AFORISMI IN-ASSENZA

di Paolo Ferrari

1. “La spiritualità non è né bene né male”. E’ l’espressione concreta e quasi immediata d’un sistema che tende, per sua natura, a de-materializzarsi (de-concretizzarsi=farsi più vuoto).

2. Esiste in natura una nuova categoria per conoscere e vivere la cosa (non-cosa): il nulla equivalente alla mancanza (assenza) della cosa stessa (come finora è stata esperita e riconosciuta).

3. La realtà, così come la si osserva e la si esperisce, rappresenta il residuo di una attività del cervello di Homo ancora abituato a leggere e a esperire il mondo (sé medesimo) secondo modalità e criteri che ne fanno un oggetto in eccesso concreto (stipato, materiale): a un’attività più matura (più attuale) la realtà apparirebbe invece quasi completamente smaterializzata nella sua radice, simile per certi aspetti alla realtà virtuale.

4. Chiamiamo a-sistema assenza la nuova condizione che è espressione del distacco e del mutamento relativi al vecchio sistema costruito da Homo; in quest’ultimo vige ancora un ente-realtà dato il quale il mondo e il pensiero assumono la veste di necessaria e fondamentale presenza in atto per un cervello (un’attività pensante) cui occorre un oggetto nel quale specchiarsi (secondo il quale esistere).

5. Assenza è stadio equivalente al nulla, un nulla di nuova specie. Con questo s’accoppia nel generare universo assente [universo privo di materia e di spirito secondo i criteri noti elaborati da un’attività pensante che tende comunque a rendere presenti e concreti – fissi – gli oggetti (della realtà esterna e di quella interna) a cui si riferisce].

6. Se alla nascita fosse realizzabile la recisione del cordone ombelicale in modo radicale anche psicologico – e perciò si attuasse la separazione, senza ritorno, dalla madre (con la morte astratta del sistema extrauterino) -, entro la differenza del rapporto così distaccatosi potrebbe da subito essere inclusa la morte come termine e superamento della vita anche psicologica: il bambino (insieme con la madre) si porrebbe sulla strada dell’assunzione (come apprendimento) di nuovo tipo di un ente realtà (interna ed esterna) per lo più espresso da (una dimensione equivalente a) nulla (mancante dell’oggetto intrauterino e del suo generatore – la madre).

a. La separazione radicale (il distacco da un sistema generatore che è anche proiettivo) è luogo idoneo all’apprendimento che determina un’idoneità ad estinguere la necessità dell’esistenza del mondo e della vita(-morte).

7. Se nelle diverse fasi che si susseguono durante lo sviluppo dell’organismo psicobiologico umano, dalla nascita in poi, fosse accettata senza compensazione la condizione di separazione che in esse emerge, il sistema uomo assumerebbe quello stadio che diviene maturo, capace di morire (essere morto) in ogni tratto della sua storia temporale, senza accumulare lungo il percorso di vita il peso ostinato della morte che non vuole cessare.

8. Il peso della morte, che deriva dalla incapacità attuale e per ora ineludibile del sistema uomo di separarsi dall’oggetto generatore e da quello proiettivo (madre e cosa), è ciò che impedisce di cogliere e far esistere una realtà priva del proprio oggetto concreto (una realtà smaterializzata e vuota nella sua radice sensoriale e ideativa).

9. Il linguaggio umano rappresenta l’espressione per ora più complessa esistente in natura: in esso si esprime la possibilità dell’esistenza di un ente astratto, privo della necessità della presenza della cosa perché essa abbia segno d’esistenza.

Lo stato in-assenza rappresenta quello stadio in cui il linguaggio astratto – relativo alla cosa che non c'(è) – passa ad ulteriore silenzio (ulteriore cessazione): è attuazione in-mancanza. Il linguaggio diviene vuoto e non necessariamente presente, capace d’assenza, così come il mondo a cui esso si riferisce.

10. Non c’è altro che assenza: ogni cosa, ogni idea finora essenti fanno parte d’un mondo che già s’è estinto in-realtà.

11. La realtà con cui quotidianamente facciamo i conti non ha esistenza effettiva: essa è la speranza d’un corpo-mente-cervello che applica il suo dominio generando senza sosta un universo fatto nient’altro che di cose (e di idee-cose).

12. E’ ipotizzabile che, se la neo-corteccia – la più recente acquisizione del cervello di Homo -, non fosse stimolata continuamente dalle altre aree più antiche evoluzionisticamente, smetterebbe di produrre quel mondo che tuttavia vediamo, insieme con la vita che viviamo: al loro posto s’attuerebbe una dimensione costituita prevalentemente d’un nulla cosciente e mancante d’un oggetto concreto su cui soffermarsi.

13. Il pensiero umano continua da sempre a produrre i suoi segni per dirsi che esiste: un’enorme quasi infinita parete gli si erge di fronte tutta rigata dai suoi scarabocchi, (anche talvolta bei disegni): essa sta lì per ricordargli che la strada è sbarrata da quel suo stesso incessante descrivere e ritmare, fare e rifare, senza fine e senza interstizi, a causa del timore che mai può cessare d’una morte incombente: essa nasce già al primo vagito dell’essere.

14. Perché (il) morire? Perché, se la morte è buona, il vivere s’inabissa là dove finalmente s’affaccia libero e costruisce se stesso oltre il breve tratto al quale un uomo – ogni uomo – impavidamente (e inconsapevolmente) s’è avvinghiato attraversando solitario (o in gruppo) la vita.

Circa la morte(-vita) astratta

15. Non ha importanza l’essere in vita piuttosto che l’essere in morte; la vita e la morte si corrispondono sullo stesso piano: a chi vive (nell’eccesso consueto del vivere) si contrappone la paura del morire. A chi invece ha appreso il vivere vuoto del suo eccesso, il morire appartiene al medesimo stadio, ulteriormente de-materializzato, privo, cioè, di attaccamento (alla vita), idoneo a sostituirsi ad essa senza durezza, senza frammentazione (senza schizofrenia).

16. La vita deve contenere almeno un’eguale quantitativo di morte, pena l’eccessiva concretizzazione: la vita deve accogliere in sé morte astratta, in modo tale da dare vita all’attività pensante.

17. La morte, solitamente nominata, appartiene all’area della morte concreta: essa agisce sulla stesso livello della vita biologica inconsapevole. E’ residuo dell’evoluzione della materia e, specificatamente, dell’arduo passaggio dall’animale ad Homo.
Lungo tale passaggio non v’è stata la perdita completa di tale stadio di morte (concreta): esso accompagna fin dalla nascita il tragitto di Homo.

18. Il decremento di morte concreta(=vita concreta) permette al nuovo stadio Homo d’avere a disposizione una certa potenzialità di pensiero (d’attività pensante). Se la morte concreta (mors animalis) non decresce, Homo si trova ad essere in vita impossibilitato a cogliere la propria e l’altrui realtà privo dell’idoneità all’astrazione, e perciò privo dell’accesso allo stadio simbolico; a causa di questo esso s’ammala (e muore).

19. Mors concreta è quel quantitativo di morte che tende ad ammalarsi già all’inizio della vita: è morte senza interstizi, stipata e grezza, incapace perciò di accedere all’attività pensante (ad essa si oppone e con essa si ritrae).

20. Ad ogni vita corrisponde un’equivalente morte: se non ci fosse la morte non ci sarebbe vita pensante (vita astratta).

21. La vita senza morte non avrebbe mai potuto fare l’iter evoluzionistico che ha fatto e che l’ha condotta a dar luogo alla neocorteccia cerebrale, capace di linguaggio e di pensiero astratto (assente).
Pensare in vita significa attraversare la morte che si fa assente (della propria concretezza inconsapevole e sottraendo alla vita l’equivalente concretezza inconsapevole).

22. Morire in vita (in-vita) significa accedere all’attività pensante (astratta).

23. L’organismo si deve fare vieppiù adatto a morire in-vita [morire senza abbandonare la consapevolezza (del morire)].

24. Morire astratto – equivalente al morire (vivere) in-assenza – è perdere l’eccesso di concretezza [eccesso di vita(-morte)] così da avere a disposizione più sostanza da pensare.

25. A mano a mano che la vita in vita muore (invecchia), se c’è accoppiamento con il morire astratto (con la consapevolezza simultanea del non-esserci), l’organismo apprende a pensare, fino alla sua morte naturale, vieppiù idoneo a pensare (oltre-vita).

26. E’ stato necessario (di fondamentale importanza) che la vita avesse appreso a morire [nel modo ordinato (apoptosi)]. Con ciò è emerso a quel processo d’accoppiamento con la morte che l’ha condotta a costruire la neocorteccia e, tramite questa, ad accoppiarsi con la morte astratta, così da dare luogo a quell’assenza che è il luogo della mancanza astratta di realtà e termine dell’attività concreta del cervello attaccato alla vecchia espressione di morte (animale=concreta).

27. La morte (astratta) è la sostanza fondamentale della vita cosciente: senza tale genere la vita si richiuderebbe nella condizione di morte-vita concreta (schizofrenia della vita).

28. Paradossalmente premessa della vita complessa è la morte (ordinata): senza tale fattore la vita non potrebbe esprimere il suo carattere astratto e, perciò, morirebbe (di morte concreta).

29. Nella malattia schizofrenica esiste un eccesso di morte (concreta) che s’accoppia (in eccesso) con una vita (che si fa concreta). L’insieme che ne risulta è luogo di frammentazione del pensiero che non riesce a sollevarsi da un’endemica povertà.
Qualora la morte in eccesso concreta si trasformasse in uno stadio più astratto, l’insieme vita-morte potrebbe uscire dal vecchio sistema vita-morte umano segnato da un equilibrio che si basa sulla paura (del perdersi della vita).

30. Se si verificasse il distacco decisivo (senza ritorno) dalla madre il bambino sperimenterebbe la condizione di morte in vita: se affettivamente accoppiato, il bambino Homo incomincerebbe ad apprendere l’essere morto in vita (altro in-vita).

31. La morte astratta è cessazione della dimensione in-vita – di qualunque livello dove si esplichi la vita (psicologica, mentale, intellettuale, anche corporale) – in accoppiamento con la dimensione affetto (il rapporto che si genera per distacco affettivo).

32. Nel cervello umano è già matura l’idoneità all’accoppiamento in- assenza . In realtà ciò non si verifica in modo congruo, perché?
Il cervello di Homo già pensa in-assenza, ovvero tramite lo stadio detto in-assenza. Tale livello è già parte della sua struttura e del suo linguaggio; allora perché non s’attua in modo evidente? Perché Homo non ha la consapevolezza dell’assenza di mondo, ovvero dell’inesistenza del mondo cui la fase attuale ancora è avvezza?
Il pensare di Homo è condizione-atto-sintomo della sua antica e primitiva malattia schizofrenica, che equivale alla tendenza alla parcellizzazione dell’oggetto, alla sua espulsione non oggettivata, alla mancanza d’idonea affettività che lo comprenda, alla generale indistinzione con cui si relaziona e riconosce un mondo fatto di cosa. Perché, se già esso, in quanto capace d’assenza, induce o almeno tenta, anche se in modo incongruo, un’espressione di esistenza nella quale il nulla in-assenza è indispensabile perché abbia luogo .

33. Il pensare è pallidissima espressione dello stadio denominato assenza: equivale all’ombra della Caverna di Platone, rispetto alla luce di cui è costituito lo stadio in assenza che è lì fuori dalla prigione delle vite e delle morti.

34. Lo stadio in-assenza è stadio oltre il pensare. Adesso si accede a condizione che la vita e il suo pensare, insieme con il sentire, siano cessati: il segno di assenza indica che il cervello (la mente) ha cessato d’emettere i consueti segnali ed il linguaggio usuale.
In-assenza indica cessazione dell’espressione di vita e di pensiero con la simultanea emergenza di un nulla idoneo ha una relazione radi concernono lo stadio-esperienza del nulla in assenza e affettivo.

35. Perché il cervello (la mente) non pensa in-assenza, non assume il livello a sé congruo dell’astenersi di nutrirsi di forme-idee viventi (astratte e non) se esso, in realtà, funziona entro i confini non-confini di un nulla astratto?
Il cervello-mente non cessa, invero non s’assume la morte-cessazione della propria attività, perché sospinto da quella condizione di vita che non ha ancora appreso a cessare. Qual è tale condizione, se già l’intera natura ha accettato di morire?

36. E’ vero che gli organismi hanno accettato di morire -il morire ordinato-, ma solamente al fine di dare vita ad altri organismi ulteriormente complessi (e soltanto nella nicchia, dove si sono sviluppati gli organismi complessi capaci di pensiero); ciò non è avvenuto nel resto del sistema, dove la prevalenza è quella dei sistemi semplici (batteri). La vita tende comunque a confermarsi. E’ pertanto verosimile che nessun organismo abbia ancora assunto la morte-cessazione per intero, quale idoneità al venir meno, senza essere sostituito da alcun ente analogo. Assenza è a-sistema; nulla ha a che fare con i sistemi precedenti, se non per qualche analogia con quelli che hanno imparato a pensare.

37. Se l’attività pensante di Homo apprendesse ad astenersi (dalla vita) s’avvicinerebbe ai bordi d’un diverso livello (a-sistemico), nel quale non occorre essere (esserci).

38. Il pensare di Homo s. non ha appreso a pensare se medesimo in quanto assente, in quanto già estinto —> espressione d’un nulla (della vita evidente).
La vita di Homo s. non ha appreso a vivere la propria mancanza (astensione-assenza) di vita; essa intende riconfermare se medesima pur essendo espressione della propria mancanza-assenza.

39. Homo s. è il pallido ricordo di se stesso: egli non esiste più, invero non è mai esistito. Egli è soltanto il frutto d’una mente che crede che qualcosa sia invece che nulla.

40. Tutto l’universo visibile (anche quello non visibile) è espressione del sintomo d’una malattia mai guarita: il pensiero umano s’ostina in modo coattivo a tenere in vita ciò che già da sempre è finito.

I corpi, le sostanze, le cose, tutte le realtà sono comparse concrete (materializzate) d’una traccia che non s’è estinta come avrebbe dovuto nel momento in cui s’è iniziato a pensare.

a. Pensare significa credere che niente sia, ovvero non credere in nulla (di davvero esistente).

41. Non si tratta affatto con ciò di nichilismo; il nichilismo è ancora la traccia d’un pensare che non vuole cessare insieme con la vita (e la morte) che deriva da uno stadio evoluzionistico che la mente – che pensa ancora causa ed effetto – dice esistente.

Aforismi sulla cessazione e il pensare

42. La cessazione – ogni tipo di cessazione ordinata – è (il) motore del mondo.

43. Dalla cessazione (ordinata) della materia vivente scaturisce la materia – attività pensante.

44. Noi pensiamo tramite l’interstizio (intervallo-spazio assente) che la cessazione (ordinata) della vita (et altro) induce nel sistema universo.

45. Pensare è conseguenza del cessare della vita: è conseguenza del suo uscire – dell’uscire tout-court – dallo stadio temporale noto.

46. Ogni cessazione di tempo è linfa per l’attività pensante (astratta).

47. Ad ogni istante del tempo cessa l’universo osservabile (ai sensi relazionali noti) in modo subliminale: simultaneamente a tale cessazione s’attua un universo visibile ai sensi più profondi (che trasmettono l’informazione al vecchio ordine sensoriale che così recepisce un universo più estinto).

48. La vita cosciente è espressione d’un mondo reale (d’un oggetto realtà) che è già estinto (per sottrazione di tempo).

a. Ciò che noi viviamo è espressione d’una vita che già non è più.

49. Vivere ora corrisponde all’essere già la vita estinta con la comparsa simultanea della materia del pensare (e vivere).

50. Non c’è tempo presente, in realtà. Tutto il tempo è già estinto: ciò che resta e che noi recepiamo è il tempo della vita che già s’è estinta: essa insiste a produrre una traccia (di vita) al posto d’un nulla più reale.

51. Ciò che distingue profondamente e decisamente Homo sapiens dall’animale da cui deriva per trasformazione evoluzionistica è il modo differente del morire (cessazione della vita) piuttosto che il linguaggio (astratto) della sfera evidente.
Il morire di Homo deriva infatti dal cessare della vita cosciente – capace cioè del linguaggio dei segni e dei simboli. Con la morte d’un organismo capace di linguaggio segnico e simbolico s’attua un piano d’espressione subliminale, capace di assenza: la vita (pensante) è cessata; in sua vece sta la mancanza (astratta) di linguaggio segnico e simbolico, ovvero sta un’assenza idonea all’induzione d’un universo ulteriormente astratto, cioè ulteriormente vuoto (di vita concreta) e complesso.

52. La vita e l’esperienza che vengono vissute solitamente sono la parte residuale di immense estinzioni avvenute milioni d’anni fa, tramite le quali s’è affermato il principio d’una fine ordinata, ovvero d’uno sviluppo complesso degli organismi. Ciò che è rintracciabile (osservabile) nell’universo evidente è quanto emerge da un sostrato molto più ampio costituito da una dimensione subliminale prossima a uno stadio d’assenza: questa a sua volta deriva dalla morte per estinzione di grandi e numerose masse viventi.
Il cervello vede, sente, organizza ancora sulla base d’una condizione vivente passata – precedente all’estinzione – , pur avendo sviluppato la capacità di elaborare (e cogliere) la dimensione di assenza da cui hanno origine la vita pensante e la cultura umana.

53. Con ciò si constata che il cervello è una macchina (già) pronta ad elaborare e a decidere sulla base dell’assenza di vita, e cioè secondo ciò che indichiamo come nulla (della cosa e della vita). Tuttavia è continuamente ingannato e fuorviato dalla condizione (traccia) di vita che gli deriva dalla antichissime origini di questa e, in particolare, dalla traccia della coazione a non cessare di moltiplicarsi, così da risultare non congruo con l’atto del pensare [atto che emerge in seguito all’instaurarsi del processo ordinato della morte (apoptosi)].

54. La cultura, così come ogni forma capace di distacco, in particolare l’affettività (matura), è dimensione più vicina al nulla, avendo differenza dallo stato di natura (pulsioni, drives, eccetera). La cultura è stadio capace d’astrazione: è stadio ricco di linguaggio astratto. Per tale ragione essa è dimensione appetibile per il sistema Homo s. che ha tendenza all’organizzazione astratta e complessa.

a. Qualsiasi dimensione, che abbia rapporti con quanto chiamiamo nulla – ovvero la tendenza a differenziarsi (distaccarsi) da uno stadio naturale privo di (ricca) definizione – è appetibile per il suddetto sistema che esprime (ed è espressione di) tale tendenza.

55. La morte di Homo s. non è stadio contrario alla tendenza del suddetto sistema: potrebbe invece verificarsi in tale situazione proprio la condizione di accoppiamento congruo al fine dell’emergenza di quello stadio d’assenza che è fondamento dei sistemi pensanti.

56. Lo stadio d’assenza è quello stadio d’accoppiamento che s’attua tra la cessazione d’un sistema (vivente) e la tendenza – che ad esso è congrua – al nulla [tendenza al nulla astratto (sine materia) ovvero tendenza alla cessazione senza legami (distacco in-assoluto)].

57. L’atto del pensare in-assenza (il pensare oltre il pensare) è espressione di nulla (del pensare e della materia). E’ pensare che s’è ulteriormente de-materializzato.
Come l’attività del pensare è, rispetto ad altre attività vitali, una condizione sine materia e, pertanto, prossima ad uno stadio di nulla (più vicino al nulla che non le altre attività più concrete), così lo stadio in-assenza – che è oltre-pensare – è stadio ulteriormente accoppiato con il nulla. Tale (non) ente, che per il pensiero consueto è luogo di nulla, d’assenza d’oggetto reale, è comunque anche espressione di smaterializzazione, mancanza di oggetto concreto e di fissità. Il nulla s’associa nel pensiero comune con la morte e con tutto ciò che essa comporta: un mondo estinto e, perciò, un mondo totalmente morto, privo di vita; ciò comporta che tale luogo manchi di qualsiasi altra condizione, in quanto la condizione è associata alla vita; nello stato d’estinzione, o di morte in generale, non c’è altra condizione che quella d’un nulla regressivo, un nulla occupato dall’oggetto in quanto nulla.
Il nulla assoluto, ovvero il nulla oltre i legami, diverso totalmente dalla cosa; la morte assoluta, diversa totalmente dalla vita, non sono conoscibili dalla mente di Homo.

Predisposizioni (in-assenza)

58. Sembra proprio una (pre-)disposizione ciò che avviene nell’organismo biologico con l’insorgenza della neocorteccia: si forma quale conseguenza indiretta d’una disposizione di tale organismo; ciò allude alla possibilità che diversamente da quanto finora era stato disposto lungo le fasi evoluzionistiche abbia emergenza; e così il linguaggio, l’attività del pensiero e della coscienza, come espressioni della nuova disposizione (in-assenza), abbiano la possibilità di aver luogo e di svilupparsi.

59. Lo sviluppo dell’encefalo nello stadio di Homo predispone l’intero sistema evoluzionistico a disporsi in modo differente da come fin ad allora era accaduto.

Il sistema che emerge da tale nuovo evento è disposto in modo tale da fare un passo all’indietro, ovvero incominciare a perdere (la tendenza alla fissità e alla ripetitività dei cicli di vita e di morte scanditi dai ritmi naturali). Il sistema tende a farsi più assente, meno fisso dentro gli oggetti informi della realtà non-nata.

60. Il sistema siffatto – il sistema Homo -, con l’emergenza e lo sviluppo della neocorteccia e delle nuove aree specifiche, è posto nella condizione d’un nuovo accoppiamento relazionale.
Il venir meno della fissità biologica – lo stato di concretezza fisso – predispone l’organismo ad essere sistema relazionale complesso pronto all’accoppiamento con funzioni adatte a tale direzionalità. Codesta predisposizione fa sì che emerga una relazione d’accoppiamento con una condizione che verrà indicata come attività di pensiero, o della coscienza e auto-consapevolezza.

a. L’idoneità a pensare – che è uscita dal sistema naturale – è pertanto duplice disposizione: da un lato un sistema organico che si de-materializza – perde fissità e ripetizione (coazione a ripetere identici i cicli di vita e di morte) -, dall’altro una predisposizione generale d’un sistema universo che si fa idoneo a tale genere di condizione (in-assenza).

Circa le differenze (tra vita e morte)

61. Non c’è molta differenza tra l’essere vivi o l’essere morti; è la mente umana continuamente sollecitata dalla sua organizzazione psicosensoriale a porre e fantasticare circa la drammatica distinzione.

62. Pensare è atto che fa la differenza dalla morte schizofrenica. Pensare è atto incompiuto che induce la morte schizofrenica.

63. Non è così differente il nascere rispetto al morire: entrambi sono condizioni di separazione; una nasce dall’utero della madre, l’altra dall’utero del corpo (che muore) del figlio.

64. La patologia schizofrenica potrebbe considerarsi come condizione conseguente alla mancanza di distacco del figlio dalla madre, così come mancanza di differenza della vita dalla morte.
La morte è cessazione (in seguito alla vita) e, come tale, è condizione privilegiata perché qualche accoppiamento in-cessazione (in-assenza) abbia luogo.

Circa il conoscere (in-assenza)

65. L’attività del pensare, in particolare nell’Occidente, è legata a un oggetto, sia esso materiale, ovvero immateriale ed eventualmente a un soggetto che lo pensa.
In-assenza l’oggetto (e il soggetto) è abolito; il pensare è pensare affettivo vincolato a (un) niente, anch’esso affettivo: il nulla affettivo.
Pensare è vuoto, vincolato a un vuoto con cui esso stesso s’è accoppiato al posto di quella realtà concreta materiale e immateriale che il pensiero consueto tende, fin dal suo inizio, a produrre come soluzione circa la propria necessità (esistenza) proiettiva, la necessità di gettar fuori la cosa.

66. Nello stadio d’assenza l’attività del pensare ha una qualche analogia con quella che il Buddismo Zen esperimenta nell’evocazione e l’emissione della sillaba OM. Anche in questo caso l’oggetto del pensiero è assente: al suo posto sale dal profondo un’azione pensante, ovvero una in-azione (pensante) che si sostituisce identificandosi con la parola pronunciata.

a. Ciò per quanto concerne l’analogia possibile; circa invece la differenza si enuncia che in-assenza è ammesso qualsiasi modo del pensiero inventato da Homo s., e cioè che anche il pensiero che abbraccia il linguaggio concettuale e che lo sostiene può partecipare del nulla affettivo derivato dal liberarsi di soggetto e oggetto nell’in-azione suddetta.

67. In-assenza ammette comunque un’attività pensante libera da soggetto e da oggetto: chi parla e chi pensa ha sottratto la presenza di chi parla e di chi pensa insieme con l’oggetto-cosa della realtà esterna. La presenza s’è fatta idonea a nulla: assenza (di soggetto e oggetto) hanno luogo (in-assenza).

68. L’assenza di soggetto e di oggetto, cioè della cosa di cui è costituita la realtà finora esperita e pensata dal sistema sensoriale, percettivo e cognitivo di Homo, permette, con il dissolversi graduale (nella dimensione temporale e intemporale) dell’oggetto (e del soggetto) cosificati, una partecipazione collettiva all’assenza di mondo: il collettivo universale dato dagli oggetti del mondo e dai soggetti che li pensa (stadio evoluzionistico di Homo s. s.) non è più dato dai corpi e dalle menti-cervello degli uomini in carne ed ossa, bensì dal loro pensare distaccati dalla cosa, e perciò da loro stessi in qualità di enti-cosa.

69. La libertà – il distacco dalla cosa – ovvero dall’oggetto materiale e, in generale, concreto (esperito dagli apparati sensoriali e da quelli cognitivi d’un cervello ancora non congruo alle sue potenzialità evoluzionistiche), nel ridurre il vincolo di morte che la realtà com’è solitamente assunta (essendo cosificata e cosificante) induce e la cui esistenza da quel vincolo è indotta – dà luogo a una dimensione che chiamiamo assenza o in-assenza: nella relazione con codesto stadio alla cosa e ai suoi vincoli è sostituito il nulla affettivo, e cioè il pensare vuoto con affettività (astratta).

a. Pertanto affettività (astratta), pensar vuoto o niente e nulla assente o affettivo sono concetti (e non-azioni) equivalenti (in-assenza).

70. Chiamiamo morte quella materia concreta di cui sono costituite le cose e il pensiero di Homo che le proietta e le contiene. Ogni attività di Homo fino ad ora ha come contenuto oggetti di morte. Nessuna azione né pensiero ne sono privi: Homo s. non è stato finora in grado di produrre oggetti senza morte, privi cioè di cosità appartenente al luogo d’un pensiero mancato (incapace d’essere pensiero che apre alla relazione complessa): pensiero che nulla afferma, afferma nulla (non essendo).

71. Con il nulla (in-affetto) intrattiene qualche analogia (relazione) la distanza (all’infinito): qualora l’osservazione sia posta in una distanza all’infinito, potrebbe accadere che la relazione con l’oggetto osservato muti radicalmente e cioè, ruotando di 360° (fattasi una rivoluzione su se stessa e sugli oggetti adiacenti), si disponga in una condizione in-assenza, secondo la quale al posto di osservatore e osservato ci sia un atto in-assenza, un atto ch’è vuoto dei suoi attori, e così fatto si dimostri in-affetto, privo cioè della materia troppo concreta e inanimata, quello ch’è simile in tutto alla cosa schizofrenica di cui il mondo è solitamente costituito.

72. Il concetto di non-evidenza che s’esprime nella condizione in-assenza non è l’equivalente della non-apparenza (delle cose) che ha pervaso tutta la cultura dell’Occidente.
Il concetto esprime l’equivalenza dell’esistenza d’uno stato fenomenico solitamente mancante (all’organizzazione Homo s.) a causa d’una mancanza di accoppiamento idoneo con un sistema specifico ultra sensoriale (diverso dall’organismo sensoriale, percettivo finora espresso dal sistema soma-mente umano).

73. Il passaggio dall’animale all’ominide ha lasciato tracce profonde di un alcunché di distruttivo che ha veicolato uno stato di morte che codesta specie si porta impresso costituzionalmente.
La specie Homo sapiens ha costruito un equilibrio relativo alle sue attività superiori opponendosi allo stato (imprinting) di morte che nel passaggio è emerso a causa della non congruità tra ciò che lo sviluppo della neocorteccia e dei suoi linguaggi è apportatore rispetto a una condizione precedente di vita incapace di relazioni astratte (e affettive).

74. La non evidenza della condizione in-assenza è ente fenomenico, è realtà astratta, si mostra dato il diverso accoppiamento che s’attua in tale condizione tra soggetto pensante e oggetto pensato. La sottrazione del soggetto consueto con la contemporanea sottrazione della realtà di quanto fatto esistere induce, con l’assenza della realtà consueta, l’esistenza d’un campo ultrasensoriale, ultrapercettivo detto in-assenza, privo d’evidenza concreta.

75. La non evidenza della condizione in-assenza è ente fenomenico, è realtà astratta, si mostra dato il diverso accoppiamento che s’attua in tale condizione tra soggetto pensante e oggetto pensato. La sottrazione del soggetto consueto con la contemporanea sottrazione della realtà di quanto fatto esistere induce, con l’assenza della realtà consueta, l’esistenza d’un campo ultrasensoriale, ultrapercettivo detto in-assenza, privo d’evidenza concreta.

a. Oltre la sensorialità nota s’estende un campo ultrasensoriale in-assenza che s’esprime con il sottrarsi dell’oggetto realtà, risultato dell’ordine sensoriale noto: il nuovo campo ha la caratteristica di mostrarsi libero dagli stati sensoriali, percettivi e intellettuali cui si è avvezzi a causa d’un eccesso di materialità (nucleo di distruttività) non estinto nel passaggio da animale a Homo.

76. La realtà che solitamente è posta in essere dalla mente-cervello consueta non ha esistenza effettiva: è il risultato d’uno stato-nucleo non astrattosi (non fattosi vuoto) nel passaggio da animale a Homo.

a. In realtà l’oggetto mondo non ha esistenza concreta: esso è proiezione d’un cervello-mente incapace di trasformarsi interamente in un organo privo di funzioni proiettive: il mondo (esterno ed interno) è dunque proiezione di sentimento d’un organo che non è stato capace d’estinguere interamente le tracce d’una memoria filogenetica. Secondo quest’ultimo è probabile la proiezione d’un mondo esterno dalla realtà mossa da una condizione sensoriale-istintuale d’un sistema nervoso ai suoi albori.

77. E’ assolutamente normale avvertire l’assenza di mondo!

a. La realtà è vuota, la vita è vuota così come è la morte che ne consegue.

78. Il nucleo non trasformato nel cervello-mente di Homo fa parte d’un sistema-morte: è abitudine della natura produrre equilibri secondo l’asse vita-morte onde conseguire normali ricambi degli individui e della specie.
Una differenza di tale equilibrio nel senso d’un decremento dell’eccesso di bisogno di vita allontanerebbe anche l’eccesso di bisogno (naturale) di morte, dando così via libera a condizioni psicosomatiche e mentali differenti, meno condizionate dal mantenimento di tali equilibri in punti lontani dalla capacità di cessazione (della vita e della morte).

a. Lo spostamento dell’equilibrio vita-morte nella direzione d’un suo abbassamento nel luogo dove la vita accetta la morte, ovvero lì dove il morire non è così distinto dall’essere in vita, sarebbe in grado di esprimere un’organizzazione del pensiero e del sistema Homo ben diverso dall’attuale, equivalente a uno stato di molto più aperta libertà di relazione (in-assenza di vita e di morte).

79. Con la sconfitta della morte (del nucleo di auto ed eterodistruzione) che sta entro le maglie della vita (e che cresce con essa) si otterrebbe un campo di vita molto più ampio ed aperto e vuoto, libero dall’eccessiva concretezza che la morte (il nucleo di morte suddetto) le conferisce.

a. Il tempo della vita risulterebbe essere tempo non concreto, ovvero tempo che non ha necessità di trascorrere.

b. La vita non avrebbe necessità di passare (stretta) da un punto all’altro, bensì di aprirsi come una rete all’infinito (temporalità a rete non finita).

80. Con la morte biologica (con il terminare della fase biologica) si possono conseguire due scenari, o la morte che aveva trovato un giusto contraltare in vita torna a prendersi (a saturare) l’intero campo, impedendo la necessaria cessazione (di vita e di morte), oppure essa stessa morte apprende a cessare insieme con la vita – così da disporre l’(a-)sistema che ne consegue alla diversa condizione: succede che il campo si faccia vuoto così che un a-sistema – un’organizzazione vuota di vita e di morte – emerga (come dal nulla), concependosi in-assenza, libero perciò dalla necessità di manifestarsi (in vita e in morte).

81. La vera creatività – quella del genio in-assenza – è quella che apporta ricchezza d’universo capace di nulla, ovvero d’un universo di nulla in-assenza atto a sostituire la cosa in eccedenza dell’universo in atto.

82. Tutti gli uomini, ad ogni longitudine e latitudine, hanno un’attività pensante dello stesso genere. L’attività del sistema nervoso centrale è della stessa specie: non c’è differenza sostanziale tra un soggetto che pensa nel modo delle categorie occidentali e che pensa secondo le modalità della cultura e della storia orientali. Entrambi mostrano un’attività nervosa complessa che li fa partecipi d’una realtà non sufficientemente oggettiva e non sufficientemente capace d’assenza, ossia diversa dalla materialità e dalla forma di cosa che la struttura biologica del loro sistema proietta come luogo delle loro azioni e delle loro riflessioni. Le differenze di cultura e di storia che s’individuano si pongono secondo uno schema d’equilibrio sistemico dello stesso genere, dato il quale la vita e la morte sono compensate, ossia la vita —> (la moltiplicazione e conservazione della cosa —> realtà in-evidenza), non tali da superare la tendenza alla morte del sistema.

a. L’emergenza del livello pensante nella materia biologica ha indotto un cambiamento sistemico di questa nella direzione di perdita della sua consistenza concreta, modificando la soglia all’estinzione, con un abbassamento della soglia di scambio: molte più informazioni sono assunte, trattenute ed eventualmente elaborate da un sistema che s’è fatto pensante rispetto a un semplice sistema vivente, anche complesso come può essere quello dell’animale, particolarmente quello dello scimpanzé, stadio che precede l’ominazione.

L’attività pensante è perciò causa d’un abbassamento della soglia agli stimoli, in particolare a quelli complessi: l’organismo animale è abituato a rispondere ad eventi prefissati secondo cicli ripetitivi; Homo impara ad essere interattivo – ad accoppiarsi con una realtà che esso stesso mette in atto, con il contributo d’un livello di soglia che s’abbassa e dato il quale la realtà si costruisce rompendo la fissità naturale (biologica). Si forma una specie di mescolanza tra un sistema che pensa e un sistema che si realizza come ente interno-esterno al pensare.

b. L’abbassamento della soglia del sistema in toto produce tuttavia una condizione favorevole a risposte di difesa da parte d’un organismo che fino ad allora è stato idoneo soltanto a risposte fisse a variabili prefissate. L’organismo si scinde allora in due, da un lato continua la sua tendenza alla fissità della risposta, senza produrre nuovi accoppiamenti e perciò senza generare una realtà adeguata al nuovo statuto di sistema capace d’attività superiori (di pensiero astratto di linguaggio simbolico), dall’altra tentando di dare ugualmente espressione a una condizione che esso senta nuova e molto meno vincolata di quella precedente. Da un lato si genera un cervello-mente capace di apprendimento e di cultura, dall’altro il sistema vivente si organizza in modo da fare a meno della nuova entità relazionale di cui non conosce confini e della quale teme il decremento delle barriere erette per milioni di anni di fronte al pericolo d’estinzione.

S’ingenera pertanto un organo per metà strutturato sulla base delle leggi che hanno regolato schemi viventi fino all’emergenza della neo-corteccia e delle sua attività più complesse. Si tratta d’un organismo ancora meno duttile dei precedenti anche a causa dei timori insorti di fronte al nuovo arrivato, e cioè alle attività meno concrete del linguaggio e della coscienza. Dall’altra l’organismo è pronto a far esistere una realtà con la quale accoppiarsi in una stretta interazione: si tratta d’un organismo assai più vuoto del precedente, pronto a coesistere con un mondo da esso stesso generato secondo leggi di nuova specie, non vincolate obbligatoriamente alle esigenze del tempo di vita e di morte.

D’una siffatta scissione è costituito tutt’ora l’uomo moderno, Homo sapiens s. Tra le sue pieghe profonde porta la traccia della dicotomia che produce in esso una grande ambivalenza, della quale è prigioniero senza saper essere diverso dalla tendenza alla difesa – al sistema chiuso – dell’originario organismo che da un lato s’oppone, in modo coattivo all’abbassamento della soglia prodotto dell’avvento dell’attività pensante e affettiva, dall’altro è spinto da questa a liberarsi dai vincoli della fissità, e cioè dal trasformare in altro – nel diverso dall’oggetto cosa – il mondo, anch’esso frutto della dicotomia suddetta.

AFORISMI IN-ASSENZAultima modifica: 2013-12-19T17:16:07+01:00da mikeplato
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