RICHARD CARRIER E LA DEMOLIZIONE DEL PALAZZO CRISTIANO

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di Mike Plato

Interessante retrospettiva sulle più recenti ricerche su Gesù di Nazareth. La corrente detta “Mito di Cristo” esclude che Gesù sia mai esistito, e acquista consensi sempre maggiori anche nel mondo accademico, non solo tra i ricercatori indipendenti.
La teoria del Mito di Cristo

Sul fronte dell’ateismo inizia a prendere piede anche in ambienti accademici la teoria mitista secondo la quale non solo Gesù non fosse Dio (e fin qui niente di nuovo sotto il sole), ma non sarebbe neppure esistito. La storicità di Yeshua, ovvero l’esistenza di Yeshua di Nazareth come effettivo personaggio storico, è la tesi storiografica condivisa da molti studiosi, indipendentemente dal fatto che lo si creda un uomo-Dio o un uomo con tendenze messianiche e privo di valenza divina, o un semplice ribelle o un saggio dell’epoca, uno dei tanti. Ad essa si contrappone la tesi del mito di Yeshua, che nega la sua esistenza storica, oggi portata avanti solo da una parte minoritaria del mondo accademico e da ricercatori indipendenti, i quali reclamano tuttavia un peso maggiore nell’opinione su Gesù di Nazareth, peso che obiettivamente negli ultimi tempi sta crescendo anche a livello accademico. Il mito di Yeshua è quindi l’insieme di ipotesi che sostengono l’inesistenza storica del Yeshua di Nazareth di tradizione cristiana e in parte musulmana. I sostenitori di questa posizione, noti anche come “Jesus Agnostics”, affermano che Yeshua sarebbe un personaggio fittizio, mitico o mitologico, un personaggio concettuale, un mito che di fatto prescinde dalla storicità, creato dalla comunità cristiana primitiva, e che quindi non sia mai esistito. Viene a questo proposito rilevato come nella seconda metà del II secolo si sia aperta una dialettica tra fazioni opposte: tra chi intendeva che Gesù si fosse presentato agli uomini sotto forma di rivelazione, e coloro (ben presto la maggioranza) che sostenevano la natura umana oltre che divina del personaggio (Paolo ad esempio). La tesi secondo cui Yeshua sarebbe un mito nasce nel secolo XVIII ed è in larga parte figlia delle controversie sulla data da assegnare alla redazione dei vangeli. La tesi di un’origine esclusivamente mitica di Yeshua trae spunto soprattutto dal fatto che moltissimi fatti riguardanti la vita di Cristo trovano analogie in altri miti derivati da più antiche religioni e culti misterici (soprattutto la figura di Osiride-Dioniso) e di suo figlio Horus, ma anche di Mitra, del Sol Invictus e di Esculapio, eccetera). La persona di Yeshua sarebbe il risultato di un’elaborazione teologica posteriore, avente l’obiettivo di costruire un fondamento tangibile per assicurare la diffusione di una nuova religione. Premesso che date le circostanze e a così grande distanza di tempo non è possibile dimostrare con assoluta certezza né la fondatezza del personaggio storico di Yeshua di Nazareth né la sua infondatezza, lo studio sulla sua figura può comunque avvantaggiarsi di attente ricostruzioni filologiche e storiografiche, al fine di cercare di definire cosa sia storicamente fondato di quanto ci è stato tramandato e cosa non lo sia. Sostenitori della tesi del mito ricordano in particolare che Yeshua (in aramaico: Yeshua) è un nome comune di persona, ed evidenziano come il materiale più importante a supporto dell’esistenza di Yeshua provenga da fonti cristiane postume e non da fonti indipendenti o neutrali. Nei casi nei quali vi è traccia del personaggio in scritti di autori non cristiani, alcuni sospettano alterazioni o manomissioni a opera dei copisti che hanno contribuito a tramandare i testi: è dibattuta, ad esempio, l’autenticità del Testimonium Flavianum. Le tesi mitiche guadagnano credibilità se la redazione dei vangeli viene posticipata rispetto al consenso comune degli studiosi. Per esempio il vangelo più antico, quello di Marco, viene solitamente datato agli anni immediatamente precedenti o successivi il 70 e.v. La datazione successiva viene suggerita se il brano della piccola apocalisse viene considerato un riferimento alla distruzione del Tempio di Gerusalemme avvenuta in quell’anno. Un piccolo numero di studiosi, tra cui il tedesco Hermann Detering, propongono una datazione del Vangelo secondo Marco al II secolo: la “piccola apocalisse” sarebbe un riferimento agli eventi della rivolta di Bar Kokhba del 132-135, che secondo loro collimerebbero meglio col testo rispetto agli eventi della prima guerra giudaica del 70. Anche qualora le ragioni di Detering fossero accettate, l’argomento risulta meno probante per quegli studiosi che ritengono che il processo redazionale dei vangeli abbia coinvolto diversi autori e possa essere durato alcuni decenni: altre parti del vangelo potrebbero senza alcuna contraddizione essere molto più antiche, come sostenuto da diversi autori. Tuttavia mancano attestazioni storiografiche immediatamente successive agli eventi e anche quelle successive sono vaghe e talora contestate (questo fatto viene utilizzato da alcuni polemisti). I vangeli però descrivono una figura attiva in Galilea e in altre regioni remote da Gerusalemme e attenta a non creare inutili clamori soprattutto a riguardo dei suoi miracoli (il cosiddetto “segreto messianico”). Secondo i vangeli sinottici, l’incursione a Gerusalemme dura pochi giorni e si conclude con la crocifissione. Giuseppe Flavio, appartenente a famiglia sacerdotale e perciò ben informato sulle vicende gerosolimitane, parla di Giovanni Battista, che battezzava gli abitanti di Gerusalemme nella vicina Gerico, mentre il suo riferimento a Yeshua è controverso. Ciò viene utilizzato per sostenere l’inesistenza storica di Yeshua, ma potrebbe anche essere dovuto anche al fatto che lo considerava un semplice e sfortunato seguace del Battista. Oggi storici e biblisti sembrano avere una accresciuta fiducia, grazie anche a scoperte archeologiche come la biblioteca di Nag Hammâdi, di poter ricostruire la vita di Yeshua, nell’ambito di una ricerca dai tratti internazionali e interconfessionali. La tesi di Yeshua come mito è rifiutata da quasi tutti gli studiosi moderni, che ricordano come la figura di Yeshua sia molto meglio conosciuta e documentata di altre persone vissute nello stesso periodo e nella stessa area geografica. Sebbene, come noto, in ambito ebraico ortodosso il Messia atteso avrebbe dovuto avere natura umana e instaurare una sorta di teocrazia, secondo Carrier esisteva anche l’attesa di un Messia sofferente. A supporto vengono citati il cap. 53 del libro di Isaia (che peraltro non risulta sia mai stato interpretato dagli ebrei come profezia messianica) e il cap. 9 del libro di Daniele. Soffermandosi dunque su quest’ultimo, nel versetto 25 si parla di un principe consacrato, mentre nel versetto 26 si parla di un consacrato soppresso senza colpa. Secondo l’interpretazione di Carrier, l’autore del Libro di Daniele si aspettava che il messia (il consacrato o unto) fosse ucciso (soppresso) Il difetto di questa interpretazione è che i personaggi dei due versetti sarebbero distinti. Il termine “consacrato” era rivolto anche semplicemente a un re, come Salomone, o a un sommo sacerdote e non esclusivamente al Messia (nda… qui Carrier non comprende che il Messia è proprio un Re-Sacerdote, un Melkizedek); infine, il personaggio del versetto 26 non è definito principe e neppure il consacrato. Citando l’autorevole commentario di Hartman, lo storicista Bart Ehrman mette in evidenza come il versetto 25 si riferisca al sommo sacerdote Giosuè citato anche in Zc 6,11, mentre il versetto 26 probabilmente si riferisce al sommo sacerdote Onia III, deposto dal suo incarico e assassinato. I due consacrati sarebbero dunque sommi sacerdoti vissuti nel passato, in linea con la presenza delle profezie post-datate presenti in Daniele.

Robert Price

        Robert Price

Carrier e il Naturalismo

Considerato il capofila, il genio, se non persino il rappresentante dell’intero movimento mitista negazionista insieme a Robert Price e Earl Doherty, Richard Carrier, l’Onfray americano, è un ateo, scettico e storico, la cui tesi è che né il Cristo storico né il Cristo evangelico della fede esistessero nella realtà. In origine, Carrier aveva guadagnato risalto come sostenitore dell’ateismo e del naturalismo metafisico, autore di numerosi articoli su The Secular Web e, in seguito, difendendo la sua posizione di base nel suo libro Sense and Goodness Without God. I suoi ammiratori lo ritengono dotato di un’eccezionale intelligenza analitica al di sopra della media, estremamente abile nel fare letteralmente a pezzi i punti essenziali della migliore apologetica storicista e, nel contempo, a difendere nel migliore dei modi i punti essenziali del miglior paradigma mitista. Per capire la visione di Carrier, occorre preliminarmente comprendere la filosofia che lo ispira. Il Naturalismo Metafisico, una visione filosofica del mondo secondo cui non ci sono nient’altro che elementi naturali, principi e relazioni del tipo studiato dalle scienze naturali, In generale, la corrispondente prospettiva teologica è il naturalismo religioso o naturalismo spirituale. Più specificamente, il naturalismo metafisico rifiuta i concetti e le spiegazioni sovrannaturali che fanno parte di molte religioni. Secondo il Naturalismo, filosofia evidentemente figlia dell’Illuminismo: 1. La natura racchiude tutto ciò che esiste nello spazio e nel tempo;  2. La natura (l’Universo o il Cosmo) consiste solo di elementi naturali, cioè di sostanza fisica spaziotemporale – massa –energia. Sostanza non fisica o quasi fisica, come informazioni, idee, valori, logica, matematica, intelletto e altri fenomeni emergenti, o dominano il fisico o possono essere ridotti a un conto fisico; e 3. La natura opera secondo le leggi della fisica e, in linea di principio, può essere spiegata e compresa dalla scienza e dalla filosofia; e 4. il soprannaturale non esiste, cioè, solo la natura è reale. Il Naturalismo è quindi una filosofia metafisica contraria principalmente al creazionismo biblico. Lo scienziato Carl Sagan disse in modo succinto: “Il Cosmo è tutto ciò che è o è sempre stato o sarà mai” Quindi, il naturalismo è polemicamente definito come ripudio della visione che esiste o potrebbe esistere qualsiasi entità che si trova, in linea di principio, al di là della portata della spiegazione scientifica. L’assioma di Sagan, peraltro, è stato assunto dalla New Age, in una sua certa qual alleanza con la Scienza. Questa visione sostuisce lo Spirito con la Materia, Dio con il Cosmo, come se il Cosmo sensibile fosse Dio. Ma Cristo la combattè affermando come unica realtà il Regno di Dio, che è dentro (l’esoterico) e non fuori (realtà essoterica ed illusoria). Ora, lo stesso Carrier nel suo libro “Senso e bontà senza Dio: una difesa del naturalismo metafisico”, descrive così il naturalismo metafisico: “una filosofia in cui il culto è sostituito da curiosità, devozione con diligenza, santità con sincerità, rituale con studio e scrittura con tutto il mondo e l’intero apprendimento umano”. Carrier ha scritto che è dovere del naturalista “mettere in discussione tutte le cose e avere una fede ben radicata in ciò che è ben investigato e ben provato, piuttosto che in ciò che è meramente affermato o ben voluto”. Chi scrive sostiene che la Visione corretta è tutto. Se hai una visione sbagliata, essa sarà la prostituta babilonese che genererà solo figli (pensieri) bastardi. E’ scontato che una visione così materialista, che limita la realtà ai 5 sensi, non può che generare tutta una serie di idee limitanti e limitate. Peraltro per questa congerie di naturalisti illuministi, la mente non è altro che un prodotto del cervello, e non viceversa.

La statistica come prova contro la fede

Carrier ha scritto due libri sulla (non) storicità di Gesù: Proving History e On the Historicity of Jesus. Il primo di questi libri avanza una metodologia, basata sul Teorema di Bayes, considerato lo standard cui tutti i metodi per qualsiasi studio storico devono aderire per essere considerati logicamente validi. Il secondo applica questa metodologia alla questione della storicità di Gesù e sentenzia l’astoricità di Gesù. Vediamo meglio come si articola l’uso del Teorema di Bayes in Proving History, perchè è paradigmatico di come il trascendente venga sottoposto all’inquisizione della ragione e persino di formule matematiche. Riguardo alla metodologia bayesiana di Carrier, Raphael Lataster scrive: “Date le fonti problematiche a cui gli storici studiosi di Gesù hanno accesso e le carenze di molti dei loro metodi, sembra appropriato richiedere un’analisi approfondita, e bayesiana, delle prove per determinare se sia più probabile la storicità o l’astoricità di Gesù“. Quindi l’argomentazione storicista e antistorica di Gesù dipenderebbe esclusivamente da quanto bene ciascuna teoria predica ogni elemento di prova, quali elementi di prova contano e come contano verso la conclusione Bayesiana più probabile. Freddi numeri e algide statistiche. Carrier nota che Proving è “il primo libro completo sul mito di Gesù mai pubblicato da un rispettato editore accademico e sottoposto a revisione formale”. Carrier sostiene che non vi sia sufficiente probabilità bayesiana, cioè prova, di credere nella storicità di Gesù. Inoltre, egli sostiene che una figura di Gesù celeste era probabilmente originariamente conosciuta solo attraverso rivelazioni private e messaggi nascosti nelle scritture che furono poi trasformati in una figura storica, per comunicare allegoricamente le affermazioni dei Vangeli. Queste allegorie cominciarono allora a essere ritenute un fatto durante la lotta per il controllo delle chiese cristiane del primo secolo. L’Assioma 5 di Bayes sostiene che: «ogni argomentazione che si basa sull’inferenza ‘possibile, dunque probabile’ è fallace». Secondo Carrier, in pratica, troppi storici (non solo negli studi su Gesù; ma in ogni campo) credono di dimostrare la propria ipotesi se possono formulare una qualunque spiegazione plausibile. «Beh, potrebbe essere andata così…» è ritenuta una confutazione adatta in qualunque caso. Ma questo sarebbe errato. L’esempio più evidente di questo errore compare nelle «armonizzazioni» fondamentaliste delle contraddizioni evangeliche: credono di aver «confutato» la conclusione che i Vangeli si contraddicano l’un l’altro se sono in grado di pensare a un modo qualunque di armonizzare le narrazioni, elaborando una storia stravagante che mette tutto insieme, assumendo un centinaio di cose non provate. Ma questo ignora il fatto che la narrazione è in realtà estremamente improbabile. Che Matteo stia deliberatamente contraddicendo Marco perché sta discutendo contro Marco è immensamente più probabile che Matteo e Marco stiano correttamente descrivendo esattamente gli stessi eventi. Così il fatto che quest’ultima ipotesi sia «possibile» è irrilevante per le nostre conclusioni. E le nostre conclusioni dovrebbero essere la spiegazione ampiamente più probabile delle testimonianze, non ciò che è meramente possibile. Questo è un caso semplice perché nessuno studioso sensato accetta tale sciocchezza armonizzante. Solo quelli che Carrier definisce “i fondamentalisti demenziali” pensano che sia convincente. Ma numerosi sofismi appaiono anche nelle argomentazioni sensate e maggioritarie.

 

Le affermazioni straordinarie

Carrier spiega perché affermazioni straordinarie richiedano prove straordinarie, e cosa si intenda per «prove straordinarie». Quando si parla di affermazioni straordinarie, la matematica bayesiana, al fine di valutare la loro probabilità, richiederebbe quanto segue. Per definizione, un’affermazione «straordinaria» è un’affermazione improbabile: perché la parola stessa significa non ordinaria, e ordinario = comune = frequenza = probabile, quindi non ordinario = non comune = non frequente = non probabile. Di solito, ovviamente, si riserva la parola «straordinario» non per qualcosa di semplicemente poco comune, ma per qualcosa di estremamente raro, o anche di così raro che in realtà non abbiamo alcuna prova affidabile che non sia mai accaduto o che mai possa accadere. Così, quando si usa la parola in questo senso, stiamo dicendo che tale affermazione è estremamente improbabile in base a tutte le nostre conoscenze pregresse della storia dell’umanità e dell’universo. Il teorema di Bayes sostiene che sia illogico credere ad una tale affermazione, a meno che le prove a favore di tale affermazione siano estremamente inverosimili nel caso di qualsiasi spiegazione eccetto quella straordinaria; anzi, le prove devono essere ancor meno verosimili nel caso delle altre spiegazioni di quanto la spiegazione straordinaria è inverosimile sulla base di tutta la conoscenza a priori. Così, affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. Carrier ne darebbe una dimostrazione logica in Proving History, in modo che tale principio non si possa nuovamente negare. Una particolare attenzione è dedicata alla critica del cd Criterio di Imbarazzo, un criterio per giudicare la veridicità di una storia che si basa sull’idea che nessuno inventerebbe una storia che potrebbe mettere in difficoltà chi la considera vera: se un episodio della vita di Gesù, per esempio, è imbarazzante per i cristiani, secondo il criterio di imbarazzo tale episodio è probabilmente vero, in quanto i cristiani non avrebbero avuto alcun motivo nè interesse ad inventarselo. Un esempio è la descrizione evangelica in cui sono le donne a scoprire la tomba vuota, laddove le donne avevano uno status basso e nessuno si fidava della loro testimonianza. Perchè inserire un elemento del genere che avrebbe gettato discredito sulla rivelazione? Questo argomento viene appoggiato soprattutto nel saggio “Impossible Faith” di James Holding secondo cui nessuno avrebbe accettato il cristianesimo primitivo se non fosse stato vero. In particolare, Holding offriva diciassette condizioni ostili, più un’ipotesi critica sul ruolo della fortuna, che sostiene avrebbe reso impossibile il successo del cristianesimo, a meno che non fosse stato vero. La resurezione, che Holding difende, soddisferebbe in pieno l’ipotesi dell’Imbarazzo, in quanto totalmente assurda sul piano logico e in rapporto a tutto ciò che l’uomo conosce. Carrier, ovviamente, si è impegnato nello smantellare le tesi di Holding col saggio provocatorio “Not the Impossible Faith”. Ad esempio, circa la questione della crocifissione, la versione base (del criterio di imbarazzo) è quella che è così imbarazzante che nessun cristiano l’avrebbe rivendicata a meno che non fosse stata vera. Ma questo potrebbe essere confutato con un unico esempio: anche la castrazione dell’uomo Dio frigio Attis era imbarazzante, eppure nessuno sosterrebbe per questo motivo che debba essere davvero esistito un Attis realmente castratosi. Probabilmente questo era ancora più imbarazzante dell’essere crocifisso, in quanto soffrire e morire eroicamente per le proprie convinzioni era quantomeno ammirevole in tutti i sistemi di valori allora esistenti, mentre castrare se stesso era considerato come il più vergognoso di tutti i destini di un uomo. Eppure «nessuno se lo inventerebbe» non sarebbe, secondo Carrier, una rivendicazione logicamente valida in questo caso. Attis non è mai esistito, e un essere inesistente non può mai essersi castrato. Quindi chiaramente qualcuno se l’è inventato. Il suo essere imbarazzante non l’ha minimamente scoraggiato. E infatti questo è vero in tutta la storia delle religioni: i miti imbarazzanti erano (e in tutta onestà, sono tuttora) la norma, non l’eccezione.

Secondo Carrier, non c’è alcuna prova indipendente dell’esistenza di Gesù al di fuori del Nuovo Testamento. Tutte le prove esterne per la sua esistenza, anche se fossero completamente autentiche (anche se in gran parte non lo sarebbero), non possono dimostrarsi indipendenti dai Vangeli, o da informatori cristiani che si affidano ai Vangeli. Nulla di ciò può dimostrare di corroborare autonomamente i Vangeli per quanto riguarda la storicità di Gesù. Non un singolo elemento di prova. Indipendentemente dal motivo per cui nessuna prova indipendente sopravvive (non importa il motivo), nessuna prova del genere sopravvive. Quindi, secondo Carrier, nessuna conclusione attendibile sulla storicità di Gesù è possibile dalle cosiddette fonti “indipendenti” e “oggettive” redatte dopo i Vangeli. Potrebbero essere dipendenti dai Vangeli e quindi non sarebbero indipendenti né obiettive. Carrier si distingue soprattutto perchè presenta il miglior caso finora offerto a dimostrazione che “il fratello del Signore” di Galati 1:19 non descriva per nulla un fatto relativo a Gesù di Nazaret, ma indica più probabilmente solo un titolo tipico di tutti i cristiani (e usato all’occasione per distinguerli da quelli che sono anche apostoli): la prova dell’inesistenza di Cristo e non della sua realtà storica. Altro suo cavallo di battaglia è la demolizione della testimonianza di Giuseppe Flavio: i riferimenti a Gesù nell’opera di Flavio sarebbero state aggiunte dagli scribi cristiani, sottolineando che un particolare passaggio, l’esecuzione di Gesù sotto Pilato, prenderebbe evidente spunto dal Vangelo di Luca. Carrier peraltro appoggia la tesi della priorità di Marcione secondo cui il Vangelo di Marcione sia stato il primo vangelo redatto. Chi era Marcione? Questo (quasi) maestro gnostico fu probabilmente il più influente predicatore cristiano del secondo secolo. Marcione declamava, a fianco del Dio Creatore (ebraico), l’esistenza di un altro Dio, un Dio “straniero”, “alieno”. Quest’ultimo è il Dio Buono ed amorevole, mentre il Dio ebraico è il Dio della creazione e della Legge. Mentre il Dio buono si è rivelato per la prima volta con Gesù Cristo, il Vecchio Testamento è la scrittura rivelata del Creatore. La posizione di Marcione è più mitigata rispetto agli gnostici. Se gli gnostici declassavano YHWH a Demiurgo se non a Satana, Marcione affermava che era semplicemente un Dio di Giustizia e non il Dio Supremo e sconosciuto. Il Creatore sarebbe subordinato in tutto e per tutto al Buono, che risiede al di sopra del primo nel terzo cielo (cfr. 2 Cor 12,2). Il Dio Buono di Marcione, spesso chiamato dai Marcioniti il Buono, è completamente differente dal Dio Creatore. Egli non è legato al mondo terreno, imperfetto, ma al mondo invisibile, spirituale, perfetto. Le sue caratteristiche sono l’amore e la gentilezza. Il suo amore è così sconfinato che si manifesta anche a coloro, imperfetti per natura in quanto derivanti dal Creatore, che sono imprigionati nel cosmo transitorio, soffrendo sotto il giogo della tirannia. Lo scopo dell’opera salvifica di Cristo non è il perdono dei peccati, ma la liberazione assoluta dal potere del Creatore e della sua Legge. Marcione fa riferimento, come apostolo a conoscenza del mistero di Cristo, al solo Paolo: solo costui, tramite rivelazione diretta, senza alcun tipo di intercessione umana (Gal 1,1), è stato prescelto per la diffusione del Vangelo fra le genti. Ecco che sorgono i problemi: fra le due immagini di Paolo (quella Marcionita e quella Canonica) vi sono delle profonde differenze. Marcione non si limitò infatti a criticare il Dio e le Sacre Scritture ebraiche, ma si dotò (per primo!) di un proprio canone, che influì prepotentemente sullo sviluppo (per contrasto) di quello Cattolico. Ovviamente non possediamo neanche una copia del cosiddetto Apostolikon di Marcione, ma abbiamo citazioni dei Padri della Chiesa, da cui possiamo dedurre come nell’Apostolikon vi fosse un solo Vangelo (quello di Luca, in una forma abbreviata) e 10 Epistole Paoline pare in forma differente rispetto a quanto oggi conosciamo. Da queste differenze sorge la netta distanza fra il Paolo secondo Marcione e quello Canonico: il primo è depositario di una rivelazione esclusiva, riguardante un Dio “nuovo”, ed è in contrasto con gli apostoli di Gerusalemme che non hanno capito l’enorme svolta provocata dalla morte in Croce di Gesù (redenzione totale dalla vecchia Legge!). Il secondo predica lo stesso Dio di Pietro, non ha rivelazioni esclusive, va d’accordo con Pietro, Giacomo e gli altri, e nel passato sarebbe stato un facinoroso ebreo. Ora, in due occasioni (La prescrizione contro gli eretici 30, Contro Marcione 1:19), il padre della chiesa ed eresiologo Tertulliano accusa Marcione di aver separato il Nuovo Testamento dall’Antico. Tuttavia, secondo Carrier, nessuno ha mai conosciuto un libro religioso contenente sia l’Antico che il Nuovo Testamento al tempo di Marcione; non doveva separare ciò che non era mai stato riunito. L’espressione “Antico Testamento” poteva nascere solo quando c’era un “Nuovo”, il quale apparve, secondo i mitisti, solo con l’Evangelion e l’Apostolikon di Marcione. Il pioniere della tesi della Priorità di Marcione è il mitista Paul-Luis Couchoud, e il suo più accanito sostenitore attuale è il prof. . Tuttavia, gli studiosi biblici non hanno accesso a nessuna fonte primaria per i Vangeli, il che renderebbe eventuali conclusioni su di essi suscettibili di dubbio come è anche il caso di qualsiasi trasmissione orale del vangelo prima del vangelo della prima scrittura. Secondo la teoria dei Vangeli come fonti storiche attendibili, Raphael Lataster scrive: “I Vangeli, e in effetti tutte le fonti riguardanti Gesù, non sono fonti primarie, non sono contemporanei agli eventi che descrivono, né è ragionevole supporre che siano stati scritti da testimoni oculari. Le fonti esistenti riguardanti Gesù sono, nella migliore delle ipotesi, fonti secondarie” E Carrier inoltre afferma che: “I Vangeli vengono dopo decenni di distanza temporale dagli eventuali fatti, e sono i primi in cui sentiamo parlare di una storia terrena concernente Gesù … I Vangeli sono fittizi nel loro contenuto e struttura … Ogni storia ha intenzioni allegoriche o propagandistiche riconoscibili … Il primo (Marco) sembra una meta-parabola estesa (agli estranei viene raccontata una storia, mentre agli insiders viene detto cosa significhi realmente)”. Carrier sostiene che, a parte il modello archetipico dell’eroe, nient’altro nei Vangeli costituisce una prova affidabile a favore o contro la storicità di Gesù.

Il Gesù celeste di Carrier e la costruzione di un Cristo storico
Nella visione di Carrier, la teoria alternativa più credibile delle origini cristiane è che Gesù fosse inizialmente un essere celeste, conosciuto solo attraverso rivelazioni private dirette, che si credeva essere stato crocifisso e risorto nei cieli inferiori. I Vangeli furono i primi tentativi di collocarlo nella storia come uomo terreno, in parabole e favole destinate a illustrare teologia e ideali cristiani. La loro immagine di Gesù divenne quindi il maggior successo tra le varietà in competizione del cristianesimo sulle generazioni successive, e le sette alla fine trionfanti crearono e conservarono solo documenti che sostenevano la loro visione, e pochissimi sostenevano l’altro. Negli anni ‘70, l’idea che Mosè e altri patriarchi dell’Antico Testamento fossero esseri mitici, poi storicizzati, era considerata scandalosa, ma ora è ampiamente diffusa. Ora è più o meno il punto di vista standard nel mondo accademico laico, e gode persino del sostegno di molti devoti studiosi ebrei e cristiani. Secondo la teoria di Carrier, questo essere rivelato, il Gesù celeste, fu colui che scelse e “mandò” gli apostoli a diffondere il Vangelo. Ecco perché Paolo dice che nessun ebreo avrebbe mai potuto ascoltare il Vangelo se non dagli apostoli (Romani 10: 12-18). Evidentemente, il mito di Gesù che aveva predicato agli ebrei non si era ancora sviluppato. Gli storicisti ritengono unanimemente che i primi resoconti siano concordi sul fatto che Gesù di Nazaret abbia fondato il movimento cristiano, reclutato e addestrato i suoi primi leader, per inviarli poi come suoi apostoli; ma per Carrier questo non è vero. I primi resoconti (nelle lettere di Paolo) non sanno nulla di Nazaret e non menzionano mai Gesù che recluta o forma qualcuno. Quando Paolo menziona Gesù che comunica e invia apostoli, è sempre nel contesto delle rivelazioni. Probabilmente Gesù non era originariamente un nazareno, ma un nazoriano (gr. nazôraios greco). Questo era in realtà uno dei nomi originali per il movimento cristiano (Atti 24: 5) e rimase il nome della setta cristiana osservante la Torah originale (Epihanius, Panarion 9). Chiaramente non significava “da Nazareth” (i cristiani non provenivano da lì, e le parole non condividono le stesse radici). Gli studiosi speculano su cosa possa aver significato “nazoriano” (Proving History, pp. 142-45). Ma il suo attaccamento alla città di Nazareth sembra essere stata un’invenzione degli autori del Vangelo. Per lo meno, non abbiamo prove altrimenti. Carrier sostiene che il cristianesimo sia nato da una setta ebraica: “Il cristianesimo, come setta ebraica, iniziò quando qualcuno (molto probabilmente Cefa-Pietro, forse sostenuto dai suoi più fedeli devoti) affermò che questa divinità celeste, Gesù, avesse finalmente rivelato di aver ingannato il Diavolo incarnandosi e essendo stato crocifisso dal Diavolo stesso (nella regione dei cieli governati dal Diavolo, ovvero gli Arconti), espiando così tutti i peccati di Israele. […] Diversi decenni più tardi, i membri successivi di questa setta, dopo che il mondo non era ancora terminato come sostenuto, iniziarono ad allegorizzare il vangelo di questo essere angelico. Tradussero questa videnda sublunare (astrale) inserendola nella storia, quella di un uomo divino, come commento al Vangelo e al suo rapporto con la società e la missione cristiana”. Questo uso della terza plurale mostra come Carrier non creda affatto che sia stato Gesù a creare una nuova religione: “i primi resoconti (le lettere di Paolo) non sanno nulla di Nazareth e non menzionano mai Gesù che recluta o forma qualcuno. Quando Paolo parla di Gesù che comunica e invia apostoli, è sempre nel contesto delle rivelazioni”. In effetti, è vero che Paolo riconobbe che il suo contatto con Gesù era attraverso la rivelazione (Galati 1:12). Gesù non potrebbe aver creato alcuna nuova religione, semplicemente perchè non è esistito. Quindi non si sa chi l’abbia cominciata. Cosa intende Carrier per divinità celeste? Carrier afferma che originariamente Gesù non fosse un uomo storicamente vissuto ma “il nome di un essere celeste, subordinato a Dio, con il quale alcune persone avevano conversazioni allucinate”. Carrier fa l’esempio di Joseph Smith, il fondatore del mormonismo, che dichiarò di aver avuto conversazioni allucinate con l’Angelo Moroni; e di Maometto che crede di avere conversazioni con l’arcangelo Gabriele. Inoltre sostiene che: “Il Vangelo iniziò come un’allegoria mitica sul Gesù celeste, ambientato sulla terra, come avveniva per la maggior parte dei miti di allora”. Furono create storie che collocarono Gesù sulla Terra, inserendolo nel contesto di figure e luoghi storici. Alla fine la gente cominciò a credere che queste storie allegoriche fossero reali. Queste storie sono eredità dei misteri greci (Eleusini, Dionisiaci), egizi-alessandrini (Osiride), Mithraici ed ebraici. Gesù è un sincretismo dell’essere celeste, salvatore dalla morte, venerato nei misteri precedenti, e poi tradotto in una realtà storica. Carrier nota che: “Gesù era originariamente un dio proprio come qualsiasi altro dio (propriamente parlando, un semidio in termini pagani, un arcangelo in termini ebraici, in entrambi i sensi, una divinità), che in seguito fu storicizzato”. Secondo i primi cristiani, questo essere vittoriale sarebbe sceso, si sarebbe incarnato e avrebbe vissuto morte corporale e resurrezione, laddove invece i fatti sarebbero avvenuti nel regno tra luna e terra (mondo sub-lunare). Secondo Paolo, questo essere non è posto sulla terra nè collegabile alla storia umana. A parere di Carrier, il pro-vangelo, Marco, fa mettere in bocca a Gesù l’esigenza della metafora per la gente comune e la rivelazione del mistero agli iniziati; il che suggerirebbe che l’intero vangelo è un romanzo metaforico, e i fatti terreni del Gesù terreno sarebbero un complesso metaforico. L’altro negazionista canadese, Earl Doherty, ha dato origine alla premessa che Gesù sia nato come un mito del medio-platonismo (con una certa influenza del misticismo ebraico) e che la credenza in un Gesù storico sia emersa solo tra le comunità cristiane nel II secolo. Il mitista Earl Doherty afferma che Paolo di Tarso e altri scrittori dei primi documenti gnostici proto-cristiani esistenti non credevano in Gesù come una persona incarnata sulla Terra in un ambiente storico; anzi, credevano in Gesù come un essere celeste che subiva il suo sacrificio e la morte nelle sfere inferiori del cielo, dove fu crocifisso dai demoni e poi fu successivamente resuscitato da Dio. Questo Gesù mitologico non era basato su un Gesù storico, ma piuttosto su un’esegesi dell’Antico Testamento nel contesto del sincretismo religioso ebraico-ellenistico fortemente influenzato dal platonismo medio, e di ciò che gli autori credevano fossero visioni mistiche di un Gesù risorto. Ciò non corrisponderebbe al vero, per alcuni motivi:

1) Paolo ci dice che Gesù era “disceso da Davide secondo la carne” (Romani 1: 3) e “nato da donna, nato sotto la Legge [di Mosè]” (Galati 4: 4). Questo indica chiaramente la nascita di Gesù come un ebreo appartenente al lignaggio di David (e che, allo stesso modo, aveva sia la carne che una donna come madre);
2) Paolo ci parla della sua crocifissione in terra (seppur metafora vivente del sacrificio dell’uomo Primordiale, cosa suggerita da Apocalisse 13:8), della sua morte e della sua resurrezione.
3) Paolo testimonia che gli ebrei “uccisero sia il Signore Gesù che i profeti, e ci scacciarono” (1 Tessalonicesi 2: 14-15).
4) Afferma anche “che il Signore Gesù la notte in cui fu tradito” istituì l’Eucaristia e disse ai suoi seguaci di eseguirlo (1 Corinzi 11:23-25) e in seguito fu “sepolto” (1 Corinzi 15: 4) .
5) Gesù “fece la buona confessione … nella sua testimonianza davanti a Ponzio Pilato” (1 Timoteo 6:13).

Chi scrive sostiene che Paolo si rivela molto poco interessato ai dettagli del Cristo esteriore, ma moltissimo a quelli del Cristo interiore. Gli interessa il fattore-chiave della vicenda: morte e resurrezione. Aveva ben capito che allo stesso Gesù le vicende illusorie umane non interessavano, ed egli stesso aveva “consumato” la sua umanità. Perchè Paolo avrebbe dovuto interessarsi a ciò? Paolo non era uno storicista ma un iniziato, differenza sostanziale che nè gli storicisti nè i mitisti possono comprendere. In ogni modo, Carrier ha rivisto il lavoro di Doherty nel 2002, concludendo che la tesi di Doherty fosse plausibile, ma probabilmente non più vera della tesi di storicità minima. Carrier è rimasto fedele ad una storicità agnostica fino a quando non ha iniziato una ricerca formale sulla teoria del Mito di Cristo nel 2008, che alla fine lo ha convinto che le prove effettivamente confermassero la tesi fondamentale di Doherty. Carrier definisce questo modo di vedere il mito di Cristo “evemerismo”, un approccio all’interpretazione della mitologia in cui si presume che i racconti mitologici abbiano avuto origine da eventi storici o da personaggi reali; e che gli dei non sarebbero stati che personalità eccezionali giunte ad attribuirsi natura e adorazione divina. Carrier è stato accusato di rovesciarne il concetto: le persone furono inventate basandosi sugli dèi, piuttosto che gli dèi furono inventati basandosi su persone eminenti. Così Carrier la pensa sul presunto Cristo storico. Questa, secondo Carrier, non sarebbe evemerizzazione ma divinizzazione. Giulio Cesare fu divinizzato, fu evemerizzato. Gli dèi evemerizzati sono sempre non esistenti storicamente. Ovviamente, la parola evemerizzazione significa fare ciò che fece Evemero. Perfino nella sua grammatica (il suffisso -ize significa, in Greco e in Inglese, “fare allo stesso modo”, perciò “fare come fece Evemero”). Ma anche nel come si è originata e perché. Evemero prese gli dèi (Urano e Zeus) celesti (a-storici) e poi li trasformò in uomini storici. Non il contrario. Dunque, tutti quelli che fanno questo, stanno facendo quello che fece Evemero. Essi stanno perciò evemerizzando un dio. Proprio come Evemero “evemerizzò” Urano e Zeus. chi cerca di rivendicare che gli dèi celesti un tempo erano personaggi storici divinizzati sta facendo esattamente quello che fece Evemero: costruire una storia falsa partendo da una storia soprannaturale. L’evemerizzatore è colui che costruisce una storia (ovviamente: la storia non è reale, e non è mai esistita prima che la creassero, così si sa che la stanno inventando). Come le persone reagiscono a questa evemerizzazione è una storia completamente diversa. Per Carrier, Evemero era un ingannatore: il processo non è dall’uomo al dio (divinizzazione) ma dal dio alla costruzione fittizia di una storia umana, come sarebbe nel caso di Cristo. Peraltro, tentare di spiegare un dio postulando un uomo storico come origine, è sempre la stessa cosa: inventare un uomo storico. È solo un processo più onesto. Eppure è ancora un uomo inesistente inserito nella storia. Non è un vero uomo che è stato davvero divinizzato. In ciò Carrier e Bart Herman sono agli antipodi, perchè Herman pone da sempre l’accento sull’assurdo processo di divinizzazione dell’uomo Gesù, che per lui è stato uomo realmente storico.

Le tre teorie sull’Origine del Mito di Cristo
Riguardo alle teorie plausibili per l’origine di Gesù in relazione alla fondazione del cristianesimo, la più probabile è da estrarre tra tre teorie in competizione: 1) storicità soprannaturale cristiana; 2) storicità naturale secolare; 3) a-storicità mitologica secolare. Riguardo alla a-storicità mitologica, che Carrier appoggia, essa presuppone a) Gesù era il nome di una divinità o entità celeste, subordinata a Dio, con la quale alcune persone ebbero “l’illusione” di parlare; b) un corpo umano incarnato fu crocifisso, così fu adempiuto il requisito religioso per un sacrificio di sangue umano/divino; c) Questi eventi si verificano nelle dimore delle divinità mitologiche (astrale degli Arconti nello gnosticismo); d) il vangelo ebbe inizio come allegoria mitica sul Gesù celeste, ambientata sulla Terra come avviene per la maggior parte dei miti. Carrier, recensendo “Come Gesù diventò Dio”, osserva: “Il punto chiave è che Gesù era considerato un essere umano preesistente e incarnato fin dalla più antica storia documentata del cristianesimo, persino di fatto prima degli scritti di Paolo, e questo non era nemmeno notevole e inedito nel giudaismo”. Circa la teoria della Storicità sovrannaturale, essa prevede: a) Gesù era un superuomo incredibilmente famoso che poteva camminare sull’acqua; b) Nascita di una divinità, da una madre umana, quindi un semidio umano; c) Un corpo umano celeste fu crocifisso, così fu adempiuto il requisito religioso per un sacrificio di sangue umano/ divino; d) Questi eventi si verificano sulla Terra; e) i vangeli sarebbero la versione veridica della sua storia. Infine, sulla storicità naturale abbiamo i punti che seguono: a) Nascita di un umano; b) Un corpo umano fu crocifisso; c) Questi eventi si verificano sulla Terra; d) i vangeli sono pura finzione con un nucleo di verità. Analizzando in dettaglio alcuni punti, per quanto concerne la Nascita della Divinità: la storia della creazione del Gesù celeste non è nota, ma come osserva Carrier, “Questo ‘Gesù’ molto probabilmente sarebbe stato lo stesso arcangelo identificato da Filone di Alessandria come già esistente nella teologia ebraica”. Filone conosceva questa figura con tutti quegli attributi che Paolo attribuiva a Gesù: il figlio primogenito di Dio (Romani 8:29), Immagine celeste di Dio (2 Corinzi 4:4) e l’agente della creazione di Dio (1 Corinzi 8: 6): in sostanza, per chi scrive, il primo Adam. Era anche il sommo sacerdote celeste di Dio (Ebrei 2:17, 4:14, ecc.) e il “Logos” di Dio. Filone scriveva che questo essere fosse identificabile con la figura chiamata “Gesù-Yeshua” nel libro del profeta Zaccaria. Circa la questione del corpo umano incarnato, quando Paolo scrive che Gesù “venne ad essere” dal seme di Davide, nel contesto dell’incarnazione di Gesù, ciò significava che un corpo umano adulto era cresciuto dal seme di David, affinché Gesù lo usasse (il precedente uso di Paolo del termine unico dal punto di vista del contesto greco: genomenos – venne ad essere – significa un corpo umano fabbricato da Dio). Se Gesù possedeva un corpo umano surrogato, quindi il requisito religioso per un sacrificio di sangue umano/divino era adempiuto durante la sua successiva crocifissione da parte degli Arconti (Paolo ne parla in 1 Corinzi 2:8). Circa l’incarnazione di Gesù, Carrier scrive: “ Paolo disse (in Fil. 2. 7) che Cristo non era in realtà un uomo, ma venne” nella somiglianza degli uomini “(homoiomati anthropon) e fu trovato in forma umana ‘(schemati euretheis hos anthropos) e, in Rom. 8.3, che è stato inviato solo “a somiglianza della carne peccaminosa” (gr. en homoiomati sarkos hamartias). Questa è una dottrina di un essere preesistente che assume un corpo umano, ma che non è completamente trasformato in un uomo, se non solo in apparenza, avendo un corpo in carne e ossa da abusare e uccidere”.  Riguardo poi alle dimore delle divinità mitologiche definite Arconti dagli gnostici, occorre, secondo Carrier, rifarsi al misticismo cabalistico della Merkava, la scuola di misticismo ebraico antico, c. 100 BCE – 1000 CE, centrata su visioni come quelle documentate in Ezechiele (la visione del Carro) o nella letteratura degli Hekaloth (palazzi), riguardanti storie di ascese ai palazzi celesti e al trono di Dio. Riguardo alla differenza tra i cieli e il firmamento riguardo al luogo dell’incarnazione di Gesù, Carrier scrive: “Il mitismo colloca l’incarnazione di Gesù sotto i cieli, ossia l’intera vasta regione tra la terra e la luna (regno sublunare), concetto ben radicato nella cosmologia sia ebraica che pagana”. La conclusione di Carrier è che la verità dell’origine del cristianesimo (basata principalmente sui Vangeli) avviene tramite una combinazione della prima e della seconda teoria: Mitologica (che poggia sulle lettere di Paolo, che mai parlano del Cristo storico), e Soprannaturale (Vangeli).

I “Mitisti” ripetono che le fonti sullo Yeshua storico sono il Nuovo Testamento e poche altre. La cosa risulterebbe aggravata dal fatto che lo stesso Yeshua non abbia scritto alcunchè di suo pugno. Gli stessi vangeli sarebbero stati redatti diversi anni dopo la morte di Yeshua da personaggi che non lo conobbero. Testimonianze archeologiche dirette non ve ne sono. La Sindone resta ancora un enigma. Queste ipotesi di lavoro, come già visto, sono oggi conosciute come “Teorie del Mito di Yeshua”. Intanto, la tesi che nega la storicità di Yeshua è stata abbandonata dagli studi accademici francesi a partire dal 1933, grazie al lavoro critico dello storico laico Charles Guignebert. Daniel Marguerat, un protestante svizzero, ex professore di NT presso l’Università di Losanna, ha scritto: “Non siamo più nell’epoca dei Bruno Bauer o dei Couchoud. Oggi il dibattito riguarda il significato delle azioni e delle parole di Cristo, non la sua esistenza. Reimarus è la prima fonte di dubbi sull’affidabilità delle informazioni dei Vangeli sulla vita di Yeshua”. Nonostante ciò, il conflitto fra ricercatori dello Yeshua storico e “mitisti” infuria. Molto quotato dai Mitisti, Thomas Thompson, un americano, ora cittadino danese, ha pubblicato The Messiah Myth nel 2005. La sua tesi è spiegata dal sottotitolo: The Near Eastern Roots of Jesus and David. Egli sostiene che i Vangeli nascano da rielaborazioni di miti e leggende mediorientali, e Yeshua è solo un’astrazione frutto della rielaborazione di quei miti. Un libro recente di Bart Ehrman, Did Jesus Exist? (Yeshua è davvero esistito? Un’inchiesta storica, Mondadori 2013), è colmo di disprezzo verso la tesi del Mito di Yeshua. Ehrman critica i mitisti in quanto anti-cristiani, un’accusa spesso scagliata contro lo stesso Ehrman, e da lui puntualmente smentita. Carrier sostiene che Ehrman non abbia informato i propri lettori dell’esistenza di studiosi di livello accademico che sostengono la posizione mitista, come Thomas Thompson, il quale, nel suo libro The Messiah Myth, prevede la possibilità di uno Yeshua storico, ma conclude che il “Yeshua” del Nuovo Testamento è mitico, e chiede un rinnovato studio sulla questione della storicità in generale. Riferendosi al libro “Is This Not the Carpenter? The Question of the Historicity of the Figure of Jesus”, Carrier ricorda che: «Thompson (come co-autore) conclude che “si può talvolta dimostrare che l’accettazione acritica come storiche delle figure del Nuovo Testamento di Yeshua, Paolo e dei discepoli ignora e fraintende le funzioni implicite dei nostri testi” e la possibilità che Yeshua non sia esistito “ha bisogno di essere considerata in modo più esaustivo” di quanto l’atteggiamento sprezzante degli storicisti (come Ehrman) ha consentito. Al momento tutto quello che abbiamo, conclude Thompson, è “uno Yeshua storico che è un derivato ipotetico della cultura accademica”, che “non è più dato di fatto rispetto ad altrettanto ipotetici Mosè o Davide”». Inoltre, nota Carrier, Ehrman sembra contentarsi del fatto che nessun sostenitore del mitismo abbia una cattedra accademica, affermando al contempo che nessun mitista la otterrebbe proprio in quanto l’attuale mondo accademico rifiuterebbe di concederla. Se Ehrman, in quanto membro di questo mondo accademico, è fiero del fatto che non sia possibile per un mitista ottenere una cattedra, vuol dire che la situazione attuale è contraria alla libertà accademica, per lo meno circa l’accettazione della tesi miti

sta come ipotesi di rispetto, e che dunque la diffusione del mitismo può avvenire solo al di fuori delle università. Ehrman afferma che non bisogna stupirsi del fatto che Yeshua non sia citato da fonti coeve, in quanto «neppure […] la figura più potente e importante dei suoi giorni, Ponzio Pilato è menzionato da alcuna fonte romana di quell’epoca». Carrier fa invece notare che non solo esiste una citazione di Pilato ne La guerra giudaica di Giuseppe Flavio, e che il procuratore romano è nominato anche nell’opera Ambasciata a Gaio di Filone, ma che in questa stessa opera era contenuto un libro dedicato da Filone a Seiano e Pilato, per presentare all’imperatore (Gaio) Caligola le persecuzioni romane agli ebrei, ma che questo capitolo non fu preservato dai copisti cristiani, a differenza del resto dell’opera; e se questo libro avesse contenuto un riferimento alla vita di Yeshua, sarebbe stato verosimilmente copiato e tramandato. Inoltre Filone -vissuto ad Alessandria d’Egitto mentre i cristiani vi facevano conversioni e generavano sconcerto (stando agli Atti degli apostoli)- non fa menzione dei cristiani; la conclusione, dice Carrier, è che i testi cristiani non sono attendibili da questo punto di vista e che dunque «il silenzio di Filone è una testimonianza contro l’esistenza di Yeshua come descritta nei vangeli». Infine, a differenza di quella di Yeshua, l’esistenza di Pilato è testimoniata persino da un ritrovamento archeologico, un oggetto che verosimilmente fu commissionato dallo stesso Pilato: l’iscrizione di Pilato, una testimonianza originale dell’epoca di Pilato a lui direttamente riconducibile, cosa che per Yeshua non si può dire. Carrier fa notare che, naturalmente, si può affermare che Yeshua non fosse neppure lontanamente famoso come Pilato, e questa sarebbe una spiegazione accettabile. Ma non è ciò che si evince dai vangeli, e, soprattutto, non è la posizione scelta da Ehrman. Nel suo articolo, Ehrman afferma che: «per quanto riguarda Yeshua, abbiamo numerose testimonianze indipendenti della sua vita nelle fonti che giacciono dietro i vangeli (e gli scritti di Paolo), fonti che ebbero origine nella lingua nativa di Yeshua, l’aramaico, e che possono essere datate ad appena uno o due anni dalla sua morte (prima che la religione passasse a convertire frotte di pagani». Carrier, quindi, smentisce Ehrman: le fonti che giacciono dietro i vangeli non sono a nostra disposizione, sono solo ipotetiche (come la fonte Q) e messe in discussione da alcuni studiosi. Una testimonianza antica che abbiamo è il «credo» contenuto nella Prima lettera ai Corinzi 15:3-8, che Paolo dice di aver ricevuto. Carrier nota che tale credo non è in aramaico, che non sono parole di Yeshua, che non se ne conosce la data di composizione, che non contiene riferimenti a uno Yeshua vivente sulla terra: «Il fatto che non si dica che Yeshua è apparso o abbia insegnato o fatto alcunché prima della sua morte non è qualcosa da nascondere sotto il tappeto. Neppure che l’unica fonte fornita per la sua morte e sepoltura in questo credo è la scrittura, mentre la fonte per il suo ministero «successivo» (post-mortem) è detto essere il vederlo, e ciò solo durante le «rivelazioni» (Galati 1:11-12[…]). Allo stesso modo, si noti che molti uomini divini “morirono, furono sepolti, e risorsero”, o qualcosa di abbastanza simile, e dunque che Paolo riporti questo credo testimonia a favore della storicità di Yeshua non più di quanto faccia per quella di Osiride […]. Niente di tutto questo comporta che Yeshua non sia esistito, ma permette sicuramente che ciò sia possibile. Se Ehrman non se ne accorge, allora non è oggettivo o ragionevole». Ehrman sostiene nel suo articolo che «non abbiamo testimonianze di altri che siano nati da madri vergini e che morirono per il perdono dei peccati e che furono risuscitati dai morti (malgrado ciò che i sensazionalisti affermano ripetutamente nelle loro versioni propagandate)». Carrier fa notare che Ehrman ha ragione a dire che una tale figura non esista, ma che è scorretto da parte sua affermare che questa sia la posizione dei mitisti. Carrier afferma che: «Nessun mitista competente fa queste affermazioni. Invece sostengono che le divinità nate da vergini erano un fenomeno comune nella regione in quell’epoca e che divinità morte-e-risorte erano altrettanto comuni lì in quel tempo (come non lo erano altrove, ad esempio in Cina), e che il fatto che gli Ebrei inizino all’improvviso ad averne una anche loro sembra possa spiegarsi facilmente nei termini delle normali teorie di diffusione cultuale. […] Il sincretismo religioso è il processo di combinazione di idee provenienti da diverse fonti, spesso le idee più popolari o più utili, in un unico nuovo, realizzando una nuova religione. Tutte le religioni sono prodotte in questo modo, e questo vale certamente anche per il Cristianesimo. Il Giudaismo aveva una componente preminente di sacrifici in perdono dei peccati di un’intera nazione, una credenza nello spirito santo che rendeva i sovrani ebrei figli di Dio […], una tendenza alla denigrazione ascetica della sessualità. Il Paganesimo aveva una componente preminente di divinità salvatrici morte-e-risorte, che allo stesso modo offrivano modi di purificare i propri seguaci e fornire loro l’ingresso al paradiso – non necessariamente attraverso la loro morte, ma sempre in qualche modo, e spesso attraverso rituali battesimali che anticipavano di gran lunga l’adozione cristiana di un rituale uguale o simile […]; i pagani avevano molte tradizioni concernenti figli di un dio nati da vergini. Si noti cosa accade quando si combina la parte ebraica con quella pagana: si ottiene il Cristianesimo. Questo è in effetti quello che quasi certamente è accaduto, e perciò non dovrebbe neppure essere in discussione». Secondo Carrier, Ehrman sta dicendo che nessuna altra divinità aveva tutte quelle caratteristiche, e allora sta confutando una teoria che nessuno propone; oppure che nessuna di quelle caratteristiche fu mai attribuita ad una divinità prima di Yeshua, e allora dice il falso. Ehrman, peraltro, cita senza nominarlo il criterio di imbarazzo, criterio cui abbiamo già accennato, adottato per stabilire la storicità di un detto o un evento nel campo di studi del Yeshua storico, quando afferma che nessun ebreo avrebbe mai inventato una figura come quella di Yeshua: «I primissimi seguaci di Yeshua dissero che era un messia crocifisso. Ma prima del Cristianesimo, non c’era alcun ebreo, di qualunque tipo, che pensasse che ci sarebbe stato un futuro messia crocifisso. Il messia doveva essere una figura maestosa e potente che avrebbe abbattuto il nemico. Chiunque intendesse inventarsi un messia l’avrebbe pensato così». Carrier afferma di aver sia confutato questa affermazione, e di averla dimostrata come irrilevante. Il libro di Daniele, infatti, fa riferimento ad un messia morente (Daniele 9:26) e il documento qumranico di Melchisedec (o 11Q13), risalente al II-I secolo a.C., identifica questo messia con colui che ripulirà il mondo dalle forze del male; d’altra parte alcuni ebrei ritenevano che un messia figlio di Giuseppe sarebbe stato ucciso dai suoi nemici, e tale figura non fu derivata dallo Yeshua dei cristiani. Forse Ehrman intende confutare tali posizioni nel suo libro, ma certo qui non sembra dare atto delle critiche alla sua visione del messia. Carrier fa anche notare che, quando sostiene che chiunque volesse inventarsi un messia, l’avrebbe immaginato come «una figura maestosa e potente che abbattesse il nemico», Ehrman sta compiendo un grossolano errore: «L’unico tipo di figura messianica che si sarebbe potuto inventare sarebbe stata una che non fosse simile a quella. Altrimenti tutti avrebbero notato che nessun essere divino aveva liberato militarmente Israele e fatto risorgere tutti i morti del mondo. Questo significa che la probabilità della conclusione («chiunque volesse inventarsi un messia l’avrebbe pensato così») condizionata all’ipotesi «qualcuno ha inventato un messia» è esattamente zero. […] Ciò significa che se «qualcuno ha inventato un messia», possiamo essere assolutamente certi che questo somiglierebbe essenzialmente a Yeshua Cristo. Un essere che nessuno notò, che non fece nulla di pubblicamente osservabile, ma che nondimeno portò a termine il suo compito messianico, sebbene solo spiritualmente (esattamente la modalità contro la quale nessuno può fornire alcuna prova)». Ehrman ricorda che Paolo, che scrisse pochi anni dopo la morte di Yeshua, ne conobbe personalmente il discepolo più stretto, Pietro e il suo stesso fratello, Giacomo; e chiosa: «se Yeshua non fosse esistito, pensereste che suo fratello l’avrebbe saputo». Carrier sottolinea come Paolo chiami Giacomo non già «fratello di Yeshua», bensì «fratello del Signore». Questo titolo è collegato all’attribuzione a Yeshua del titolo di «Signore» e dunque, secondo Carrier, è un prodotto del Cristianesimo, un titolo cultuale: «Sì, [Giacomo] potrebbe aver ottenuto quel titolo cultuale per essere effettivamente il fratello di Yeshua. Ma potrebbe esserselo guadagnato semplicemente per il fatto di essere un cristiano battezzato. Poiché tutti i cristiani battezzati erano figli adottivi di Dio, proprio come Yeshua (Romani 1:3-4), Yeshua era solo «il primo nato tra molti fratelli» (Romani 8:29), il che significa che tutti i cristiani erano fratelli del Signore […].Tutti i cristiani erano fratelli del Signore, in base alle loro concezioni religiose; ci sono numerosi brani in Paolo che lo confermano: Romani 8:15-29, 9:26; Galati 3:26-29, 4:4-7; e ai cristiani era insegnato esplicitamente che Yeshua stesso aveva chiamato tutti loro suoi fratelli in Ebrei 2:10-16, attraverso un «messaggio segreto» nei Salmi (Salmi 22:22). La loro palese ispirazione originava da quella che ritenevano una Scrittura, i Salmi di Salomone 17:26-27, che Paolo sembra citare, e che predicevano che il messia avrebbe raccolto un popolo eletto e li avrebbe designati tutti figli di dio (e dunque fratelli)». Carrier confronta poi questa ipotesi, del Giacomo «fratello del Signore» in quanto cristiano battezzato, con quella che vuole questo attributo legato al legame di parentela di Giacomo e Yeshua, alla luce della dottrina cristiana che vedeva in tutti i cristiani battezzati dei figli di Dio e quindi dei «fratelli del Signore». La sua conclusione è favorevole alla prima ipotesi, in quanto la seconda richiederebbe una politica di limitazione dell’uso del titolo al solo Giacomo di cui non vi è testimonianza in Paolo. Carrier fornisce infine una rapida carrellata delle restanti «fonti», vangeli, lettere paoline, citazioni risalenti al II secolo. Come Ehrman probabilmente concederebbe, i testi evangelici presentano molti contenuti mitologici; che vi sia o meno un nucleo storico deve essere oggetto di indagine e non dato per scontato. Paolo ammette due sole fonti per le sue citazioni di Yeshua: le Scritture e la rivelazione divina. I documenti del II secolo, incluse le citazioni di Tacito, non sono indipendenti dal materiale del I secolo e come tali vanno trattati. «Non c’è bisogno di uno Yeshua storico per questo», chiosa Carrier, che infine sostiene: «Ovviamente tutto ciò non è minimamente sufficiente per dimostrare che Yeshua non sia esistito. C’è ancora da dibattere le prove e verificare la logicità dei ragionamenti. Ma dovrebbe essere sufficiente a dimostrare che questa è quanto meno una teoria rispettabile da prendere in considerazione. Fin tanto che è analizzata in maniera competente e con la dovuta attenzione ai fatti, alla logica e al confronto produttivo tra pari, perché no? »

Il Nuovo Corpo di Cristo secondo Carrier
Carrier, da scettico qual è, trova assurdo che Cristo, come qualunque uomo, possa essere risorto, e ancor più assurdo che fosse risorto con un nuovo corpo, fisico o spirituale che fosse. Al di là di Carrier, c’è da dire che Paolo insegna che “la carne e il sangue non possono ereditare il Regno di Dio” (1 Corinzi 15:50). Ergo, il nuovo corpo è glorioso, pneumatico, non carneo come imposto dalla Chiesa di Roma. E Yeshua risorse con un corpo di gloria (gr. Soma tes Doxes). Luca parrebbe suggerire che il Cristo risorto non fosse uno spirito (Luca 24:39 e 24:37) mentre Paolo dice decisamente che lo fosse (1 Cor 15:45, anche Rom. 1: 3-4). Secondo Carrier, uno Yeshua carnale non è mai esistito, ergo non poteva morire per poi risorgere; ma è convinto che i primi cristiani credessero che Yeshua fosse risorto dalla morte passando a un nuovo corpo e lasciandosi dietro il vecchio. Molti studiosi sono d’accordo con Carrier sul punto: non sulla possibilità di un nuovo corpo, ma sul fatto che i protocristiani ne fossero ampiamente convinti. Sol che, da storicisti, sono convinti che il nuovo corpo non è certo un corpo di luce. Molti altri pensano che sia probabile o almeno possibile. Il vescovo teologo inglese Nicholas Thomas Wright, esponente della Third Queste sul Cristo storico, è giunto ad affermare che «Dio custodisce un vasto magazzino di nuovi corpi che ci aspettano in paradiso, come una strana fattoria androide». In The Resurrection of the Son of God (2003), Wright ha scritto: «Paolo previde la possibilità di “scambio” (perdere un corpo, ottenerne un altro) piuttosto che “aggiungere”, come in 1 Corinzi 15, per cui non dovremmo perdere di vista il fatto che anche se un tale “scambio” ha avuto luogo, il nuovo corpo sarebbe stato più di quello attuale … Forse, Paolo, credeva che il nuovo corpo di Gesù, il suo incorruttibile corpo pasquale, avesse sempre atteso “nei cieli” perché “si sovrapponesse al suo presente … [Ad ogni modo] Paolo probabilmente credeva che, a Pasqua, il “corpo mortale” di Gesù fosse stato  “inghiottito dalla vita”, una nuova vita corporale in continuità, ma anche discontinuità (immortalità anziché mortalità) con la precedente». Tutto ciò che Wright vuole aggiungere è che, anche se accettiamo questo, Paolo dice che il nuovo corpo sarà sostanzialmente migliore di quello che abbiamo ora, il che è l’idea di Carrier. Wright afferma che «Paolo sembra attendere con ansia la risurrezione corporale finale, un nuovo corpo che avrà lasciato il decadimento e la corruzione di quello attuale e che funzionerà come un vestito nuovo e più grande da indossare sopra quello esistente». Un nuovo corpo, lasciando indietro quello attuale. Wright non sfida o critica questa conclusione, ma praticamente la afferma, secondo Carrier. Secondo Wright: «Il creatore creerà quindi un nuovo mondo e nuovi corpi, adatti alla nuova era. Da un certo punto di vista, il nuovo mondo e i nuovi corpi sono le nuove versioni delle vecchie; questa è l’enfasi di Romani 8. Da un altro punto di vista, il nuovo mondo e i nuovi corpi sono “conservati nei cieli” … il che può significare che sono sicuri nella mente, nel piano e nell’intento del Dio creatore». Il corpo della risurrezione è un nuovo corpo creato da Dio, e non solo il vecchio corpo rinnovato. Wright e lo stesso Carrier ammettono ancora che potrebbe essere un corpo completamente nuovo, e non un semplice restauro e miglioramento di quello vecchio, o un nuovo sul vecchio: “non si mette vino nuovo in botti vecchie”. Ma per Carrier resta fermo un principio: le visioni, o meglio le allucinazioni, sono all’origine della fede cristiana. Le visioni, se ci sono, avverrebbero senza fonte soprannaturale, e, secondo Carrier, è certo che ciò fosse molto più comune e accettato quando e dove iniziò il Cristianesimo, mentre al contrario non abbiamo prove che confermino la realtà di qualsiasi apparizione o eventi soprannaturali. Un vero Yeshua Divino, nella visione materialista di Carrier, avrebbe avuto i mezzi e il desiderio di apparire pubblicamente a tutti sulla terra, piuttosto che in privato esclusivamente ad un piccolo numero di credenti settari tutti riuniti nello stesso luogo. Uno dei pochi elementi effettivamente condivisi da tutti e quattro i vangeli è il rapporto o l’implicazione che Yeshua risorto non sia stato riconosciuto. In Luca, viene scambiato per uno sconosciuto anche da coloro che lo conoscevano, fino a quando non furono portati in uno stato psicologico recettivo per “riconoscere” lo straniero (Luca 24: 13-32). Inoltre, c’è la descrizione di uno stato di aspettativa da parte degli altri che si conclude con un’”apparizione” improvvisa (24: 33-37). In Giovanni, Maria non riconosce Yeshua, lo scambia per un giardiniere e ha una conversazione con lui senza sospettare nulla, finché lui non la chiama per nome, e poi improvvisamente Maria “percepisce” questo estraneo come Yeshua chiamandolo Rabbunì (20:14 -16). Nel secondo epilogo di Giovanni, nessuno riconosce Yeshua, eccetto uno o due discepoli (21: 4-12). Echi di ciò anche negli altri due Vangeli: Matteo riferisce che alcuni di quelli che videro Yeshua “dubitavano” fosse lui (28:17), e nel finale di  Marco, Yeshua si dice sia apparso “in altra forma” (16:12). Che questo thread rimanga comune in tutti e quattro i vangeli suggerisce che la verità abbia più un sapore mistico che fisico. Allo stesso modo -in Luca, Giovanni, Matteo e Marco- tutto inizia con alcune donne che hanno una visione di uno o più angeli, che interpretano in vari modi che indicherebbero che Yeshua stato innalzato; poi lo segnalano agli altri, e solo allora tutti iniziano a “vedere” Yeshua ovunque. Ciò si adatta bene allo scenario di visioni allucinate vissute da quelli che Carrier definisce “psicotici funzionali”. Se Yeshua non è mai esistito in carne ed ossa, il cristianesimo è nato da psicotici funzionali allucinati e dalle loro allucinazioni. Carrier sostiene che non ci siano prove scientifiche che confermino l’esistenza di visioni soprannaturali, mentre abbiamo abbondanti prove scientifiche che le visioni provengono da cause interne naturali, quindi questa fattispecie è sempre più plausibile in assenza di prove straordinarie in senso contrario. Riconosce quindi la possibilità che le prime visioni cristiane concernessero un vero Yeshua soprannaturale ma è lungi dal dire che esse fossero veritiere. Come non è verosimile un nuvo corpo spirituale né un nuovo corpo carneo. I primissimi cristiani dovevano essere preoccupati che Yeshua, in realtà un essere celestiale, fosse così diverso da loro da non essere risuscitato dai morti. Essi credevano che Yeshua fosse incarnato e cresciuto solo nei cieli, e quindi non fu mai sulla terra. La loro preoccupazione avrebbe avuto ancora più senso, perché allora Yeshua sarebbe stato un essere puramente cosmico, molto diverso da noi. Ergo, la sua resurrezione sarebbe stata un atto cosmico, non l’innalzamento di un cadavere sepolto, e ancora, non ci sarebbero potuti esserci essere né un cadavere né una tomba.

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RICHARD CARRIER E LA DEMOLIZIONE DEL PALAZZO CRISTIANOultima modifica: 2019-01-30T17:51:07+01:00da mikeplato
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