JULIUS EVOLA, PENSIERO E OPERE

 

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di Mike Plato

L’italiano Julius Evola (all’anagrafe Giulio Cesare Andrea Evola) passa dalla filosofia alla tradizione esoterica occidentale (alchimia, magia, tradizione del Graal) e orientale (tantra, Taoismo e buddhismo). Pensatore Tradizionale, filosofo, pittore, poeta, scrittore ed esoterista italiano, è personalità poliedrica nel panorama culturale italiano del Novecento, in ragione dei suoi molteplici interessi: arte, filosofia, storia, politica, esoterismo, religione, costume, studi sulla razza. Evola sostiene il Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si riscontra, da un punto di vista storico, in civiltà quali quella egiziana, romana e indiana. Tali civiltà non si basano su criteri economici, materiali e biologici, ma sono suddivise e gestite in base a criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale. Secondo Evola, ogni azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l’essere), e dunque imperitura e sovratemporale. Le sue posizioni si inquadrano, in parte, nell’ambito di una cultura e di tendenze ideologiche assimilabili o vicine a quelle del fascismo e ancor più del nazionalsocialismo, pur esprimendosi spesso in una critica in chiave tradizionalista nei confronti di alcune componenti dei due regimi, ritenuti privi di natura trascendente, anche se gli unici che avrebbero potuto riportare la civiltà ad un sacro paganesimo da romano impero. La lettura delle opere in particolare di Nietzsche ha sul giovane Evola alcune dirette conseguenze: in primo luogo un’opposizione al Cristianesimo, soprattutto in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia, nonchè circa la volontà, che Cristo insegnava ad annullare e Nietzsche ad esaltare. Evola vede il Cristianesimo come causa primaria del declino spirituale in Occidente, perché predica umiltà e sottomissione, piuttosto che l’autodeterminazione dell’uomo. In secondo luogo, una sorta di insofferenza verso il mondo borghese, la sua piccola morale e il suo conformismo. Il mancato suicidio è per Evola il momento di passaggio più significativo: fine del periodo artistico e inizio del periodo filosofico. Secondo Evola, il pensiero deve prefiggersi il compito di superare i limiti dell’umano per andare verso l’oltre-uomo teorizzato da Nietzsche. L’attualismo gentiliano diventa dunque il punto di partenza: dall’Io come principio attivo della realtà su un piano logico-astratto, all’Io come criterio di potenza capace di affermare l’individuo assoluto. Evola utilizza il concetto di iniziazione per descrivere la ricerca e il consapevole raggiungimento di regni trascendenti. Questo conseguimento si lega anche al raggiungimento di una continua consapevolezza di coscienza persino durante il sonno, e anche al di là della morte fisica. Evola si si è identificato con l’archetipo del guerriero kshatriya (della casta indù) e ha visto allo stesso modo le “scienze tradizionali” in una luce attivista e combattiva. Egli si discosta nettamente da Guenon, che ha sottolineato il primato del contemplativo, sacerdotale bramino Di qui, l’enfasi di  Evola sugli aspetti dinamici, magici e mutevoli del mondo, il che spiega anche il suo controverso coinvolgimento nella politica pratica; e quindi anche la sua preferenza per la pratica del  tantra, mentre Guenon si dedicò alla filosofia Vedanta. Evola non è affatto il Guenon italiano, come spesso si è creduto e scritto. Tuttavia, in comune con Guenon, Evola ha respinto la Teosofia di Helena Petrovna Blavatsky, l’Antroposofia di Steiner, lo spiritismo, e altri contemporanei gruppi neo-spiritualisti. È stato anche decisamente ostile alla psicoanalisi di Freud, e ancora più verso Jung. A differenza di Guenon, Evola si è espresso positivamente su Giuliano Kremmerz e la sua Fratellanza Terapeutica Magica di Miriam, di cui egli comunque non era membro, ma dalle cui dottrine è stato influenzato. Allo stesso modo, è stato non critico circa la dottrina magica di Aleister Crowley, che conosceva solo superficialmente, e verso George Gurdjieff. Alla Massoneria ha attribuito un carattere iniziatico solo nel suo periodo operativo, ovvero prima della fondazione del Gran Loggia d’Inghilterra nel 1717. La Massoneria da allora si era trasformata in un associazione puramente speculativa e razionale, dedita alla politica dell’Illuminismo e quindi agente nel senso di ciò che Guenon denominava “contro-iniziazione”. Nella sua teoria della cospirazione mondiale, probabilmente derivata originariamente da Guenon, Evola non tanto accusava specifici gruppi umani (Massoni o ebrei) del tentativo di conquistare il mondo. Piuttosto egli li considerava strumenti di potenze spirituali extra-umane. Evola pubblica diverse opere. L’Uomo come Potenza (1926) vede una riflessione sulla dottrina tantrica, che porta alla ribalta un Oriente lontano dallo stereotipo costruito dalla cultura occidentale, rendendo possibile quella sintesi, Oriente-Occidente, auspicata da più parti. Come si afferma già all’inizio dell’opera, la distinzione tra i due poli è netta solo quando si vada a considerare l’Oriente delle prime Upanishad e quello del buddhismo primitivo: queste dottrine, infatti, considerano il mondo privo di valore, come ciò da cui è necessario fuggire per aspirare alla salvazione. L’occidentale, di contro, è portato a trovare, sempre e comunque, una giustificazione al non-valore del mondo, tanto da condurre questo non-valore, attraverso lo sforzo individuale, a una condizione positiva (l’eco della filosofia nietzschiana pervade tutta l’opera). I Tantra sono tra i vari darçana orientali (atteggiamenti filosofici) quelli che più si avvicinano allo «spirito proprio dell’Occidente moderno». Infatti, nell’Introduzione Evola precisa come nell’era buia, quella del Kâlî-yuga, «l’ Io, essendo ormai interamente contessuto e profondato nel principio della realtà materiale, non può pervenire alla realizzazione che per un metodo che vada ad investire nel profondo le stesse potenze corporee». Al principio della pura conoscenza proprio dell’età dell’oro, fa da contraltare il principio della potenza proprio dell’età buia e l’individuo può sperare in una concreta liberazione solo affermandosi su un mondo concepito come realtà positiva, piuttosto che come maya. Nei Tantra, soprattutto in quelli studiati e praticati da Evola (i çakti-tantra, una specie che si riferisce all’aspetto attivo e produttivo “prakrti” inteso come il principio di potenza “çakti” del maschio primordiale), si prospetta, dunque, una via di realizzazione dell’individuo ben diversa da quella proposta da altre dottrine orientali. Questa via non fugge il mondo, piuttosto lo domina, con la consapevolezza che «senza la potenza la liberazione è una mera burla». Evola tornerà sull’argomento, riconoscendo alcune forzature presenti nella conclusione de “L’uomo come potenza”, in un’opera del 1949, Lo Yoga della potenza. L’assunto di fondo delle tesi evoliane espresse nel libro rimane inalterato (l’Autore criticherà solo lo stile): il nocciolo fondamentale del tantrismo, come quello dell’idealismo magico è che tra Dio e l’uomo non può esservi una differenza assoluta e qualitativa. L’uomo, in base a tale assunto, è in grado contando solo su se stesso di farsi Dio. Proprio delle nature deboli è, invece, non riuscire a realizzare Dio; dunque la ricerca di un legame con la divinità esclusivamente sentimentale e fideistico. L’uomo di Evola, invece, deve farsi redentore di se stesso, percorrendo il proprio singolarissimo sentiero, lontano da strade battute dalle dottrine precostituite, conscio che, al di là del concetto, vi è l’esperienza diretta, al di là del conoscere vi è l’essere. Evola scrive poi La Tradizione Ermetica (1931), in cui ammette il suo debito verso il gran massone ed ermetista Arturo Reghini, che gli offrì in parte la conoscenza diretta della letteratura, il quale gli prestò o segnalò antichi testi, mentre in precedenti articoli egli aveva indicato alcune chiavi per la comprensione del simbolismo ermetico-alchemico. Inoltre sapeva della materia attraverso gruppi francesi, soprattutto attraverso quello facente capo alla rivista Le Voile d’Isis. Scrive l’autore: «A dire il vero, fu l’ermetismo alchemico a costituire l’effettiva materia del mio studio. Si tratta di quella letteratura che, partendo da origini mitiche, ebbe già espressioni precise nel periodo alessandrino, in testi greci e siriaci. […] Nel loro aspetto esteriore tutti i testi di questa plurisecolare corrente trattano di operazioni chimiche e metallurgiche, soprattutto della fabbricazione dell’oro e della produzione della pietra filosofale e dell’elixir dei saggi. […] Intrapresi dunque uno studio sistematico per mettere in luce il vero contenuto interno della tradizione ermetico-alchemica. In realtà si trattava di una scienza iniziatica esposta con un travestimento chimico metallurgico. Le sostanze di cui parlavano i testi erano simboli per forze e principi […] le operazioni riguardavano la trasformazione iniziatica dell’essere umano». Secondo Evola, l’Ars Regia è una delle vie iniziatiche occidentali per il raggiungimento di uno status spirituale superiore, insieme alla così detta via del Graal. Una via opposta a quella religiosa, che prende piede in occidente dalla caduta dell’impero romano in poi che, secondo l’autore, perde del tutto ogni portata esoterica diventando semplicemente una dottrina della salvezza. Per il filosofo la via indicata dall’ermetismo è un insegnamento segreto di natura sapienziale, ma contemporaneamente pratico, operativo. In qualche modo per Evola l’alchimia – che egli identifica con l’ermetismo – diventa un sistema completo in grado di riassumere filosofia e magia, allo stesso modo dell’insegnamento tantrico indiano. L’alchimia «era un’ars regia che andava al di là dei confini del Cristianesimo, un’arte che egli considerava la più alta in base alla sua concezione della supremazia della regalità sulla casta sacerdotale». Evola non crede né nella reincazione (allo stesso modo di Guenon) né nell’immortalità naturale dell’anima umana. Piuttosto, l’uomo deve sforzarsi nel costruire un “corpo di diamante” intorno a un centro assolutamente stabile di coscienza, che è in grado di sopravvivere al trauma della morte fisica, e sostituirà il corpo mortale come un nuovo veicolo nei regni più sottili dell’esistenza. L’enfasi di Evola sul potenziale di auto-trasformazione dell’uomo attraverso l’ascesi e la disciplina spiega anche perché egli abbia riconosciuto lo stesso scopo nella magia e nell’alchimia. L’alchimia in quanto “arte reale” non è solo una conoscenza specialistica relativa al trasformazione dei  metalli, ma un completo sistema fisico e metafisico che abbraccia cosmologia e antropologia sacra, e mira alla trasformazione spirituale degli uomini e dei metalli. Egli vede nel linguaggio simbolico dell’alchimia un codice universale per tutti i campi misteriosofici: da qui la sua equiparazione dell’alchimia con l’ermetismo in toto, cosa che è stata criticata da Guenon, che ha accusato Evola di aver paragonato troppo l’alchimia alla magia. In Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo (1932), Evola critica quelle correnti di pensiero che «invece di elevare l’uomo dal razionalismo moderno e dal materialismo, lo portano ancora più in basso: spiritismo, teosofia, antroposofia e psicoanalisi». Nel 1934, appare la sua opera fondamentale, Rivolta contro il mondo moderno, nella quale oppone il mondo tradizionale al mondo moderno,  tracciando un affresco della storia letta secondo lo schema ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella tradizione occidentale; e satya, treta, dvapara e Kali Yuga in quella induista. Le antiche civiltà – ritenute superiori da Evola – si basano su una più elevata dimensione metafisica  e spirituale dell’esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. La naturale decadenza di queste società è direttamente proporzionale all’aumento del progresso e della modernità. Tale processo di decadenza ha inizio con la perdita dell’unico polo che in passato racchiude sia l’autorità spirituale che quella temporale e prosegue con la spinta propulsiva dei valori illuministi espressi con la Rivoluzione Francese: si arriva così alla società odierna dove la dimensione spirituale dell’esistenza è andata definitivamente perduta. In particolare, Evola rifiuta totalmente il concetto di egualitarismo, in favore di una visione differenziatrice della natura umana. Ne consegue un netto rifiuto della democrazia  (intesa come strumento di massa) e parimenti per ogni forma di totalitarismo, anch’esso ritenuto uno strumento di massa che si basa non su un’autorità spirituale, bensì su un’autorità esclusivamente di tipo temporale. Secondo Evola, l’uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l’iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l’azione e la contemplazione) all’interno di contesti sociali predeterminati (la casta, l’impero). In aperto contrasto con le teorie di Sant’Agostino espresse nel De Civitate Dei, ed in sintonia con i dettami del Buddhismo delle origini, Evola sostiene che non esiste differenza quantitativa tra l’uomo e il dio. Ogni uomo è un dio mortale e ogni dio un uomo immortale. Nella prima parte analizza le categorie qualificanti l’uomo della tradizione e le antiche “razze divine”; nella seconda analizza la genesi del mondo moderno ed i processi a causa dei quali la civiltà tradizionale è crollata (dal dominio dell’autorità spirituale al dominio del “quarto stato”). La storia del mondo non è quindi una evoluzione ma una discesa verso il basso per finire con l’attuale età del ferro (kali yuga). Un autentico restauro della Tradizione sarà possibile solo dopo il completo collasso del mondo moderno, perché non ci può essere transizione graduale tra Cultura tradizionale e modernità: si tratta di due concetti di tempo e di valori completamente separati e diversi. Il cammino dell’uomo durante la sua involuzione (come la definisce lo stesso Evola in aperto contrasto con le teorie darwiniane) avviene attraverso un percorso di tipo circolare, non lineare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio, nello schema proposto da Esiodo relativo alla cosiddetta teoria delle cinque età (dell’oro, dell’argento, del bronzo, degli eroi, del ferro), corrispondenti ai quattro yuga dell’Induismo. Partendo da questi presupposti, tre anni dopo, esamina a fondo Il mistero del Graal (1937) e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di “tradizione ghibellina dell’impero”, cercando di svincolare il Graal e la sua portata simbolica dalla tradizione cristiana. Nel mito del Graal, Evola vede un mistero iniziatico nascosto, e considera il regno del Graal come manifestazione specificamente occidentale medievale dell’idea tradizionalista di un centro mondiale supremo sotto l’autorità “regale-spirituale” di un “sovrano del mondo”. La ricerca del Graal simboleggia dunque “il desiderio di stabilire un contatto con questo misterioso centro“. Secondo Evola, il Graal è un mistero nordico a causa dei suoi legami con le tradizioni germanica e celtica, così come per il suo simbolismo Iperboreo. Ne La Metafisica del Sesso (1958), Evola descrive il sesso come l’unica concreta possibilità offerta all’uomo contemporaneo di sperimentare qualcosa del mondo trascendentale superiore. Il termine “metafisica” è usato dall’autore con un duplice significato: da una parte una metafisica intesa come una ricerca del significato ultimo dell’eros e dell’esperienza sessuale al di là della fisiologia e dell’istinto di riproduzione; dall’altra uno studio volto ad individuare anche nelle forme di amore più comune un’esperienza trascendentale. È lo stesso Evola a testimoniarlo: «In quest’opera il termine metafisica viene usato in un duplice senso. Il primo senso è quello corrente in filosofia, dove per metafisica s’intende generalmente la ricerca dei significati ultimi. Il secondo senso è quello letterale, esso può riferirsi a ciò che va al di là del fisico, nel presente caso, nel sesso e nelle esperienze del sesso». Il tema centrale del libro è che la differenza tra i sessi è programmata da tutta e in tutta la natura per motivi quasi completamente estranei a quelli della riproduzione. Evola raccoglie testimonianze storiche, tradizionali e scientifico-biologiche per dimostrare questa tesi, nonchè quella secondo cui il rapporto sessuale tra due esseri umani di sesso diverso è tanto più potente quanto i due elementi (uomo e donna) sono ontologicamente se stessi, determinati, distinti e differenziati. L’uomo, rifacendosi alla tradizione classica e preclassica, è l’elemento unitario (lo spirito, il cielo) mentre la donna è l’elemento diadico (la materia, la terra): la forma (l’uomo) che plasma la materia (la donna). Come per altre opere, il metodo di lavoro usato da Evola è quello che egli stesso chiama «metodo tradizionale» ovvero quello di fare confronti integrativi tra le varie tradizioni per giungere all’individuazione di un significato di base. Dal cocktail formato da opere “dottrinarie” quali Lo Yoga della Potenza, La Dottrina del Risveglio, Metafisica del Sesso, ecc. unito a quelle “politiche” quali Cavalcare la Tigre e Gli Uomini e le Rovine può scaturire, tuttavia, una sorta di culto metà superomista metà nichilista, caratterizzato dal disprezzo per tutto ciò che possa sapere lontanamente di “cristiano” o “mistico, cioè di legato ad una via passiva e di sottomissione al divino. Molti hanno accomunato giustamente Evola e Guenon, ma alcune divergenze, spesso rilevanti, ci sono fra i rispettivi “sistemi” dottrinari elaborati in decine di scritti da ciascuno dei due esoteristi. Si possono ad esempio citare, fra le tante, quelle sul ruolo “iniziatico” della Massoneria (accettato da Guenon rifiutato da Evola, che negava alla massoneria qualsiasi dignità spirituale), sul Buddhismo Mahayana e Tantra (cui Evola si dedicò con convinzione contro il parere negativo di Guenon) e, soprattutto, sul ruolo “politico” che Evola (già attivo collaboratore fra il 1925 ed il 1944 dei regimi mussoliniano ed hitleriano, sia pure con una certa autonomia secondo il clichè del conservatore ancièn regìme) finì con l’avere soprattutto dopo il 1946, a differenza di Guènòn che volle mantenere un rigoroso distacco dalle “contingenze”, comprese quelle di tipo socio-politico. Infine, “Virile”, potente e “attivo” è il tradizionalismo evoliano; matematizzante, lineare, “contemplativo” quello guenoniano. Evola fu tacciato di propugnare un esoterismo di tipo elitario e razziale: le differenze naturali tra gli esseri umani si rispecchiano anche nelle razze. Il filosofo rifiuta una visione razzista della vita in senso biologico, affermando la sua teoria del cosiddetto razzismo spirituale. La “razza interiore” di cui parla Evola è definita come un patrimonio di tendenze e attitudini che – a seconda delle influenze ambientali – giungono o meno a manifestarsi compiutamente. L’appartenenza ad una razza si individua dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e solo in seguito fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile. Partendo da questi presupposti assiomatici, arriva ad individuare gli ebrei come razza materialista e spiritualmente inferiore rispetto alla razza ariana-con un risultato quindi paradossale – ed alla sintonia con alcune idee del nazional-socialismo tedesco, come citato in precedenza. Ne La Civiltà occidentale scrive: «Sia razzialmente, sia in fatto di ideali, esiste una grande opposizione fra l’uomo ariano e tradizionale europeo e il giudeo. Fin dalle origini il giudeo ci è apparso come un essere diviso in se stesso. A differenza dell’ariano, egli fu sempre incapace di concepire e di realizzare un’armonia fra spirito e corpo. Il corpo significò per lui la carne, cioè una crassa e peccaminosa materialità, da cui deve redimersi per raggiungere lo spirito che per lui sta in una sfera astratta, fuori della vita. Ma nel giudeo questo impulso alla liberazione fallisce ed allora le prospettive si invertono: colui che era tormentato dal pungolo della redenzione si precipita disperatamente nella materia, si abbandona ad una brama illimitata per la materia, per la potenza materiale e per il piacere. Voi così vedete un uomo che si sente schiavo della carne e per questo vuol vedere intorno a sé solo degli schiavi come lui. Perciò egli gode dovunque egli scopra l’illusorietà dei valori superiori, dovunque torbidi retroscena si palesino dietro la facciata della spiritualità, della sacralità, della giustizia e dell’innocenza». Gli ebrei infatti, per Evola, non possono essere considerati una razza: «Già la Bibbia parla di 7 popoli che avrebbero concorso a formare il sangue ebraico […] Come da questo composto etnico abbia potuto sorgere un sentimento così vivo di solidarietà e di fedeltà al sangue […] tale da far pensare che il popolo ebraico praticamente sia stato fra i popoli più razzisti della storia – questo è un mistero […] La formula, in ogni modo, è che gli ebrei non sono una razza ma solo una Nazione». Circa le differenze col caposcuola del Perennialismo, il tradizionalismo evoliano è simmetricamente antitetico a quello guenoniano, nella sua ridondante ed esclusiva attenzione alla tradizione ermetico-alchemica. Tante sono le differenze che lo separano dal maestro francese. Innanzi tutto l’enfasi posta sul potere regale e guerriero, incarnato essenzialmente dalla casta indù degli ksatriya, a scapito di quello sacerdotale o brahmanico, da lui subordinato al primo (una volta accettata la scissione nichilista dell’unità delle due funzioni, prodotta dai malefici influssi del Kali-yuga). Conseguenzialmente, per Evola, l’azione non è sempre e comunque subordinata alla contemplazione: da qui anche il suo interesse per la magia, in cui vedeva la possibilità di innestare un’ipotetica “auto-iniziazione”. Mentre per Guenon, l’iniziazione è sempre l’effetto di una trasmissione e di un ricollegamento ad un Centro autenticamente tradizionale, l’originario influsso dell’idealismo gentiliano e la deformata lettura che Evola fa del corpus nietzscheano, lo conduce a riconoscere nel Principio divino la priorità della potenza sull’atto. Ossia, l’uomo riconosce nel divino il suo Me (divenire, nietzscheanamente, ciò che si è). La formula vedantina dell’identità suprema tra Âtmâ e Brahmâ, cara a Guenon, riconosce l’identità del Sé con lo Spirito Universale – ossia svela che quest’ultimo è assolutamente assimilabile alla Coscienza trascendentale ed impersonale – ed in fondo, afferma il primato del divino sull’umano nella formula: “riconosco l’Altro come me stesso”. Il pensiero evoliano rovescia simmetricamente l’assunto, che diventa così un “riconosco me stesso nell’Altro”. Se analizziamo i due testi che Evola dedica al suo individuo Assoluto (Fenomenologia dell’individuo assoluto e Teoria dell’individuo assoluto, entrambi editi dalle edizioni Mediterranee), vedremo che il filosofo, non ancora convertito al tradizionalismo guenoniano, fa sovente riferimento al concetto classico di solipsismo. Nella cultura filosofica, quest’ultimo termine designa qualunque dottrina che neghi l’esistenza di tutto ciò che eccede i contenuti di coscienza dell’Io. In altre parole, mette tra parentesi la concretezza empirica dell’Altro, ridotto a mera parvenza da un soggettivismo, che specialmente con Fichte si libera del Mondo a favore dell’Io (nella Dottrina della scienza Fichte pone dapprima l’io come determinato dal non-io/Mondo (a); ma poi ammette che è l’Io stesso che pone se stesso come determinante il non-io/ Mondo (b). In altre parole afferma che il Mondo è posto come ostacolo dall’Io assoluto, solo per permettere all’io empirico di superarlo e diventare più forte). La novità evoliana, rispetto a Guenon, è che il Mondo non è svalutato, ma nello stesso tempo non lo è nemmeno l’individuo (com’è invece nell’ortodossia guenoniana). Il Mondo esiste, ma è posto unicamente per svelare i suoi segreti all’iniziato ed elevarlo spiritualmente: tuttavia il livello magico-ontologico è salvo, perché è concreto e non è una semplice parvenza, come nel solipsismo idealistico. È quindi ovvio che ad Evola non interessi per nulla sottolineare l’annullamento trascendentale dell’Io nella soluzione indù della Moksha, ossia il riconoscimento dell’identità del Sé (Âtmâ) con Brahmâ. Anche in questo caso, l’individualità dovrà mantenere la sua specificità, pur nel connubio supremo: ecco perché preferisce introdurre il Me anziché il Sé. Un altro punto di divergenza dalla visione tradizionale guenoniana, Evola la registra nel suo continuo riferirsi ad una duplice tradizione, rispettivamente quella del Nord e quella del Sud. Per Evola, la tradizione del Sud coinciderebbe in toto con quella atlantidea, ma questa interpretazione suscita il disappunto di Guenon, più consono ad identificarla piuttosto con quella dell’Ovest. Evola sembra mostrare anche una curiosa indifferenza verso il pitagorismo, rilevata dallo stesso Guenon; mentre invece attribuì una grande importanza al Buddhismo (originariamente inviso al tradizionalista francese, prima che la lettura di Coomaraswamy gli facesse cambiare idea). Probabilmente, il matematicismo intellettualistico caratteristico della scuola pitagorica, non attrasse mai Evola, troppo interessato alla sua personale filosofia della forza. Nel Buddhismo, invece, Evola intravide il concretizzarsi di quella tradizione regale, non-aria ed eterodossa, che rovesciava il principio dell’autorità spirituale, in luogo di quella guerriera: non si deve dimenticare che il fondatore apparteneva alla casta degli ksatriya. È sempre lo stesso asse simbolico, maschile-guerriero-attivo, che si scinde successivamente in nordico e mediterraneo, che fa da “scheletro nell’armadio” del pensiero di Evola. È la disperata necessità di coniugare i presupposti del tradizionalismo guenoniano con la weltanschauung del ventennio; curiosamente sarà proprio quest’affannoso tentativo di forzare i dati tradizionali, che consentirà ad Evola di sfuggire a quel dogmatismo, che colpirà invece gli altri pensatori perennialisti, in particolare Guenon. Concludendo, si può dire che Evola- partito dall’idealismo e dalla vulgata nazionalsocialista del pensiero di Nietzsche- risentì profondamente della sua formulazione filosofica, che lo portò ad accettare in un primo tempo l’ortodossia guenoniana, per poi liberarsene successivamente, come avrebbe fatto qualsiasi nietzscheano desideroso di strappare (secondo un noto passo dello Zarathustra), la corona dal capo del suo maestro.

JULIUS EVOLA, PENSIERO E OPEREultima modifica: 2019-02-19T19:17:44+01:00da mikeplato
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