IL MOTIVO DEL MARKAB (MERKAVA) NEL SUFISMO

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di Pablo Beneito

INTRODUZIONE

La mistica della merkava ed il markab coranico
Come segnala Henry Corbin, il motivo del Trono1 “è l’equivalente, nellamistica islamica, della merkava nella mistica ebraica”2. Registrando questa suggestiva e riuscita corrispondenza tra il motivo coranico del Trono (carsh) e  quello della merkava, di fatto, Corbin ha inaugurato un [vasto dominio forgiatore] di relazioni simboliche. Riferendosi al Trono in altri passaggi, l’autore introduce il tema del quaternario angelico, “uno dei segreti della mistica ebraica della merkava, il ‘Carro divino’ o ‘Trono divino’, la cui immagine è fissata nella visione di Ezechiele”3. La mistica ebraica della merkava – la cui disciplina è proclamata in  primis dal Talmud – nasce, in effetti, dalla meditazione del primo capitolo del libro di Ezechiele, che descrive la visione del Carro divino – e, sopra di lui, il Trono-, avuta dallo stesso profeta. Con una rigorosa preparazione, l’iniziato alla scienza esoterica – riservata ad un’élite spirituale – cerca di rinnovare l’esperienza dell’ascensione dell’anima fino al mondo della divinità. Dopo aver attraversato i sette cieli ed i sette palazzi, l’iniziato qualificato giunge davanti alla merkava e al Trono divino. La realtà divina non si percepisce direttamente, se non attraverso questa contemplazione della merkava4. Ma qui non si tratterà propriamente né di angelologia, né della mistica ebraica della merkava. Queste pagine sono consacrate allo studio del motivo del markab nella mistica islamica e, in particolare, nell’opera di Ibn cArabî. Dopo le quattro sezioni dell’introduzione, nella seconda parte di questo studio si presenteranno due testi tratti dai suoi libri Kitâb al-Isrâ’ e Ayyâm alsha’n che finora non stati ancora tradotti. La loro traduzione integrale annotata costituisce la terza parte dello studio. Iniziando da questi testi e dallo studio dei riferimenti scritturali dell’Arca nel Corano e nella Sunna o Tradizione – raccolta delle compilazioni degli ahâdîth -, proveremo che alla merkava, in quanto veicolo spirituale, corrisponde direttamente nell’Islam il simbolo del markab, particolarmente legato all’Arca di Noé. Denominazioni dell’Arca di Noé nel Corano Il Corano impiega due termini differenti per designare l’Arca di Noé: fulk e safîna. Ambedue si utilizzano anche in altri contesti. Qui ci concentreremo, soprattutto, sulla relazione con l’Arca di Noé, che è quella che funge da riferimento fondamentale ai testi di Ibn Arabî, che si commentano in questo studio. D’altra parte, il termine markab non viene menzionato esplicitamente nel Corano, invece si presenta in diversi ahâdîth ed in quindici versetti differenti si usano vocaboli della stessa radice lessicale (R-K-B). In diversi passi coranici, come vedremo, questi si possono considerare una denominazione
implicita dell’Arca. Vediamo prima i riferimenti di questo vocabolo.

Markab
Il vocabolo arabo markab – lo stesso di merkava in ebraico – è, grammaticalmente, un nome di “luogo temporale” e, perciò, designa il luogo e/o il tempo in cui si rende effettivo il significato principale della radice tri-letterale  R-K-B, ‘salire su un veicolo’. Da qui sarebbe passato a designare il veicolo in sé, che può essere alla volta una cavalcatura – cavallo, cammello etc. -, un carro, una barca o anche, ai nostri giorni, un aereo. In più di cinque ahâdîth si fa menzione del termine markab con aggettivi distinti ed almeno in sei occasioni esso è implicito nell’uso coranico della prima forma verbale della radice R-K-B, impiegata in combinazione con safîna o fulk per significare ‘imbarcarsi, avventurarsi’5.Con riferimento al simbolo di cui ci occupiamo, particolarmente interessante, dato che sembra rinviare a successivi stadi del viaggio ascensionale, è il versetto che riporta: “ invero passerete attraverso fasi successive (la-tarkabunna tabaqan can tabaq)”6, che alcuni esegeti mettono in relazione con l’ascensione (micrâj) del Profeta7. Il passo non specifica che tipo di veicolo si usi – potrebbe essere, pertanto, una cavalcatura, come il Burâq dell’ascensione profetica, o una barca, come l’Arca -8, e neppure quali “piani” o “stati” siano quelli, attraverso i quali si debba ascendere. Con riferimento ai testi che qui si traducono potranno essere, dunque, cieli o dimore spirituali. Si noti anche l’uso della radice R-K-B in forma seconda in questo versetto: “ [Il tuo Signore] ti ha plasmato (rakkaba-ka) nella forma (sûra) che ha voluto” (C. 82:8). La forma verbale rakkaba, qui nell’accezione di ‘costruire’ o ‘comporre’, significa anche, a causa del suo carattere “causativo”, ‘far salire’, ‘installare’. Questa immagine rimanda così all’idea che la forma umana primordiale (sûra) sia anche la forma dell’Arca9, come suggerisce il verso in cui Ibn Arabî sostiene che l’uomo “nella sua propria anima (nafs) contempla l’Arca e vede nella sua formazione l’Opera di Dio”10. Dalla prospettiva microcosmica, Dio ha imbarcato l’uomo nell’Arca della sua propria anima (nafs). Con questa Arca dell’Anima, che corrisponde alla forma che le ha dato il suo Signore, l’uomo deve elevarsi, passando “di piano in piano”, “di stato in stato”, risalendo i gradini di una duplice scala interiore. Il fatto che, nei due poemi tradotti appresso, Ibn Arabî impieghi il termine markab unitamente ai due termini che nel Corano designano esplicitamente l’Arca (fulk e safîna), senza ricorrere ad altri possibili termini extracoranici – ad esempio come il frequente vocabolo qârib (dalla radice di qurba, “prossimità”) -, riflette a mio parere da parte dell’autore, una chiara  coscienza dei riferimenti coranici menzionati ed una ferma volontà di mantenersi sempre nell’orizzonte ermeneutico del Libro. Fulk. D’altra parte, il vocabolo fulk – che significa “nave”, “arca” o “barca”- è menzionato nel Corano ventitré volte ed è intimamente connesso, per interreferenza lessicale, con la parola falak, “sfera”, di pari radice lessicale, la cui scrittura consonantica è identica. Questo termine si usa solo due volte nel Corano. Uno dei due versetti in cui lo si menziona, riporta:  “Egli è chi ha creato la notte e il giorno, il sole e la luna: ciascuno naviga nella sua orbita (falak) rispettiva”11. La seconda citazione, che dopo si riporterà, ci interessa molto da vicino perché pone in relazione questi due termini, fulk e falak, che di fatto appaiono legati frequentemente nella letteratura a causa della loro suggestiva interreferenza12. In arabo, il termine falak significa “corpo sferico”, “corpo celeste” e “sfera celeste”. Esso designa quindi nella cosmologia tradizionale tanto i sette pianeti come le sfere che corrispondono alle loro orbite. La radice F-L-K denota rotondità – che è il suo significato basilare -, di modo che questa denominazione dell’Arca allude alla sua forma rotonda e, simbolicamente, alla sua circolarità o sfericità. Esiste un’unica citazione del termine negli indici di concordanza di Wensinck. Si tratta di un hadîth raccolto da Bukhârî (Buyâ c, 10) che fa riferimento a delle grandi navi (al-fulk al-cizâm) facendo notare che fulk – sinonimo di safîna – può essere tanto singolare che plurale. La relazione tra l’Arca e la cosmologia13 emerge specialmente in un passo della sura Yâ’-Sîn, dove si evocano o descrivono diversi segni divini di carattere cosmico – la notte, il sole, le fasi lunari – insieme con il segno portentoso della nave che preserva i discendenti di Noé. Il viaggio dell’Arca è, simultaneamente, macrocosmico, – interiore – o microcosmico –escatologico. Si presenta come accadimento storico del tempo cronologico e come evento intimo dell’anima nel tempo qualitativo. Confluendo nel simbolo dell’Arca, queste dimensioni costituiscono di fatto, in ultima istanza, una sola e medesima realtà.  Questo passo coranico rivelatorio dice così: “Sia esaltato Colui che ha creato le specie (azwâj)14 di tutto ciò che produce la terra, di loro stessi15 e di quanto neppure conoscono! La notte è un segno (âya) per loro: dalla quale separiamo il giorno16 e allora si trovano nelle tenebre. Il sole corre verso la sua dimora (mustaqarr) che gli appartiene. Questo è quanto ha stabilito il Poderoso, l’Onnisciente. / E alla luna abbiamo assegnato delle magioni (manâzil) fino a che non comincia [ad essere fina e curva] come la palma invecchiata. / Non spetta al sole di raggiungere la luna, e neppure della notte di sopravanzare il giorno. Ognuno si muove nella sua sfera (falak). / È un segno per loro il fatto che portammo la loro progenie17 nell’Arca sovraccarica (al-fulk al-mashhûn)18 / E per loro creammo altri [bastimenti], simili ad essa (min mithli-hi), sui quali s’imbarcarono (yarkabûn)”19. È particolarmente degno di nota, con riferimento ai testi di Ibn cArabî, che ora ci interessano, il passo dove si narra come Dio ispirò a Noé (ûhiya ilà Nûh …) la costruzione dell’Arca (C. 11:34-48), il quale include due citazioni del termine fulk (11:37 e 38). Nelle note alle traduzioni si incontreranno diversi riferimenti a questo passo sull’Arca ispirata.
Safîna
Il nome safîna ha nelle fonti sulla navigazione lo stesso senso generico di markab ed è, pertanto, tanto impreciso quanto quest’ultimo. Unicamente l’uso dei qualificativi o del caso nominale preciseranno se si tratta di una nave mercantile (markab al-tujjâr), da guerra (safîna harbiyya) o di altro tipo20.Durante tutto il Medioevo, gli autori arabi, letterati o giuristi, usano indistintamente markab e safîna – e anche il termine qârib, dalla radice lessicale di qurb, “prossimità”, riferito generalmente ad un’imbarcazione più piccola –. Picard segnala che “nei trattati giuridici e notarili questi tre vocaboli si utilizzano quasi sistematicamente insieme al termine lawh“21. Per quanto concerne il pensiero di Ibn cArabî, questa denominazione – alla quale l’autore non ricorre nei testi che qui si analizzano – stabilisce un’immediata relazione simbolica tra l’Arca e la Tavola Preservata (al-lawh al mahfûz) sulla quale scrive il Calamo Supremo o Intelletto Primo. Quantunque compaia in più di quaranta ahâdîth, la parola safîna si usa solamente quattro volte nel Corano. In tre occasioni si riferisce alla barcamenzionata in un episodio [dell’incontro] tra Mosé e al-Khidr, suo compagno  nel racconto, il quale l’affonda – come poi si rivela- per proteggerla22. Con riferimento ai testi che qui si traducono, risulta però più importante il versetto C. 29:15, il cui testo dice: “ Lo salvammo [Noé], così come i passeggeri dell’Arca (ashâb al-safîna)23, e facemmo di questa un segno per i mondi (âya lil- âlamîn)”. Il diagramma circolare che propongo come riferentesi ai poemi di Ibn Arabî24 che appresso si traducono, corrisponde simbolicamente a questa Arca in quanto “segno per i mondi”. Questa denominazione figura anche in un suggestivo hadîth, raccolto da Ibn Hanbal (5:220), in cui, comparando l’uomo con una nave, si utilizza questa espressione: “Tu sei un’arca (anta safîna)”.

I diagrammi nell’opera di Ibn Arabî
L’opera di Ibn cArabî che più esplicitamente e sistematicamente si avvale dell’uso dei cerchi, di tavole e di diagrammi, come indica proprio il suo titolo, è La produzione dei cerchi (Inshâ‘ al-dawâ’ir)25, dove sono rappresentati, tra gli altri, il diagramma circolare della trascendenza e dell’immanenza26 ed il diagramma della Sostanza Primordiale o Materia Prima27. In quest’ultimo, il cerchio interiore simboleggia la sostanza (jawhar), in altre parole “tutta l’essenza (dhât) che si mantiene per se stessa, sia che sia eterna quanto contingente”. Attorno a questo cerchio si dispongono, in nove sezioni, le altre nove categorie che (con l’eccezione dell’‘accidente’ al posto della ‘qualità’) corrispondono alle categorie aristoteliche. Anche nelle Illuminazioni meccane (o Conquiste meccane, [ndt]) incontriamo esplicitamente numerose rappresentazioni circolari28. L’autore in questa opera afferma, benché facendo riferimento al Inshâ‘ al-dawâ‘ir, che ricorre all’uso dei diagrammi (ashkâl) “per avvicinare la conoscenza di chi è dotato di immaginazione (khayâl), dato che l’uomo, [anche se condizionato] dalla sua facoltà razionale, mai abbandona l’uso della facoltà immaginativa (hukm al-wahm), tramite la quale egli si rappresenta anche quello che, come si sa, è impossibile [o che non si può rappresentare]”29. Nel libro I sette giorni del Cuore si possono osservare i cerchi che rappresentano le distinte modalità di tempo qualitativo nell’opera Ayyâm alsha’n di Ibn cArabî30, così come un diagramma collegato ad una descrizione cosmologica della sua amata Nizâm, il cui nome significa “Armonia”31. In questo, come in altri casi, i diagrammi sono impliciti, rimangono privi di spiegazione. Ibn cArabî non li descrive, nè si riferisce esplicitamente alla loro esistenza e, ciononostante, risultano fondamentali per l’interpretazione del testo. Essi costituiscono un prova evidente del fatto che molti testi dell’autore rimandano a rappresentazioni o diagrammi simbolici, propri della cosmologia tradizionale, dell’aritmosofia e della geometria spirituale. Questi diagrammi, sia che siano espliciti oppure impliciti, sono quindi una chiave ermeneutica essenziale per comprendere l’apparato simbolico dell’opera di Ibn Arabî. Come si vedrà, i testi che qui traduciamo rimandano anche a diversi diagrammi circolari, concepiti, alla fine, come visioni diverse di uno stesso cerchio che integra ed unifica tutte le rappresentazioni o prospettive complementari. Questa rappresentazione circolare non è, ovviamente, una semplice spiegazione descrittiva: è, prima di tutto, un motivo simbolico concepito per la contemplazione [catartica]32. Si tratta di un simbolo particolarmente polivalente perché il cerchio può contenere le forme geometriche inscrivibili (triangolo, eptagono, stella a quattordici punte, etc.) e cerchi concentrici con diverse divisioni (ventiquattro sezioni, ventotto, dodici, etc.) che corrispondono ai successivi gradi ed ordini dell’esistenza. Risulta quindi fondamentale, per comprendere l’importanza ed il significato dell’arte del diagramma relativamente alla metafisica dell’immaginazione, il libro di Henry Corbin intitolato “I diagrammi dell’Uno unificato e le teofanie molteplici”33, in cui l’autore analizza le “immagini  intellettive “ di Haydar Amolî34. In questo modo Corbin spiega la funzione di questi diagrammi nell’opera di Amolî (s. XIV): “Si tratta, in poche parole, di far apparire al livello dell’immaginazione una struttura che corrisponda ad uno schema intellettivo puro”35. La costruzione di queste “immagini intellettive proiettate nel puro spazio imaginale” sarà “indispensabile dal momento in cui si vuole far comprendere il tawhîd unitivo rispetto alle molteplici teofanie”36. Poi aggiunge: “Spetta allo gnostico integrare e differenziare”37. Se [lo gnostico] è capace di conciliare ambedue le operazioni potrà arrivare ad “avere simultaneamente la visione del Sé divino con la visione delle creature”38. Commentando il simbolismo dell’Arca di Noé, quale centro salvifico del cerchio in un diagramma di Amolî – si tratta di un diagramma di settantadue caselle o sezioni che corrispondono a settantadue delle settantatre ramificazioni o [divisioni] in cui, secondo il celebre hadîth, si dividerà la comunità islamica39- , Corbin osserva che “l’Arca di Noé non è semplicemente un’arca che occupa il posto settantatreesimo nell’ordine aritmetico. È il centro [unico ed unificante]. Le settantadue caselle cessano di essere velate quando, partendo da qualunque di esse, si guadagna il centro. La questione non è passare oppure “convertirsi” da una casella all’altra, bensì raggiungere il centro, poiché solo il centro fornisce la verità all’insieme e ad ognuna delle settantadue caselle. Essere nella verità è aver guadagnato il centro […]. Questo è occupare un posto nell’Arca di Noé”40.

L’Arca universale ed il Cerchio dell’esistenza
A partire dagli scritti di Ibn Arabî, si capisce che il simbolo polivalente dell’Arca, Arca divina in tanto che Trono di Dio, è l’Arca dell’Universo o Arca della Creazione in quanto prototipo di tutta la manifestazione, è l’Arca di Noé – come immagine coranica della costituzione umana primordiale -, ossia, l’Arca dell’Uomo e, da qui, l’Arca del Cuore che riunisce tutti gli arcani dell’essere e nella cui unità essenziale si conciliano tutti i contrari. Il cerchio che rappresenta l’Arca è simbolo, per eccellenza, dell’Unità. La circonferenza indivisa – rappresentazione piana della sfera -, simboleggia l’Unicità dell’Essere: è l’unico cerchio, l’unica perfezione che comprende tutto, trascendente ed incommensurabile. Un secondo cerchio interiore e concentrico – o meglio il cerchio diviso in due sezioni – rappresenta il Piedistallo o lo Sgabello divino, dominio in cui si origina la dualità. Il cerchio divisibile in sezioni – o meglio la sequenza dei cerchi concentrici, generalmente nove -, secondo varie tipologie simboliche in ultima istanza coincidenti, è il Cerchio dell’esistenza che rappresenta i gradi della manifestazione cosmica nella molteplicità. Questo è il cerchio i cui contorni – che stabiliscono relazioni e proporzioni – rappresentano, come nell’orologio, il tempo relativo (zamân). D’altra parte, il cerchio indiviso rappresenta l’indifferenziato, l’incondizionato, il Tempo Assoluto (Dahr) che, ciononostante, secondo Ibn cArabî, “è questo stesso tempo relativo”41. Il cerchio è, quindi, l’Arca del Tempo. Il medesimo cerchio rappresenta anche il cuore dell’Uomo di Fede42 ed è l’immagine del teomorfismo adamico originale che il cuore umano anela a restaurare 43. È allora l’Arca della conoscenza che contiene i nomi di tutti gli esseri, l’Arca della Parola. Diciamo che l’Arca circolare è dunque simbolo dell’integrità di ogni  essere in tanto che espressione unificante dell’Unico, che è Uno con ognuno degli esseri in virtù della Sua co-presenza. Ogni essere, ogni particella, come ogni punto del cerchio, è un’Arca in potenza che contiene quindi, in modo latente, le possibilità dei prototipi celesti contenuti nell’Arca Primordiale. Ciononostante, solo l’uomo, tra gli esseri creati, si è fatto carico del deposito divino (amâna),44 affidato quindi alla stiva dell’Arca umana. L’Arca simboleggia anche, in questo senso, l’Uomo Perfetto, depositario, portatore dell’amâna: è lui che tiene la rotta, come khalîfa di Dio, come asse (qutb), timone o centro della sfera, l’Arca dell’Universo. Come simbolo integratore che unifica tutti gli ordini dell’essere e tutti i piani dei sensi, l’Arca è alla volta il navigante che tiene la rotta, il passeggero, il viaggio, l’Altomare, gli orizzonti, i porti, la nave ed il suo destino.I principi-prototipo contenuti nella nave, rappresentati nel diagramma del  cerchio a ventotto sezioni o con qualsiasi altra divisione45 propria della geometria spirituale (tetreadi, epteadi, enneadi, etc.), si manifestano in tutti i gradi e domini dell’essere. Quando Corbin sottolinea che “il motivo della Merkava ha un suo equivalente nella teosofia islamica nel motivo del Trono”46, sdoppiato nei due aspetti del Trono (carsh) e del Piedistallo (kursî)47, aggiunge anche che “questo motivo del Trono appare a tutti i livelli o maqâmât del macrocosmo e del microcosmo. Al livello della teofania primordiale, il Trono è la manifestazione divina del Logos profetico, della Realtà muhammadiana eternamente creata”48. Ad ogni dominio corrisponde così la propria attualizzazione dell’Arca, sebbene solo gli ispirati, coloro che sono realizzati spiritualmente, possono contemplare l’Arca in tutti i domini come manifestazione unica dell’Essere, dato che questa è “l’Arca degli gnostici”, i quali navigano nell’oceano della sua contemplazione. Ibn cArabî ci dà ad intendere che, chi arriva a vederla senza esserne preparato per comprenderne la funzione nell’Opera divina, la disprezzerà e la deriderà, proprio come i coevi di Noé disprezzarono un’arca costruita in terra, lontano dal mare. Trattando del movimento circolare delle sfere nell’astronomia spirituale, Corbin si riferisce ad un’analoga derisione: “È successo che alcuni storici ridicolizzassero questo universo gerarchizzato in sfere concentriche, non percependo l’Imago mundi trascendente la cui proiezione è questo sistema del mondo49 […]. L’essenziale non sono le sfere immaginate nei cieli astronomici
per spiegare i loro movimenti, bensì il movimento interno del pensiero, anteriore alla genesi dei mondi”, come a dire, “il movimento dei cieli invisibili, conosciuti tramite un’astronomia spirituale che può sopravvivere alle vicissitudini dell’astronomia fisica nella quale si sia espressa”50. Per comprendere il mondo delle corrispondenze è necessario considerare il suo tessuto simbolico unitario ed unitivo e la sua intenzione contemplativa nel contesto di una dinamica spirituale. Vediamo quindi i testi che descrivono questa nave circolare, quest’Arca salvifica di Noé che è anche l’Arca del Tempo ciclico ricorrente, l’Arca quindi della celebrazione, della rammemorazione e della liturgia, l’Arca dell’istante e della sincronicità, l’Arca della Vita, della Conoscenza e della Grazia che tutto comprendono, l’Arca delle Luci, immersa nell’oceano dell’orazione teofanica.

PRESENTAZIONE DEI TESTI
-Il viaggio notturno e l’Arca dell’ascensione
Nel Libro del Viaggio notturno (Kitâb al-Isrâ’), Ibn Arabî dedica un capitolo intitolato “L’anima serena e l’altamarea”, alla dettagliata descrizione dell’Arca (safîna) del Mondo. Questa opera di precoce maturità51 è la prima che l’autore compose sulla propria esperienza ascensionale, ispirata al viaggio notturno e all’ascensione celeste del Profeta.52 Il viaggiatore (sâlik) racconta il suo viaggio da Al-Andalus – la sua terra natale nell’Estremo Occidente dell’Islam – fino alla Casa della Sublime purezza (Bayt al-Qudus), Gerusalemme, la città santa che ospita la Cupola della Roccia, luogo dal quale, secondo l’interpretazione tradizionale predominante – che la identifica con la Moschea più Elevata (al-Masjid al-Aqsâ) menzionata nella sura del Viaggio Notturno (C. 17:1) -, sarebbe iniziata l’ascensione di Muhammad attraverso i cieli. Nel capitolo “Il viaggio del cuore (safar al-qalb)” dice Ibn Arabî, qui impersonato nella figura del pellegrino: “uscii dalla regione di Al-Andalus dirigendomi verso la Stazione della Santità”53. Il viaggio non culmina, tuttavia, nella Gerusalemme dell’Oriente geografico, bensì continua – emulando
l’ascensione profetica – attraverso i sette cieli della cosmologia islamica54 e prosegue ancora più in là del Loto del Limite, lo Sgabello ed i Dintorni Sublimi (al-Rafârif al-culà)55 fino a dove “cessano il quanto ed il dove”56. Il capitolo che ora ci interessa “L’anima serena e l’altamarea” è l’ultimo dei sei57 che costituiscono la prima parte dell’opera. Questa parte corrisponde, di fatto, a ciò che la tradizione denomina correntemente isrâ’, il Viaggio notturno del Profeta attraverso la geografía terrestre “dalla Moschea del Recinto Preservato (Masjid al-Harâm) fino alla Moschea più Elevata” (C. 17:1). In generale, quantunque ambedue possano essere quasi sinonimi (ndt), il termine isrâ’ – viaggio notturno – tende a distinguersi dal termine micrâj – ascensione -, che designa propriamente la seconda parte del viaggio, l’ascensione attraverso le sfere celesti fino al Trono divino. Appena prima, nel capitolo cinque, il pellegrino ci dice: “Essendo io addormentato, mentre pregando, vegliavo (mutahajjid)58 il segreto del mio essere59, venne a me l’Inviato dell’Accordo (Rasûl al-tawfîq) per guidarmi attraverso il retto cammino, portando con lui il Burâq della sincerità (Burâq alikhlâs) 60”. Già si annuncia quindi il momento dell’ascensione che avverrà, attraverso la visione dell’Arca, al termine del capitolo sei, quando il pellegrino dice: “dopo mi fece ascendere, quando mi separò dall’acqua, fino al primo cielo”. Questo viaggio ha luogo quindi sopra l’acqua, giacché corrisponde al viaggio di Noé durante il diluvio, viaggio anche “notturno”. Ma questa navigazione nell’orizzonte marittimo della creazione, ha anche una dimensione verticale e celeste nella “navigazione” spirituale delle sfere61. La nave di questo viaggio è, per definizione, veicolo delle acque dell’oceano incommensurabile, il mare primordiale sempre rinnovato; ma èanche, come il Burâq, veicolo dell’ascensione: “Questa è la nave degli gnostici; a bordo della quale ha luogo l’ascensione (micrâj) degli eredi [della conoscenza dei Profeti]”. La nave è quindi, di fatto, tanto il veicolo che l’ascensione in sé. Il titolo di questo capitolo, L’anima assoggettata e l’altamarea, include due espressioni coraniche. La prima s’incontra in questo passo: “Oh, anima assoggettata (nafs mutma’inna)! Ritorna al tuo Signore soddisfatta e accettata” (C. 89: 27-28). Il titolo annuncia così un viaggio di ritorno, il viaggio dell’anima riconciliata, sicura, riposata, tranquilla, serena – tutte queste sono accezioni dell’aggettivo mutma’inna -, al suo Signore. L’espressione al-Bahr al-masjûr, letteralmente, ‘il mare traboccante’, s’incontra in C. 52:6, insieme ad altri termini cosmologici o escatologici62, dopo la menzione – in questo ordine – della “ Casa frequentata” (Caaba celeste) e della “volta elevata”. Questo mare traboccante – Alta marea che, implicitamente, evoca la presenza della luna piena e rimanda così, tacitamente, alle ventotto magioni che la luna percorre fino al plenilunio -, equivalente alla pienezza o perfezione della sfera63, è il dominio dal quale si ascende alla volta celeste e alla Casa frequentata, che s’incontra nel settimo cielo, la sfera di Abramo64. Si noti il marcato contrasto che il titolo pone in essere tra l’anima serena, come il mare calmo con la marea bassa (‘bassa’ è anche un’accezione del termine mutma’inna), e la pienezza del mare che copre tutto salvo l’imbarcazione (markab). Questa tensione espressiva rimane riflessa nel primo verso del poema Altamarea che appresso si traduce. Questo poema che appare nel capitolo dell’anima serena è anche il primo poema del Dîwân al-macârif65 di Ibn Arabî, dove figura con questa intestazione: “Ha detto [il poeta] con riferimento all’Altamarea”66. Forse è significativo il fatto che il poema inauguri il Dîwân quindi come inaugura l’ascensione celeste nel K. al-Isrâ’. Talvolta il Dîwân si presenta, in questo modo, come un’Arca che, contenendo tutta la poesia dello Shaykh67, può servire da veicolo per il viaggiatore spirituale. Dei venti poemi del Dîwân che procedono dal Kitâb al-Isrâ’, spiega G. Elmore, undici inaugurano l’edizione conosciuta e nove appartengono alla parte inedita descritta da C. Addas (concretamente, all’inizio e alla fine della seconda parte), confermando che la divisione dei versi tra le due parti non è una semplice coincidenza68.

-II Il viaggio cosmico nell’Arca del tempo
Il poema della seconda sezione, che qui ho tradotto, appare con alcune varianti, tra le opere di Ibn Arabî. In due di esse – Mawâqic al-nujûm69 e Ayyâm al-sha’n 70- compare senza titolo, inserito in contesti differenti e preceduto in ambedue i casi da una prosa facente parte di un testo più ampio. Lo stesso poema compare inoltre tra i poemi del Mawâqic contenuti nel Dîwân71. Il Dîwân riproduce quindi il testo del Mawâqic – che deve considerarsi il testo originale del poema data la precoce redazione di quest’opera -, con tre versi in più rispetto al testo riprodotto in Ayyâm, e aggiunge una significativa intestazione, che rivela il legame tra l’Arca ed il tempo ciclico: “Ha detto il poeta sulla successione e sul ciclo (min bâb al-kawr wa-l-dawr)”. Qui includerò solamente, insieme alla traduzione integrale del poema – aggiungendo i versi finali dellaversione del Mawâqi c72-, la traduzione del testo in prosa che precede e segue il poema nel K. Ayyâm al-sha’n o Libro dei giorni della creazione, dentro ad una sezione intitolata Haqîqa, “Verità essenziale”. Come in Altamarea, il poeta utilizza anche in questo poema, che ha chiamato L’Arca della creazione, l’immaginazione propria della navigazione. Il poema, come annuncia la prosa, descrive l’Arca del tempo ciclico, che naviga (incessantemente per una rotta sferica). L’autore impiega alla volta la metafora di una barca che circumnaviga le  acque del Trono divino (simboleggiato dal cerchio che comprende altri cerchi e legato al cuore umano in tanto che Trono), il simbolo del cerchio diviso in  sezioni che rappresentano le ventotto lettere – ed i loro corrispondenti profeti o Nomi divini – ed il simbolo dell’Arca di Noé che, come il cuore dell’uomo, contiene il deposito della creazione – la sintesi di tutti gli opposti dell’esistenza -, ma anche il deposito (amâna) che Dio ha dato in esclusiva all’uomo – che è, in questo senso, l’Arca di Noé -73. Dunque l’Uomo è anche il veicolo (markab) che circola – navigando in questo mare circolare – o circonda – come ‘veicolo’ circolare, portatore del deposito che contiene, che è la totalità del cerchio – in tanto che Trono. Questo cerchio, in virtù della corrispondenza tra le lettere, i messaggi profetici ed i Nomi divini, rappresenta un oceano illimitato di potenzialità che lo gnostico percorre nella notte oscura del non-manifestato, che è anche la profondità di questo mare, le cui onde in superficie sono effetto degli stati di coloro che amano Dio (che sarebbero in ultima analisi tutte le creature) e i cui venti sono le nuove profezie che Dio ispira ai Suoi Inviati – corrispondenti, come si è indicato, alle ventotto lettere del cerchio-. Questa nave è anche l’Arca della Parola che, come suggerisce il poema, percorre segretamente nella creatura -macrocosmica o microcosmica- dalla alif fino alla yâ’ del tratto (khatt) – si intenda non solo la grafia, bensì anche la traccia circolare che marca la rotta e corrisponde al cerchio che rappresenta il Trono -. Si tratta di un ricorso ciclico, la cui sottigliezza è difficile da percepire, che sempre ritorna al suo principio senza fine, alla sua origine incessante – principio che incessantemente origina -, così come la notte dell’invisibile cede il passo al giorno della manifestazione che, a sua volta, si annichila nel suo ritorno all’invisibile. 73 V. nota 159 infra. Nel ciclo del giorno e della notte si susseguono il principio notturno, la manifestazione diurna (“il giorno è l’ombra della notte”, dice Ibn Arabî74) ed il  ritorno al principio notturno. Invece che limitarmi a commentare ogni singola linea d’arabo, ho preferito inserire abbondantemente, nelle traduzioni che seguono, delle note a pié di pagina. Senza più preamboli, ci accingiamo a tradurre i testi.


-L’anima rasserenata e l’Alta marea
Disse il pellegrino (sâlik): “Avanzai allora con il Messaggero75 salendo lungo il più chiaro sentiero fino a che mi alzai sul mare riempito (al-bahr al-masjûr) e tutta la difficoltà scomparve76. E vidi nell’Altamarea di quell’oceano77 l’Arca dell’Universo78. Guardai per raggiungerla e mi dissi: “Sono qui, per conoscerla nel suo insieme e nei suoi dettagli: questa è l’Arca degli gnostici (safînat al-cârifîn) ed a bordo di essa79 ha luogo l’ascensione degli eredi [dei Profeti] (micrâj al-wârithîn)”. Vidi allora un’Arca d’essenza spirituale e d’aspetti80 celestiali, le cui basi (arjul)81 sono i due piedi divini (al-qadamân)82 ed il cui timone (sukkân) è la quiete (sukûn) del cuore83. I suoi rifornimenti84 sono le grazie sottili (latâ‘if); i suoi alberi, le altezze [tra le stazioni] (mawâqif), e la sua cabina di coperta85, la certezza. I suoi porti sono la forza e la stabilità86. Ha per velatura (shirâ) la Legge rivelata (sharî ca)87 e come zavorra88 la naturalezza. I suoi capi sono le cause seconde89 e le sue cabine90, i tesori91 della quintessenza92. Il capitano è la trasmissione (naql)93, il suo [locum tenens] (muqaddam)94, l’intelletto (caql), ed i suoi marinai, le opere supererogatorie (anfâl)95. La sua cisterna d’acqua (inkiliyya) è la sicurezza che protegge dal castigo (nakâl)96 e le sue provviste sono le sue fonti d’ispirazione (mawârid)97. Ha come carico i segreti ed i saperi profittevoli (fawâ‘id). La sua prua98 è la provvidenza nell’eternità senza principio e la sua poppa99 è la soddisfazione dell’aspirazione spirituale, con riferimento all’accidentale100, nell’eternità senza fine. [Le brume del] suo bollore (bakhr)101 sono le riflessioni (afkâr); il suo vento, le rammemorazioni (adhkâr)102; la sua ondosità, gli stati103, e la sua preghiera di benedizione (ducâ’)104, le opere.Questa nave (safîna) [che inizia il suo viaggio] con l’apparizione della lettera alif di “in nome di Dio105 navighi” e arriva fino [al porto106 di] “Recita nel nome del tuo Signore, [che ha creato…]”107, navigava108 nel mare dello sforzo (mujâhada) fino a che i venti della provvidenza la fecero arrivare alla riva della contemplazione (mushâhada)109. E quando [la nave] ebbe lasciato dietro di sé il mare dell’illusione110 e fu alla fine al riparo111 dalle brume del mare increspato dai mutamenti e dalle differenze (agyâr)112, il capitano aprì il suo diario [di bordo]113 ed alzò la voce114 recitando un meraviglioso poema (manzûm ajîb)115:

Alta Marea

1 Quando il segreto si palesò nel mio interno,  si estinse la mia esistenza, la mia stella si occultò117, 2 per il mistero del Signore si mutò il cuore118; di tutto il corpo perdetti la traccia del senso, rimanendo assente119, 3 e venni da Lui, per Lui e a Lui, a bordo della nave (markab) della mia risolutezza120, 4 sul cui albero dispiegai le vele della riflessione interna (fikr), nell’alto mare del mio sapere velato121, 5 e al soffio dei venti del mio desiderio, come una freccia essa attraversò il mare122; 6 ed il mare della prossimità attraversai, fino a che vidi in modo manifesto Chi qui non nomino. 7 Chiesi allora dicendo: Oh Tu, che il mio cuore contempla!  Fa che [nelle fortune] io trovi una freccia che guadagni il Vostro amore!123 8 Tu sei il mio svago e la mia celebrazione124, la mia meta nella passione ed il mio trionfo!125 “Disse il pellegrino: ‘Dopo mi fece ascendere126, quando mi separò dall’acqua127, fino al primo cielo”.

-II La realtà [del tempo ciclico]

Egli sa che quantunque i giorni siano molti ed appaiano diversi, in forza delle loro proprietà attive (ahkâm filiyya), ossia, della magioni (sha’n) [che corrispondono a loro], sono solamente [sette i giorni che formano] una settimana e non c’è nulla di più. Questi [sette] giorni si succedono durante i mesi così come in ogni giorno si succedono la notte ed il giorno, lo stesso per le  ore che si succedono durante la notte ed il giorno128, i mesi negli anni e gli anni nei secoli (duhûr) e nelle ere (acsâr). Dio mai cessa di essere presente129 nelle cose del mondo nelle quali le sue realtà essenziali (haqâ‘iq) lo permettono. Se l’intelletto concepisce altra possibilità divergente che si oppone a questo, lo si deve alla sua limitazione (qusûr), dato che le realtà non si rivelano se non per mezzo dello svelamento signoriale (kashf rabbânî)130. Le dimostrazioni razionali che impiegano i pensatori speculativi provano appena una quantità di cose elementari che possono essere mere ipotesi tramite le quali non si raggiunge la certezza. La ragione discorsiva ha un limite entro il quale si arresta e non può oltrepassarlo, di modo che queste conoscenze [proprie dello svelamento] sono al di là della loro portata. Relativamente a quest’ultime, è sufficiente che [la ragione] le accetti senza riserve (taslîm)131 e cerchi rifugio in Dio fino a che Lui glieli mostri come verità necessarie (darûratan) e glieli riveli in modo che possa contemplarle direttamente (aynan)132. La divina Realtà (al-Haqq) – sia esaltato – ha unito133 per sempre il posteriore con l’anteriore134, di modo che il tempo sia ciclico (al-amr dawrî ) e la rotazione sia incessante tanto con riferimento agli spiriti che con riferimento ai corpi, e tra ambedue [i domini, corporeo e spirituale] si verifichino delle corrispondenze formali straordinarie e meravigliose (ashkâl)135. “E alla luna abbiamo assegnato delle magioni (manâzil) [che deve percorrere] fino a che diventi [fine e curva] come la palma secca “136. Quindi il giorno termina e succede alla notte e la notte al giorno, la sfera ruota e la creatura ruota, la parola circola e circolano le lettere (hurûf) ed i nomi, e la fortuna circola e circolano l’estate, l’autunno, l’inverno e la primavera, e ruota l’astro (sayyâra) [nella sua orbita]. “Così come vi ha originato, così dovrete ritornare “137 “e certamente avrete conosciuto la creazione originaria “138

[L’Arca della creazione nelle acque del Trono]139

1 Contempla il Trono (carsh) sulle cui acque140  procede un’Arca (safîna) navigando141 con i Suoi Nomi142. 2 Che prodigiosa nave (markab) circolare (che circonda e contemporaneamente circumnaviga)143 – la cui stiva conserva il carico della creazione ad essa affidata -,144  3 ciò che è invisibile, nelle sue scure brume145, solcando146 l’oceano senza sponde!  4 Le onde147 di questo mare sono gli stati148 di coloro che sono persi di amore per Lui149 ed il soffio del Suo vento (rîh) sono gli aliti150 delle notizie che rivela al congiunto151. 5 Se riuscissi a vedere come transita152 segretamente per tutta la creazione153 dall’alif alla yâ’ della scrittura154, 6 e come in questo viaggio di ritorno al porto ritorna sempre dalla sua origine (bad’), giacché non hanno fine i suoi principi!155 7 Alla sua notte succede il mattino e il suo giorno si defila con la sera. [8] Contempla come la Saggezza156 si diffonde al centro della Nave (wasat al-fulk) e per tutte le sue parti si propaga. [9] Chi giunge a valorizzare questo lavoro (sha’n) e veramente ama la sua mansione157, seduto rimane in questo mondo insieme al timone158 dell’asse che lo orienta, [10] e così nel suo proprio essere contempla l’Arca (fulk)159 e vede nella sua formazione l’Opera di Dio (sanat Allâh)160. Ho qui allora le cifre (acdâd) che girano circolando ed i movimenti (harakât)161 che si succedono alternandosi. Sia esaltato chi le governa e le dirige. “Non c’è divinità adorata se non Lui, il Potente, il Saggio “ (C. 3:6 e 3:18).

 

Note al testo:

1 Si tratta di un passo in cui, trattando del Trono, Corbin afferma che Ibn ‘Arabî associa all’Arcangelo Michele
il profeta Abramo. Nella cosmologia islamica tradizionale, Abramo corrisponde al Sabato, il giorno del riposo, e
alla sfera di Saturno nel settimo cielo dell’ascensione, la cui circonferenza comprende simbolicamente i sei cieli
precedenti ed i sei giorni precedenti, e nella quale si incontra la Caaba celeste. V. infra nota 63. Sulla relazione
con l’arcangelo Michele, v. i riferimenti della nota 2.
2 V. H. Corbin, Il paradosso del monoteismo (trad. M. Tabuyo e A. López), Losada, Madrid, 2003, p. 141.
Cf. Corbin, L’immaginazione creatrice nel sufismo di Ibn cArabî, Destino, Madrid, 1993, pp. 156-157, 368 e
nota 74 (v. L’immaginazione…, París, 1958, pp. 106 e 243, n. 74).
3 Corbin, Paradosso, p. 141.

4 V. l’articolo di A. Abécassis, “Merkeba”, Dizionario critico dell’esoterismo (ed. J. Servier), PUF, París,
1998. Maggiori informazioni sul tema possono essere trovati nell’esaustiva opera di G. Scholem, Gnosticismo
Ebraico, il Misticismo della Merkebah e la Tradizione Talmudica, New York, 1960. Il quaternario dei principi
angelici del Carro divino della visione di Ezechiele corrisponde, nel diagramma del Trono circolare come lo
intende Ibn cArabî, allo stesso quaternario e, pertanto, ai quattro quarti del cerchio, associati ai quattro elementi,
ai quattro umori e ai quattro punti cardinali. Sui quattro settori della Shekhina che corrispondono ai quattro
esseri viventi del Carro divino della visione di Ezechiele e sugli “otto supporti del Trono” nell’Islam, v.
Paradosso, pp. 142-145. Si noti che la stella ottagonale riprodotta nella copertina di questo libro simboleggia gli
otto portatori o supporti del Trono. V. anche Corbin, “Ed il suo Trono fu portato sull’acqua…”, in In Principio
(Interpretazioni dei primi versetti della Genesi), ÉTUDES AGUSTINIENNES, París, 1973.
5 C. 11:41 e 42 (con fulk, riferimento a Noé), 18:71 (con safîna, riferimento al racconto su Mosé e al-Khidr),
29:65 (fulk, riferimento generale), 40:79 (qui solamente con ancâm, ‘cavalcature’ – con il significato implicito di
benedizione proprio della radice N-c-M-) e, continuando, 40:80 (con riferimento generale alle cavalcature e alle
navi – fulk – che servono come mezzi di trasporto, il che costituisce una benedizione), 43:12 (con fulk e ancâm,
riferimento generale). In C. 2:239, 8:42, 16:8 e 36:72, i termini di questa radice si riferiscono solamente alle cavalcature. V. infra nota 8. Ibn Hanbal raccoglie un hadîth in cui si dice che “parte della fortuna dell’uomo .. è
la cavalcatura santa e facile (al-markab al-hanî’)” (3:407). Un’altro hadîth trasmesso sempre da lui (Ibn Hanbal,
1:168), distingue il veicolo adeguato (al-markab al-sâlih) da quello inadeguato (al-markab al-sû’). V. anche il
hadîth citato da Tirmidhî (Qiyâma, 15). Cf. Wensinck, A. J. e Mensing, J. P., et al., Concordanze ed indici
della tradizione musulmana, 8 vols., Leiden, 1936-69.
6 C. 84:19. Traduzione di J. Vernet, Il Corano, Planeta, Barcelona, 1991. J. Cortés, per conto suo, traduce:
“… che dovete passare da uno all’altro stato” (v. Il Corano, Herder, Barcelona, 1986). I versetti precedenti
recitano così: “No! Lo giuro per il crepuscolo! Per la notte e per quello che essa avvolge! Per la luna quando si
fa piena” (C. 84:16-18) [Trad. Vernet]. Il crepuscolo come transizione ed allusione al mondo intermedio
(barzakh), la notte come allusione all’interiorità del viaggio notturno (isrâ’) e la luna piena come simbolo della
totalità delle magioni, rappresentate in un cerchio diviso in ventotto sezioni, possono essere messe in relazione
con il simbolo dell’Arca. V. infra nota 13.
7 Cf. M. Asín Palacios, L’escatologia musulmana nella Divina Commedia, Madrid, 1919 (2ª. ed., Madrid,
1943; 3º ed., Madrid, I.H.A.C., 1961; 4ª ed., Hiperión, Madrid, 1984), pp. 7 (n. 1) e 17.
8 Si osservi che cavalcatura ed Arca sono chiaramente associate in C. 40:79-80 e 43:12. (v. supra nota 5).
9 Il versetto in questione dice letteralmente ‘in qualsiasi forma’ (fî ayyi sûra). Questa diversità di forme
rimanda alla diversità delle navi costruite a somiglianza dell’Arca di Noé: “Hanno un segno nel fatto che
abbiamo messo la loro progenie in una nave stracarica. E creammo per loro altre [navi] simili ad essa (min mitlihi)
nelle quali si imbarcarono (yarkabûna)” (C. 36:41-42).
10 L’ultimo verso (n. 10) del poema L’Arca della creazione. V. infra nota 160.
11 C. 21:33. Trad. Vernet.
12 Si noti ad esempio questo verso di un verso del Kunnâsh di Al-Hâ‘ik: Anta l-falak wa-l-tafalluk wa-lfalak
wa-l-fulk. V. Ben Jelloun (Idrîs Ibn Jallûn), al-Turâth al-carabî al-garbî fî l-mûsîqà, Túnez, 1979 p. 78.
13 V. anche la nota 6 supra, sulla sura 84, in cui si mettono in relazione la cosmologia e l’escatologia con il
viaggio “dall’uno all’altro stato”.
14 In relazione con le coppie imbarcate sull’Arca.
15 O meglio, ‘quelle delle sue anime (anfus)’. Si intende, generalmente, come riferimento alle coppie di esseri
umani
16 Si usa una forma verbale di radice S-L-KH, che Ibn cArabî impiega nella denominazione del ‘giorno
slegato’ (yawm al-salkh). V. Ibn cArabî, The Seven Days of the Heart, Oxford, 2000, pp. 145 e ss., dove si
mostrano i diagrammi circolari che riflettono le diverse concezioni della circolarità del tempo ciclico qualitativo.
17 Riferimento ai discendenti di Noé ed ai loro. Vernet, seguendo un’altra interpretazione, traduce “ai loro
antenati”, come a dire, quelli di tutti gli uomini.
18 Si menziona anche l’Arca riempita (al-falak al-mashhûn) in un episodio attinente a Giona (v. C. 37:140).
19 C. 36:36-42. La traduzione, quando non specifico altro riferimento, è la mia.
20 Sulla navigazione all’epoca di Ibn cArabî, si consulti lo studio di Christophe Picard, L’oceano Atlantico
musulmano: Dalla conquista araba all’epoca almohade, París, 1997 (in special modo rimando qui per la parte
sulla denominazione dei diversi tipi d’imbarcazione, pp. 296-305). Si veda anche C. Villain Gandossi, La nave
medievale attraverso le miniature, C.N.R.S., París, 1985.
21 V. Picard, op. cit., p. 298 e nota 49 (sâhib al-lawh: padrone della nave). In particolare, il termine safîna –
dice più avanti – “appare con frequenza nei testi giuridici come lawh” (Ibid., p. 303).
22 Si veda C. 18:71 y 18:79. V. anche il hadîth sui due personaggi raccolto da Bukhârî (cIlm 44).
23 Si può anche tradurre, “i compagni dell’Arca”. Questa espressione si incontra in un hadîth raccolto nella
compilazione di al-Nisâ’î (Tahrîm 14) e anche in quella di Abû Dâ‘ûd (Jihâd 140). In un’altro hadîth di Bukhârî
(Manâqib al-ansâr 37) si usa l’espressione ahl al-safîna, “la gente della nave”. In lingua comune, significa
“proprietario della nave”. V. anche, sull’espressione “l’Arca degli gnostici”, la nota 80 infra. Un hadîth raccolto
da al-Dârimî (Ru’yâ 13) contiene l’espressione al-safîna najâh, “l’Arca è salvazione”.
24 Si veda, infra, i poemi L’Arca della creazione e Altamarea.
25 V. Ibn cArabî, La produzione dei cerchi, int. e trad. de M. Gloton e P. Fenton, Éd. de l’Éclat, París, 1996
(include una riedizione del testo arabo).
26 Idem, p. 26.
27 Idem, p. 28. Dice Ibn cArabî: “Questa sarebbe la sua forma simbolica, se si potesse attribuirle una forma.
Quantunque sia puramente intelligibile, le assegniamo una rappresentazione simbolica, [necessariamente molto]
schematica [a causa del suo carattere sintetico], affinché risulti [più facilmente] comprensibile” (Ibid.).
28 V., in particolare, Futûhât makkiyya, Beirut, s. f., vol. III, pp. 421-429.
29 Futûhât, vol. III, p. 398. V. il paragrafo “Il cerchio della diversità religiosa” in W. Chittick, Mondi
imaginali, Alquitara, Madrid, 2004 (cap. 9).
30 P. Beneito e S. Hirtenstein, Ibn cArabî: I sette giorni del Cuore, Anqa Publishing, Oxford, 2000, pp. 145-
155. Si vedano anche i diagrammi riprodotti in P. Beneito e S. Hirtenstein, “Trattato di Ibn cArabî sulla
Conoscenza della Notte del Potere ed il Suo Tempo”, JMIAS, Oxford, 2000, vol. XXVII, pp. 1-19.
31 Idem., pp. 154-155.
32 Come esempio, si veda il diagramma chiamato “Cerchio delle epifanie dell’Alito
dell’Onnicompassionevole nei mondi della creazione e della possibilità”, in cui si presentano le ventotto lettere
dell’alfabeto in corrispondenza con le ventotto rivoluzioni astrali – che determinano le fasi o magioni della luna
-, i ventotto gradi dell’esistenza (tutto ciò che è in relazione con la manifestazione) ed i ventotto nomi divini
(che rimandano al dominio dell’occulto, all’interiorità latente del non-manifestato). Questo diagramma è stato
riprodotto in Ibn cArabî ed altri, La taverna delle luci: poesia sufí dell’Andalusia e del Magreb (selezione e
traduzione di P. Beneito), ERM, 2004, p. 31. Si può incontrare anche in Ibn cArabî, K. al-Tajalliyât al-ilâhiyya
(insieme al commentario, sinora anonimo, intitolato Kashf al-gâyât), ed. O. Yahya, Teherán, 1988, pp. 134-135.
Altro diagramma similare, più completo, che riproduce le corrispondenze stabilite da Ibn cArabî in Futûhât, può essere consultato nell’opera di Titus Burckhardt, Le Chiavi dell’Astrologia musulmana, Arché, 1982; tradotto da
Victoria Argimón con il titolo, Chiave spirituale dell’astrologia musulmana (secondo Muhyudín Ibn Arabí), J.J.
de Olañeta Ed. (Sophia Perennis), Barcelona, 1982; anche con versione inglese, Astrologia Mistica secondo Ibn
cArabî, Beshara Publications, Gloucestershire, 1977. V. anche nota 46 infra.
33 V. Paradosso, pp. 39-58 (v., specialmente i diagrammi delle pagine 41 e 49).
34 V. Haydar Amolî, Il Testo dei Testi: Commento ai “Fosûs al-hikam” d’Ibn cArabî, intr. e ed. di H. Corbin
e O. Yahya, Bibliothèque Iranienne 22, Teherán-París, 1988, vol. I, pp. 32 e ss. della parte francese, dove si
riproducono ventotto diagrammi dell’autore nel suo commentario all’opera Fusûs al-hikam di Ibn cArabî,
intitolato Nass al-nusûs.
35 Paradosso, p. 39.
36 Ibid..
37 Idem., p. 40.
38 Idem, p. 41.
39 Idem, p. 51.
40 Idem, pp. 53-54.
41 Si veda P. Beneito, “Il Tempo della gnosi: considerazioni intorno al passato e al futuro della mistica
nell’opera di Ibn cArabî”, La mistica nel secolo XXI, pp. 92-93. Anche La taverna delle luci, pp. 38-39.
42 Dio dice in base al hadîth qudsî: “Né i Miei cieli, né la Mia terra Mi contengono, ma Mi contiene il cuore
del Mio servo fedele (mu’min)”. Sulla relazione tra al-Rahmân ed il cuore umano, v. l’articolo di Layla
Shamash, “La Cosmologia della Compassione o Macrocosmo nel Microcosmo”, JOURNAL OF THE
MUHYIDDIN IBN CARABI SOCIETY, XXVIII (2000), Oxford, pp. 18-34.
43 In base al noto hadîth “Adamo è stato creato secondo la forma dell’Onnicompassionevole”. Si veda anche
il passo coranico in cui si racconta come Adamo informi gli angeli dei nomi degli esseri e come gli angeli si
prosternino davanti a lui per ordine di Dio (C. 2:28-39). Questo passaggio include il versetto: “[Dio] insegnò ad
Adamo i nomi di tutti gli esseri” (C. 2:31).
44 V. C. 33:72.

45 Il numero ventotto è la somma di tutti i numeri dall’uno al sette (1+2+3+4+5+6+7=28) e in più,
scomposto nelle sue due cifre equivale all’unità (2+8=1) proprio come il termine wujûd, ‘Essere’ o ‘esistenza’
(6+3+6+4=19 / 1+9=1). Quindi scopriamo ventotto messaggeri, cifre – da uno a mille (nove unità, nove
centesimi, nove centinaia ed il migliaio) – corrispondenti alle ventotto lettere dell’alfabeto, i ventotto nomi
divini che includono coppie di nomi opposti come il ‘Manifesto’ e l’‘Occulto’, il ‘Primo’ e l’‘Ultimo’ o altri, e
anche le dodici costellazioni, le dodici ore diurne e notturne, i sette giorni, i trecentosessanta gradi, i quattro
punti cardinali, i quattro elementi, i quattro temperamenti o umori, etc. Sul significato simbolico tradizionale di
questi ed altri numeri nelle diverse culture, v. A. Schimmel, Il Mistero dei Numeri, Oxford, 1993. Una
magnifica tavola di corrispondenze tra Profeti, gradi d’esistenza, lettere, cifre, stelle e Nomi divini nell’opera di
Ibn cArabî può essere consultata nel libro di cAbd al-Bâqî Miftâh, Mafâtîh Fusûs al-hikam, al-Qubba al-Zarqâ‘,
1997, Casablanca, pp. 61-62. V. anche nota 33 supra.
46 Paradosso, p. 143.
47 V. Corbin, L’Islam iraniano, vol. I, p. 262, n. 161.
48 Paradosso, p. 143.
49 Idem, p. 72.
50 Idem, p. 73.
51 V. S. Hirtenstein, L’infinita Misericordia, Anqa, Oxford, 1999, pp. 115 e 268.
52 Sul tema del micrâj, v. M. Amir-Moezzi (ed.) et al., Il viaggio iniziatico nella terra dell’Islam: ascensioni
celesti ed itinerari spirituali, Peeters, París, 1996.
53 Ibn cArabî, Kitâb al-Isrâ‘ (ed. Suad Hakîm), Beirut, 1988, p. 57. Il testo è in prosa rimata. Qui la fine del
nome Al-Andalus fa rima con quella di Bayt al-Qudus.
54 La seconda parte dell’opera (pp. 75-105) racconta l’ascensione attraverso i sette cieli e gli incontri con gli
spiriti dei Profeti che corrispondono ad ogni sfera.
55 La terza parte del libro (pp. 107-130) tratta di questi tre domini.
56 Idem, p. 130. La quarta parte include, di fatto, due parti, con cinque sezioni la prima, mentre otto ne ha la
seconda. Queste sezioni chiamate ‘dialoghi intimi’ (munâjâh) trattano delle sottili ispirazioni sui misteri più
elevati dell’esperienza spirituale e rimandano a termini del Corano o della Tradizione relativi all’ascensione del
Profeta e alla rivelazione divina.
57 Allusione talvolta alle sei direzioni dello spazio fisico e, pertanto, alla specialità di questo viaggio
orizzontale nel mondo.
58 Allusione al versetto: “Parte della notte, ti vela come opera supererogatoria. Forse il tuo Signore ti manda ad
una stazione degna di lode” (C. 17:79).
59 Sucâd Hakîm segnala (nota 75) che il segreto dell’essere umano è il suo spirito (rûh).
60 Allusione al Burâq (v. EI2, s. v.), il destriero che servì da monta al Profeta durante l’ascensione in
compagnia di Gabriele. Si noti che il nome del Burâq è della stessa radice lessicale delle parole ‘lampo’ (barq) e
‘splendore’ oppure ‘scintillio’ (barâq). La parola ikhlâs rimanda alla sura 112, detta sûrat al-ikhlâs, che tratta
dell’Unità, della trascendenza e della incomparabilità di Dio.
61 “Tutti, nella propria sfera (falak) rispettivamente, navigano (yasbahûn)” (C. 21:33). Trad. Vernet. V.
anche infra nota 142.
62 La sura “Il Monte” inizia con questa serie di giuramenti: “Per il Monte! Per una Scrittura, messa per
iscritto su di un pergamena srotolata! Per la Casa frequentata (al-bayt al-macmûr)! Per la volta elevata! Per il
mare ingrossato!” (C. 52: 1-6). La traduzione è di J. Cortés che, nelle note a questi versetti, rimanda a C. 95:2 –
dove si menziona il monte Sinai -, e a C. 3:7 – dove si fa menzione di una Scrittura Matrice, allusione
all’esemplare primordiale del Corano, preservato da Dio – e alla tradizione conosciuta in base alla quale la Casa
frequentata, la Caaba visitata dai pellegrini, è anche la Caaba celeste, frequentata dagli angeli. Cortés segnala
anche che la volta elevata menzionata, è la volta celeste. Nel contesto di una interpretazione esoterica, questi sei
versetti possono essere interpretati anche come una scala discendente di realtà spirituali. Si usa anche
l’immagine dei mari ingrossati in C. 81:6, in un contesto puramente escatologico, relativamente alla chiamata
del Giorno del Giudizio.
63 Così come la terra annegata dal diluvio nella storia dell’Arca di Noé.
64 V. K. al-Isrâ‘, pp. 99, 100 e ss.
65 V. Ibn cArabî, Dîwân Ibn cArabî (riedizione del Dîwân al-kabîr, Bombay, s.f.), Dâr al-kutub al-cilmiyya,
Beirut, 1996.
66 V. Dîwân, p. 7. Lit.: “ha detto nel capitolo del Mare Traboccante (al-bahr al-masjûr)”. Qui l’uso
dell’espressione capitolo sarebbe un riferimento al capitolo corrispondente del K. al-Isrâ‘.
67 Secondo la ricercatrice Claude Addas, sembra che questo Dîwân, se fosse completo – l’edizione
disponibile non lo è -, dovrebbe riunire la totalità della produzione poetica di Ibn cArabî, includendo tutti i
poemi contenuti nelle due diverse opere. V. C. Addas, “A proposito del Dîwân al-macârif d’Ibn cArabî”,
STUDIA ISLAMICA, 81 (1995), pp. 187-95.
68 Cf. G. Elmore, “Il Bûlâq Dîwân di Ibn al-cArabî: Addenda al tentativo di descrizione”, JOURNAL OF
ARABIC LITERATURE, XXIX (1998), p. 138.
69 V. ed. El Cairo, 1954, p. 21, dove appare alla fine di una sezione intitolata “la terza sfera o sfera della
perfetta realizzazione”.
70 V. Rasâ‘il Ibn cArabî, ed. Hyderabad, 1948 (n. 5), p. 5, in cui compare senza gli ultimi tre versi.
71 V. Dîwân, ed. Beirut, p. 15. Ci sono solo tre poemi del Mawâqi c che non compaiono nell’edizione del
Dîwân (cf. Elmore, op. cit., p. 141).
72 Dato che l’edizione egiziana è molto deficiente, per tradurrre il poema ho confrontato il testo del poema a
tre dei manoscritti più affidabili: Shehit Ali 1351/1a-69b (copiato a partire da una copia di Sadruddîn Qûnawî,
Shiraz, 691 H.); Yusuf Agha 5001/1-165b (copiato da Qûnawî, con samâ c dell’autore) e Beyazid 3750/10b-113ª
(782 H., copiato ad Aleppo a partire da un originale datato Cordoba il 596 H.).
73 V. nota 159 infra.

74 V. Ayyâm, p. 9.
75 Ossia, il Messaggero dell’Accordo (rasûl al-tawfîq) citato nel capitolo precedente (Isrâ‘, p. 68).
76 Questa espressione talvolta rimanda a C. 94:5-6, in cui si mettono in relazione reiteratamente gli stessi
termini. Questa stessa sura si chiama “L’Apertura” perché in essa si menziona l’apertura del petto liberato dal
suo carico. Si veda infra nota 84.
77 Let. ‘di quel mare comprensivo’ (muhît). Il medesimo termine si usa per riferirsi alla circonferenza che
comprende o circonda quanto rimane dentro ad essa e, in particolare, a ciò che rappresenta il Trono divino che
tutto comprende (al-cArsh al-muhît).
78 Let. ‘l’Arca del mondo disteso’ (safînat al-câlam al-basît), il mondo, quindi, della manifestazione, il
mondo svolto nell’esistenza.
79 L’autore usa la preposizione calà (‘in’, ‘su’) che permette una certa ambivalenza,dato che possiamo
intendere due cose: o l’ascensione ha luogo dalla nave come punto di partenza, così come il micrâj del Profeta
inizia dalla al-Masjid al-Aqsà, oppure il viaggiatore sale a bordo della nave in qualità di marinaio. Questa
seconda opzione mi pare la più adeguata, posto che l’autore chiama la nave, “l’Arca degli gnostici”.
Quest’ultimi sono, quindi, ashâb al-safîna (v. nota 23 supra). Sucâd Hakîm rileva che la descrizione delle parti
della nave integra tanto gli aspetti dottrinali come gli aspetti rituali del sufismo, tanto le questioni relative alla
formulazione del credo come le questioni attinenti alla pratica e all’esperienza (così, per esempio, la
rammemorazione o gli stati). Quindi, dice l’autrice libanese “il credo (caqîda) e la vita interiore (sulûk) del
viaggiatore spirituale (sâlik) costituiscono la sua propria nave (safîna) per l’ascensione”. Cf. Isrâ‘, p. 71, nota
101.
80 Il vocabolo ‘attrezzature’ (cudad) ha la stessa radice lessicale di cadad (numero, cifra). Le “attrezzature
celesti (cudad samâwiyya)” sono quindi associate ai numeri, intesi qui in senso pitagorico. Nel diagramma del
cerchio a ventotto sezioni, ognuna di esse corrisponde ad una lettera che, a sua volta, equivale ad una cifra da
uno (alif) a mille (gayn).
81 Let. ‘piedi’ (arjul). S’intende che si riferisce ai laterali dello scafo della nave. Il vocabolo ‘piede’ (rijl) è
della medesima radice lessicale di ‘uomo’ (rajul). I “piedi” della nave corrispondono ai due piedi divini (alqadamân)
– della stessa radice del nome di Dio al-Qadâm (sic, al-Qadîm) ‘l’Eterno’- che stanno sopra lo
Sgabello (al-Kursî). I due piedi implicano la dualità ed indicano il dominio degli opposti: nell’Arca dei Nomi,
ognuno di loro si oppone al suo contrario che lo completa, il quale rimanda alle coppie imbarcate (ndt)
sull’Arca di Noé.
82 Se l’immagine dell’Arca fosse un cerchio, ogni piede corrisponderebbe ad un semicerchio.
83 Si osservi che il timone (sukkân) e quiete (sukûn) sono termini della medesima radice s-k-n, come la
parola sakîna, la quale designa la presenza divina nella sua discesa pacificatrice. Nel quinto capitolo si legge
l’espressione: “ed aprì il mio petto con la spada della presenza divina (sikkîn al-sakîna)” (Isrâ‘, p. 68). Tanto
sikkîn, ‘coltello’, come sakîna, parola corrispondente all’ebraico Shekina, sono di radice s-k-n. S’intende che
l’Angelo, il Messaggero dell’Accordo, apre il petto del pellegrino per liberarlo dal suo carico (allusione a C.
94:1). Il timone (sukkân) si chiama così perché ‘tranquillizza’ il movimento della nave (v. Isrâ‘, nota 102) al
pari di chi la orienta. Sukûn significa pure ‘silenzio’, di modo che l’immagine allude alla ricettività del cuore
che rimane in ascolto, ricettivo all’ispirazione.
84 La radice del termine qirà (q-r-y) si assomiglia alla radice q-r-’ del Corano (al-Qur’ân). I commenti
esoterici ai versetti coranici possono chiamarsi latâ‘if, ‘finezze’. Tale è il caso del celebre commento coranico di
al-Qushayrî, Latâ‘if al-ishârât (v. Tafsîr al-Qushayrî…, Dâr al-kutub al-cilmiyya, Beirut, 2000, III vols.), o del
Kitâb al-Tarâjim di Ibn cArabî (v. Rasâ‘il, ed. Beirut, 1997, pp. 275-322).
85 La parola yaqan, ‘(luogo di) sicurezza’ -o anche ‘gineceo’ -, è della stessa radice (y-q-n) di yaqîn,
‘certezza’.
86 Il termine quwwa, ‘forza’, designa anche la potenzialità, mentre il termine tamkîn, ‘stabilità’,
‘consolidazione’, ‘affermazione’ – che rimanda anche al vocabolo imkân, ‘possibilità’, della stessa radice
lessicale (m-k-n) – allude alla fissità (thubût) delle entità immutabili (acyân tâbita) dei possibili.
87 Ambedue i termini, ‘vela’ e ‘legge rivelata’ sono della radice sh-r-c.
88 Il termine sâbûr designa la zavorra che si mette all’interno della nave affinché il suo peso la equilibri. È
della stessa radice (s-b-r) che sabr, ‘pazienza’, la virtù che serve per mantenere in equilibrio, o ‘serena
perseveranza’.
89 Quest’immagine si usa anche quando l’immagine del mondo è un padiglione alzato con le corde. V. Ibn
cArabî, Mashâhid al-asrâr, Murcia, 1994, cap. XIV.
90 Sembra che il termine arabizzato târima (pl. tawârim) designi una casetta di legno adibita a piccolo
magazzino. Talvolta si riferisce a cabine per riporre attrezzature e cavi o a dispense per conservare il grano o
altri alimenti.
91 In un passo coranico sulla costruzione dell’Arca si impiega anche la parola khazâ‘in, ‘depositi’, in senso
di ‘tesori’. Noé dice al suo popolo: “Io non pretendo di disporre dei tesori di Dio” (C. 11:31). L’uomo, come
marinaio, è depositario, ma non possessore dei tesori depositati nelle sue stive.
92 Il termine lubâb, ‘quintessenza’ designa l’estratto, l’essenza pura, purificata, da qualsiasi cosa; in
particolare, il nucleo o la farina pura del grano. È della stessa radice (L-B-B) di lubb, ‘cuore’, ‘nucleo’, ‘seme’,
‘parte interiore’, ‘essenza’. Di fatto, uno dei manoscritti dell’edizione raccoglie la variante albâb (plurale di
lubb). Il termine potrebbe alludere anche alla talbiya – vocabolo che il Lisân al-carab (v. ed. Beirut, vol. 12, p.
216) considera derivato dalla radice l-b-b -, il ricorso all’espressione rituale labbayk, ‘Eccomi davanti a Te
[Signore, a tua disposizione]!’
93 Naql significa anche ‘trasporto’, il quale corrisponde bene all’immaginario dell’Arca, e si riferisce qui alla
trasmissione del Corano o di altre rivelazioni e della Sunna. Il capitano del viaggio salvifico è quindi la
conformità all’autorità ispirata dalla Parola di Dio e dalla Tradizione.
94 Let. ‘avanzato’. Termine di forma seconda di radice Q-D-M che significa ‘far precedere’, ‘porre alla
testa’, da cui deriva anche muqaddim, ‘prua’.
95 Qualche volta appaiono qui come ciurma con riferimento al celebre hadîth qudsî delle opere
supererogatorie (nawâfil) dove Dio dice in prima persona: “Il Mio servo non cessa di approssimarsi a Me
attraverso le opere supererogatorie fino a che Io lo amo. E quando lo amo, sono allora l’orecchio con cui ascolta,
l’occhio con cui vede, la mano con cui prende ed il piede con cui cammina” (Bukhârî, Riqâq 38). Per maggiori
riferimenti, v. Il segreto dei Nomi di Dio, pp. 50-51, n. 3. Nel hadîth, queste opere sono il mezzo tramite cui il
servo si approssima a Dio, così come la ciurma della nave è il mezzo grazie al quale essa naviga (ndt).
96 La parola nakâl – o sue varianti – appare in C. 2: 66, 4: 84, 5: 38, 73:12 e 79:25, con il significato di
punizione esemplare. Il termine inkiliyya, ‘sentina’, è della stessa radice N-K-L. Espellere le acque che si
infiltrano nella nave equivale a purificarla:la salvazione (salâma) o esenzione dal castigo sembra così vincolata
alla purezza rituale dell’abluzione che precede agli atti di adorazione – tali come la preghiera di perdono a Dio -,
che conducono alla purificazione dell’anima. Allusione al diluvio nel passo coranico su Noé: “Vedrete chi
riceverà un castigo umiliante…” (C. 11:39).
97 Il termine ‘commercianti’ pare alludere ai passeggeri della nave: i Nomi e le lettere, matrici prototipiche
di tutta la manifestazione, che sono fonte delle ispirazioni (mawârid) nell’incessante “transazione” degli stati
spirituali.
98 V. nota 95 supra. La radice del termine muqaddim (Q-D-M) allude alla pre-eternità (qidam) divina ed al
nome divino al-Muqaddim, l’Anticipatore (v. Segreto, pp. 253-255).
99 La parola mu’akhkhir, ‘prua’, è lo stesso participio attivo del nome di Dio al-Mu’akhkhir, ‘il Ritardatore’.
100 Let. ‘con riferimento agli accidenti delle cause (tawâriq al-cilal)’. La parola cilla, ‘causa seconda’,
significa anche ‘infermità’ o ‘difetto’.
101 Nel Lisân al-carab si trova l’espressione bukhâr al-bahr nel senso di ‘bruma’ o ‘foschia’. Il termine
bakhr significa ‘bollire’, nel senso di ‘produrre vapore (bukhâr) per effetto del calore’. Si tratta quindi di un
possibile riferimento al passo coranico della sura di Hûd su Noé e sulla costruzione della nave, nella quale si
dice: “Fino a quando giunse il Nostro Decreto ed il forno buttò fuori (fâra l-tannûr) [il termine ‘atanor’ usato
nell’alchimia], dicemmo [a Noé]: “Carica (ihmil) [da cui il precedente richiamo al caricamento (wasq, sinonimo
di himl)] in essa una coppia per ogni specie…” (C. 11: 40). Bakhr è della radice B-KH-R come bakhâr, ‘incenso’
e tabkhîr, ‘affumicazione’, ‘incensazione’: potrebbe anche alludere quindi all’incenso usato per purificare la
nave. Uno dei manoscritti legge bahr, ‘mare’.
102 Il termine ‘vento’ (rîh) appartiene alla stessa radice di ‘spirito’ (rûh). V. in nota 105 infra la traduzione
di C. 10:22. La rammemorazione (dhikr) è la pratica consistente nel tenere presente Dio, evocando i Nomi e gli
Attributi divini. In contrasto con la riflessione (fikr, pl. afkâr), associata all’esercizio della ragione discorsiva, la
rammemorazione predispone alla ricettività ed all’abbandono di sé, il quale propizia l’ispirazione e lo
svelamento. Ciononostante, v. infra il quarto verso del poema Altamarea, dove s’impiega un’altra immagine
con riferimento al termine fikr: nell’alto mare del sapere velato, la meditazione è la vela che spinge
l’imbarcazione.
103 L’espressione mawju-hâ l-ahwâl rimanda a C. 11:43 dove si dice wa-hâla bayna-humâ l-mawju, “… si
interposero tra ambedue le onde…” (hâla, ‘interporsi’ o anche – senza la preposizione bayna – ‘trasformarsi’, è
della stessa radice di hâl, ‘stato’). La stessa nozione appare nel poema che abbiamo intitolato L’arca della
creazione, v. infra, verso nº. 4 e nota 148.
104 Sembra alludere alla supplica di Noé: “che navighi e raggiunga un buon ormeggio nel Nome di Dio!” (C.
11:41), ed anche il versetto: “Egli è Colui che vi fa viaggiare per terra e per mare. Quando siete su battelli che
navigano col buon vento, [gli uomini] esultano. Quando sorge un vento impetuoso e le onde si alzano da ogni
parte, invocano Allâh e Gli rendono un culto puro -: “Se ci salvi, saremo certamente riconoscenti!…” (C.
10:22).
105 Nel testo coranico di questo versetto l’alif non appare nella scrittura di bism (‘nel nome di…’), ma Ibn
cArabî -secondo l’edizione – lo ha segnalato nella citazione. Così che la nave comincia con la lettera alif che
inaugura la successione delle magioni, o meglio, all’esteriorizzarsi della lettera alif che stava implicita in bism di
questo versetto in cui si annuncia il varo della nave della creazione. La lettera alif (con valore numerico uno)
appare così dopo la lettera bâ‘ (con valore numerico due) – lettera che inaugura il testo della rivelazione nella
Sura dell’Apertura (fâtiha) e, per analogia, il “testo” cosmico della manifestazione – e graficamente legata ad
essa: non è, pertanto, l’alif graficamente in posizione isolata che simboleggia l’Essenza incondizionata, bensì
l’uno che, unito al due (bâ‘), genera il tre, numero che Ibn cArabî (v., ad esempio, K. al-Mîm wa-l-wâw wa-lnûn,
Hyderabad, 1948, p. 4) considera come prima cifra (awwal al-afrâd). Il versetto inizia così: “Disse: Salite
(irkabû)! [ossia, salite sulla nave, da cui l’uso nel poema del termine markab della medesima radice di irkabû].
Che navighiate e troviate un buon ormeggio nel nome di Dio!” […]” (C. 11:41). Let. …”siano nel nome di Dio la
loro navigazione (majrâ) e l’ormeggio (mursâ-hâ)”. Ibn cArabî impiega nel testo muntahâ-hâ al posto di mursâhâ,
talvolta per alludere quindi al Loto del Limite (sidrat al-muntahâ), oltre al settimo cielo del quale ne segna il
confine. Si noti che moltiplicare i sette cieli per i quattro elementi equivale alle ventotto lettere o magioni
lunari.
106 L’autore usa l’espressione muntahâ-hâ che rimanda all’espressione wa-mursâ-hâ de C. 11:41. V. nota
precedente.
107 C. 96:1. La tradizione considera che questo versetto inizi il primo passo rivelato a Muhammad durante il
suo ritiro nella grotta del monte Hira. Dice un’altro versetto dello stesso passo più avanti: “colui che ha
insegnato il calamo” [o ‘attraverso il calamo’] (C. 96:4).
108 Fa-hiya tajrî fî bahri l-mujâhada… Questa espressione rimanda al versetto: “E navigò con loro tra onde
alte come montagne (wa-hiya tajrî bi-him fî mawjin ka-l-jibâl)” (C. 11:42). Secondo la precedente descrizione
dell’autore “il mareggio [nel mare in cui questa nave naviga] sono gli stati”. Queste onde come montagne del
versetto coranico, sulle quali muore il figlio di Noé che non si era imbarcato (v. infra nota 111), sono le onde di
questo mare dello sforzo, opposto qui al dominio della contemplazione, che comincia sulla riva a cui approda
l’arca.
109 Sottile e complessa allusione al passo coranico 11:25-35, in cui Noé si sforza di comunicare il messaggio al
suo popolo e al passo coranico 11:36-37 in cui si dice che “si riveló a Noé (ûhiya ilà Nûh) […]: Costruisci la
nave [fulk, della radice di falak, ‘sfera celeste’] sotto il Nostro sguardo [let. ‘sotto i Nostri occhi’] e secondo la
Nostra ispirazione (wahyi-nâ)…”. Si può intendere che questo plurale maiestatico rimandi alla pluralità dei
Nomi divini. D’altra parte, come in altri passi coranici acyun, plurale di cayn, ‘occhio’, è suscettibile
d’interpretazioni così acyân, plurali di cayn, ‘essenza’, con il quale si alluderebbe alle ‘essenze immutabili’ dei
Nomi divini, “in/per/con” (bi-) i quali ci dice il poeta – si veda L’Arca della creazione, verso n. 1- naviga
l’Arca. In due occasioni si menziona qui l’ispirazione (ûhiya, wahy). A quello allude Ibn cArabî quando usa nel
testo il verbo alqà, “far andare”, “tirare”, quando dice “finché i venti/lo spirito (arwâh) della provvidenza la
faranno andare…” (alqat-hâ). Questa forma si usa anche per riferirsi al disposto (ilqâ‘) della divina ispirazione
(wahy/ilhâm). Ibn cArabî rafforza e rende più esplicita questa allusione usando, al posto di aryâh, ‘venti’,
l’ambivalente plurale arwâh, ‘venti’ (sing. rûh), ma anche ‘spirito’ (sing. rûh). L’impiego di alqà connota
intensità, un carattere subitaneo e veloce dell’azione, forse affine alla drammaticità dell’episodio della
separazione di Noé da uno dei suoi figli nel diluvio (C. 11:42-44): gli spiriti [dei Nomi] spingono la nave fino a
“tirarla” dalla dimensione dello sforzo a quello della contemplazione ispirata. In C. 11:44, si racconta che,
quando l’acqua fu assorbita, la nave si “mise nel el-Jûdî”, probabilmente – secondo J. Cortés – la più alta
montagna dell’Arabia. Si vedano i riferimenti a questo monte in un hadîth raccolto da Ibn Hanbal (2:36). Il nome del monte Jûdî evoca la generosità divina (Jûd).
110 Bahr al-igtirâr. Il termine igtirâr significa ‘negligenza’, ‘essere sedotto ed ingannato dall’illusione’, e
denota anche l’inesperienza e la disattenzione propria alla gioventù (garâra), così come il ‘rischio’ ed il
‘pericolo’ (garar). L’autore allude con questo termine al passo: “…Noè chiamò suo figlio, che era rimasto in
disparte: “Figlio mio, sali insieme con noi, non rimanere con i miscredenti”. Rispose: “Mi rifugerò su un monte
che mi proteggerà dall’acqua”. Disse [Noè]: “Oggi non c’è nessun riparo contro il decreto di Allâh, eccetto [per]
colui che gode della [Sua] misericordia. Si frapposero le onde tra i due e fu tra gli annegati” (C. 11:42-43).
111 Wa-salimat. Allusione a C.11:44 e 11:48 (…”Noé! Sbarca con la pace (bi-salâm) che ti è venuta da
Noi…”).
112 Questo vocabolo rimanda al dominio dell’altreità (ndt) (gayr).
113 Let. ‘lamina’, ‘foglia’ (raqîqa). Il testo del prof. Beneito riporta: “ .. cuaderno [de bitácora]” che è
stato reso nella traduzione con “diario di bordo” (ndt).
114 Talvolta allusione a C. 11:45, in cui “Noé invocó il suo Signore…”. Nel versetto 11:49 si produce una
coincidenza formale che realizza l’inter-referenza lessicale tra il nome di Noé (Nûh) e l’ispirazione profetica
(wahy) – di radice lessicale similare -: “Queste sono alcune delle notizie dell’occulto che Noi ti riveliamo (nûhîhâ)…”.
V. anche supra nota 110.
115 Cosa è che fa meravigliare della sua composizione l’autore stesso tanto da considerarla straordinaria
(cajîb)? Talvolta possono essere la densità e la sottigliezza allusiva dei suoi versi, la forza espressiva del
racconto, il ritmo e l’adattamento della sua immaginazione al gergo marinaro (ndt), o talvolta può essere la
perplessità che desta il racconto di un’esperienza di estinzione (fanâ‘) e sussistenza (fanâ‘) nell’incontro con
l’Amato.
116 V. anche Dîwân, p. 2.
117 Ossia, quando lo spirito si rivela nel cuore (fu’âd), l’io personale legato alla coscienza fisica ordinaria
scompare, proprio come si dilegua una stella all’alzarsi del sole.
118 La radice del verbo jâla – ‘dare una svolta’, ‘circolare’, ‘viaggiare’- evoca l’idea del viaggio (_awla
significa ‘periplo’) e, per similitudine lessicale, la nozione di ‘teofania’ (tajallî). La parola qalb, ‘cuore’
significa anche ‘inversione’ e ‘fluttuazione’ (taqallub). Il versetto implica che il cuore ‘si dia la svolta’ verso
l’Occulto e circoli come la nave circolare in un viaggio di circonvoluzione. Dice letteralmente ‘a causa del
segreto del mio Signore’, come a dire, ‘il Signore di Ibn cArabî’, il Signore personale -la manifestazione
privativa del Signore – che dirige la sua naturalezza originale e la sua esistenza.
119 Il contemplativo viaggia dal Mondo Visibile (câlam al-shahâda) al Mondo dell’Occulto (câlam al-gayb).
In questo viaggio si “assenta” dal suo corpo fisico, ma appare presente in ispirito.
120 Si usa qui il termine markab. Allusione a C. 11:41. Il verso dice letteralmente “da una nave (markab)
del (grado più) elevato della mia risoluzione (cazm)”. Questa alta determinazione interna corrisponde
all’aspirazione spirituale (himma) del pellegrino. Qui la nave è la propria forza interiore di aspirazione.
121 La meditazione appoggiata alla facoltà razionale (fikr) appare in questa fase del viaggio come una forza
propulsiva della nave. V. supra nota 103. Il vocabolo lujja,qui reso come ‘alto mare’, si usa nel Corano come
aggettivo nell’espressione ‘mare profondo’ (bahr lujjî): “O come tenebre in un mare profondo (lujja), coperto da
onde […] Se si tira fuori la mano, la si distingue appena […]” (C. 24:40). Appare anche in un episodio relativo
alla visita di Bilqîs davanti a Salomone, in cui denota un’impressione di profondità e sta in relazione,
nuovamente, con la difficoltà di percezione: “Le si disse [alla regina]: “Entra nel palazzo!” Quando ella lo vide,
credette che fosse un stagno di acqua (lujja)…” (C. 27:44). In realtà si trattava di un palazzo con pavimento di
cristallo. Quest’illusione causò tale effetto sulla regina che, scoprendo il proprio errore, affermò nello stesso
versetto: “Come Salomone, mi sottometto a Dio”. In questa profondità marina – torbido specchio del cielo -, il
sapere è nascosto: si rivelerà nitidamente solamente nell’ascensione.
122 Questo verso incide sul carattere personale del viaggio: è l’ardente desiderio (shawq) del viaggiatore che
spiega al massimo (ndt) le vele. La parola sahm – qui ‘freccia’- sarà usato anche due versi più avanti (v. nota
infra). L’immagine allude alla sospensione delle ordinarie condizioni spazio-temporali.
123 Ossia, concede che, nella distribuzione dei lotti, la fortuna mi conceda di raggiungere l’amore divino
originale. Nel gioco pre-islamico di tirare a sorte con le frecce (maysir), si chiama darîb la terza freccia (qidh),
alla quale corrisponde un premio o un trofeo (gunm) fatto di tre parti o lotti (nasîb) in caso di vittoria. Darîb si
chiama anche la nasîb, ‘lotto’ o ‘parte’. (Cf. Lisân al-carab). Il verso dice idrib lî… bi-sahm: l’espressione
daraba bi-sahm – che letteralmente potrebbe intendersi come ‘raggiungere con una freccia’-, quindi come la sua
variante daraba bi-nasîb, significa ‘vincere il gioco’. Il plurale majestatis – c’è nel verso un forte stacco,
quantunque non insolito nella poesia, dal singolare al plurale – potrebbe alludere, come suggerisce in altri
contesti lo stile interpretativo dell’autore stesso, alla pluralità delle presenze dei nomi divini.
124 Il termine mihrajân, di origine persiana, si usa nel senso di ‘grande celebrazione’, anche se
etimologicamente si compone di due parole mihr, ‘amore’ e jân, ‘spirito’, di modo che, implicitamente, allude
all’amore spirituale.
125 Qui il termine ‘trofeo’ (gunm) – tradotto per ‘trionfo’- rimanda anche al gioco di sfidare la sorte (v. nota
124 supra). Intendendo, che esso ha qui il senso di ‘apoteosi’.
126 Secondo l’edizione caraja bî, ossia – spiega Su‘ad Hakîm (Isrâ‘, p. 73, nota 120)- “mi fece ascendere il
Messaggero dell’Accordo”. Io preferisco leggere curija bî: “mi si fece ascendere”.
127 Con questa separazione dall’elemento acqua si completa il suo processo di separazione dai quattro
elementi della sua costituzione elementare, giacché previamente il pellegrino si è separato dall’elemento terra
(cap. 2) e dall’aria e dal fuoco (cap. 5).
128 Non si tratta di ore di uguale durata. In questa divisione delle ore, dodici corrispondono al giorno e altre
dodici alla notte. L’estensione delle ore è dunque variabile e dipende dalla durata del giorno compreso tra i
crepuscoli.
129 L’autore impiega il verbo jarà che significa ‘fluire’.
130 Ossia, procedente dal Signore, il cui dominio implica la dualità della relazione servo-Signore.
131 Si tratta di conformarsi ai misteri della rivelazione.
132 Let. ‘in essenza’.
133 Termine che in grammatica significa ‘unire copulativamente’ e che implica ‘simpatia’, ‘inclinazione
(reciproca)’, ‘piega’ e ‘copertura’.
134 Let. ‘le seconde parti (acjâz) alle prime (sudûr)’. Ambo i termini possono riferirsi, per esempio, ai due
emistachi di un verso. Queste parti – anteriore e posteriore – che ‘s’inclinano’ fino alla seguente, unendosi ad
ella oppure ‘si piegano’ (vale a dire, si corrispondono simmetricamente), corrispondono ad ogni posizione o
unità relativa nei diagrammi che rappresentano le modalità del tempo, con riferimento all’anteriorità o alla
posteriorità: dato che sono le frecce che rappresentano il movimento di un giorno verso l’altro, come le
simmetrie stabilite, per esempio, nella rappresentazione della notte e del suo corrispondente giorno nel tempo
intessuto. L’edizione di Dâr Sâdir vocalizza icjâz.
135 Il termine shakl, qui ‘analogia’ o ‘somiglianza formale’, può designare un modello o forma geometrica
ed una formazione, immagine o apparenza in generale.
136 C. 36:39. Ossia, fino a che inizia la sua fase crescente.
137 C. 7:29.
138 C. 56:62. Nel versetto precedente si usa il verbo nasha’a. In questa il nome di azione della stessa radice:
nash’a. S’intende dall’associazione di questi versetti in questo contesto che l’uomo ha avuto conoscenza della
sua prima costituzione (al-nash’a al-âlà) e ad essa ritorna in un movimento circolare.
139 Come si è commentato, questo poema s’incontra anche nell’opera Mawâqi c al-nujûm (ed. El Cairo, p.
21), dove l’autore aggiunge gli ultimi tre versi, la cui traduzione ho incluso qui. Il metro del poema è sarîc. Sui
manoscritti consultati per la traduzione, v. nota 73 supra. I motivi del testo si capiscono meglio con riferimento
al diagramma che, come si è indicato, costituisce il fondo di tutto il poema.
140 Let. ‘sulla cui acqua’. Allusione a C. 11:7, il cui testo dice: “Egli è Chi ha creato i cieli e la terra in sei
giorni, stando il Suo Trono sopra l’acqua, col fine di provare quale di voi stia operando meglio (camal)”.
141 L’autore usa lo stesso verbo (di radice S-B-H) usato in due occasioni nel Corano per riferirsi alla
“navigazione” degli astri nelle sue orbite o “percorso” della notte e del giorno (V. C. 21:33 y 36:40). La radice
S-B-H significa in forma seconda -profusamente usata nel Corano- ‘glorificazione’ o ‘esaltazione’ di Dio
(tasbîh). Questa navigazione spirituale è quindi glorificazione di Dio.
142 Il testo coranico che serve da referente principale del poema è il passo C. 11:37-42, dove si tratta
dell’Arca di Noé, e si usa il termine fulk, impiegato dopo nel verso numero 10. Di fatto, anche in questo poema
– come prima in Altamarea – si usano i tre termini coranici che designano l’Arca: fulk, markab e safîna.
“Quando giunse il Nostro Decreto e il forno buttò fuori , dicemmo: “Fai salire una coppia per ogni specie e la
tua famiglia, eccetto colui del quale è già stata decisa la sorte , e coloro che credono”. Coloro che avevano
creduto insieme con lui erano veramente pochi.” (C. 11:40-42). Relativamente a questo verso e alla sua
corrispondenza con il diagramma circolare, s’intenda che il navigare con i Suoi nomi divini – intesi come
passeggeri, coppie di opposti complementari imbarcati nell’Arca – potrebbe anche essere visto come ‘circolare
attraverso i Suoi nomi (jarà bi-)’ – i Nomi contenuti nel cerchio che rappresenta l’Arca -, oppure anche come
‘navigare nei Suoi nomi’: “nel nome di Allâh… al-Gafîr, al-Rahîm” (C.11:41). Si osservi che nel menzionare
questi nomi, si può scorgervi un’allusione all’Arca come velo (g-f-r) o matrice (rahim).
143 Il poeta impiega il termine markab che rimanda, principalmente, all’imperativo usato nel C. 11:41
(irkabû). Il verso dice che questa imbarcazione è dâ‘ir, ovvero, ‘circolare’. Qui le allusioni al cerchio
dell’esistenza (dâ‘irat al-wujûd) si moltiplicano, dato che dâ‘ir non significa solo ‘di forma circolare’, bensì
anche ‘che circola’, ‘che gira’, ‘circondante’ e, in questo contesto, ‘circumnavigante’. Potrebbe tradursi
solamente: ‘Che prodigio di nave circolando…!’. Nonostante tutto, al fine di mostrare la sua polivalenza e senza
ridurre l’immagine a una sola delle sue possibilità, questi sensi sono stati riportati nella traduzione. Altra
possibile traduzione sarebbe stata: “Che prodigio di nave [che circonda navigando con rotta verso] il circolare!”
144 Let. ‘nei cui interni [interiori] (ahshâ‘) fu depositata (radice w-d-c) la creazione (khalq)’. Così si legge
nell’edizione del K. Ayyâm al-sha’n e nei tre manoscritti consultati del Mawâqic al-nujûm (v. Yusuf Agha
5001/fol. 21a; Şehit Ali 1351/7b-8a; Beyazid 3750/20b). Nell’edizione disponibile del Mawâqic si legge al-haqq (la verità., la realtà) – lettura possibile, ma a giudicare dai mss. erronea – al posto di al-khalq (la
creazione). Allusione al deposito (amâna) affidato da Dio (al-Haqq) alla sua creatura (khalq) per eccellenza,
l’essere umano. Si può anche intendere che l’Arca contenga tanto la creazione – le coppie dei complementari nel
dominio della molteplicità, sia in sintesi, microcosmo umano, o come dispiegata nel macrocosmo – come la
verità, ossia, la rivelazione, il segreto della divina Unicità.
145 In Ayyâm e nei tre manoscritti del Mawâqic consultati (v. nota precedente) si legge al-gayb,
‘l’invisibile’, ‘l’occulto’, ‘il non-manifestato’. Nell’edizione egiziana del Mawâqic si legge al-layl, ‘la notte’, al
posto di al-gayb, di modo che si potrebbe anche tradurre: ‘nelle oscure brume della notte’. Ambo i termini
significano in qualunque caso ‘occultazione’.
146 In arabo yasbahu, della stessa radice lessicale di tasbîh, ‘glorificazione (di Dio)’, è lo stesso verbo usato
al plurale nei già citati versetti C. 21:33 e 36:40 trattando del vocabolo falak. Si veda supra nota 63. Il termine
allude quindi all’Arca nella sua dimensione cosmologica e intanto che cuore del servo dove ha luogo la
permanente ‘glorificazione’ di Dio.
147 Allusione a C. 11:42 dove si usa il medesimo termine (mawj).
148 Onde e stati corrispondono, in relazione al diagramma del ‘Cerchio dell’esistenza’ o ‘Arca di Noé’, ai
successivi segmenti che dividono il cerchio in ventotto gradi e, in particolare, agli stati legati ai rispettivi Nomi
divini. V. anche supra nota 104.
149 Si può tradurre anche ‘di quanti sono portati dall’amore per Lui’. Letteralmente dice ‘gli stati dei quali lo
amano perdutamente (cushshâq)’. Si veda il commento di Ibn cArabî al termine cishq, l’amore avvolgente e
accecante, in P. Beneito, “La dottrina dell’amore in Ibn cArabî”, ANALES DEL SEMINARIO DE HISTORIA DE
LA FILOSOFÍA, nº. 18 (2001), UCM, Madrid, p. 68.
150 La parola rîh (vento) è della stessa radice di rûh (spirito) ed il termine anfâs (en singular nafas, ‘alito’) è
della stessa radice di nafs (anima).
151 Queste notizie divine (anbâ‘), che sono le rivelazioni o le ispirazioni, corrispondono alle parole dei
profeti, amanti e congiunti, associate ai ventotto gradi del cerchio dell’esistenza. Si vedano le corrispondenze
tra le lettere e i profeti nel grafico elaborato da cAbd al-Bâqî Miftâh, op. cit., pp. 61-62. Gli aliti (anfâs) delle
divine notizie (anbâ‘)’ sono anche ‘gli spiriti (anfus) dei Profeti (anbiyâ‘)’. V. nota supra.
152 Il vocabolo usato è sâ‘ir (che va, viaggia o circola) della stessa radice di sayyâra, ‘pianeta’ (che gira
nella sua orbita), la quale è in relazione con la radice di isrâ‘ (s-r-y, con le stesse tre lettere), ‘il viaggio
notturno’ dell’ascensione di Muhammad. Questa relazione di s-y-r e s-r-y si osserva spesso nei testi di Ibn
cArabî (v. Ad esempio Dîwân, ed. Bombay, p. 4.
153 Il poema dice che questa nave (markab), viaggia (sâ‘ir) attraverso la creazione (bi-l-warà). Il termine
warà designa la creazione (al-khalq) con tutta l’ambivalenza del termine, riferito tanto al cosmo, come a tutte le
creature o all’essere umano in particolare. Inoltre nella stessa radice incontriamo vari termini relativi
all’occultazione e alla dissimulazione (tawriya, muwârâ). Dovuto a questo e anche al fatto che l’autore usa la
particella condizionale law – che implica che la realizzazione dell’azione sia improbabile (dato che solo gli
gnostici raggiungono a contemplare la visione descritta)- si è preferito nella traduzione la parola ‘segretamente’.
154 Let. ‘dalla alif dello scritto (khatt) fino alla yâ‘. Il termine khatt ‘tracciato’, significa sia ‘linea’ che
‘grafía’: voglio dire che si tratta qui di un’allusione al tracciato del cerchio dell’esistenza che comprende i
ventotto gradi corrispondenti alle ventotto lettere, la cui linea va, pertanto, dalla alif alla yâ’ dell’alfabeto arabo,
dall’alfa fino all’omega nel disegno della circonferenza. Nonostante tutto, qui sembra opportuno tradurre ‘dalla
alif alla yâ’ della scrittura (khatt)’, che allude al Corano e all’Arca come scrittura.
155 Vediamo che l’autore descrive questo viaggio circolare come una partenza costante, un’incessante
processione del principio, un viaggio che sta sempre attualizzando l’inizio del viaggio, originandosi ad ogni
istante, il viaggio di ritorno – ma senza ritorno – dell’eternità.
156 La divina Saggezza (hikma) circola (sayyâra) sulla nave (fulk) [v. supra nota 153]. Si osservi il
parallelismo con l’espressione ‘un pianeta (sayyâra) circola nell’orbita della sua sfera (falak)’.
157 Il termine usato in arabo è sha’n. Let. ‘e chi è giunto a desiderare la sua attività (sha’n)’. Ovvero, chi
anela la verità che realizza l’operazione trasformante e salvifica dell’Arca.
158 Ibn cArabî usa il vocabolo sâsî (sic, ndt)nel Dîwân al-macârif (v. p. 12) con il significato di Polo
spirituale (qutb). Prima del poema, nel testo del Mawâqic, l’autore usa il termine sâ‘is (governante). Il Polo
spirituale del tempo è il timone che governa l’Arca dell’esistenza.
159 Let. ‘fino a che vede in se stesso [o nella sua anima] (nafs) la sua Arca (fulk)’. V. Ibn Hanbal, 5:220-222.
160 Si presti attenzione al fatto che il termine sha’n mantiene una relazione con il termine sanca, usato per
designare l’Opera alchemica. SHa’n va inteso anche come opera : Ayyâm al-sha’n, il trattato sulle operazioni dei
giorni della settimana in cui si cita questo poema è, di fatto, un trattato sull’alchimia del tempo oppure sul tempo
come processo alchemico. Nel versetto in cui Dio dice a Noé: “Costruisci l’Arca sotto i Nostri occhi e secondo
la Nostra rivelazione. Non parlarMi a favore degli ingiusti: in verità saranno annegati ”. (C. 11:37)”, si usa
l’imperativo della stessa radice lessicale anca. Si veda anche il riferimento all’atanor nella nota 143 supra.
161 Nel contesto della logovisione akbariana, qui si può interpretare i numeri come ‘lettere’, dato che ad ogni
consonante corisponde un valore numerico da uno (alif) a mille (gayn), e i movimenti come delle ‘vocali’
(harakât). Questa nave cosmica è anche, come già si è suggerito, l’Arca della Parola.

IL MOTIVO DEL MARKAB (MERKAVA) NEL SUFISMOultima modifica: 2009-09-27T16:08:00+02:00da mikeplato
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