Lino, scoppiò un incendio che danneggiò pesantemente la cupola. Ma la Sindone non subì alcun danno, in quanto era chiusa in una teca circondata da lastre di vetro antiproiettile spesse 30,5 cm. Il fatto, al contrario, ebbe una conseguenza positiva, in quanto gli scienziati, dopo aver esaminato attentamente il Telo, lo posero in una camera ad atmosfera controllata, per evitare che le parti non impressionate dall’immagine invecchiassero, assumendo lo stesso colore del tessuto ossidato e deidratato che costituisce la figura dell’Uomo della Sindone e annullando il contrasto che ci permette di vederla. Tuttavia, finché non verranno effettuati altri studi approfonditi, il tentativo di conservazione potrebbe non centrare completamente l’obiettivo. A tale proposito dovremmo tutti ricordare le parole del chimico dello STURP, Alan Adler: «Non dobbiamo conservare semplicemente un telo, ma un’immagine su un telo. Finché non avremo compreso completamente entrambi, nessuno dei due potrà essere opportunamente conservato».

DATAZIONE CONTROVERSA (di Mark Antonacci)

La datazione al C-14 della Sindone è uno degli episodi più contestati nella storia del Sacro Lenzuolo. Ad anni di distanza da quegli esami, sono sempre più consistenti le voci e le prove secondo cui, in quell’occasione, la scienza ha fallito.

Sin dai primi test clinici del 1978 sulla sacra Sindone sono state eseguite migliaia di analisi scientifiche e fra queste solamente una contraddice l’autenticità del Telo – la sua datazione al radiocarbonio del 1988, la quale ha stabilito che il Lino risale a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. Sfortunatamente, questo è il test più controverso e meno professionale mai condotto sul Lenzuolo. I protocolli scientifici stabiliti dagli esperti partecipanti richiedevano che diversi campioni della Sindone venissero rimossi da vari punti della Reliquia, tuttavia nessuna di tali direttive venne rispettata e fu raccolto solamente un campione da un unico punto. Non poteva esserci una porzione peggiore da cui raccogliere un frammento in tutto il sacro Lino, visto che si trovava nel bel mezzo di una bruciatura. Una fotografia fluorescente all’ultravioletto rivela addirittura che si trovava al margine di una macchia d’acqua. Il campione, inoltre, è stato raccolto in una porzione di Lenzuolo dove sono state riconosciute molte riparazioni e fili estranei di origine differente sono stati osservati sul campione principale e su una sua parte inviata a uno dei laboratori di datazione al radiocarbonio. Diversi studiosi sostengono addirittura che quel punto fosse una riparazione.

Campioni non significativi
Nel 1982, un filo proveniente da quel campione venne datato al radiocarbonio e un’estremità risultò risalire al 200 d.C., mentre l’altro capo si rivelò appartenere al 1000 d.C. In seguito, venne scoperto che quel campione, in corrispondenza dell’estremità risalente al 1000 d.C., conteneva amido. L’amido si attacca alla struttura molecolare del lino ed è addirittura invisibile a occhio nudo e non può essere rimosso completamente dal pretrattamento standard di pulizia applicato ai campioni. Se non viene eliminato del tutto, può alterare i risultati della datazione al radiocarbonio di molti secoli. I medesimi effetti che può causare la cera: e tracce di cera sono state identificate anche in porzioni della Sindone che necessitano di riparazioni, come quella da cui è stato rimosso il campione per la datazione. Poiché il metodo del radiocarbonio era relativamente nuovo negli anni Ottanta, in principio venne condotto un esperimento per testarlo con altri campioni. Ma l’esperimento si rivelò un fallimento e non riuscì a stabilire con certezza l’applicabilità del nuovo metodo sul Telo. La metà dei campioni sperimentali venne datata con un errore di molti secoli da tutti i laboratori partecipanti, tuttavia nessuno ha mai accertato e pubblicato la ragione di abbagli così manifesti. Inoltre, ciò non fermò gli addetti dal condurre la datazione della Sindone con lo stesso metodo, nonostante non fossero in grado di spiegarne e correggerne gli errori.  Tuttavia, la condotta più biasimabile e meno scientifica di tutte fu quella dei laboratori per la datazione al radiocarbonio: principalmente attraverso il loro direttore, Harry Groove, con manovre di corridoio impedirono allo STURP (il più informato e autorevole gruppo di scienziati al mondo in tema di Sindone) di condurre ulteriori test sul Lenzuolo in altre 25 aree di esame scientifico, molti dei quali avrebbero confermato direttamente l’età, l’origine e

La storia della Reliquia.
In aggiunta alle questioni di cui sopra, ci sono altri due problemi importanti che riguardano la datazione al radiocarbonio della Sindone eseguita nel 1988. I campioni utilizzati non erano rappresentativi delle aree non impressionate, che sono gran parte del resto del sacro Lino. Ciò è stato determinato in maniera scientifica solamente quando il chimico Alan Adler dello STURP ha avuto accesso ai campioni analizzati. Il dott. Adler ha comparato 15 fili dei campioni esaminati al radiocarbonio con 19 fibre assortite provenienti da aree non impressionate, macchiate d’acqua, bruciate, impressionate, del tessuto di rivestimento e impregnate di siero. I campioni sono stati analizzati con un microspettrofotometro agli infrarossi in “trasformata di Fourier” e con una microsonda elettronica a scansione. I risultati della microspettrofotometria indicano chiaramente che i campioni hanno una composizione chimica diversa. Queste differenze sono state ulteriormente confermate al dott. Adler e ai suoi colleghi dall’analisi della frequenza di picco condotta con un sistema informatico che genera dati spettrometrici. La ragione per questa radicale discrepanza nella composizione chimica dei campioni potrebbe essere benissimo dovuta alla loro localizzazione in corrispondenza con un segno di bruciatura o con il margine di una macchia d’acqua, tuttavia Adler avverte che tali differenze «potrebbero inficiare l’accuratezza della datazione al radiocarbonio».

Ultima obiezione al C-14
L’ultima obiezione scientifica alla datazione al C-14 è di gran lunga la più interessante, in quanto non solo la refuterebbe, ma proverebbe anche come e perché il metodo impiegato nel 1988 abbia fallito. Inoltre, è anche un’ipotesi che, se ratificata, potrebbe confermare di più dell’età corretta della Sindone. Nel mio libro The Resurrection of the Shroud analizzo lo sudio effettuato da alcuni scienziati sulla possibilità che l’immagine sindonica si sia prodotta per irradiamento di onde nucleari provenienti dall’interno del corpo. E’ noto che le radiazioni particellari creano due nuovi isotopi che non si riscontrano in natura, Ca-41 e Cl-36, la cui presenza in qualsiasi di questi campioni potrebbe essere spiegata esclusivamente da un flusso di neutroni all’interno della radiazione particellare. Se la loro presenza venisse effettivamente riscontrata, non solo confermerebbe l’irradiazione di questi campioni da parte di un flusso di neutroni, ma il loro numero permetterebbe agli scienziati di calcolare la quantità di radiazioni particellari cui sarebbero stati sottoposti. La presenza di numerose caratteristiche chimiche, microchimiche e fisiche rinvenute in tutto il Lenzuolo e replicate o spiegate da protoni e particelle alfa all’interno di radiazioni particellari confermerebbero che il corpo era la sorgente di tale irraggiamento. Ma in realtà, gli scienziati non sono in grado di far emettere radiazioni particellari a nessuna parte del corpo umano, quindi quelle generate dall’Uomo della Sindone rappresentano un processo completamente innaturale e irriproducibile. Prima della datazione, i direttori dei laboratori sono stati avvertiti dagli esperti che il Telo ha un’antica storia, con una lunga lista di elementi contaminanti conosciuti e persino sconosciuti, alcuni dei quali potrebbero essere penetrati nella cellulosa porosa del lino e non essere rimossi dai pretrattamenti standard di pulizia. Ciò nonostante, i responsabili della datazione hanno ignorato o addirittura ridicolizzato tali avvertimenti. Le radiazioni particellari sono uno di questi contaminanti, in quanto creano nuovi atomi di C-14 nella struttura molecolare della cellulosa, facendo quindi apparire il Telo più recente di quanto sia effettivamente. Tre esperimenti recenti condotti in Italia e in Francia hanno dimostrato che se una pezza di lino del I secolo viene bombardata da radiazioni particellari nell’ammontare approssimativo calcolato dagli esperti per creare l’immagine della Sindone, quindi viene invecchiata, il C-14 creato dal flusso di neutroni diventa parte della struttura molecolare della cellulosa e non viene rimosso neanche quando il tessuto è sottoposto allo stesso pretrattamento applicato alla Reliquia nel 1988. Inoltre, quando la pezza fu datata al radiocarbonio, risultò appartenere al Medioevo, mostrando una diminuzione artificiale dell’età di circa 1.120-1.390 anni, cioè lo stesso lasso di tempo attribuito alla sacra Sindone nel 1988. Se così fosse, l’esperimento indicherebbe, con un margine di errore di un decennio, la datazione dell’evento accaduto nell’arco del I secolo, un risultato sicuramente molto più preciso di quanto si possa ottenere con il metodo del radiocarbonio. Se l’avvenimento di cui sopra si è verificato all’interno di quella che reputiamo essere la tomba di Gesù, il Ca-41 dovrebbe essere ancora presente nei muri, nella panca e sul pavimento del sepolcro. Mentre alcuni storici credono che Gesù fu sepolto nella Tomba dell’Orto, la maggior parte degli esperti pensa si tratti del santo Sepolcro, molto vicino alla prima in quanto parte della stessa formazione rocciosa. Tracce microscopiche di arenaria trovate vicino al piede dell’Uomo della Sindone sono state analizzate e corrispondono a quel preciso tipo di roccia, non riscontrabile in nessun’altra zona di Israele. Gli esperimenti proposti, quindi, richiederebbero alcuni granelli di arenaria da entrambi i luoghi in quanto, se l’evento di cui sopra è accaduto, come ipotizzato, nella tomba di Gesù, e uno di questi luoghi è davvero la sua sepoltura, allora vi si dovrebbero trovare tracce di Ca-41 (per far capire al lettore quanto difficile sarebbe tentare di falsificare solamente questo minimo aspetto dell’evento, il falsario dovrebbe costruire un reattore nucleare all’interno del Santo Sepolcro). Altri test nel futuro ci permetteranno di fare.

I pollini smentiscono il C14

Nel 1973 Max Frei, esperto in indagini criminali attraverso la rilevazione di microtracce, aveva confermato la presenza di pollini presenti solo in un’area ai confini tra Turchia, Siria e Mesopotamia tra cui la Goundelia Tourneforti. Più recentemente, il 6 marzo 2000, lo Shroud Millenium Commitee dichiarava che ricerche sulle tracce botaniche dei micropollini presenti tra le fibre della Sindone confermavano la sua presenza storica nell’area di Israele e del Giordano. Nello stesso periodo, il 18 marzo, Metchild Flury Lemberg, un’autorità mondiale nella storia dei tessuti, coinvolta direttamente nella restaurazione della Reliquia, confermava che vi erano forti similarità tra il lino della Sindone e frammenti di tessuti prodotti in Medioriente circa 2.000 anni fa. Comparando la tessitura della Sindone con quella di un lino ritrovato a Masada, sul Mar Morto, databile tra il 40 a.C. e il 73 d.C., la ricercatrice dimostrò la pertinenza della filatura della Sindone con le lavorazioni tessili dell’epoca di Gesù. Il 3 agosto 2000 il prof. Avinoam Danin, della Hebrew University, e l’analista Uri Baruch rincaravano la dose dichiarando: «Abbiamo identificato i pollini della Sindone con specie che crescono nei dintorni di Gerusalemme tra marzo e aprile. L’origine europea della Sindone non è corretta». Ma è solo di qualche mese fa la scoperta più interessante. Dal 28 al 30 aprile 2012 si è svolto a Valencia un convegno internazionale dove sono state presentate le ricerche di importanti sindonologi. Di particolare interesse la ricerca di Marzia Boi, specialista in “palinologia” dell’Università delle Isole Baleari. La relazione della ricercatrice ha messo in rilievo con chiarezza il fatto che i pollini testimoniano che il lenzuolo custodito a Torino era un lenzuolo funerario, utilizzato secondo rituali presenti nell’area del Medio oriente da oltre due millenni. Questa constatazione è un forte elemento contro la tesi della falsificazione medievale. Appare infatti piuttosto incredibile l’idea di un falsario medievale con le conoscenze degli unguenti e degli olii utilizzati nei riti funerari ebraici del I secolo dopo Cristo, e si fosse messo a ricostituire unguenti e aromi secondo quelle disponibilità e formule in attesa che, qualche secolo più tardi, strumenti di cui non era a conoscenza potessero rivelarle. Scrive nella sua relazione a Valencia Marzia Boi: «I pollini del Sacro Lino, che fino ad ora sono stati messi in relazione con l’origine geografica della reliquia, rivelano inoltre gli oli e gli unguenti applicati sia al cadavere che alla tela. Queste particelle, indistruttibili col passare del tempo, fotografano un rito funebre di 2000 anni fa e grazie alle stesse, si sono rivelate le piante usate nella preparazione del cadavere conservato nella tela. Le sostanze oleose hanno permesso che i suoi pollini, quali componenti accidentali, si siano fermati, impregnati e nascosti nel tessuto di lino, quali testimoni invisibili di uno straordinario evento storico». Secondo la tradizionale ebraica i cadaveri e ciò che li copriva erano trattati con olii e unguenti profumati in un rito minuzioso. La ricerca della Boi ha analizzato i precedenti  i lavori sui pollini della Sindone. Un esame con strumenti più avanzati di quelli di oltre trent’anni fa ha portato la ricercatrice a correggere alcune identificazioni. Fra queste è particolarmente importante una scoperta: «Il polline di Anemone è in realtà di Pistacia. Il polline di Ridolfia lo identifico come un’Asteracea di nome Helichrysum». E fa un’altra scoperta: e cioè che il polline finora identificato come Gundelia Tourneforti in realtà non lo è. Gundelia Tourneforti è una delle 23.000 specie di Asteracea al mondo, che cresce nei deserti montani di tutta l’Asia Minore. Nel 1999 due grandi studiosi ebrei, Danin e Baruch nel libro Flora of the Shroud nella loro revisione del lavoro di Frei confermavano la specie Gundelia come il polline più abbondante nel lino e ipotizzavano che la corona di spine fosse stata creata con la pianta di Gundelia. L’esame all’avanzato microscopio elettronico della Boi ha smentito questa analisi  e confermato che si tratta di Helichrysum. È il polline più abbondante sul Telo (29.1%) seguito da Cistaceae con l’8.2%, Apiaceae con il 4.2% e Pistacia con lo 0.6%. «Tutte le piante menzionate sono di pollinizzazione entomofila: i loro pollini si spostano con l’aiuto di insetti e non nell’aria; questo dimostra che ci deve essere stato un contatto diretto o con le piante o con i prodotti di uso funerario…la lista dei pollini rivela che il Sacro Lino è stato unto con oli e unguenti, così come probabilmente il corpo che ha avvolto». Da foglie, frutto e corteccia del genere Pistacia si otteneva un balsamo usato anche come unguento. Ma dall’Helichrysum si produceva un olio di ottima qualità, usato per ungere sia la tela funebre che il cadavere, e proteggerli. Conclude Marzia Boi: «I pollini dominanti nella Sindone sono l’immagine del rituale funerario secondo gli usi di 2000 anni fa in Asia Minore. Sono i componenti degli unguenti e olii più preziosi dell’epoca che sono rimasti straordinariamente sigillati nella tela…Aver identificato correttamente il polline di Helichrysum, erroneamente chiamato Gundelia, conferma e da autenticità all’importante personalità del corpo avvolto nel lino».

LA SFIDA DELLA TRIDIMENSIONALITA’ (di Aldo Guerreschi)

L’Uomo della Sindone presenta, tra le molte incredibili caratteristiche, la capacità di dare origine a immagini tridimensionali. Una scoperta avvenuta solo di recente, grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie informatiche, che conferma ancora una volta la sfida rappresentata da questa Reliquia.

Una delle caratteristiche particolari dell’impronta dell’Uomo della Sindone è la sua tridimensionalità. Essa rappresenta a tutt’oggi un mistero. L’evanescenza dell’impronta lasciata da quest’uomo sul Lino sepolcrale risulta essere ben più tenue di quella che possiamo vedere su qualunque fotografia, dove i contrasti vengono naturalmente, e a volte intenzionalmente, aumentati nel processo di sviluppo per facilitarne una maggiore comprensione. Solo a qualche metro di distanza un occhio inesperto riesce a percepirne la figura. Se per secoli è stato difficile riconoscere queste fattezze umane in negativo, meno ancora risulta visibile la sua tridimensionalità. Soltanto oggi, infatti, con i progressi della tecnica si riesce a comprendere come al suo interno vi siano codificate informazioni che permettono una tale definizione. Nel 1902 Paul Vignon, osservando attentamente la figura anatomica rivelata così dettagliatamente dalla prima fotografia scattata da Secondo Pia nel 1898, notava che essa pareva come sfumata. Ne ricavava quindi l’ipotesi che la formazione dell’impronta del corpo di questo crocifisso fosse avvenuta in modo vaporigrafico, dove cioè le emanazioni ammoniacali del cadavere avrebbero lasciato traccia sul Lino sepolcrale. Quest’ipotesi verrà smentita da ulteriori e più approfonditi studi. Bisogna arrivare fino al 1974 per scoprire la caratteristica tridimensionale dell’impronta. Sarà un francese, l’ing. Paul Gastineau, a renderla visibile per la prima volta, usando una sua attrezzatura preparata per tutt’altro scopo, attraverso la quale veniva misurata con precisione la riflessione di ogni piccolo punto di un soggetto piano, illuminato da una sorgente luminosa concentrata. Su suggerimento di un famoso sindonologo, Antoine Legrand, egli riusciva a trasmettere numericamente i dati riflessi da una fotografia del volto sindonico scattata da Giuseppe Enrie a un altro strumento appositamente creato con una punta che incideva, più o meno a seconda dell’intensità misurata, un materiale morbido, ottenendo così un calco in rilievo. Quasi contemporaneamente, anche due ricercatori americani, Eric Jumper e John Jackson, riuscivano a ottenere un altro risultato dalla medesima fotografia del volto usando l’attrezzatura detta VP8, con la quale si decodificavano i dati trasmessi dai satelliti spaziali della Nasa. Essa individuava ogni diversa intensità e ne determinava un livello, ottenendo così il rilievo del corpo. Con gli esami effettuati dal gruppo di ricerca americano dello STURP nel 1978, si riusciva a capire che l’immagine era costituita da fibrille del medesimo colore derivate dall’ossidazione e dalla disidratazione delle fibre superficiali del Lino, ma la cui concentrazione per centimetro quadrato dava intensità diverse. Soprattutto si riusciva a determinare con maggiore precisione come queste intensità fossero proporzionate alla distanza corpo-lenzuolo. Non essendovi alcuna deformazione nell’immagine, essa risultava essere la proiezione ortogonale del corpo stesso. Cosicché si poteva dedurre che l’immagine non si era formata per contatto diretto, ma in un altro modo. Si notavano infatti tracce anche nelle zone dove non vi era stato alcun contatto. Pertanto, per questo soggetto tali intensità costituiscono qualcosa di paragonabile a una banca dati e permettono con svariate tecniche il raggiungimento di visualizzazioni in rilievo della figura umana. Sempre nel 1978, il prof. Giovanni Tamburelli di Torino realizzava, attraverso la lettura computerizzata dei dati, altre interessanti immagini: un primo volto che evidenziava dettagliatamente tutte le conseguenze delle percosse subite da quest’uomo, e un secondo, in cui queste venivano cancellate attraverso una filtratura informatica, ottenendo forse il volto reale di questo crocifisso prima della sua passione.

Il fotorilievo
Altri risultati venivano ottenuti da Alan Whanger attraverso la luce polarizzata e, infine, nel 1998, ho presentato al Congresso di Torino alcune immagini realizzate mediante una tecnica particolare, detta “fotorilievo”. Inventata nella prima metà del XX secolo per ottenere effetti curiosi sulle fotografie, si basava sulla sovrapposizione di un negativo e di un positivo assolutamente identici, ma leggermente sfalsati. Questo provocava come un fuori-registro tipografico, con conseguenti effetti curiosi e originali. Sulla Sindone, invece, la somma delle due diverse intensità di negativo e positivo sovrapposte di questa forma umana rivelava una figura in rilievo perfetto. La precisa e graduale sfumatura dell’impronta corporea, combinata con la leggera sfasatura delle due pellicole creava una rotondità e una profondità all’immagine assolutamente inaspettata. Un volto, un busto e l’intera immagine del corpo frontale e dorsale sono stati i risultati ottenuti. Alcuni particolari si evidenziavano maggiormente, interessando numerosi studiosi. Ma un’altra considerazione va fatta in merito alle caratteristiche di quest’impronta che si rivela sempre più unica. Tutti i risultati ottenuti con l’effetto tridimensionale di cui abbiamo parlato si ottengono soltanto sull’immagine sindonica. La conferma a quanto detto la si può osservare nella fotografia a corredo di quest’articolo, realizzata appositamente per eseguirne una comparazione. Vi è rappresentata una ragazza che sorregge una fotografia del volto dell’Uomo della Sindone. Applicando a tutta questa foto alcune tecniche di cui si è parlato più sopra, quali il VP8 elaborato da Kevin Moran e il fotorilievo, si potrà notare come soltanto l’immagine sindonica risulti in rilievo, mentre non si può dire altrettanto per il volto della ragazza.

Davanti a un bivio
Ancora oggi non si riesce a capire come si sia potuta formare quest’impronta sul Lenzuolo e meno ancora a tentarne un’imitazione. Numerosi ricercatori si sono cimentati nel tentativo di ottenere un’immagine con caratteristiche similari alla Sindone con i sistemi più disparati:
• Rodante e Moroni, con un telo imbibito di aloe e mirra su un calco di un viso, spruzzato di sudore;
• Delfino Pesce con un bassorilievo in metallo riscaldato sovrapposto a una tela, con il risultato che essa ne risultava strinata, condizioni ben diverse dalla Sindone dove non si riscontrano invece tracce di bruciature sull’impronta corporea;
• Mattingly, di recente, spruzzandosi il viso con un liquido batterico e coprendosi per un certo tempo con un tessuto sul quale questi batteri provocano una reazione che lascia una traccia.
Ma tutti questi risultati e altri ancora, similari all’immagine sindonica a una prima osservazione superficiale, risulteranno improponibili a un confronto sia nell’inversione fotografica in negativo sia nelle elaborazioni tridimensionali sopra citate. Spero che queste rapide osservazioni siano sufficienti a far capire come l’impronta sia da considerarsi più che mai misteriosa e affascinante sotto l’aspetto della ricerca e dello studio. Pensare che nei secoli scorsi qualcuno, con le conoscenze dell’epoca, abbia potuto realizzare un falso creando un’impronta tanto perfetta dal punto di vista anatomico, quanto tecnicamente complessa, diventa quasi un assurdo. Ma allora, quale può essere la risposta? In linea teorica, non un’emanazione ma una qualche forma di esplosione di energia sconosciuta (continua a pag.43) proveniente dall’interno del corpo potrebbe spiegare queste caratteristiche, ma qui ci addentreremmo in percorsi ben diversi dalla ricerca pura. Gli studiosi che arrivano a questo punto si trovano a un bivio personale, divisi tra scienza e fede. La presunzione dell’uomo d’oggi di dare una risposta a ogni cosa per il momento deve arrendersi davanti a questo lenzuolo, povero segno di abbandono e impotenza. Il mistero e la sfida continuano, ma per il momento è la Sindone a vincere.

Dalla tridimensionalità al suo volto

La realizzazione di immagini tridimensionali del viso dell’Uomo della Sindone è stata impiegata dallo scultore spagnolo Juàn Manuel Miñarro Lopez nel 2002 per realizzare un identikit di come Egli appare sul Lino e di come doveva essere in vita, privo di contusioni e ferite. Non si è trattato di creare una rappresentazione artistica dell’Uomo attraverso la destrezza manuale dell’artista, ma dell’applicazione di un metodo di sovrapposizione che ha impiegato proprio le immagini digitali tridimensionali sviluppate in passato, applicate per realizzare un modello attraverso il computer mediante il programma Live-Pix. Lo scultore ha utilizzato oltre alle immagini classiche della Sindone anche quelle fotografiche a isodensità e quelle tridimensionali sviluppate da Whanger, Tamburelli e Leo Vala. L’opera è stata possibile grazie alle tecniche di scultura, infografia, fotometria e ai numerosi studi sulla sacra Sindone consultati. Il lavoro è stato preparato generando al computer il supporto osseo del ritratto. A questo scopo Miñarro Lopez ha utilizzato un cranio tridimensionale, introdotto nel programma attraverso una foto digitale. L’obiettivo era quello di ottenere un cranio virtuale dell’Uomo della Sindone. Perciò bisognava trasformarlo sino a farlo combaciare perfettamente con l’immagine in positivo. I parametri di trasformazione sono stati dati dalla ricerca della coincidenza dei punti di inserimento dei principali muscoli della mimica facciale con i corrispondenti punti ossei di inserimento. Così le parti molli del viso hanno iniziato a depositarsi sugli spigoli delle ossa. Alla fine di questo processo si è ottenuto un cranio mesocefalo corrispondente al tipo che doveva appartenere all’Uomo della Sindone. Quindi è iniziata la collocazione dei tratti somatici e delle loro proporzioni. Il modello in argilla, basato su questo cranio, è stato perfezionato generando al computer fotografie in negativo e in positivo del viso della Sindone, controllando la corrispondenza sulla base di meccanismi di sovrapposizione e di traslazione delle distinte sequenze di immagini, sino alla corretta sovrapposizione di tutti i tratti. Per ultimare il modello delle parti molli sono state inserite sequenze di sovrapposizione delle immagini fotografiche di isodensità e quelle di Tamburelli. Per la collocazione dei capelli e della barba Miñarro Lopez ha cercato la coincidenza di alcuni punti di riferimento, sino a raggiungere forme perimetriche accettabili. L’argilla ha permesso in qualsiasi momento la correzione e l’adattamento delle forme, sulla base delle sequenze di controllo. Per i profili sono state utilizzate le rotazioni tridimensionali del viso della Sindone realizzate da Leo Vala (in apertura di articolo). Il risultato di questo lavoro è una scultura-identikit, realistica quasi al 100%, del viso dell’Uomo della Sindone, prima in argilla, poi in bronzo, così come doveva apparire una volta deposto nel Lenzuolo. Inoltre, Miñarro Lopez ha realizzato una seconda scultura-identikit in argilla del viso dell’Uomo della Sindone come doveva apparire in vita, privo di lacerazioni, contusioni e ferite. La somiglianza con il Gesù che conosciamo è sorprendente.

IL VERO VOLTO DELL’UOMO DELLA SINDONE (di Adriano Forgione)

Per secoli si è cercato di dare un volto all’Uomo della Sindone, quindi allo stesso Gesù con cui costui viene identificato. Attraverso l’uso di sofisticata tecnologia informatica e in occasione di un documentario per History Channel, Ray Downing è riuscito nell’impresa. Ne parla in questa intervista per FENIX

Qual era l’immagine reale del volto di Gesù? Questa è una domanda che l’umanità si pone da oltre un millennio. Nelle ultime decadi in molti hanno ricostruito il volto dell’Uomo della Sindone con buoni risultati, come in tanti hanno cercato di comprendere il perché della presenza di dati tridimensionali in essa insiti. La tecnologia informatica all’avanguardia è stata oggi applicata per creare un’immagine tridimensionale e in movimento dell’Uomo della Sindone, partendo proprio dalla tridimensionalità dell’immagine sindonica. Impresso sul tessuto della Reliquia vi è la debole e spettrale immagine dell’Uomo che, da secoli, si dibatte, sia o meno Gesù crocifisso. Da questa immagine straordinaria e inesplicata è partito l’artista, esperto in computer-grafica tridimensionale, Ray Downing, dello Studio Macbeth, che su commissione di History Channel, per la realizzazione di un documentario sul volto di Gesù, ha deciso di utilizzare gli strumenti e i software più avanzati per ricrearne le fattezze somatiche. Il progetto di History Channel e di Ray Downing, andato in onda lo scorso mese di Aprile negli USA e poi nel resto del mondo, era quello di svelare l’immagine incorporata nelle fibre del tessuto del Sacro Telo, di trasformare la sua debole, sfocata immagine bidimensionale in una figura viva, in movimento, ricreata in 3D. Il risultato è la più avanzata ricostruzione basata sull’Uomo della Sindone, che in molti credono essere Gesù. Un progetto durato un anno di lavoro: sei mesi per estrarre sufficienti informazioni dal Telo Sacro per costruire il modello 3D e altri sei mesi per completare il programma con le animazioni.
«Come artisti esperti in computer grafica 3D, l’idea che l’immagine della Sindone contenga informazioni tridimensionali ci ha intrigato. Alcuni affermano che tali informazioni siano assenti, mentre altri sono dell’idea che la loro presenza indichi una sorta di miracolo. Abbiamo voluto investigare in prima persona» ci ha detto Downing, contattato al telefono dalla nostra redazione.
Downing e il suo team non sono estranei alle ricostruzioni in computer-grafica, avendo “riportato in vita” Abramo Lincoln con le stesse tecniche, per il bicentenario dello storico presidente americano. Tuttavia, per ricreare Lincoln, Downing ha potuto lavorare su oltre 100 foto d’epoca, mentre la Sindone di Torino è una singola e debole immagine su tela, coperta di sangue, impurità secolari, macchie, fori da bruciature, rammendi etc. Come punto di partenza per il modello 3D di Gesù, la Sindone fornisce però un vantaggio incredibile: l’immagine dell’Uomo è misteriosamente codificata con informazioni tridimensionali, caratteristiche assenti in foto, dipinti od opere d’arte. «La presenza di dati tridimensionali codificate in un’immagine bidimensionale è un fatto del tutto inaspettato, quanto unico» ha dichiarato Downing. «È come se all’interno di un quadro fosse contenuto il set di istruzioni per la realizzazione di una scultura». La tecnologia informatica attuale e l’abilità dell’uomo hanno impiegato queste istruzioni per realizzare tale scultura, anche se solo in modo virtuale, facendo risorgere l’Uomo della Sindone davanti agli occhi di coloro che hanno avuto modo di vedere il documentario. La codificazione delle informazioni 3D su un antico pezzo di stoffa ha affascinato credenti e scettici allo stesso modo, non ultimo John Jackson, professore di Fisica presso l’Università del Colorado, ancora oggi, dal 1978, impegnato nel comprendere tale meccanismo. Nonostante decenni di intensa ricerca scientifica, come questi dati tridimensionali siano insiti nell’immagine sindonica resta elusivo e sfuggente. «Le informazioni tridimensionali – ci ha confessato Downing – che abbiamo verificato essere insite nell’immagine sindonica ci hanno aiutato in tre modi: 1 – Hanno dimostrato che questo Telo avvolse un vero corpo umano; 2 – Ci hanno portato a credere che quest’immagine potrebbe essere quella di Gesù, in quanto trovare questo tipo di informazioni in un antico pezzo di stoffa è davvero inusuale; 3 – Ci hanno permesso di estrapolare la precisa forma del viso dell’Uomo della Sindone».
Dunque Downing e il suo team durante il lavoro hanno maturato una pur minima certezza che la Sindone sia stata davvero il Telo sepolcrale di Gesù. Se ciò fosse vero, tale immagine dovrebbe essere anche la testimonianza dell’evento che chiamiamo “resurrezione” e che, a nostro parere, è la manifestazione di quello che nelle antiche scuole di scienza spirituale era chiamato Corpo di Luce o di Gloria. «Non è sorprendente che alcuni speculino che l’immagine della Sindone sia un ombra causata dall’evento che i cristiani chiamano resurrezione. Questa speculazione, comunque, è prematura. Penso sia importante prima comprendere il tipo di immagine codificata nella Sindone, la natura del segnale o la fonte alla base della sua creazione e, quindi, analizzare il tipo di evento, di interazione che l’ha generata».
Riuscire a estrapolare l’immagine dalla tela non è, comunque, stato un compito facile. Dopo mesi di lavoro la svolta: Downing si è concentrato sul fatto che il tessuto sarebbe stato avvolto intorno al viso di un uomo sepolto e dunque, una volta steso, avrebbe dovuto contenere delle distorsioni. Calcolati tutti i punti somatici del volto della Sindone e trasformandoli in dati tridimensionali, Downing è stato in grado di calcolare quella distorsione rimuovendola, creando un volto dell’Uomo della Sindone, a suo dire, mai visto prima, riportando tutto in grafica 3D e dandogli vita. «Abbiamo impiegato metodologie convenzionali, per mettere l’immagine della Sindone nella posizione in cui l’immagine si formò, e l’abbiamo fatto eliminando le distorsioni presenti. Quindi abbiamo usato i più moderni hardware e software 3D per estrarre le informazioni tridimensionali e ricostruire l’immagine definitiva del volto. La nostra immagine è molto più vicina a quella dell’Uomo che fu avvolto nel Telo che la stessa Sindone. Questo perchè il volto della Sindone è distorto e non corrisponde alle naturali proporzioni somatiche umane. Eliminando queste distorsioni e portando il nostro ritratto a un livello di elevato realismo, siamo stati in grado di far emergere il vero volto dell’uomo che un tempo fu avvolto nella Sindone» ci ha detto Downing. Un lavoro che questi considera il più realistico mai portato a termine sinora sulla Reliquia: «molti dei precedenti tentativi di riprodurre l’Uomo della Sindone hanno fallito nell’eliminare le distorsioni facciali create dal lino che avvolgeva il corpo. Ciò comporta che quei risultati sono molto meno realistici e meno umani del nostro ritratto 3D».
Per Downing ci sono due storie nel suo lavoro di ricostruzione: «c’è la storia della Sindone, sia artistica che scientifica, la storia di una transizione da bidimensionale a tridimensionale. Ma vi è anche la storia dell’Uomo della Sindone, la registrazione della sua trasformazione dalla morte alla vita», ha osservato Downing. «Le due storie si intrecciano e sembrano essere una sola». In effetti, un’immagine tridimensionale, fatta di luce, codificata in un oggetto bidimensionale, quale un telo di lino, può anche essere considerata come il velato messaggio dell’esistenza di una dimensione superiore, una dimensione di Luce, nascosta nelle pieghe della nostra realtà imperfetta e parziale. Downing non è impreparato e ci offre il suo punto di vista: «il fatto che la Sindone contenga informazioni “ultradimensionali” in un’immagine a base dimensionale più bassa, è un fatto dalle enormi implicazioni. La scienza ha speso i passati quarant’anni nello studio sulla possibile esistenza di dimensioni invisibili e più elevate. Il fatto che non le abbiamo ancora trovate indica che forse stiamo guardando nella direzione sbagliata? È interessante speculare se il mondo intorno a noi invii di continuo informazioni provenienti da una dimensione superiore e noi non siamo ancora in grado di riconoscerle. Alcuni scienziati stanno proprio esaminando questa possibilità».

La Sindone di Hans Weishäupl
Ma Downing e History Channel non sono stati gli unici a presentare recentemente una proposta per l’identikit del Salvatore basandosi sulla Sindone. Dal 2009 al 2010 l’artista fotografo tedesco Hans Weishäupl ha lavorato a un’immagine fotorealistica, come non si era mai vista prima d’ora. Per fare ciò egli si è basato sulle analisi scientifiche, sui risultati delle indagini forensi e sulle proporzioni esatte della Sacra Sindone. In collaborazione con la fotografa Janet Riedel, Weishäupl ha fotografato centinaia di individui e ha assemblato le singole parti di corpo e viso, per generare l’immagine realistica dell’individuo presente sul Sacro Telo. Per ricreare le ferite ha utilizzato materiale fotografico forense, al fine di farle sembrare più autentiche possibile. La sua ricostruzione non è certo l’Uomo della Sindone, ma è l’immagine più realistica che sia mai stata realizzata ispirata dalla Sacra Reliquia. Abbiamo chiesto proprio a Weishäupl il perchè di quest’opera.

Adriano Forgione: Perché ti sei interessato alla Sindone?
Hans Weishäupl: «Perché credo che sia davvero l’immagine di Gesù dopo la crocifissione. Il Telo copre un periodo di 2.000 anni di storia, anche se è in parte indiretta. È come se Gesù fosse in persona davanti a noi, nella sua Passione, come se il suo corpo nella tomba fosse stato immortalato a imperitura testimonianza. Nel mio libro fotografico, Figlio di Dio, spiego le mie motivazioni del perché vi siano molte indicazioni che suggeriscono che la Sindone sia la stoffa che avvolse il Salvatore. La sua sopravvivenza sino a oggi è un altro miracolo e riflette l’eccezionalità stessa della Passione di colui che avvolse».

A.F.: Quali tecniche e strumenti hai impiegato per ricostruire l’Uomo della Sindone?
H.W.: «In collaborazione con la fotografa Janet Riedel, tra il 2009 e il 2010, ho fotografato più di 190 persone, provenienti da ogni paese del mondo. Sono stati fotografati sia il corpo individuale che parti del viso, a cui deve aggiungersi un complesso lavoro di post-produzione in Photoshop per assemblare fedelmente il tutto. Per creare le lesioni della Passione ho usato immagini originali di medicina legale, al fine di dargli l’aspetto più realistico possibile. L’originale ha una taglia di 180 cm x 420 centimetri. L’elevata risoluzione dell’immagine in ogni minimo dettaglio è spettacolare».

A.F.:Ci sono stati altri tentativi di ricostruire il viso dell’Uomo della Sindone, alcuni molto accurati. Perché il tuo differisce dagli altri?
H.W.: «Il mio non è un identikit, ma un’immagine realistica a corpo integrale, che vuole offrire all’osservatore la vera esperienza del corpo di Gesù come appariva dopo la crocifissione, quando fu posto nel Telo. Ho voluto creare un’immagine di Gesù per i cristiani di ogni parte del mondo».

A.F.:Quanto sono state di aiuto le informazioni “tridimensionali” contenute nell’immagine sindonica?
H.W.: «Le informazioni 3D hanno contribuito a creare un’immagine più precisa del volto di Gesù».

A.F.: Pensi che la tridimensionalità della Sindone possa essere relazionata al momento della resurrezione?
H.W.: «Alcuni scienziati forensi affermano che l’Uomo sotto il panno doveva essere in gravi condizioni ma ancora vivo. Così scriveva il compianto professor Bonte, allora Presidente della Federazione Mondiale dei Medici Forensi: “Credo che ci siano tutte le ragioni per affermare che l’attività cardiovascolare nella tomba non fosse estinta”».

AVVOLSE UN CADAVERE (di Giulio Fanti)

Chi nega che il sacro Lino abbia avvolto un cadavere afferma che l’impronta dell’immagine umana frontale è più corta di 7 cm rispetto a quella dorsale, lunga 202 cm (le lunghezze sono state misurate prima dell’intervento del 2002 che ha causato un allungamento del Lenzuolo di qualche centimetro). Inoltre, asserisce che il volto è separato dal corpo, sproporzionato rispetto all’immagine frontale che dovrebbe essere più grande e che l’impronta delle mani è troppo allungata. Se queste evidenti sproporzioni dell’immagine umana possono essere attribuite a errori di un artista, magari medievale, sarebbe assai difficile ammettere che un corpo avvolto nel sacro Lino possa avere generato questa impronta. L’apparente altezza di due metri del cadavere renderebbe inoltre poco verosimile l’avvolgimento di un uomo di 2.000 anni fa. Effettivamente questi dati devono essere considerati per una soluzione definitiva del problema, non come disputa scientifica, ma come approfondimento.

Uno studio antropometrico
Per chiarire questi aspetti, qualche anno fa presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Padova è stato condotto uno studio interessante che ha cercato di rispondere al quesito riguardante il possibile avvolgimento di un corpo nella Reliquia. Chi scrive ha assegnato diverse tesi di laurea agli ingegneri A. Cagnazzo, A. Simionato, S. Faraon e A. Cunico, con l’obiettivo di costruire al computer un manichino numerico e di capire se questo potesse essere avvolto da un telo sindonico digitalizzato. Per risolvere il quesito si sono dovuti affrontare e risolvere diversi aspetti delicati, ma alla fine lo studio ha dimostrato chiaramente la possibilità che un corpo umano potesse generare quella doppia immagine, frontale e dorsale che si osserva sulla Sindone. Prima di riportare i risultati che sono stati presentati al congresso mondiale sulla Sindone di Orvieto 2000, viene di seguito descritto il metodo.

Costruzione del manichino numerico
È stato costruito con un opportuno codice di calcolo un manichino antropomorfo sulla base di indici antropometrici preventivamente calcolati; a questo riguardo, l’indice tibio-femorale, che è uno dei più significativi e che corrisponde al rapporto fra la lunghezza della tibia e quella del femore, per l’Uomo della Sindone è risultato pari a 83,8, molto vicino a quello dei semiti. Mentre gli indici antropometrici sono compatibili con quelli tipici di un uomo, nel caso della stessa analisi applicata a copie dichiarate della Reliquia, per esempio quella famosa eseguita nel 1516, e attribuita ad Albrecht Dürer, risultano indici antropometrici assolutamente incompatibili. Da questo si deduce che un pittore del XVI sec. non era in grado di riprodurre i dettagli anatomici dell’immagine corporea della Sindone. Una volta implementato il manichino numerico, questo doveva avere la capacità di muoversi secondo gli spostamenti ammessi a un normale corpo umano e doveva allungarsi o accorciarsi per cercare la possibile compatibilità con le due immagini umane frontale e dorsale digitalizzate. Si è assunta l’ipotesi, confermata da analisi medico-legali, di un uomo avvolto nel Lenzuolo con caratteristiche di spiccata rigidità cadaverica: una conferma di questa ipotesi si può avere osservando la conformazione dell’immagine dei glutei, che contrariamente al normale non presentano segni di schiacciamento in seguito al peso del corpo.

Pulizia e costruzione  dei teli numerici
Prima di trasferire l’immagine sindonica nel computer, sono state ricostruite, tramite analisi cinematica, le parti mancanti dell’impronta distrutte dall’incendio del 1532 e si è ripulita l’immagine corporea dai disturbi, quali gli aloni di acqua e le macchie di sangue. Si sono quindi definiti sull’immagine frontale e su quella dorsale i punti antropometrici più caratteristici sui quali basare il confronto con il manichino numerico. Sono stati costruiti due teli numerici, uno per l’immagine frontale e uno per quella dorsale. Sui due teli numerici sono state quindi fissate le coordinate dei punti antropometrici precedentemente determinati e quelle di altri punti caratteristici del profilo dell’immagine della Sindone. I teli numerici frontale e dorsale sono stati adagiati numericamente sopra e sotto il manichino antropomorfo. A questo punto il manichino è stato movimentato in modo da cercare una possibile compatibilità con le immagini dei due teli numerici. È risultato subito evidente che le immagini corporee, frontale e dorsale, della Sindone presentano una distorsione laterale, probabilmente dovuta al parziale avvolgimento del telo sul corpo; la distorsione è stata valutata del 10% in più rispetto alle corrispondenti dimensioni di un uomo proiettate su un piano. Dato che anche l’immagine dorsale della Sindone presenta la distorsione correlata al parziale avvolgimento del lenzuolo, è risultato improbabile che il corpo dell’Uomo della Sindone sia stato appoggiato su un letto piano, potrebbe invece essere stato adagiato su un letto ricurvo, a trogolo, oppure più semplicemente soffice perché ricoperto di spezie e fiori.

Compatibilità fra manichino e immagine
Considerando un’incertezza di misura di ±2 cm, dal confronto al computer fra le impronte frontale e dorsale della Sindone e il manichino antropomorfo, è risultata la mutua compatibilità. Si sono ottenute le seguenti informazioni:
– dato che l’Uomo della Sindone ha indici antropometrici verosimili è confermata l’ipotesi che l’immagine sindonica sia stata causata dall’avvolgimento di un uomo;
– la statura dell’Uomo della Sindone è di 175 (±2) cm, salvo possibile riduzione del dato dovuta ad allungamenti della Sindone nel tempo;
– considerando un’incertezza di misura di ±0,5 cm, le lunghezze degli arti sono: omero 35 cm, radio 26 cm, femore 49 cm, tibia 40,5 cm; dopo la movimentazione, la posizione del manichino numerico è conforme, tranne le braccia, a quella di un uomo crocifisso con il capo chino in avanti e le ginocchia leggermente piegate a causa dei chiodi ai piedi;
– le braccia dell’Uomo sono state probabilmente movimentate di forza, per permettere la sepoltura, mentre il corpo era nella rigidità cadaverica; i piedi sono eccessivamente distesi in avanti e il programma del computer non ha permesso di ottenere il movimento di rotazione effettivo, probabilmente perché risulta una distorsione della caviglia causata dall’infissione dei chiodi.

L’Uomo avvolto
Accertata la compatibilità fra impronte sindoniche e manichino antropomorfo, risulta quindi confermato l’avvolgimento di un cadavere nella Reliquia. Lo studio ha permesso di spiegare le apparenti contraddizioni portate da alcuni autori come prove contro l’avvolgimento, ma ha anche permesso di ottenere nuove informazioni sulla posizione dell’Uomo della Sindone durante la sepoltura. A causa della rigidità cadaverica, le gambe sono parzialmente piegate, verosimilmente perché dovevano sopportare il peso del corpo sulla croce che poggiava sui piedi inchiodati, oltre che sui polsi anch’essi inchiodati. La testa è chinata in avanti ed è rimasta in quella posizione dalla morte in croce; infatti il collo non ha lasciato traccia sull’impronta frontale, ma è invece chiaramente visibile nell’immagine dorsale. La nuca non mostra alcuna traccia di appoggio sulla Sindone e ciò conferma la posizione in avanti del capo dovuta alla rigidità cadaverica. La critica portata avanti da qualche studioso riguardo la diversa lunghezza dell’immagine frontale da quella dorsale non ha quindi valore, anzi conferma che l’uomo avvolto ha assunto una configurazione simile a quella di un uomo morto in croce con la testa china in avanti e le gambe parzialmente piegate. La critica riguardo l’altezza dell’Uomo non sussiste, perché prima di misurare una lunghezza bisogna considerare gli effetti dell’avvolgimento del corpo nel Lenzuolo e un’altezza di 175 (±2) cm corrisponde a quella di un uomo alto una decina di centimetri in più della media dei semiti di duemila anni fa. Giustamente qualcuno afferma che l’immagine del volto è staccata rispetto a quella del corpo perché il capo, chino in avanti, ha mascherato il collo; il volto, forse sproporzionato rispetto all’immagine frontale, appare così perché il sacro Lino ha avvolto la testa e quindi evidenzia l’effetto di una distorsione; similmente le mani allungate appaiono così perché le dita erano parzialmente piegate e l’avvolgimento esterno di un lenzuolo attorno a esse causa l’apparente allungamento. È tutto spiegato riguardo l’avvolgimento del cadavere nella Sindone? Certamente no. Molti studi dovranno essere ancora portati avanti per chiarire numerosi dettagli; per esempio, l’assenza dell’impronta di immagini laterali potrebbe essere causata dalla presenza di foglie e fiori attorno all’Uomo, che hanno impedito il completo avvolgimento del Lenzuolo, ma potrebbe essere anche dovuta, secondo F. Lattarulo, alla presenza di un intenso campo elettrostatico al quale l’Uomo avvolto nella Sindone potrebbe essere stato soggetto; la bassa intensità del campo corrisponderebbe proprio alla posizione dove l’immagine umana è assente o quasi. Una cosa però è chiarita a questo punto: la Sindone avvolse un cadavere.

LA SINDONE INSANGUINATA (di Emanuela Marinelli)

Le macchie rosse presenti sulla Sindone sono risultate essere sangue umano. Quali implicazioni ha la presenza di questo sangue sugli studi circa l’autenticità della Reliquia?

Per molti anni si è discusso delle macchie visibili in corrispondenza delle ferite dell’Uomo della Sindone. La prima analisi, eseguita nel 1973 da Giorgio Frache, Eugenia Mari Rizzati ed Emilio Mari su un campione esiguo di materiale, produsse risultati negativi; tuttavia essi conclusero: «La risposta negativa fornita dalle analisi condotte non ci permette di dare un giudizio assoluto sull’esclusione della natura ematica del materiale esaminato». Le analisi del 1978 hanno poi eliminato ogni dubbio: Pierluigi Baima Bollone, direttore dell’Istituto di Medicina Legale di Torino, e gli statunitensi John H. Heller e Alan D. Adler dello STURP (Shroud of TUrin Research Project) hanno dimostrato indipendentemente che le macchie sono di sangue. Heller e Adler erano ben consci che si sarebbero potuti ottenere risultati falsamente negativi se il materiale in esame non fosse stato adeguatamente solubilizzato, come può accadere su un campione molto antico e denaturato: ciò si riscontrò durante le analisi del 1973. Pertanto, i due scienziati scelsero un test molto specifico: l’uso della conversione dell’ipotetico campione di sangue in porfirina, riscontrabile dalla sua caratteristica di eccitabilità in fluorescenza rossa di Soret. Ottennero risultati positivi. Oltre ai derivati del sangue, Heller e Adler trovarono sulla Sindone pigmenti di bile e proteine del siero (albumine); ciò significa che c’era sangue intero sul tessuto e non solo proteine ematiche. Essi individuarono, inoltre, aloni di siero ai margini delle croste di sangue e conclusero che la Sindone fu a contatto con un corpo umano ferito. Una soluzione di enzimi proteolitici dissolse completamente il particolato del rivestimento rosso delle fibrille di lino, non lasciando alcun residuo. Ciò indica che questo particolato è sangue. Il trattamento con proteasi rimuove anche il rivestimento giallo-oro delle fibrille di lino rivestite di siero, aiutando la sua identificazione come siero. È interessante notare, utilizzando questa tecnica, che le fibrille liberate dal loro rivestimento rosso, viste al microscopio a contrasto di fase, assomigliano moltissimo a quelle non interessate al fenomeno dell’impressione dell’immagine. Questa è una forte indicazione che il sangue e il siero rivestirono le fibrille prima della formazione dell’immagine corporea e le “protessero” durante la formazione della stessa. Heller e Adler respinsero, con spiegazioni esaurienti, la valutazione eseguita al microscopio ottico da Walter C. McCrone su campioni della Sindone; egli affermò che l’immagine corporea è dovuta a pigmenti di ossido di ferro legati con una proteina animale ingiallita dall’età che è stata dipinta sul Lenzuolo e che le tracce di sangue sono una mistura di pigmenti di ossido di ferro e vermiglione nello stesso legante. McCrone insistette con le sue obiezioni, ma ebbe ancora una confutazione completa da David Ford, che dimostrò anche le contraddizioni del collega riguardanti le dimensioni, la forma e il colore dell’ossido di ferro, del solfato di mercurio e delle particelle della Sindone. Pierluigi Baima Bollone, Maria Jorio e Anna Lucia Massaro dimostrarono che sulla Sindone c’è sangue, che questo è sangue umano e di gruppo AB. Esso si è trasposto sul Lenzuolo di lino per fibrinolisi (ridiscioglimento dei coaguli) prima che si formasse l’immagine corporea. Il processo di ridiscioglimento e trasposizione del sangue, in ambiente umido, può avvenire dopo un periodo di almeno 3-4 ore; il cadavere rimase nella Sindone per meno di 40 ore, allora perché non si trovano segni di putrefazione?

I tipi di sangue
Le macchie di sangue sulla Sindone possono essere classificate in due tipi differenti: il primo è il sangue che uscì quando l’Uomo era ancora vivo, come quello provocato dalla flagellazione, dalla corona di spine e dai chiodi ai polsi; il secondo è il sangue che uscì dopo la morte, come quello della ferita al costato, con la separazione in una parte densa e in una sierosa.  La coagulazione sulla pelle e la trasposizione sul Lenzuolo del sangue del primo tipo presenta le seguenti cinque fasi:

Prima fase: formazione della crosta. È un meccanismo biologico complesso che cambia il sangue liquido in una sostanza simile alla gelatina in 5-10 minuti. La crosta si forma perché il fibrinogeno disciolto nel sangue si trasforma in una sostanza solida, la fibrina, che intrappola nelle sue reti i globuli rossi.

Seconda fase: ritiro delle crosta. La crosta si ritira ed essuda la sua parte liquida, il siero (un fluido giallo chiaro), in 20-45 minuti.

Terza fase: essiccamento della crosta. La crosta perde la sua umidità e diventa dura, come una crosta vera e propria. Il tempo necessario per questo fenomeno dipende da diversi fattori fisici, quali la dimensione della crosta, la temperatura, le correnti d’aria, l’umidità ecc. Pierre Barbet notò che il sangue della Sindone ha l’aspetto delle croste di sangue formate sulla pelle. Quelle croste di sangue hanno una zona interna pallida, contorni marcati e un alone pallido di siero; sono depresse al centro e crescenti verso i bordi. Gilbert Lavoie aggiunse che le croste si sono formate sul corpo di un uomo che morì in una posizione assunta durante la crocifissione. In effetti, l’andamento di tutte le colature ematiche testimonia le diverse posizioni che il corpo aveva durante i tormenti inflitti: ad esempio, era in piedi ma curvo durante la flagellazione e successivamente è stato appeso a una croce.

Quarta fase: ridiscioglimento della crosta e formazione delle macchie di sangue. Questo processo è il responsabile della formazione delle macchie di sangue sulla Sindone. Secondo Barbet fu sufficiente un’atmosfera umida per inumidire le croste, ma Carlo Brillante, docente di chimica e microscopia clinica all’Università di Bologna, afferma che la fibrinolisi (liquefazione della fibrina) giocò un ruolo importante nel trasferimento delle croste sulla Sindone. Il sistema coagulativo e quello fibrinolitico sono in equilibrio dinamico fra loro. Il primo forma la fibrina, il secondo la rimuove. Il fenomeno della lisi deve essere avvenuto in un tempo relativamente breve: dalle 3-4 alle 24-36 ore al massimo dopo la morte. Il fenomeno fibrinolitico segue leggi definite in accordo con il tempo di contatto. Se non si supera un certo numero di ore il trasferimento non avviene o avviene in modo più rudimentale; se invece si eccede quel numero di ore il sangue fa sbavature sul lenzuolo (e pertanto non avviene il trasferimento) a causa della maggiore friabilità delle croste di sangue. Questa è una delle osservazioni fondamentali che confermano l’innegabile relazione esistente fra la fibrinolisi e le macchie ematiche sulla Sindone. Il Lenzuolo evidenzia che la fibrinolisi iniziò e cessò in un tempo non ancora noto, probabilmente non maggiore di 36-40 ore, a causa della fine del contatto fra il corpo e la Sindone, poiché le tracce ematiche sono perfettamente trasferite e delineate.

Quinta fase: ritiro della crosta. Alla fine le macchie di sangue, trasposte sul Lenzuolo a causa del processo di fibrinolisi, si essiccarono sulla Sindone. Sul mantenimento del colore rosso del sangue sul Telo nel tempo, contrariamente a quanto asserito da Carlo Goldoni, Tina Grimaldi Di Marco e Mario Moroni, Adler evidenziò un ruolo molto importante dello straordinario contenuto di bilirubina.  Pierluigi Baima Bollone, Carolina Marino e Gianpiero Pescarmona considerarono verosimile che si fosse formato un alto quantitativo di bilirubina nel sangue di un uomo che soffrì molti traumi. Secondo loro, l’esistenza di un alto contenuto di bilirubina nelle macchie di sangue della Sindone potrebbe spiegare il colore rosso di tali macchie, anche se questo colore non è dovuto direttamente alla bilirubina, ma alla carbossiemoglobina.

Caratteristiche delle macchie ematiche
In breve, le caratteristiche delle macchie di sangue presenti sulla Sindone sono le seguenti: è sangue umano di gruppo AB; il sangue del primo tipo di macchia si è coagulato sulla pelle di una persona ferita; le croste hanno una zona interna più pallida e contorni molto evidenti; esse presentano depressioni al centro, bordi più rialzati e aloni pallidi di siero; il sangue si è trasposto sul Lenzuolo per fibrinolisi delle croste presenti sul corpo umano avvolto; il sangue del secondo tipo di macchia è uscito dopo la morte; al costato è molto evidente la separazione in una parte densa più scura e una sierosa chiara; la presenza degli innumerevoli traumi subiti dall’Uomo della Sindone è confermata dal tasso straordinariamente alto di bilirubina trovato nel sangue; l’andamento dei rivoli di sangue mostra le diverse posizioni assunte dall’Uomo della Sindone durante i tormenti; la trasposizione del sangue sul Lenzuolo precedette le formazione dell’immagine corporea; la fibrinolisi si bloccò dopo poche ore (non più di 36-40) a causa della fine del contatto del corpo con il tessuto.

Considerazioni finali
Alcuni ricercatori hanno tentato di copiare la Sindone per dimostrare che possa essere falsa. Sono state fatte molte ipotesi, come quella del dipinto, della tecnica del carboncino modificata, della strinatura o dello strofinamento di un lenzuolo su un bassorilievo, della proiezione a distanza di un manichino appeso al Sole, tutte ipotesi che saranno meglio discusse nel corso di questa pubblicazione. Nessuna di queste, però, considera la presenza del sangue. Se qualcuno afferma che il risultato di un esperimento è simile alla Sindone, deve considerare anche quanto questo sia lontano dalle particolari caratteristiche delle macchie di sangue rilevate mediante studi rigorosi. Ancora oggi nessuna prova sperimentale è capace di riprodurre contemporaneamente tutte le peculiarità riscontrate sulla Sindone e quel sangue resta testimone di una storia di atroci tormenti.

LA DOPPIA IMMAGINE (di Giulio Fanti)

Un recente studio sul Sacro Lenzuolo ha permesso di verificare un’affascinante ipotesi sulla formazione dell’immagine umana: l’energia sprigionata dal corpo avrebbe interagito con le due superfici esterne del tessuto, senza interessare le fibrille di lino più interne

Nel lontano marzo 1990, John Jackson pubblicò un articolo in cui proponeva un’ipotesi di formazione dell’immagine molto interessante, anche se al di fuori della scienza tradizionale: l’impronta sindonica si formò quando il corpo avvolto divenne meccanicamente trasparente ed emanò un “lampo di energia” capace di disidratare la superficie delle fibrille di lino del Telo. Il tessuto, mancando del normale contatto con la pelle, iniziò a cadere per gravità all’interno del corpo. Il fisico americano ipotizzò che l’energia emessa dal corpo “immateriale” dovesse essere stata emanata dal basso verso l’alto, ma anche dall’alto verso il basso, colpendo quindi entrambi i lati della Sindone che lo attraversava. Come effetto, Jackson postulò la presenza di una seconda immagine corporea, meno evidente, impressa sul retro del Lenzuolo, ma solo in corrispondenza dell’impronta frontale, perché quella dorsale, poggiata alla pietra tombale, non aveva ragione di attraversare il corpo.

Verifica del postulato
Il postulato di Jackson del 1990 non poté essere verificato fintanto che, nel 2002, si asportò il telo d’Olanda di rinforzo che era stato impunturato sul retro della Sindone dalle suore clarisse di Chambéry nel 1534 dopo il disastroso incendio. L’intervento del 2002 ha permesso di avere a disposizione le fotografie della Reliquia sia dal lato normalmente visibile, sia da quello che era impunturato sulla tela d’Olanda: si può quindi eseguire un confronto fra le immagini. Sul lato frontale si osservano l’impronta corporea e le tracce di sangue, mentre sul retro sono visibili a occhio nudo le tracce ematiche e forse qualche tratto somatico (naso, occhi e capelli). Lo scorso aprile la prestigiosa rivista internazionale Journal of Optics A: Pure and Applied Optics ha pubblicato un articolo intitolato The Double Superficiality of the Frontal Image of the Turin Shroud, disponibile sul sito www.sindone.info/FANTI.PDF. Prima della pubblicazione, tale lavoro, eseguito presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Padova, è stato revisionato da tre esperti a livello internazionale nominati dalla rivista. Con lo studio si dimostra oggettivamente, tramite analisi di immagini eseguite al computer con tecniche particolari che esiste un’immagine, molto tenue e mascherata dai diversi disturbi ottici, in corrispondenza del volto e probabilmente anche delle mani dell’Uomo della Sindone. Quindi, appaiono tracce di immagine corporea sul retro della Reliquia, ma solo in corrispondenza di alcune zone dell’immagine frontale dell’Uomo che in essa è stato avvolto; per il momento non risultano invece segni di impronta corporea sul rovescio del sacro Lino in coincidenza con l’immagine dorsale. In accordo con Jackson, l’energia sprigionata dal corpo avrebbe quindi interagito con le due superfici esterne del tessuto, senza invece interessare le fibrille di lino più interne. Un’altra possibile spiegazione del fenomeno, peraltro non ancora definitiva, ipotizza gli effetti di un intenso campo elettrostatico che, mediante “effetto corona”, avrebbe formato l’immagine sulla Sindone. Questa ipotesi è sostenuta da diversi scienziati, tra cui Oswald Scheuermann, Francesco Lattarulo e Giovanna De Liso, i quali hanno formulato sia modelli teorici interpretativi del fenomeno sia prove sperimentali che confermerebbero la somiglianza dei risultati ottenuti con i campioni sindonici di riferimento. Alcuni esperti (Lattarulo e De Liso) sostengono che il campo elettrostatico possa essersi verificato in concomitanza di terremoti, se il sottosuolo contiene strati di materiale quarzifero (perché il campo potrebbe essersi generato dall’effetto piezoelettrico di cristalli di quarzo compressi dalle forze nel sottosuolo causate dal sisma). Lo sviluppo dell’effetto corona potrebbe essere stato facilitato se nell’ambiente fossero esistiti gas ionizzanti come il radon. Prima di accettare l’ipotesi bisogna dimostrare che si ottengono immagini con tutte le caratteristiche di quelle sindoniche e che nel Sepolcro di Gerusalemme si possono essere verificate naturalmente le particolari condizioni ambientali responsabili della formazione dell’immagine. Altri scienziati (Scheuermann) sono invece portati a sostenere che il campo elettrostatico potrebbe essere stato un effetto collaterale del fenomeno descritto nei Vangeli: la Resurrezione.

Risultato definitivo?
Non tutti gli scienziati concordano con la recente scoperta, anche se oltre a Jackson molti altri famosi esperti internazionali come August Accetta, Marcel Alonso, Francesco Lattarulo, Raymond Rogers, Oswald Scheuermann, Barrie Schwortz e gli studiosi di ShroudScience hanno confermato il risultato. D’altra parte, come è scritto nel Journal, non si pretende di avere scoperto una verità assoluta, ma proprio per questo già dal 2002 chi scrive continua a proporre (ma finora inutilmente) una collaborazione tra esperti per scoprire ancora più nel dettaglio le caratteristiche estremamente particolari dell’immagine corporea. Sarebbe importante se, come è stato auspicato, il cardinale Poletto rendesse disponibili al mondo scientifico le immagini del retro della Sindone acquisite in luce ultravioletta, per meglio approfondire le caratteristiche della doppia superficialità dell’impronta corporea. La discussione specialistica dovrebbe essere fatta di fronte al sacro Lenzuolo con nuove analisi non distruttive, ma il retro della Reliquia è stato cucito a un nuovo telo d’Olanda e chissà tra quanti decenni o secoli sarà possibile osservare dal vero quello che solo un ristrettissimo gruppo di persone ha avuto la fortuna di vedere. E’ in ogni caso auspicabile che sia formata una commissione scientifica ad ampio spettro composta da diversi scienziati esperti nelle moltissime discipline coinvolte per tale studio, per cercare di chiarire definitivamente questioni come la doppia superficialità dell’impronta e fare luce su quello che per il momento rimane un mistero inspiegabile: la formazione dell’immagine dell’Uomo che molti identificano con Gesù di Nazareth. ~

LE IPOTESI RADIOATTIVE (di Michele Melchiorre)

Un’energia elettrostatica, forse scaturita da terremoti, avrebbe disintegrato i nuclei di deuterio presenti nel corpo dell’Uomo della Sindone, avviando il processo di disidratazione del lino, all’origine della formazione dell’immagine. E’ accettabile questa ipotesi nucleare o fu un fenomeno metafisico?

Tante tesi, molte discussioni, ma un solo punto fermo: la non riproducibilità dell’immagine sindonica, con tutte le sue particolari caratteristiche chimico-fisiche; almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze scientifiche. In molti hanno provato a copiare l’immagine del Telo, ma come abbiamo visto in queste pagine i risultati sono assolutamente lontani dall’originale conservato a Torino. Una delle tesi proposte per la formazione della figura della Reliquia è quella che prevede una “sorgente di radiazioni proveniente dall’interno del corpo”, in pratica un “lampo” di energia che avrebbe interagito chimicamente con il rivestimento esterno delle fibrille di lino, formando così l’immagine. Il problema da risolvere, in questa tesi, è “come” un corpo “morto” abbia potuto generare un’energia sufficiente a imprimere l’immagine sul tessuto di lino. Un quesito a cui ha cercato di dare risposta il prof. Jean Baptiste Rinaudo, della Facoltà di Medicina dell’Università di Montpellier, in Francia.

Protoni, neutroni e deuterio
Il fisico francese ha cercato di ottenere un’immagine con le stesse caratteristiche della Sindone, una figura che non tradisse i punti fondamentali, scientifici, che ne fanno un oggetto unico. Nell’affrontare gli esperimenti, Rinaudo ha elaborato un modello secondo il quale un’energia, forse di tipo elettrostatico, avrebbe dovuto produrre la disintegrazione parziale dei nuclei di deuterio presenti sulla superficie del corpo avvolto nel Lenzuolo. Secondo lo scienziato questa carica elettrica potrebbe essere la causa scatenante che avrebbe potuto dare il via al processo di disidratazione del rivestimento delle fibrille di lino, all’origine della formazione dell’immagine, rispettando così alcune caratteristiche come la tridimensionalità, la negatività e l’estrema superficialità. I test del prof. Rinaudo, condotti su tessuti di lino, hanno portato a risultati confrontabili con la Sindone e, allo stesso tempo, hanno evidenziato come l’esame del radiocarbonio effettuato nel 1988 fosse errato nell’attribuire una datazione medievale. Per meglio comprendere l’importanza degli esperimenti effettuati da Rinaudo, cercherò di riassumere la tesi dello scienziato francese, la quale contiene elementi di fisica nucleare di non semplice trattazione. Come detto, l’ipotesi di partenza dello studioso ammette che attraverso l’irraggiamento di radiazioni protoniche sia possibile ottenere un’immagine come quella della Sindone. Il protone è una particella nucleare dotata di carica elettrica positiva, uguale e opposta a quella dell’elettrone. Costituisce il nucleo dell’atomo di idrogeno e, con il neutrone, forma l’unità base di tutti i nuclei atomici. La sua massa è all’incirca uguale a quella del neutrone. Attraversando la materia, il protone disintegra nuclei atomici perdendo energia. Il neutrone, non essendo dotato di carica elettrica, può penetrare nei nuclei degli atomi ed esserne addirittura catturato, trasformando l’atomo stesso in isotopo stabile o radioattivo. Se per esempio un neutrone colpisce un atomo di azoto, esso viene catturato e l’unione forma l’isotopo radioattivo di carbonio 14. Questo flusso di protoni, nei test condotti da Rinaudo, ha scurito il campione di lino utilizzato per l’esperimento, ottenendo un’immagine di colore uguale a quella del Telo sindonico. Ora, perché si abbia questa emissione di protoni, lo scienziato francese ha postulato la disintegrazione dei nuclei di deuterio. Quest’ultimo è un isotopo dell’idrogeno, il cui nucleo è costituito da un protone e da un neutrone (anziché da un solo protone) il quale attraverso l’apporto di un’energia di almeno 2,3 megaelettrovolt produce un flusso di protoni e di neutroni in eguale quantità. Secondo Rinaudo, quindi, i protoni liberati dagli atomi di deuterio avrebbero scurito il tessuto, mentre i neutroni del deuterio avrebbero interagito con gli atomi di azoto per formare nuovo carbonio 14 sulle fibrille di lino, che avrebbe falsato la datazione della Sindone effettuata nel 1988.

Terremoti biblici
Ci si domanda, dunque, da dove sia potuto venire il deuterio e soprattutto cosa abbia scatenato l’energia necessaria a produrre la disintegrazione dello stesso. Ricordiamo che non stiamo parlando di un laboratorio di fisica nucleare, ma di un avvenimento che dovrebbe essere accaduto all’interno di una tomba contenente un corpo, morto, avvolto in un lenzuolo! Quindi, com’è possibile spiegare l’immagine del Telo in quest’ottica nucleare? È il fisico a rispondere al quesito, affermando che il deuterio è dentro di noi. Il corpo umano, infatti, per il 10% è composto da idrogeno, il quale a sua volta contiene una piccola quantità di deuterio, sufficiente, secondo il fisico, affinché possa avvenire la scarica di radiazioni che nella Sindone ha provocato l’immagine. Ma, a questo punto, da dove veniva l’energia necessaria alla disintegrazione? Rinaudo offre una soluzione affascinante: dalla tomba stessa. Come ci spiega il prof. Francesco Lattarulo dell’Università di Bari, in concomitanza di terremoti (documentati dai Vangeli) possono essersi generati nel sepolcro forti campi elettrostatici che potrebbero essere stati la causa di intense cariche elettriche; esse avrebbero causato la disintegrazione del deuterio presente nel corpo (assai più instabile del più comune idrogeno) e la successiva emissione del flusso di protoni e neutroni, la quale impresse per sempre la fisionomia dell’Uomo avvolto nel Telo e ne variò il contenuto di carbonio 14. In questo caso la forza della natura, o piuttosto il volere di Dio, fece sì che anche la pietra tombale posta a chiusura fosse spostata dall’immane energia presente all’interno del sepolcro, come detto nei Vangeli. La tesi di Rinaudo, tuttavia, può essere valida soltanto ammettendo alcune precise circostanze accadute in sequenza, secondo un determinato ordine. Anche l’energia applicata al corpo deve, per forza di cose, aver subito una sorta di “dosaggio”: un eccesso avrebbe inscurito l’immagine del Telo o, peggio, avrebbe bruciato completamente la Sindone; viceversa, una quantità inadeguata avrebbe prodotto una figura pallida, illeggibile. E allora, dobbiamo presupporre che sia stata “misurata” da un intervento esterno? Non c’è dato saperlo. Non potremo mai sapere se quel giorno, a Gerusalemme, vi fu un forte terremoto, se la pesante pietra posta a chiusura fu spostata dalla possente ondata di energia prodottasi all’interno. La tesi di Rinaudo si ferma qui, oltre non è possibile andare, almeno per il momento, anche se trova pienamente riscontro nelle Sacre Scritture: «Non ne (Agnello, N.d.A.) dovete fare avanzare fino al mattino: quello che sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. […] E’ la Pasqua del Signore!» (Esodo 12:10-11); l’immagine sindonica presenta un doppio segno: la “bruciatura” e la scomparsa.

Radiazione umana
Il dott. August Accetta, fondatore del Southern California Shroud Center di Huntington Beach, propone una tesi simile a quella del collega francese, ma senza considerare agenti esterni: l’energia scatenante scaturì completamente dall’interno del corpo. Per avvalorare la sua tesi, lo scienziato americano non ha esitato a sottoporsi, in prima persona, agli esperimenti del caso iniettandosi una soluzione di difosfato di metilene contenente tecnezio-99m (molecola fosforica che emette radiazioni gamma e che viene incorporata nei processi metabolici), per esaminare i meccanismi biochimico-metabolici che sono alla base delle funzioni vitali. Grazie al segnale che essi emettono, facilmente misurabile dall’esterno del corpo con apposita strumentazione, è possibile localizzarne la distribuzione nell’uomo, “fotografando” l’organo che si vuole esaminare. L’obiettivo del dott. Accetta era quello di realizzare un’immagine provocata da una radiazione emessa da un corpo umano. Nonostante il risultato simile a ciò che si osserva sulla Sindone, anche per quanto riguarda la tridimensionalità, è giusto sottolineare come il ricercatore americano abbia ottenuto soltanto fotografie e non immagini su tessuti di lino. In ogni caso, la ricerca risulta importante dal punto di vista della spiegazione circa l’origine dell’immagine: una radiazione emessa dall’interno del corpo. Anche per quest’ultima tesi non abbiamo altri elementi. La scienza ufficiale si ferma qui. Diversamente dovremmo ammettere l’imponderabile, dovremmo considerare l’ipotesi della Resurrezione che non può essere spiegata dal punto di vista scientifico. Dovremmo ammettere che quel corpo, chiuso nel Telo, ha subito una modificazione ultraterrena. Dovremmo accettare che “quel corpo” ha avuto un’esperienza che si scontra con la nostra comune consapevolezza della morte e che sfida le concezioni dominanti. D’altronde le prove circa l’autenticità della Sindone sono così importanti, così convincenti che appare impossibile eludere l’eventualità di un fatto metafisico quale la Resurrezione. La scienza è impotente e questo è confermato dal fatto che non è stato possibile replicare l’immagine del Telo nella sua completezza, non esiste a oggi alcun mezzo che permetta a un corpo, certamente morto, di lasciare la sua impronta indelebile nei secoli a testimonianza del suo passaggio terreno. La Sindone rimane, dunque, una sfida alla scienza moderna o, piuttosto, la prova di una promessa divina.  ~

L’Ipotesi tellurica

Una spiegazione plausibile del meccanismo di formazione dell’immagine sindonica deve rispondere a una serie di requisiti morfologici e chimico-fisici, che recentemente sono stati delineati con notevole rigore scientifico. Un fenomeno capace di rispettare tali stringenti condizioni è essenzialmente costituito da scariche elettriche superficiali al corpo umano (più tecnicamente, scariche parziali o “effetto corona”) originatesi per effetto di un campo elettrico esogeno. La disuniforme distribuzione e intensità (comunque debole) delle scariche dipende sia dalla posizione complessiva che dai dettagli anatomici del corpo umano, conduttore rispetto all’orientazione del campo elettrico. Quest’ultimo può essersi originato durante episodi tellurici, del tutto compatibili con la descrizione evangelica, determinando in modo naturale un debole e superficiale fenomeno impressivo di tipo elettrico dell’immagine, col concorso simultaneo di condizioni ambientali favorevoli all’innesco delle scariche stesse. È ragionevole pensare alla presenza di un adeguato livello di ionizzazione ambientale, superiore a quello normale, nel sepolcro chiuso conseguente all’accumulo di gas radon, notoriamente ionizzante perché radioattivo, effluente dal suolo in quantità adeguata durante il terremoto. È da rilevare che il trasferimento elettrostatico delle fattezze anatomiche prive di distorsione sul Telo richiede che questo sia stato sistemato in intimo e stabile contatto col corpo tramite un avvolgimento esterno realizzato con bende, con la parte del capo avvolta in una mentoniera, anch’essa esterna al telo ricoprente. Questa descrizione non solo è compatibile, ma addirittura risolve in modo convincente l’interpretazione ancora dibattuta del brano Gv 20:8, nel quale si spiega che Giovanni ha potuto credere alla resurrezione del suo Maestro dopo un’attenta osservazione di uno stato dei luoghi non alterato da effrazioni: egli vide le bende collassate sul piano della deposizione per assenza del sostegno interno costituito dal corpo e la disposizione separata e ricurva su sé stessa della mentoniera. Secondo questa descrizione, una porzione interessante del lato esterno del Telo direttamente esposta all’ambiente circostante poteva essere quella corrispondente al volto. È agevole allora spiegare quella doppia formazione dell’immagine descritta dal prof. Giulio Fanti che, alla luce delle considerazioni qui esposte e citate dallo stesso studioso, interpretiamo essere di origine elettrostatica. Infatti, l’esposizione alle scariche anche di quella parte esterna del Telo che ricopriva il viso consentiva l’imprimersi di un’ulteriore e circoscritta immagine elettrostatica. Come direbbe Pascal, «tout se tient».

UN PROCESSO ENERGETICO (di Giulio Fanti)

Le particolari caratteristiche dell’impronta sindonica hanno innescato le teorie scientifiche più disparate: opera di un artista, meccanismo diffusivo, contatto diretto, radiazione naturale

Il problema principale negli studi sindonici è quello di spiegare la formazione dell’immagine corporea. Numerosi scienziati hanno proposto il coinvolgimento di diversi fenomeni fisici, ma per il momento non sono state ancora trovate soluzioni capaci di spiegare completamente le caratteristiche delle fibrille di lino colorate. Il gruppo ShroudScience, composto da scienziati provenienti da tutto il mondo, ha deciso di redigere una lista di caratteristiche chimico-fisiche della Sacra Sindone sulla quale basare le future discussioni sul processo di formazione dell’immagine corporea.

L’immagine umana
Fra queste caratteristiche, ci sono quelle riguardanti il colore dell’immagine che risiede solo sulle fibrille più esterne del tessuto e nello strato di impurità che riveste ogni fibrilla sindonica: la cellulosa del midollo delle fibrille di immagine non è colorata. Se si toglie meccanicamente il sottilissimo strato superficiale di impurità, dello spessore di circa 0,3 micrometri, le fibrille colorate rimangono senza colore. I risultati di prove specifiche quali gli spettri di riflettanza, i test chimici, gli spettri Raman, la spettrometria di massa e la fluorescenza ai raggi X mostrano che l’immagine umana non è il risultato dell’applicazione di pigmenti ferrosi o di altro materiale. Le fibrille di immagine non evidenziano alcun segno di flusso capillare di liquido reagente né tracce di cementazione, come è invece evidente in corrispondenza delle macchie ematiche e del siero. Il processo di formazione dell’immagine non ha alterato il sangue e sotto le tracce ematiche non esiste l’impronta. Per quanto riguarda la fluorescenza eccitata dai raggi ultravioletti, l’immagine umana non è fluorescente nello spettro visibile, mentre le zone “pulite” hanno un picco di fluorescenza a 435 nanometri; una fluorescenza più rossa si osserva invece intorno alle bruciature dell’incendio del 1532. La luminanza dell’immagine, cioè la variazione di chiaroscuro, differisce da zona a zona in funzione della percentuale di fibrille colorate affiancate a quelle prive di colore. L’immagine dorsale ha una luminanza media simile a quella frontale e quindi il processo è indipendente dall’effetto della gravità che ha agito sul corpo deposto sulla pietra tombale; i livelli di luminanza del volto sono maggiori almeno del 10% rispetto al resto dell’immagine, facendo supporre che in quella zona l’attività energetica fosse stata più rilevante. Non esistono tracce di immagini corporee laterali. I capelli appaiono soffici e non impaccati, come ci si aspetterebbe se fossero intrisi di sangue; questo si spiegherebbe con la presenza di un forte campo elettrostatico. La definizione dei dettagli è relativamente alta soprattutto in corrispondenza del volto e delle mani dove si ha una risoluzione di 5 mm, ma contemporaneamente i contorni dei particolari anatomici sono sfumati. La distribuzione dei livelli di luminanza delle immagini frontale e dorsale è correlabile alla distanza fra la superficie del corpo e il Lenzuolo (tridimensionalità). L’immagine è il risultato di una sorgente di energia estremamente direzionale, emanata perpendicolarmente alla superficie della pelle. L’energia è stata emanata dall’interno del corpo avvolto dal Lenzuolo perché le macchie di sangue e siero, formatesi per contatto diretto col cadavere, passano da parte a parte il tessuto, ma sono più evidenti dal lato della Sindone dove c’è l’immagine frontale e dorsale. La mancanza di segni di putrefazione, soprattutto vicino alle labbra, esclude l’ipotesi di formazione dell’immagine causata dai gas della decomposizione del cadavere e dimostra che il processo è durato non più di una quarantina di ore. Le distorsioni delle impronte delle mani, dei polpacci e del dorso sono riconducibili a un avvolgimento del Lenzuolo attorno al corpo; lo confermano anche le tracce di sangue e siero trasposte per fibrinolisi sulla Reliquia.

Intervento di un artista?
L’ipotesi dell’opera di un artista comprende diversi tipi di intervento. Fra le tecniche pittoriche c’è la pittura tradizionale proposta da Walter McCrone che ha ipotizzato un dipinto con pigmenti di ocra rossa (rosso veneziano), solfuro di mercurio (vermiglione) e proteine, ma è da scartare, anche perché un dipinto causa l’apporto di pigmenti che cementano fra loro le fibrille di lino e interessano l’intero filo del tessuto. La tecnica modificata del carboncino proposta da Emily Craig e Randall Bresee, invece della grafite, prevede una polvere di collagene e ossido di ferro, oppure aloe, che agisce da reagente per le fibrille poste successivamente in contatto con il dipinto. L’ipotesi però non spiega l’estrema superficialità dell’immagine e la presenza di distorsioni che avrebbero deteriorato l’opera artistica. Vittorio Pesce Delfino ha ipotizzato l’apposizione di un lenzuolo sul bassorilievo metallico di un volto riscaldato che provoca una strinatura, mentre Joe Nickell ha proposto un risultato analogo strofinando un fazzoletto su un bassorilievo preventivamente trattato con ossido di ferro e acido solforico. Le ipotesi sono da scartare, anche perché tali tecniche colorano anche il nucleo delle fibrille. Secondo Nicholas Allen, un geniale falsario medievale realizzò una “fotografia primordiale” mediante una camera oscurata con un opportuno foro, attraverso il quale passava l’immagine di un corpo umano posto all’esterno, mentre all’interno sarebbe stato posto un lenzuolo, trattato con reagenti chimici naturali. Nell’opinione di Clive Prince, Lynn Picknett e Maria Consolata Corti (con lo pseudonimo di Vittoria Haziel), quest’uomo sarebbe Leonardo da Vinci, il quale avrebbe trattato il lenzuolo di lino con una soluzione diluita di nitrato d’argento o solfato d’argento. Per ottenere l’immagine frontale e dorsale, sarebbe stato necessario ripetere due volte il processo di impressione; successivamente il lenzuolo sarebbe stato imbevuto con una soluzione di ammoniaca o di urine per rimuovere l’argento, lasciando la doppia immagine. Questa ipotesi è da scartare, anche perché non spiega l’estrema superficialità dell’immagine e la presenza di evidenti distorsioni.

Meccanismo diffusivo o di contatto?
Diversi ricercatori, Paul Vignon, Michel Adgé, Giovanni Imbalzano e Raymond Rogers, hanno ipotizzato un meccanismo diffusivo come spiegazione della formazione dell’immagine corporea. In particolare, i gas sviluppatisi dal cadavere potrebbero avere reagito con il telo, generando la tipica reazione di disidratazione della cellulosa del lino. L’ipotesi è da scartare, tra l’altro, perché non ci sono tracce di putrefazione sulla Sindone e perché la diffusione di un gas interessa una zona assai ampia del tessuto e non solo alcune fibrille superficiali. Altri ricercatori, tra cui Jean Volckringer, Giovanni Battista Judica Cordiglia, Ruggero Romanese, Sebastiano Rodante e Samuel Pellicori, hanno proposto un meccanismo di contatto diretto fra corpo e telo, ma l’ipotesi è da scartare, anche perché non spiega come tale processo sia in grado di disidratare solo le fibrille più superficiali, perché la pressione maggiore esercitata dal corpo sull’immagine dorsale provocherebbe una figura più evidente di quella frontale e perché le immagini per contatto presentano contorni più definiti.

Meccanismi misti?
Alcuni ricercatori, come Pietro Scotti, John De Salvo, John German e Marcel Alonso, hanno proposto l’ipotesi dell’interazione simultanea di più processi. Per esempio la diffusione potrebbe avere agito in parallelo con il meccanismo a contatto; si potrebbe quindi supporre che l’immagine sia dovuta a molte concause. Anche questa ipotesi non spiega le caratteristiche già discusse e spesso si ricorre a molte cause quando si spiega un fatto poco noto. Se si applica il principio delle minime ipotesi (rasoio di Occam), le soluzioni semplici devono essere preferite.

Una sorgente radiattiva naturale?
Giovanni Battista Judica Cordiglia, Francesco Lattarulo e Giovanna De Liso hanno proposto un meccanismo naturale di radiazione correlata ai terremoti e causata da una campo elettrostatico in presenza di ionizzazione dell’aria dovuta alla presenza di gas radon: l’effetto corona. La prof.ssa De Liso ha condotto prove sperimentali di formazione di immagini di alcuni oggetti posti su fazzoletti di lino, a loro volta situati in mezzo a due piastre di gneiss che agiscono come condensatori. Tale meccanismo deve essere ancora approfondito, anche se non risulta per il momento che sia possibile ottenere immagini a distanze superiori a pochi millimetri dal corpo avvolto dal tessuto di lino.

Un lampo di energia
Ma perché si è arrivati a ipotizzare un processo energetico, anche di forte intensità ma di breve durata? È la pura deduzione scientifica dei fatti che conduce a tale ipotesi, oppure è il condizionamento religioso di alcuni scienziati che vogliono dimostrare a tutti i costi la Risurrezione di Gesù Cristo? Forse qualche studioso può essere stato condizionato, ma se si ragiona dal punto di vista strettamente scientifico si deve arrivare a un risultato simile. L’immagine corporea non ha tracce di pigmenti sufficienti a spiegarla, tra le fibrille di lino colorato non ci sono sostanze d’apporto diverse da quelle presenti sulle fibrille prive di immagine e il loro nucleo non è colorato; non si può quindi pensare a una sostanza trasposta sul tessuto tramite opera di un artista o tramite sudorazione del corpo avvolto. Non risultano tracce di gas della decomposizione del cadavere che possano far pensare a una reazione delle fibrille di lino per diffusione di gas amminici. La disidratazione del sottilissimo strato di polisaccaridi che riveste le fibrille di immagine è stata certamente causata da una reazione chimica, in qualche modo generata da una sorgente di energia. Tale energia non può essere dovuta da un fenomeno chimico per contatto perché l’immagine esiste anche in zone che certamente non toccavano la pelle dell’Uomo, come per esempio quella fra naso e guance o quella fra bulbo oculare e sopracciglia. La radiazione, perciò, è il termine che deve essere usato per trattare questo fenomeno che ha agito a distanza. Ma che tipo di radiazione si deve considerare? Per il momento bisogna essere aperti a tutte le possibili soluzioni: da quelle elettromagnetiche all’emissione di particelle e a tutte le forme di radiazioni ionizzanti. Si pensa poi a una breve durata del fenomeno energetico per spiegare la superficialità dell’immagine. Il processo, infatti, ha interessato solo lo strato di polisaccaridi che riveste le fibrille di lino per circa 0,3 micrometri, senza intaccare la cellulosa del nucleo. Fenomeni prolungati nel tempo avrebbero invece avuto più facilità a diffondersi anche all’interno del nucleo. Si parla quindi di una durata variabile da qualche microsecondo fino a pochi secondi. Perché, infine, energia di forte intensità? Due motivi sono alla base dell’ipotesi: il primo è che se la durata è breve, l’intensità deve essere elevata; il secondo sta nel fatto che l’ipotetica energia ha causato un’immagine anche a distanza di diversi centimetri dalla pelle radiante, ad esempio nella zona compresa fra naso, occhi e guance, quindi l’intensità deve essere elevata. Nel caso di fonti elettrostatiche, ottime candidate alla spiegazione, prove sperimentali hanno dimostrato che tensioni di qualche kV sono in grado di generare immagini, per effetto corona, simili a quella sindonica soltanto a una distanza di pochi millimetri dalla sorgente (sarebbero invece necessarie tensioni di MV per riprodurre l’impronta del Telo). Ecco dunque perché molti scienziati ipotizzano un “lampo di energia” e perché non è facile riprodurre l’immagine in laboratorio utilizzando simili sorgenti di energia. A questo punto è evidente che se l’uomo del terzo millennio non è in grado di costruire qualcosa di simile al sacro Telo, dato che questo esiste, è necessario porsi alcune domande. Da dove viene la Sindone? Chi è stato in grado di costruire un oggetto simile? E ancora, uscendo dal campo scientifico: la sorgente di energia proveniente dall’interno del corpo è correlabile alla Resurrezione?

LA SINDONE, LA LUCE ULTRAVIOLETTA E IL CORPO STELLARE (di Adriano Forgione)

Cinque anni di esperimenti per arrivare ad affermare che la Sindone non è un falso medievale. Sono stati gli scienziati dell’ENEA, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Sostenibile, il 18 dicembre scorso a dichiararlo. La datazione medievale era stata avvalorata, contro molte argomentazioni di peso, dall’esito delle discusse, e probabilmente falsate, misurazioni al C14 del 1988, un esame la cui credibilità è tutt’oggi messa in dubbio sia dalle sicure contaminazioni subite dal tessuto nei secoli, di cui è parzialmente oscuro il percorso storico, sia da dimostrati fattuali errori di prelevamento dei campioni, e non solo (lo ha ammesso anche il dottor Ray Rogers, membro di spicco di uno dei team coinvolti nel test, prima di morire qualche anno fa, che erano stati prelevati i campioni da un rattoppo medievale). Lo studio dell’ENEA è firmato dai ricercatori P. Di Lazzaro, D. Murra, A. Santoni, E. Nichelatti e G. Baldacchini, che «partono dall’ultimo (e unico) esame completo interdisciplinare del lenzuolo, compiuto nel 1978 dalla squadra degli scienziati americani dello Sturp (Shroud of Turin Research Project)». Il rapporto dell’ENEA afferma: «La doppia immagine di un uomo flagellato e crocifisso, visibile a malapena sul lenzuolo di lino della Sindone, presenta numerose caratteristiche fisiche e chimiche talmente peculiari che rendono ad oggi impossibile ottenere in laboratorio una colorazione identica in tutte le sue sfaccettature. Questa incapacità di replicare e quindi falsificare l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta. Di fatto, ad oggi la scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone». Di fatto una bocciatura per tutti quelli che ritengono la Sindone una frode medievale. Non sono uno scienziato e dunque, a differenza dei ricercatori dell’ENEA, posso azzardare le mie ipotesi di come si sarebbe formata l’immagine sindonica, partendo proprio dal loro rapporto di studio, che a mio modo di vedere ha in sé delle informazioni straordinarie. Sarò di parte, ma non ho mai nascosto la mia idea che la Sindone sia la testimonianza di come il Corpo di Luce si sia manifestato in Gesù, originatosi dalle sue componenti subnucleari (FENIX 19, pag. 50). Un fenomeno quantico sconosciuto alla scienza di oggi, ma conosciuto dagli Antichi che lo definirono Merkaba, Kundalini, Eldorado, Corpo di Diamante, Carro di Gloria (per citare i nomi più conosciuti) e che richiamerebbe un’energia proveniente dal vuoto quantico, partendo dal livello subnucleare delle cellule, per trasmutarlo in pura luce, in un essere sublime e divino. Viene chiamato anche “Corpo Stellare” in quanto la sua energia e qualità è la stessa di una stella (foto in basso, l’ipotesi della manifestazione del corpo stellare all’interno della Sindone). Va detto che l’ENEA ha provato che l’unico modo per generare sul lino un’impronta così tenue, superficiale e allo stesso tempo tridimensionale, è sottoporla a un irraggiamento da laser eccimero, cioè che genera raggi ultravioletti ad una ben specifica frequenza. L’ENEA scrive nel rapporto intitolato Colorazione simil-sindonica di tessuti di lino tramite radiazione nel lontano ultravioletto: «Abbiamo (…) dimostrato la capacità degli impulsi VUV della durata di alcuni nanosecondi di colorare solo la parte più esterna del tessuto di lino, che è una delle caratteristiche della Sindone più difficili da replicare». Dunque secondo l’ENEA sarebbe stata proprio una determinata qualità di luce a poter generare l’Impronta sindonica, la luce ultravioletta (UV), tipica dei corpi stellari, che infatti emettono questo tipo di luce. Si ricordi che il colore “viola” è proprio quello che nelle tradizioni spirituali è associato alla “Illuminazione”, in quanto oltre quella qualità di luce esiste solo la Luce divina, quella che è associata alle frequenze del vuoto quantico. Ancor più importante proprio è la scoperta sulla qualità di ultravioletti che è stata in grado di replicare l’impronta sul lino: il lontano ultravioletto (VUV): «I risultati più interessanti sono stati ottenuti con luce VUV (…). L’analisi dei risultati ottenuti ci ha suggerito che per ottenere una colorazione più simile a quella della Sindone avremmo dovuto utilizzare una radiazione a lunghezza d’onda ancora più corta, nello spettro del lontano ultravioletto (o ultravioletto da vuoto, VUV)». Dunque, si tratta proprio della qualità di fotoni che è molto vicina al “vuoto quantico” e che, quindi, ne rappresenta la loro “prima manifestazione”. Un grande indizio dell’apparizione nella realtà visibile, in un Essere perfezionato come quello di chi attivò in Sé il Corpo di Gloria, di una Luce divina e pura proveniente dal Vuoto quantico (parliamo di “alte frequenze” d’onda, quindi ultravioletta, di qualità superiore, e non di “basse frequenze” che appartengono all’infrarosso). Dunque la ricerca dell’ENEA non solo conferma le straordinarie qualità della Sindone, irreplicabili dalla scienza attuale, ma indica, a chi ha le conoscenze “tradizionali” per comprenderle, l’esistenza del Corpo di Luce, di cui la Sindone è, a mio parere, l’unica vera testimonianza. Per concludere, le dichiarazioni del prof. Paolo Di Lazzaro dell’ENEA (al centro nella foto in basso) ci offrono un’idea della straordinaria potenza che si sprigionò all’interno della Sindone in quei momenti: «Se consideriamo la densità di potenza di radiazione che noi abbiamo utilizzato per ottenere la colorazione di un solo centimetro quadrato di lino, per riprodurre l’intera immagine con un singolo flash di luce sarebbero necessari quattordicimila laser, tutti puntati in un’unica direzione, pensate ad un intero palazzo pieno di laser. Quando si parla di un flash di luce che riesce a colorare un telo di lino in modo simile alla Sindone è facile portare il discorso nell’ottica del miracolo e della resurrezione. Ma come scienziati, noi ci occupiamo solo di eventi scientificamente riproducibili. Quello che posso dire con assoluta certezza è che il nostro risultato è assolutamente riproducibile in laboratorio, lo abbiamo verificato più volte con attenzione. Se i nostri risultati scientifici possono aprire un dibattito filosofico e teologico, le conclusioni le lasciamo agli esperti dei rispettivi campi e, in definitiva, alla coscienza di ciascuno di noi». È quello che ho fatto.

UNA RELIQUIA IRRIPRODUCIBILE (di Giulio Fanti)

Una sintesi ragionata sulle ipotesi di formazione della Sindone. La Reliquia è frutto di una radiazione durante la resurrezione? In questo articolo l’autore, fisico dell’Universita di Padova, presenta l’ultima straordinaria ipotesi di formazione dell’immagine sul Telo

La Sindone è ritenuta da molti la più importante Reliquia della Cristianità perché, secondo la tradizione rafforzata da numerosi indizi scientifici, è il Lenzuolo in cui Gesù Cristo fu avvolto quando fu deposto in un sepolcro in Palestina circa 2000 anni fa. Forse proprio per questo motivo essa ha generato più controversie di ogni altra reliquia ed ancora oggi qualcuno, in accordo con il proprio credo religioso, afferma che essa non sia autentica. L’analisi al carbonio 14 del 1988 ha decretato medievale la Reliquia torinese, ma il risultato è stato ampiamente dibattuto rendendolo oggi assai dubbio. Data la completa corrispondenza fra quanto si osserva sulla Sindone e quanto si legge nella Bibbia, si può ritenere che la Sindone sia stata testimone della Risurrezione di Gesù Cristo e certi studiosi spiegano l’immagine corporea proprio sulla base di questo fenomeno irriproducibile. L’analisi scientifica più importante ed approfondita fu eseguita nel 1978 dallo STURP (Shroud of TUrin Research Project) ma sono tuttora in atto diversi studi anche da parte di università ed enti di ricerca. Le caratteristiche dell’immagine corporea sono uniche e, come detto, non esiste tecnica moderna capace di riprodurre tutte insieme queste particolarità. Molti studiosi hanno tentato di riprodurre alcune caratteristiche ma non hanno raggiunto alcun comune accordo perché ipotesi e risultati sembrano inadeguati a spiegare l’immagine apparentemente impossibile.

Caratteristiche dell’immagine corporea
Per mostrare la complessità dell’immagine corporea della Sindone, si evidenziano alcune caratteristiche, in accordo con quanto è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Journal Imaging Science and Technology (G. Fanti dicembre 2011).
– Esiste una correlazione fra i chiaroscuri dell’immagine e l’ipotetica distanza fra uomo-telo; per questo motivo l’immagine è detta tridimensionale.
– L’immagine presenta i chiaroscuri invertiti, essa quindi appare come un negativo fotografico.
– Le immagini frontale e dorsale hanno simili intensità di colore giallo-marroncino, ed esiste l’immagine anche nelle aree di non-contatto corpo-telo come, ad esempio, la zona compresa fra il naso e le guance.
– L’immagine frontale è doppiamente superficiale dove è più intensa. Il tessuto di lino ha uno spessore di 0,34 mm e presenta un’immagine superficiale spessa circa 0,03 mm da un lato; non vi è alcuna immagine nel mezzo del sottile tessuto, ma appare una seconda immagine molto simile alla prima sul lato opposto.
– Alcuni dettagli come naso, labbra e barba sono evidenti e ben definiti, ma l’immagine sembra scomparire se qualcuno la guarda da una distanza inferiore a circa un metro; questo si traduce scientificamente nell’affermare che l’immagine corporea ha una risoluzione di circa 5 mm, anche se i contorni sono assai sfumati. L’immagine inoltre non è fluorescente se esposta a radiazione ultravioletta.
– La Sindone ha avvolto il cadavere di un uomo e questo è anche dimostrato dal fatto che l’immagine corporea presenta distorsioni geometriche tipiche dell’avvolgimento del cadavere. Il rigor mortis è evidente soprattutto in corrispondenza dell’immagine delle natiche. Non sono evidenti segni di putrefazione e quindi il cadavere fu avvolto per non più di una quarantina di ore.
– Le macchie rosse sono di sangue umano, spesso circondate da aloni di siero. Non si è trovata immagine sotto le macchie di sangue, quindi queste si sono formate prima dell’immagine corporea.
– Contrariamente alle zone macchiate di sangue, dove le fibre di lino sono cementate fra loro, non vi è segno di cementazione tra le fibre di immagine e nemmeno segni di flusso capillare. Molti test, tra cui la fluorescenza a raggi X, hanno dimostrato che l’immagine non è compatibile con un dipinto.
– La colorazione dell’immagine non è causata da pigmenti pittorici ma da reazioni chimiche dei polisaccaridi che compongono le fibre di lino: ossidazione, disidratazione e coniugazione. Sono evidenti striature nei fili di immagine perché appaiono fibre colorate adiacenti a fibre non colorate. Il colore è più intenso nelle fessure in cui due o più fili si incrociano, non sulle sommità dei fili. Le fibre sono colorate uniformemente intorno alla loro superficie cilindrica, mentre lungo l’asse delle fibre si possono osservare variazioni di intensità del colore. Il colore di una fibra di lino si trova solo su uno strato esterno sottilissimo, detto strato primario, che è spesso 0,2 millesimi di millimetro. La cellulosa dello strato secondario è incolore.  Si può pensare ad un ipotetico pittore per capire la particolarità del colore. Bisognerebbe che questo avesse utilizzato un pennello con una sola setola finissima, impregnata di un qualche acido (non pigmento) e che avesse dipinto una fibra alla volta (ce ne sono milioni) lasciando inalterate quelle adiacenti. Egli avrebbe però dovuto dipingere ogni fibra attorno all’intera circonferenza, passando attraverso altre fibre non colorate, ma avrebbe dovuto colorare solo la finissima pellicola esterna della fibra senza intaccare l’interno come fanno gli acidi. Dato che la fibrilla è visibile solo al microscopio, l’ipotetico pittore avrebbe dovuto usare questo strumento relativamente moderno, ma dato che l’immagine è visibile da almeno un metro di distanza, egli avrebbe dovuto utilizzare un pennello così lungo oppure avrebbe dovuto usare un opportuno sistema di specchi!

Ipotesi antiche
Già dalle antiche origini è nato  il problema relativo alla formazione dell’immagine sindonica e nel codice Vat. Gr. 511, risalente al X secolo d.C., appare l’Orazione di Gregorio, il referendario che formula una ipotesi di formazione dell’immagine. Vi si legge che l’impronta su panno di Cristo fatta venire da Edessa, dopo 919 anni non fu prodotta con colori artificiali, ma “fu impressa dalle sole gocce di sudore dell’agonia e dalle gocce di sangue”. Questa ipotesi quindi suppone che l’immagine si sia formata dal contatto della Sindone con un corpo bagnato di sudore e sangue. Subito dopo la prima fotografia della Sindone eseguita nel 1898, che ha permesso all’immagine corporea di essere esaminata attentamente senza la necessità di essere di fronte alla Reliquia, molti studiosi hanno analizzato le sue caratteristiche peculiari ed hanno fatto un gran numero di ipotesi sulla sua formazione. Una delle prime ipotesi dopo il 1898 fu quella formulata da P. Vignon, che suppose dapprima che l’immagine fosse il risultato del contatto di un corpo umano spalmato di gesso ma, non avendo ottenuto risultati soddisfacenti suppose successivamente che l’immagine fosse il risultato di emanazione di vapori ammoniacali prodotti da un cadavere avvolto in un lenzuolo. Un’altra ipotesi formulata nel 1900 è quella di A. Loth, il quale suppose che l’immagine fosse stata prodotta da un fulmine, perché lui osservò la formazione di immagini di oggetti su pareti di edifici esposte a fulmini.

Ipotesi di diffusione di gas
R. Rogers migliorò l’ipotesi P. Vignon facendo riferimento alla reazione di Maillard che è una forma di imbrunimento non enzimatico simile alla  caramellizzazione e deriva da una reazione tra un amminoacido ed uno zucchero riducente. Secondo lo scienziato, le ammine, generate dal corpo durante la sua decomposizione, interagirono con lo strato esterno di polisaccaridi delle fibre di lino formando l’immagine. Perché avvenisse la reazione di chimica, la temperatura doveva però essere superiore a 40° C. L’ipotesi, anche se migliorata, non permette ancora di ottenere alcune caratteristiche tipiche dell’immagine sindonica quali ad esempio tridimensionalità, risoluzione, doppia superficialità e diverse caratteristiche microscopiche; inoltre non risultano segni di putrefazione sulla Sindone.

Ipotesi di contatto
Studiando le impronte di erbari antichi prodotte dal contatto di foglie su carta, J. Volkringer suppose che anche l’immagine della Sindone fosse stata prodotta per contatto diretto corpo-lenzuolo. Altri ricercatori, quali G. Judica Cordiglia, M. Moroni, S. Rodante e R. Romanese furono interessati all’ipotesi di contatto, ma si resero conto che questa non può spiegare molte caratteristiche dell’immagine. Essi quindi proposero alcune varianti con sculture impregnate di sangue, urea, sudore, aloe e mirra, rivestite in tessuto di lino o cuoio. Ci fu un miglioramento dei risultati, ma non fu possibile riprodurre diverse caratteristiche: per esempio l’immagine dorsale che è influenzata dal peso del corpo produce impronte più nette, manca la tridimensionalità e non è facile produrre impronte di oggetti che non siano piatti come le foglie. Ovviamente la superficialità dell’immagine sindonica rimane un problema per i fluidi corporei che imbevono il tessuto di lino da parte a parte. Oltre ad altre caratteristiche microscopiche, l’assenza di putrefazione implica un tempo di contatto relativamente breve, inferiore alla quarantina di ore, che non è comparabile con i decenni necessari alle foglie per formare immagini in erbari.

Copia artistica?
Fin dal Medioevo sono state realizzate molte copie della Sindone e molte di queste sono state dipinte a contatto con l’originale, al fine di renderle reliquie del secondo ordine. Per esempio, nel 1933 O. Visone dipinse una bella copia a partire da una foto scattata da G. Enrie nel 1931. Verso la fine del XX secolo invece alcuni ricercatori hanno pensato che un artista medievale fosse stato in grado di produrre la Sindone con tutte le sue caratteristiche straordinarie. Forse a causa della difficoltà di trovare dati scientifici rigorosi e completi sul tema, questi ricercatori non hanno però effettuato studi approfonditi ed hanno invece cercato di dimostrare la loro tesi riproducendo ora la Reliquia più importante della Cristianità con semplici tecniche, anche disponibili nel medioevo.  L’ipotesi di un artista medievale non è però semplice da sostenere per varie ragioni, perciò sono state proposte diverse varianti. L’immagine prodotta non è stata coerente con molte caratteristiche sindoniche ed ecco elencate alcune incongruenze a livello generale.

– L’immagine negativa è poco familiare per un artista e non è semplice da produrre.
– L’effetto tridimensionale non è facile da riprodurre; si possono ottenere risultati grossolani, ma finora nessuno ha riprodotto la variazione continua dell’immagine sindonica.
– La doppia superficialità è illogica per un artista.
– L’assenza di fluorescenza è in contrasto con l’uso di pigmenti e leganti fluorescenti utilizzati soprattutto nei secoli passati.
– Il fatto che la Sindone abbia avvolto un cadavere, genera notevoli problemi per un artista che avrebbe dovuto essere anche uno spietato assassino, anzi plurimo assassino, perché un tale esperimento così perfetto non si ottiene durante la prima prova.
– Anche le particolari macchie di sangue umano pre- e post-mortale, con aloni di siero visibili solo all’ultravioletto, non sono facili da riprodurre perché queste furono apposte prima di riprodurre l’immagine corporea, posizionandole correttamente sulla Sindone.
– Oltre a questo, tutte le caratteristiche microscopiche dell’immagine sindonica risultano per il momento impossibili da riprodurre contemporaneamente.

Tra le tecniche proposte dagli artisti, forse il miglior risultato da un punto di vista macroscopico è il dipinto del solo volto di E. Craig, che ha usato una tecnica modificata di disegno a carboncino basata sull’ossido di ferro. Anche in questo caso però molti problemi a livello microscopico non vengono risolti oltre ad altri a livello macroscopico, quali ad esempio le caratteristiche del sangue.
L. Garlaschelli ha prodotto due immagini corporee intere, anteriore e posteriore, strofinando un pezzo di tessuto imbevuto di polvere contenente acido solforico su un lenzuolo di lino che avvolgeva un corpo umano, ma ha usato un bassorilievo per riprodurre il volto (FENIX 19, pag.40). L’immagine corporea dell’esperimento non riproduce il chiaroscuro e non riproduce molte caratteristiche microscopiche. Si è visto quanto lontane siano ancora oggi le copie artistiche dalla Sindone, ma dobbiamo anche chiederci perché un ipotetico artista avrebbe voluto riprodurre un tale oggetto se non ci sono e non ci sono state altre sindoni al mondo da copiare, che mostrino un’immagine corporea simile? Quindi copia artistica, ma di che cosa?

Una radiazione
La più probabile ipotesi per spiegare l’immagine sindonica si basa in generale su una radiazione. Questa ipotesi tuttavia presenta qualche problema da un punto di vista scientifico, perché un cadavere non produce normalmente l’energia necessaria per formare un’immagine su un tessuto di lino. Inoltre, sia per la necessità di lavorare con fonti di energia relativamente elevate che per la difficoltà di riprodurre alcune condizioni particolari in laboratorio, non sono ancora stati ottenuti risultati completi.  Secondo J.B. Rinaudo l’immagine fu causata da una radiazione emessa durante la Risurrezione, composta sia di protoni che produssero l’immagine, che di neutroni, i quali ringiovanirono l’età radiocarbonica del tessuto, ma l’ipotesi va oltre la scienza.  J. Jackson ipotizza un lampo di energia ultravioletta; anche questa ipotesi va oltre la scienza, ma non può essere scartata finché la scienza non darà una propria risposta attendibile. Un gruppo di scienziati dell’ENEA di Frascati, guidati da G. Baldacchini prima e da P. Di Lazzaro poi, ha utilizzato laser eccimeri per testare parte dell’ipotesi J. Jackson. Il loro scopo è stato solo quello di verificare se i raggi UV possono formare un’immagine simile alla Sindone, evitando per il momento di discutere le reali cause che avrebbero potuto produrre tali radiazioni. I campioni di tessuto di lino sono stati irraggiati in diverse condizioni, ma i migliori risultati sono stati ottenuti con un impulso, aventi durata di 10-100 ns e frequenza di 1-50 Hz, di laser a argon-fluoro (lunghezza d’onda pari a 193 nm). Per il momento l’ipotesi è stata verificata solo in tessuti di lino di dimensioni minori di un centimetro quadrato. Non è stata ottenuta la doppia superficialità e sono ancora da verificare alcune caratteristiche microscopiche. Secondo G. De Liso e F. Lattarulo, l’immagine è stata provocata da un fenomeno elettrico naturale, un EC (Effetto Corona), probabilmente in concomitanza con ionizzazione dell’aria, causata dall’emissione di radon. Sono state ottenute immagini di oggetti, animali e vegetali, ma i risultati sono stati prodotti in un laboratorio privato in cui, durante gli esperimenti, non si sono potuti controllare tutti i parametri di influenza. L’EC è una scarica elettrica causata da ionizzazione di un fluido che circonda un conduttore, e si verifica quando il potenziale elettrico supera una determinata soglia, in situazioni in cui non è possibile la propagazione della scarica. Perché si verifichi un EC, si deve sviluppare una corrente tra due elettrodi ad alta tensione in un fluido dielettrico, di solito aria, in modo che il fluido venga ionizzato e generi plasma intorno ad un elettrodo. Un EC produce radiazioni UV che reagiscono con le fibre di lino, rompendo i loro doppi legami chimici di carbonio e producendo radicali liberi che producono una colorazione del lino simile a quella causata dall’invecchiamento. Diversi autori come O. Scheuermann A. Whanger, J.B. Judica Cordiglia e lo scrivente hanno effettuato esperimenti su tessuti di lino. Rimanendo in ambito scientifico, il campo elettrico relativamente breve ma intenso, necessario per produrre l’EC, può essere dovuto ad un fulmine (meglio se globulare) oppure ad una elevata ionizzazione dell’aria. Andando al di là del campo scientifico, l’energia elettrica necessaria a formare l’immagine può anche essere stata un sottoprodotto della Resurrezione. In particolare essa potrebbe essere connessa a fenomeni di ionizzazione ambientale simili a quelli misurati a Medjugorje da E.D. Mor e P. Ameglio durante le apparizioni della Vergine. Si lascia però a future ricerche lo studio del fenomeno, che avrebbe potuto generare questa energia. Anche se tutte le caratteristiche dell’immagine corporea della Sindone sono conformi ai risultati sperimentali di EC su tessuti di lino, un’immagine completa simile a quella della Sindone non è ancora stata riprodotta in laboratorio. Per questo motivo, alcune caratteristiche macroscopiche devono ancora essere verificate, ma queste richiedono ambienti molto particolari.

L’immagine misteriosa
Un’analisi dei possibili risultati ottenuti dalle diverse ipotesi formulate ha evidenziato che in generale le ipotesi basate sulla radiazione sono di gran lunga le migliori. Fra queste, la migliore sembra quella basata sull’EC. Non possono però essere scartate altre ipotesi basate su radiazioni ultraviolette, come quelle proposte dal gruppo dell’ENEA. Per il momento l’EC sembra l’unica fonte di radiazioni che sia in grado di riprodurre tutte le caratteristiche della Sindone, ma purtroppo non si è ancora riusciti a produrre un’immagine intera per le elevate energie in gioco. Secondo I. Benson infatti per ottenere un’immagine simil-sindonica sarebbe necessaria una scarica elettrica equivalente a 50 fulmini agenti contemporaneamente nello stesso punto. Più in generale l’EC può essere causato da varie fonti più o meno scientificamente identificate come fulmini globulari e ambienti ionizzati da gas radioattivi, ma forse la verità sta oltre la scienza. La formazione dell’immagine può anche essere un sottoprodotto della Risurrezione e questo è forse il motivo per cui l’immagine non può essere riprodotta. Ulteriori indagini scientifiche dovranno cercare di chiarire almeno alcune delle tante domande ancora aperte riguardo la Reliquia più importante della Cristianità … e nel frattempo l’uomo dovrebbe osservare con più umiltà quello che ancora non conosce del mondo che lo circonda, senza pretendere di spiegare tutto razionalisticamente.

LA SINDONE E LA SCIENZA DELLA RESURREZIONE (di Mike Plato)

La scienza mistica della Cabala parla del Corpo di Luce e offre interessanti relazioni con la fisica dei quanti. La manifestazione energetica presente sulla Sindone è coerente con questa conoscenza e appoggia l’idea che Gesù risorse con l’energia di una stella

Dopo la morte e la resurrezione del Maestro, il mondo gnostico, in particolare quello gravitante intorno ad Alessandria d’Egitto, erede dei grandi misteri egizi e del Mediterraneo, era in pieno fermento. L’eco dell’Uomo che aveva vinto la morte non fece altro che confermare la grandezza degli insegnamenti della Tradizione Primordiale sul Corpo di Luce, scienza santa che i sacerdoti israeliti di Melkitzedeq (poi esseni), già dai tempi di Mosè, ereditarono dai sacerdoti di Horus-Mezdau del tempio di Heliopolis. Questi erano i custodi del segreto dell’energia-Djed di Osiride, la liberazione delle energie divine nell’uomo attraverso l’emissione di un fascio di energia elettro-magnetica che fluisce a doppia spirale lungo l’asse dorsale dell’uomo. La corona di spine indossata dal Maestro è una potente allusione all’occulto potere elettromagnetico latente nella spina dorsale umana, potere che, noto come risveglio del doppio serpente kundalini nella tradizione esoterica induista e simboleggiato dal caduceo mercuriale in quella ermetica, è capace di riattivare i sette chakra (vortici eterici) o le 10 sephiroth (potenze di luce) dell’Albero della Vita interiore. A queste luci animiche accenna persino il Corano, custode della sapienza esoterica sufica, in una delle più belle e misteriose pagine della spiritualità di ogni tempo: «Dio è luce dei cieli e della terra e la sua luce ricorda una nicchia, in cui è una lampada, e la lampada è in un cristallo, e il cristallo è come una stella lucente. […] Ed è luce su luce» (Corano 24:35). Quest’ultima espressione rimanda alle luci sephirotiche (i “cieli” del Padre Nostro) che corrisponderebbero nella moderna fisica quantistica ai 10 strati quantico-dimensionali del livello sub-atomico compenetrati l’uno nell’altro, una vera e propria Scala di Giacobbe che l’iniziato Gesù percorse in sé stesso al fine di distruggere la morte e far trionfare la Vita Eterna, ritornando a essere ciò che era sempre stato: un Dio o meglio un Ben ah Elohim (in ebraico, “Figlio di Elohim-YHWH”).  E solo la scienza alchemica poteva consentire al Gesù di riuscire nell’impresa: operare la trasmutazione della materia in energia, dell’anima carnale in anima spirituale e luminosa. Il Cristo insegnò che se lo spirito si trasforma in materia è la meraviglia, ma il processo opposto, decisamente più arduo e lungo, è la «meraviglia delle meraviglie» (Vangelo di Tommaso 34). All’uomo Gesù accadde esattamente questo: trasformò la materia dell’anima in pura ed eterna luce e la prova è proprio nella scarica plasmica che ha impresso con qualità fotografica il telo sindonico. La riattivazione delle 10 potenze sephirotiche – perché di riattivazione si tratta –  ridesta il Dio (il Padre) in noi dal suo lunghissimo letargo e la morte è sconfitta per sempre. Gesù divenne il Melkitzedeq, o meglio, lo manifestò al suo grado più alto, spostandosi su una dimensione (axis mundi) che doveva essere sua fin dalle origini, e alta a tal punto da consentirgli di schiacciare con i suoi piedi il serpente, ossia i poteri immondi che tiranneggiano invisibilmente e subdolamente su questo mondo di materia densa. Il destino superiore vuole che anche altri uomini di buona volontà dovranno pervenire a questa reintegrazione spirituale, secondo la dichiarazione solenne del Cristo: «E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (Luca 24:49).

Il Cristo-Stella
La scuola ermetica ha da sempre insegnato che l’uomo, con la morte mistica, possa partorire sé stesso, non emettendo il suo spirito (soffio vitale), ma un secondo sé stesso che contenga lo spirito e gli fornisca un corpo simile o uguale all’umano, di materia invisibile, eterna e indistruttibile. La Luce di tale corpo non è di questo mondo, è una Luce aliena ed eterna, «generata da sé stessa» (Vangelo di Tommaso 55). I cabalisti la chiamavano “en sof aur” (“luce senza fine” o “luce eterna”), la quale si manifestò per brevi attimi nel corpo di Gesù allorché salì su di un monte: «Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti (eteriche, N.d.A.) divennero splendenti (Marco 9:2) sfolgoranti (Luca 9:29) il suo volto brillò come il Sole (Marco 9:2)». Ma quel giorno, forse per la prima volta nella storia umana, un uomo acquisì il Corpo di Luce a titolo definitivo e lo fece con una potente emissione di plasma, di natura simile a quella delle stelle. Perché ciò? Semplicemente perché l’anima umana, come tramandato dalla Tradizione Primordiale, è segretamente una stella decaduta nella materia corporale, il cui corpo di luce deve essere reintegrato per vivere in regni più consoni alla sua vera natura. Gesù, come sopra citato, accenna a una promessa del Padre fatta agli uomini di buona volontà. E’ la promessa del ritorno in stato di stelle fatta a Gesù e a tutto l’Israel spirituale (1) attraverso la Nuova Alleanza espressa da YHWH in Giovanni 12:28: «Lo glorificai (come Adam primordiale, N.d.A.) e di nuovo lo glorificherò», e che conferma l’antica promessa fatta ad Abramo di ritornare a essere stelle (esseri di luce): «Osserva le stelle […] tale sarà la tua discendenza» (Genesi 15:5). Ora, in senso mistico, la discendenza non è una generazione carnale ma spirituale, una generazione espletata dall’iniziato stesso, come insegnatoci dal grande Paolo con sufficiente chiarezza: «Non dice la Scrittura: “E ai tuoi discendenti”, come se si trattasse di molti, ma: “E alla tua discendenza”, come a uno solo, cioè Cristo» (Galati 3:16). Quindi il Cristo-Stella è la vera generazione dell’iniziato ed è per questo che egli era chiamato “Figlio dell’Uomo”, essendo compito dell’uomo, col sacrificio d’amore al modo di Melkitzedeq, a rigenerarlo come una madre amorevole e a reinfondergli la vita con la propria morte mistica. Gesù partorì il Cristo ed è questa la santa verità cui si deve attenere chiunque voglia avere un minimo di rapporto con la propria divinità interiore. Gesù conosceva bene tutto questo e poneva spesso l’accento sul concetto di rinascita in vita, affinché potesse essere confermata la promessa del Padre di manifestare il Melkitzedeq/Stella (Kokhba, cioè “Stella”, era il messia per gli esseni): «Il Signore ha giurato e non si pente: tu sarai sacerdote eterno al modo di Melkitzedeq» (Salmi 110:4). È la generazione, o meglio l’autogenerazione del Melkitzedeq (Lettera agli Ebrei 7:3), Principe di Luce, auto-generatosi come auto-generata è la Luce Eterna. Ciò getta luce su Numeri 24:17 che profetizza il futuro arrivo (o manifestazione) della stella in forma umana, destinata a porsi al di sopra del dominio dei famigerati Arconti Planetari: «Io lo vedo ma non ora […] una stella spunterà da Giacobbe […] egli dominerà i suoi nemici». Come a volersi idealmente agganciare a questa profezia, il Cristo dice di essere la «radiante stella del mattino» (Apocalisse 22:16). Il tema della stella intrappolata nella forma umana è molto antico. Leonardo lo espresse attraverso l’uomo vitruviano, una rappresentazione pentalfica a gambe divaricate. Lo si ritrova nelle segretissime Tavole di Smeraldo di Toth che testualmente recitano: «L’Uomo è una stella incatenata a un corpo fino alla fine, fino a quando si libera attraverso la propria lotta. Colui che conosce il principio di tutte le cose, libera la sua stella dai regni della notte».

La Sindone: un’effusione
Ancor oggi, molti studiosi del reperto sindonico ritengono che, se vi fu irradiazione, essa dovesse essere dall’esterno verso l’interno, ma la Pistis Sophia, il vero vangelo del Corpo di Luce e della Luce eterna, rivela il contrario: «In quel giorno, dunque, era uscita, dalla Luce (il Luz ebraico, N.d.A.) delle luci […] dall’interno verso l’esterno, una grande forza luminosa, molto splendente, la cui luce era al di là di ogni misura […]. Quella forza luminosa (Merkabah, N.d.A.) scese su Gesù e lo avvolse interamente» (1,2,2-4). La prova dell’effusione cristica, intesa come energia irradiante dall’interno, è in Atti 2:32: «Questo Gesù, Dio l’ha resuscitato e noi tutti siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che Egli aveva promesso, lo ha effuso». Nel sistema esoterico del Corano il simbolismo dell’effusione divina si riferisce alle parole del profeta Maometto: «Dio creò il mondo nelle Tenebre, poi effuse su di esso la sua luce». Di questo beneficiò proprio il microcosmo Gesù, effuso dal Cristo e pregno di tutte le sue potenze. L’effusione (alla lettera “versare all’esterno”) è sostanzialmente una potentissima irradiazione energetica proveniente dal chakra cardiaco (sacro cuore) che i cabalisti chiamavano “luce in estensione” o “energia radiante”. Il centro segreto di irradiazione di questa energia è quella indistruttibile particella di luce chiamata Luz o prodigio dell’osso sacro, risiedente, nell’uomo dormiente, all’interno dell’osso denominato “sacro” proprio per siffatto motivo, e necessaria per la reintegrazione dell’essere. Il Cristo in noi è proprio il Luz. L’iniziato deve assolutamente elevare il Luz all’altezza del centro eterico cardiaco affinché, liberato dalla stretta di Satana e delle influenze nefaste del plesso ventrale, e potenziato dalla pratica alchemica e dalla continenza volontaria, inizi a irradiare dall’interno verso l’esterno. La luce-plasma – ciò che è nota come quintessenza e oggi come “quanto” (essenza) – intrappolata nei gusci atomici (klipphoth, sigilli) li spacca e si libera. Si tratta di una folgorazione, un’energia globulare di natura elettromagnetica, che investe come un fulmine (detto “fulmine della creazione”) l’asse cerebro-spinale, distruggendo i sigilli, riattivando i sette centri energetici e lacerando il velo dell’illusione. Ovviamente, risulta difficile credere che un uomo possa irradiare energia-plasma, essendo noto che il plasma si produce ad altissime temperature. Eppure il mistico Jacob Böhme disse che «lo Spirito di Dio entra come un lampo» (Tre Principi 11:45), facendo eco alla rivelazione di Gesù in Matteo 24:27: «Come il fulmine viene da oriente (il 7° chakra, la testa, N.d.A.) e brilla fino a occidente (il 1° chakra, il sesso, N.d.A.), così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo». Quel fulmine si sprigionò al termine dei simbolici tre giorni e impresse il telo sindonico. Dio lo volle per testimoniare al mondo la sua onnipotenza.  ~

Note
(1) Non la nazione di Israele, così è chiamato il popolo della Luce.

SINDONE VERDETTO FASULLO (di Adriano Forgione)

La recente ricerca, diramata a luglio 2018 e firmata CICAP, che mira a dimostrare la  non autenticità della Sindone, è stata ampiamente criticata dal mondo sindonologico. La Reliquia resta inspiegabile, mentre uno sconosciuto rapporto scientifico relativo a una ricerca durata 5 anni ad opera dell’ENEA, sembra aprire le porte al più incredibile degli eventi avvenuto 2000 anni fa all’interno del sepolcro dell’Uomo Gesù

Borrini-Garlaschelli
 
Lo scorso 16 luglio una ricerca “scientifica” avrebbe dimostrato che parte delle macchie di sangue sulla Sindone non sarebbe “coerente” con quelle di un corpo crocifisso. Quanto basterebbe, secondo gli autori, Matteo Borrini, antropologo forense che insegna alla John Moores University di Liverpool, e Luigi Garlaschelli, chimico, docente dell’università di Pavia e membro del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, a dimostrare la non autenticità del Telo Sepolcrale attribuito a Gesù secondo la tradizione cristiano-cattolica. I media di mezzo mondo si sono affrettati a far rimbalzare la notizia, considerandola uno step ulteriore nella diatriba secolare  sull’origine del Sacro Telo. Repubblica, nella sua sezione  “Scienze” riportava così la scoperta in articolo dal titolo “Sindone, una parte delle macchie di sangue è falsa”: «Hanno usato le tecniche dell’antropologia forense, quelle note agli appassionati dei thriller e di CSI, per valutare l’autenticità delle macchie di sangue presenti sulla Sindone, il lenzuolo che, secondo la tradizione cristiana, ha avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione. Lo studio, ora pubblicato sul Journal of Forensic Sciences, indica che una parte importante di quelle tracce di sangue non sarebbe compatibile con la posizione del corpo, né sulla croce, né disteso nel sepolcro. «Borrini è un esperto di blood pattern analysis, l’analisi degli schizzi di sangue che viene spesso eseguita quando viene ritrovato un cadavere nelle indagini per omicidio. Partendo da questa tecnica, ci siamo chiesti quanto fossero realistiche le macchie di sangue presenti sulla Sindone» spiega Luigi Garlaschelli, che già in passato si è occupato del telo sacro. In questo studio Garlaschelli è stato ricercatore, ma anche volontario: è su di lui (e su un manichino) che Borrini ha testato il gocciolamento di sangue per verificare la morfologia e la posizione delle macchie sul telo, compatibili con le posizioni che il corpo poteva aver assunto. La ricerca, che ha utilizzato sia sangue umano che sangue artificiale, si è concentrata in questa fase sulle tracce  lasciate dai rivoli di sangue provenienti dal dorso della mano, dall’avanbraccio e dalla ferita al costato. «Borrini ha attaccato una sacca di sangue con una cannula per riprodurre la fuoriuscita di sangue sul dorso della mano, in più posizioni, tante quante sono quelle in cui sarebbe stato conficcato il chiodo. Ho inclinato il braccio fino a sollevarlo dritto sulla testa e per ogni angolo abbiamo verificato il “percorso” seguito dai rivoli di sangue. La posizione della macchia presente sulla sindone è compatibile con un’angolazione di 40 gradi del braccio, più o meno in linea con la posizione del corpo sulla croce. Quando poi abbiamo esaminato le macchie di sangue che corrispondevano all’avambraccio ci siamo accorti che le cose non tornavano» spiega Garlaschelli. L’unica ipotesi compatibile vedeva il braccio posizionato con le mani in verticale sulla testa. «Anche vagliando tutte le ipotesi e la possibilità di un sanguinamento successivo, in posizione distesa, quelle macchie non risultavano realistiche» ha aggiunto Garlaschelli.  Altre incongruenze sono emerse quando i ricercatori hanno esaminato le tracce lasciate dalla ferita sul costato. «In questo caso abbiamo usato un manichino, messo in verticale, e un bastone che culminava con una spugna intrisa di sangue. Siamo andati a premere sul costato –  continua il chimico – per far uscire il sangue e verificare la formazione di rivoli. Le macchie lasciate sul lenzuolo sono risultate in buona parte compatibili con quelle presenti sulla Sindone». Sul Sacro Telo, però, c’è un’altra traccia, una striscia sottile e trasversale all’altezza dei reni. La macchia nella regione lombare «non trova giustificazione con nessuna posizione del corpo, né sulla croce né nel sepolcro». In particolare gli esperimenti indicano che è totalmente irrealistica la macchia che forma una cintura nei lombi, dovuta all’eventuale sangue fuoriuscito dopo la morte dalla ferita al costato. Per questa i ricercatori non hanno trovato una spiegazione plausibile: «Il sangue, uscendo dalla ferita, avrebbe dovuto formare, in posizione distesa, una macchia dietro la scapola». Per i ricercatori, questa macchia simile a una cintura «somiglia a un segno fatto in modo artificiale, con un pennello o con un dito». Tutti questi risultati, presi insieme, fanno concludere che la Sindone sia un prodotto artistico «in linea con le analisi già esistenti, come la datazione al radiocarbonio, secondo cui la sindone è un prodotto artistico medievale. Restano da indagare ancora le macchie di sangue lasciate dalle ferite ai piedi e quelle prodotte dalla corona di spine, che sono sopra i capelli, anziché sotto – dice Garlaschelli – Vedremo in futuro. Per ora i nostri risultati sono compatibili con l’ipotesi secondo cui la sindone potrebbe essere l’opera di un pittore medievale, come ha indicato la datazione al radiocarbonio. Rappresentare con coerenza le macchie “anteriori”, quelle provenienti dal costato e dal dorso della mano, era evidentemente più facile».
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Risultati non scientifici
Apparentemente scientifico questo studio ha scontentato molti studiosi della Sindone in quanto non risponde alla vere problematiche presentate dalla Sindone. Bisogna premettere che dichiarare, come hanno fatto i due studiosi, che solo una parte della macchie di sangue “sarebbe” falsa equivale a dire che la restante parte non lo è. Eppure i due ricercatori non spiegano questa incongruenza. Prima di dare la nostra opinione, dato che lo studio è stato presentato come scientifico, vediamo cosa hanno detto gli scienziati che si occupano della Sindone da molto tempo, “Sindonologi” che conoscono le caratteristiche inspiegabili del Telo e ne possono parlare con cognizione di causa. Le polemiche sono, effettivamente, montate poco dopo la divulgazione dei risultati di questo studio parziale. Il vicedirettore del Centro Internazionale di Sindonologia, il fisico Paolo Di Lazzaro ha risposto attraverso le pagine di Vatican Insider, intervistato da Andrea Tornielli, dichiarando che: «Innanzitutto bisogna distinguere la ricerca ora pubblicata sul “Journal of Forensic Sciences” con certe semplificazioni giornalistiche. Gli autori dello studio non mettono in dubbio che si tratti di sangue, ma dicono che le colate non sono del tutto compatibili con la posizione di una persona crocifissa e poi deposta. Hanno fatto scorrere del sangue con una cannula dal polso e hanno osservato le colature per diverse angolazioni del braccio, allo scopo di verificare quale debba essere quella che più si avvicina alle colature presenti sulla Sindone di Torino. Secondo i risultati di questo esperimento, per ottenere macchie simili le braccia avrebbero dovuto essere in posizione quasi verticale. E questo rilancia, a detta degli autori, l’ipotesi dell’abile falsario medioevale, il quale realizza un’immagine corporea che ancora oggi non riusciamo a riprodurre, ma sbaglia a “disegnare” col sangue le colature delle braccia. Poi bisogna dire che questa ricerca non è affatto nuova, è datata 2014 e venne presentata – senza essere pubblicata – a un congresso di medicina forense negli Stati Uniti. Già all’epoca vi furono notevoli perplessità sollevate da parte di medici sulla validità dei risultati. Ora quello stesso studio, con l’aggiunta di qualche nuovo esperimento, è stato pubblicato. Già nel 2014 venne fatto notare un primo problema, legato all’uso di una sacca di sangue contenente dell’anticoagulante. Lo si vede bene nel filmato che accompagna la ricerca: il sangue dalla cannula scorre sul braccio in modo molto fluido, al punto da sembrare quasi acqua colorata. Questo è dovuto alla presenza dell’anticoagulante, indispensabile per conservare il sangue fluido nella sacca. Ma questa fluidità del sangue usato per l’esperimento non ha nulla a che vedere con la situazione dell’uomo crocifisso della Sindone. L’uomo della Sindone era stato torturato – come dimostrano i segni del flagello sull’intero suo corpo e le ferite provocate dalla corona di spine – ed era disidratato: non mangiava né beveva da almeno un giorno. Era stato sottoposto a stress, aveva portato il patibulum, il braccio orizzontale della croce fin sul Calvario. Di conseguenza, il sangue di questa persona doveva essere più vischioso del normale e, dunque, i percorsi dei rivoli fuoriusciti dalle ferite possono aver preso direzioni molto diverse da quelle del sangue fluidificato usato in questo esperimento. Un altro parametro che influenza il percorso della colatura è la velocità di uscita del sangue dalle ferite dell’uomo della Sindone, che non è conosciuto e quindi non è possibile riprodurlo in un esperimento come quello di Borrini e Garlaschelli». Relativamente alla cosiddetta “Cintura di sangue”, quella che Garlaschelli e Borrini definiscono “una striscia sottile e trasversale all’altezza dei reni”, Di Lazzaro ha dichiarato che: «grazie a un manichino sul quale hanno fatto colare del sangue sintetico da una spugna come se fosse stato inferto un colpo sul costato, hanno dedotto che quella macchia non si sarebbe dovuta produrre. Ma, anche in questo caso, ci troviamo di fronte a molte variabili che non conosciamo e che quindi non possiamo riprodurre in un esperimento. Non sappiamo se la fuoriuscita di sangue dalla ferita al costato possa essere simulata in modo realistico (stessa velocità, stessa portata) strizzando una spugna intrisa di sangue. Non sappiamo se la Sindone sia servita solo per avvolgere il cadavere del crocifisso o anche per trasportarlo dalla croce al sepolcro: nel qual caso, prendendo il corpo per le braccia e per i piedi, la parte del bacino si sarebbe trovata insaccata e più bassa, provocando il ristagno del sangue all’altezza della cintura. Siamo nel campo delle pure ipotesi. Ben venga ogni nuovo esperimento, ma prima di trarre le conclusioni uno scienziato serio deve tenere conto dei limiti sperimentali, dei parametri sconosciuti e soprattutto della differente configurazione di pelle e sangue tra le colature dell’uomo disidratato e ferito e percosso che vediamo sulla Sindone e le colature di sangue fluidificato sulla pelle di una persona in buone condizioni di salute. Non possiamo affermare che le colature di sangue della Sindone non sono congruenti con la posizione del crocifisso se non ci si avvicina alle condizioni dell’uomo sindonico disidratato, con il sangue vischioso e la pelle tumefatta, sporca e sudata. Per questo credo che i risultati di questa ricerca vadano considerati come men che preliminari, in attesa di un esperimento che tenti di riprodurre le macchie visibili sulla Sindone usando parametri di sangue e pelle più vicini a quelli che si vogliono riprodurre. Di fatto, questo articolo di Borrelli e Garlaschelli non risponde (e anzi rinforza) le perplessità già sollevate dagli esperti nel 2014».
Metodi Sbrigativi
Anche Manuela Marinelli, esperta sindonologa e autrice di diversi libri sull’argomento (oltre che nostra collaboratrice) ha criticato la metodologia con queste dichiarazioni: «Non si può ritenere condotto correttamente uno studio che presenta esperimenti realizzati con approssimazione. Faccio un esempio: per indagare sulla ferita del polso sinistro è stata posta una macchia circolare di sangue sintetico sul dorso della mano di un volontario e poi vi sono stati applicati diversi tipi di legno, ogni volta solo per 10 secondi. Una situazione ben diversa rispetto a quella di un corpo appeso alla croce per alcune ore. Sulla ferita del costato, ammettono che sia stata inferta con il corpo in posizione verticale, ma nel loro esperimento riescono a ottenere che dalla ferita escano solo rivoletti che colano indipendentemente, mentre sulla Sindone si osserva una grande macchia piena di sangue. Vale la pena di descrivere questo esperimento: Garlaschelli prende un busto di manichino di quelli bianchi senza testa che si usano nei negozi per esporre capi di abbigliamento e con un manico di legno gli preme sul lato destro una spugna imbevuta di sangue sintetico, che cola giù rapidamente come fosse acqua».La dottoressa Marinelli ha ragione nel criticare questo specifico esperimento. Guardando le immagini video è palese che i rivoli di liquido si diffondano sul manichino in plastica partendo dalle angolature della spugna pressata, comportamento del tutto incoerente rispetto a quello di una ferita da taglio, che sanguina in modo differente.  «Da questa rozza trovata  – continua la Marinelli – Garlaschelli pretende di trarre conclusioni scientifiche rispetto al corpo di un uomo morto per rottura di cuore con conseguente emopericardio, cospicua raccolta di sangue sotto pressione che quando si incide il torace sprizza fuori a getto divisa nelle sue componenti (sangue e siero). Stessa scena con il manichino e la spugna per giudicare la colata di sangue nella zona lombare, senza considerare la quantità di sangue realmente uscita e la verosimile presenza sul corpo dell’Uomo della Sindone di una corda che legava un panno attorno ai fianchi», che Garlaschelli e Borrini non hanno preso minimamente in considerazione.  La dottoressa Marinelli conclude che: «trarre deduzioni da un esperimento di tale superficialità è quanto meno avventato. Quale falsario avrebbe fatto solo metà delle macchie di sangue falsa? O crocifiggeva una persona, e allora tutto il sangue era vero, o raffigurava un crocifisso, e allora era tutto falso. Come si fa a realizzare una falsa Sindone diversamente? Eppure gli autori concludono arbitrariamente che è difficile distinguere la reale posizione del chiodo sulla Sindone. Borrini e Garlaschelli iniziano l’articolo riferendo gli studi, anche sperimentali, di altri ricercatori che prima di loro si sono cimentati nell’interpretazione dei rivoli di sangue presenti sulla Sindone per ricostruire la posizione del corpo appeso alla croce o le diverse posizioni assunte, ammettendo che il crocifisso potesse compiere alcuni movimenti per riuscire a respirare. Questi ricercatori sono Mons. G. Ricci e i medici P. Barbet,  F. T. Zugibe, M. Bevilacqua, G. Lavoie, N. Svensson. Gli autori di questo articolo tralasciano, però, di fornire al lettore un’informazione che non è secondaria: questi studiosi, nella maggior parte medici, pur nelle diverse interpretazioni date ai rivoli di sangue, sono tutti concordi nel sostenere che la Sindone è il vero lenzuolo funebre di Gesù. Al contrario, Borrini e Garlaschelli sono convinti che sia falsa, dunque devono cercare di demolire, in tutti i modi, il lavoro degli altri per raggiungere il loro scopo: tentare di dimostrarlo. La ricerca era chiaramente orientata a dimostrare che la Sindone fosse falsa. Nella conclusione affermano: “Le incongruenze identificate dagli autori sembrano non solo puntare contro la loro realtà (le macchie di sangue, n.d.r.), ma contro l’autenticità della Sindone stessa, suggerendo che il lino di Torino sia una rappresentazione artistica o ‘didattica’ del XIV secolo». Ecco, arrivano con metodi sbrigativi, con spugne, bastoni e manichini, con esperimenti da 10 secondi, a pretendere di poter dire qualcosa sulla Sindone. Senza averla mai studiata da vicino e probabilmente nemmeno vista da lontano».
 
Il Dubbio C-14
Garlaschelli, si trova quindi a dover giustificare un procedimento antiscientifico, che lui dichiara scientifico, ponendo come base il fatto che la Sindone sarebbe falsa, fatto che verrebbe dimostrato principalmente dalle analisi al C-14 svolte nel 1988, come lo stesso Garlaschelli continua a dichiarare. A parte tutti gli indizi che si scontrano con una realizzazione medievale della Sindone, quelle analisi al C-14 sono state messe in dubbio da più parti negli ultimi anni all’interno dello stesso mondo scientifico. Forse la più sensazionale proviene da uno degli scienziati dello STURP (Shroud of Turin Research Project) che diresse quelle analisi, il dott. Roy Rogers che, in un articolo pubblicato su Thermochimica Acta prima della sua morte, nel 2005, presentò prove che mostrerebbero l’autenticità della Reliquia situandola tra i 1300 e i 3000 anni fa. Il Dott. Rogers affermò: «Non credo nei miracoli che sfidano le leggi della natura. Dopo l’inchiesta del 1988 pensavo di aver chiuso con il Sudario, ero certo che fosse un falso. Ma ora sono giunto alla conclusione che c’è una buona possibilità che quello possa essere davvero il pezzo di stoffa usata per seppellire il Gesù storico». Scrivendo poco prima della sua morte per cancro, il dottor Rogers disse di aver comparato il pezzo di stoffa della Sindone analizzato nel 1988 con altri pezzi di stoffa del Sacro Telo, identificando il campione analizzato come un frammento di tessuto impiegato per la riparazione del Sudario dopo che era stato danneggiato da un incendio. Le analisi chimiche hanno dimostrato che il pezzo-campione di dimensioni contenute conteneva cotone ed era stato trattato e tinto in modo che corrispondesse al telo del Sudario originale, di lino. Dunque il frammento analizzato da Rogers proverrebbe dalla riparazione post-incendio delle monache clarisse del 1537. Il Dott. Rogers dichiarò infine: «Le fibre di cotone sono state rivestite abbastanza pesantemente di colorante, in modo da farle corrispondere al lino durante una riparazione. Ho concluso, dunque, che la zona del Sudario da cui furono prelevati i campioni, fu manipolata con abilità da qualcuno. Si tratta di materiali diversi utilizzati nel Sudario, per cui l’età che abbiamo prodotto al C-14 è imprecisa. Siamo sicuri che quella non era la stoffa originale della Sindone di Torino. Il campione analizzato al radiocarbonio ha proprietà chimiche completamente diverse dal tessuto principale della Sindone». Se uno scienziato del calibro di Roy Rogers fa queste dichiarazioni vuol dire che gli esami sarebbero tutti da rifare e che la data che le analisi hanno mostrato è quanto meno dubbia, potendo non corrispondere a quella del Telo originale.
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Lo Studio dell’ENEA
La vera eccezionalità della Sindone in ogni caso, non sono né le macchie di sangue, né i pollini o la tessitura del telo, tutti indizi certamente fondamentali per aiutare a definire luogo e appartenenza del Telo. Ciò che rende straordinaria la Sindone è, però, l’immagine dell’Uomo presente su di Essa. È l’immagine la vera e inspiegabile protagonista di un oggetto che, ad oggi, per chi ne conosce la storia della ricerca, non ha spiegazioni scientifiche affidabili alla sua formazione, tranne una: che quell’Impronta fantasmale sia davvero quanto resta della trasfigurazione di un uomo nel sepolcro 2000 anni fa, la traccia unica e straordinaria che testimonierebbe la trasmutazione di quell’Uomo in pura Luce. Potrebbe sembrare assurdo, ma è proprio la scienza a indicarcelo. Tra il 2005 e il 2010 l’ENEA, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, che lavora con l’INFN, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, pubblicò il lavoro dei fisici P. Di Lazzaro, D. Murra, A. Santoni, appartenenti all’Unità Tecnica Sviluppo di Applicazioni delle Radiazioni del  Laboratorio Sorgenti di Radiazioni del Centro Ricerche Frascati, Roma, cui si associarono E. Nichelatti, dell’Unità Tecnica Tecnologie dei Materiali facente parte del Laboratorio Sviluppo e Realizzazione di Componenti Ottici e il fisico G. Baldacchini. Il loro rapporto di ricerca aveva titolo “Colorazione Simil–Sindonica di Tessuti di Lino Tramite Radiazione nel Lontano Ultravioletto”. L’obiettivo dei fisici dell’ENEA era cercare di replicare le caratteristiche eccezionali della Sindone, cosa ancora non riuscita a nessuno studioso ammettendo l’impossibilità della vera scienza di rispondere alle domande poste dal Telo Sindonico, soprattutto la sua replicabilità: «L’incapacità di replicare (e quindi falsificare) l’immagine sindonica impedisce di formulare un’ipotesi attendibile sul meccanismo di formazione dell’impronta. Di fatto, ad oggi la Scienza non è ancora in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone. L’interesse di questi studi risiede nel fatto che i tentativi di replica dell’immagine sindonica sia con metodi chimici sia con metodi fisici si sono rivelati sinora inadatti a ottenere le caratteristiche dell’immagine stessa. Fino ad oggi tutti i tentativi di riprodurre un’immagine su lino avente le medesime caratteristiche sono falliti. Alcuni ricercatori hanno ottenuto immagini aventi un aspetto simile all’immagine sindonica ma nessuno è mai riuscito a riprodurne simultaneamente tutte le caratteristiche microscopiche e macroscopiche. In questo senso, l’origine dell’immagine sindonica è ancora sconosciuta. In particolare, i metodi chimici a contatto non consentono di ottenere una delle più peculiari caratteristiche dell’immagine sindonica, ovvero lo spessore di colorazione estremamente sottile, pari ad un quinto di millesimo di millimetro. Mediante impulsi laser eccimero abbiamo ottenuto una colorazione del lino estremamente superficiale e similsindonica solo in un ristretto intervallo dei parametri di irraggiamento. Abbiamo inoltre ottenuto una colorazione latente, invisibile dopo gli irraggiamenti, che appare solo a seguito di invecchiamento artificiale e/o naturale del lino. Il risultato forse più importante è aver individuato alcuni processi fotochimici in grado di spiegare sia la colorazione superficiale, sia il fenomeno della colorazione latente. È possibile che questi processi fotochimici abbiano contribuito alla formazione della immagine sulla Sindone».
 
Corpo di Gloria
Ciò che di più straordinario è emerso dagli studi degli scienziati dell’ENEA vale la pena leggerlo dalle conclusioni del rapporto ufficiale di questa indagine  durata 5 anni:

«I nostri risultati dimostrano che un brevissimo e intenso lampo di radiazione VUV (Violetto Ultravioletto, quindi luce fredda all’estremo della banda ultravioletta, n.d.r.) direzionale può colorare un tessuto di lino in modo da riprodurre molte delle peculiari caratteristiche della immagine corporea della Sindone di Torino, incluse la tonalità del colore, la colorazione superficiale delle fibrille più esterne della trama del lino, e l’assenza di fluorescenza. Tuttavia, va sottolineato che la potenza totale della radiazione VUV richiesta per colorare istantaneamente la superficie di un lino corrispondente ad un corpo umano di statura media, pari a 34mila miliardi di Watt rende oggi impraticabile la riproduzione dell’intera immagine sindonica usando un singolo laser eccimero, poiché questa potenza non può essere prodotta da nessuna sorgente di luce VUV costruita fino ad oggi (le più potenti reperibili sul mercato arrivano ad alcuni miliardi di Watt). Piuttosto, il lavoro riassunto in questo Rapporto Tecnico ha dimostrato che la radiazione laser è uno strumento adatto a studiare in dettaglio i processi fisici e chimici che potrebbero essere alla base della produzione della immagine corporea della Sindone, indipendentemente dalla sorgente di radiazione (o energia) che può aver generato questa immagine. L’immagine sindonica presenta alcune caratteristiche che non siamo ancora riusciti a riprodurre, per esempio la sfumatura dell’immagine dovuta ad una diversa concentrazione di fibrille colorate gialle alternate a fibrille non colorate. Esistono sofisticate ottiche diffrattive che permetterebbero di replicare anche queste caratteristiche, ma questo va ben oltre le nostre intenzioni: il nostro scopo infatti non è dimostrare che una batteria di diecimila laser eccimeri possono riprodurre esattamente l’immagine corporea della Sindone. Il nostro scopo principale è effettuare esperimenti accurati, controllati e riproducibili, adatti a comprendere il dettaglio dei meccanismi fisici e chimici che hanno prodotto l’immagine sindonica, grazie ad un potente e versatile strumento quale il laser eccimero».
Avete letto bene, ad oggi, l’unica cosa che possa rispondere adeguatamente alle caratteristiche del Telo di lino, e dell’immagine impressavi, è uno strumento che genera Luce Laser (coerente) con una potenza di 34mila miliardi di Watt. Come a dire che quell’immagine è il frutto di un’esplosione energetica brevissima ma di immane potenza che, proveniente dal corpo dell’Uomo avvoltovi, ha lasciato sul telo la traccia in quell’istante sovrumano.  Il lontano Ultravioletto (VUV) è l’ultima barriera dello spettro luminoso prima del livello quantico, come a dire che quella potenza, irreplicabile oggi, figuramoci nel Medioevo, si è manifestata da livelli energetici superiori e, allo stesso tempo, insiti nel subnucleare di quell’individuo. La Sindone è rimasta lì, intatta, perché la luce ultravioletta è luce fredda. Quale altra prova necessitiamo per accettare che la Sindone sia il frutto della trasmutazione dell’Uomo Yeshua in un Corpo di Luce Solare, o Corpo di Gloria, che i Nazoraios (i primi Cristiani) chiamarono Cristo, il Re di un Regno la cui natura abbraccia i due mondi, il macrocosmico e il microcosmico?

 

SINDONE. LO STATO DELLA RICERCAultima modifica: 2018-09-28T17:01:40+02:00da mikeplato
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