LA DOTTRINA DELL’ANIMA NELLA CABALA

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COMUNICAZIONE FATTA ALLA SOCIETÀ PSICOLOGICA DI MONACO DI BAVIERA NELLA SEDUTA DEL 5 MARZO 1887, DA CARL GRAF ZU LEININGEN

Traduzione e revisione di Dario Chioli

da http://www.superzeko.net/tradition/CarlZuLeiningenLaDottrinaDellAnimaNellaQabbalah.html

 

Tra tutte le questioni di cui si occupa la filosofia in quanto scienza esatta, (Che la filosofia sia addirittura una scienza esatta mi pare una pretesa francamente difficile da accogliere) quella della nostra propria essenza, dell’immortalità e della spiritualità del nostro Io interno, non ha mai smesso di preoccupare l’umanità. Ovunque ed in ogni tempo i sistemi e le dottrine su tale soggetto si sono rapidamente succedute, varie e contraddittorie,  e la parola “Anima” è servita a designare le forme d’esistenze ovvero le sfumature d’esseri più varie. Di tutte queste dottrine antagoniste, è, senza discussione, la più antica — la filosofia trascendente degli Ebrei — la Qabbalàh (Abbiamo adottato questa ortografia in quanto unica soluzione autentica di tutti i dubbi tra le forme veramente fantasiose proposte finora per tale parola, come Cabbala, Cabala, Kabbala, Kabbalah, ecc… È una parola ebraica che si compone delle consonanti Q, B, L et H. Quest’ortografia è stata anche introdotta recentemente nella letteratura inglese da Mathers nella sua  Kabbala denudata apparsa poco tempo fa presso George Redway, a Londra) ad essere anche la più prossima forse alla verità. Trasmessa oralmente — come indica il nome — (cabala-qbl in ebraico significa “ricevere”) essa risale fino alla culla della specie umana e, pertanto, è forse ancora in parte il prodotto di questa intelligenza non ancor turbata, di quest’ingegno penetrante per la verità che, secondo l’antica tradizione, l’uomo possedeva nel suo stato originario. Se ammettiamo la natura umana come un tutto complesso, vi troviamo, secondo la Qabbalàh, tre parti ben distinte: il corpo, l’anima e lo spirito. Esse si differenziano tra loro come il concreto, il particolare e il generale, in tal modo che l’una è il riflesso dell’altra, e che ciascuna di loro mostra anche in se stessa questa triplice distinzione. Quindi una nuova analisi di queste tre parti fondamentali vi distingue altre sfumature che s’innalzano successivamente le une sulle altre dalle parti più profonde, più concrete, più materiali, il corpo esterno, fino alle più elevate, alle più generali, alle più spirituali.La prima parte fondamentale, il corpo, con il principio vitale, che comprende le prime tre suddivisioni, porta nella Qabbalàh il nome di Nèfesh; la seconda, l’anima, sede della volontà, che costituisce propriamente la personalità umana, e racchiude le tre suddivisioni seguenti, si chiama Rùach; la terza, lo spirito con le sue tre potenze, riceve nella Qabbalàh il nome di  Neshamàh. ( Queste parole sono in ebraico così composte: NPSh – RWCh – NShMH). Come abbiamo già sottolineato, queste tre parti fondamentali dell’uomo non sono completamente distinte e separate, bisogna al contrario rappresentarsele come trascorrenti l’una nell’altra a poco a poco come i colori dello spettro che, benché successivi, non possono distinguersi completamente essendo come fusi l’uno nell’altro. A partire dal corpo, vale a dire dalla potenza più infima di Nèfesh, risalendo attraverso l’anima — Rùach — fino al più alto grado dello spirito — Neshamàh — si trovano tutte le gradazioni, come si passa dall’ombra alla luce attraverso la penombra; e reciprocamente, dalle parti più elevate dello spirito fino a quelle fisiche più materiali, si percorrono tutte le sfumature di radiazione, come si passa dalla luce all’oscurità attraverso il crepuscolo. — E, al di sopra di tutto, grazie a quest’unione interiore, a questa fusione delle parti l’una nell’altra, il numero Nove si perde nell’Unità per produrre l’uomo, spirito corporeo, che unisce in sé i due mondi.Se ora cerchiamo di rappresentare questa dottrina con uno schema, otteniamo la figura seguente: Il cerchio a, a, a, designa Nèfesh, et 1, 2, 3 sono le sue suddivisioni; tra di esse, 1, corrisponde al corpo, come alla parte più bassa, più materiale nell’uomo. — b, b, b, è  Rùach (l’anima) e 4, 5, 6 sono le sue potenze. — Infine c, c, c, è Neshamàh (lo spirito) con i gradi della sua essenza, 7, 8, 9). Quanto al cerchio esteriore 10, esso rappresenta l’insieme dell’essere umano vivente. Consideriamo ora più da vicino queste differenti parti fondamentali, cominciando da quella del grado inferiore, NÈFESH. È il principio della vita, ovvero forma d’esistenza concreta, costituisce la parte esterna dell’uomo vivente; ciò che principalmente vi domina è la sensibilità passiva per il mondo esteriore; di contro, l’attività ideale vi si trova al minimo. — Nèfesh è direttamente in relazione con gli esseri concreti che le sono esteriori, e non è se non attraverso la loro influenza ch’essa produce una manifestazione vitale. Ma nello stesso tempo, essa lavora anche al mondo esteriore, grazie alla sua potenza creatrice propria, facendo emergere dalla sua esistenza concreta nuove forze vitali, rendendo così senza sosta ciò che riceve. — Questo grado concreto costituisce un tutto perfetto, completo in se stesso e nel quale l’essere umano trova la propria esatta rappresentazione esteriore. — Presa come un tutto perfetto, in se stessa, questa vita concreta comprende egualmente tre gradi, che stanno tra di loro come il concreto, il particolare ed il generale  o come la materia effettuata, la forza effettuante e il principio,e che allo stesso tempo sono gli organi in cui e attraverso cui l’interno, lo spirituale opera e si manifesta esteriormente. Questi tre gradi sono dunque sempre più elevati ed interiori, ed ognuno di essi racchiude in sé sfumature differenti. Le tre potenze di Nèfesh in questione sono disposte ed agiscono assolutamente nel modo che sarà fra poco esposto per le tre suddivisioni di Rùach.Questo secondo elemento dell’essere umano, RÙACH (l’anima), non è così sensibile come Nèfesh alle influenze del mondo esteriore; la passività et l’attività vi si trovano in proporzioni uguali; esso consiste piuttosto in un essere interno, ideale, nel quale tutto ciò che la vita corporea  concreta manifesta esteriormente come quantitativo e materiale, si ritrova interiormente allo stato virtuale. Questo secondo elemento umano oscilla dunque tra l’attività e la passività, ovvero l’interiorità e l’esteriorità; nella sua molteplicità oggettiva, non appare chiaramente né come qualcosa di reale, passivo ed esteriore, né come qualcosa d’interiore, intellettuale ed attivo; ma come qualcosa di mutevole, che dal di dentro al di fuori si manifesta come attivo benché passivo: ovvero come donante, benché di natura ricettiva. Così l’intuizione e la concezione non coincidono esattamente nell’anima, benché esse non vi siano abbastanza nettamente separate da non fondersi agevolmente l’una nell’altra. Il modo d’esistenza di ogni essere dipende esclusivamente dal grado più o meno elevato della sua coesione con la natura, e dall’attività o dalla passività più o meno grande che ne è la conseguenza; l’appercezione dell’essere è in proporzione della sua attività. Più un essere è attivo, più è elevato, e più gli è possibile esaminare nelle profondità intime dell’essere. Questa Rùach, composta di forze che sono alla base dell’essere materiale oggettivo, gode ancora della proprietà di distinguersi da tutte le altre parti come un individuo speciale, di disporre di se stessa e di manifestarsi al di fuori con un’azione libera e volontaria. Questa “anima” che rappresenta egualmente il trono e l’organo dello spirito, è anche l’immagine dell’uomo intiero, come abbiamo detto; allo stesso modo di Nèfesh, essa si compone di tre gradi dinamici che sono, l’uno in rapporto all’altro, come il Concreto, il Particolare e il Generale, o come la materia agita, la forza agente e il principio: di tal sorta che un’affinità esiste non solamente tra il concreto in Rùach che è il suo grado più basso e più esteriore (il cerchio 4 dello schema), e il generale in Nèfesh, che forma la sua sfera più alta (cerchio 3), ma anche tra il generale in Ruach (cerchio 6) e il concreto nello spirito (cerchio 7).Nel tempo stesso che Rùach, come Nèfesh, racchiude tre gradi dinamici, questi hanno i loro tre corrispondenti nel mondo esteriore, come apparirà più chiaramente per mezzo del confronto tra Macrocosmo e Microcosmo. Ogni forma d’esistenza particolare nell’uomo vive della sua propria vita nella sfera del mondo che le corrisponde, con cui essa è in un rapporto di continui scambi, dando e ricevendo, per mezzo dei suoi sensi e dei suoi speciali organi interni. Inoltre, questa Rùach, in ragione della sua parte concreta, ha bisogno di comunicare con il concreto che è al di sotto di essa, allo stesso modo che la sua parte generale le conferisce una tendenza verso le parti generali che le sono superiori. Nèfesh non potrebbe ricollegarsi a Rùach se non vi fosse così qualche affinità tra di loro, non più di quanto Rùach non si ricollegherebbe a Nèfesh e a Neshamàh se non vi fosse tra di loro qualche parentela. Così l’anima attinge da una parte nel concreto che la precede la pienezza della sua propria realtà oggettiva, e d’altra parte nel generale che la domina l’interiorità pura, l’Idealità che si costituisce essa stessa nella sua attività indipendente. Rùach è dunque il legame tra il Generale o Spirituale, e il Concreto o Materiale, unendo nell’uomo il mondo interno intelligibile con il mondo esterno reale; è ad un tempo il supporto e la sede della personalità umana. L’anima si trova in tal modo in un doppio rapporto con i suoi tre oggetti, vale a dire: 1° con il concreto, che è al di sotto di essa; 2° con il particolare che risponde alla sua natura ed è al di fuori di essa; 3° con il generale che è al di sopra di essa. Si attua in essa, in due sensi contrari, una circolazione delle tre correnti mescolate, perché: 1° è eccitata da Nèfesh che ne è al di sotto e a sua volta agisce su Nèfesh ispirandola; 2° si comporta egualmente attivamente e passivamente con l’esteriore corrispondente alla propria natura, vale a dire il Particolare; 3° e questa influenza ch’essa trasforma nel suo seno dopo averla ricevuta o dal basso o dal di fuori, le dà la potenza di elevarsi abbastanza per andare a stimolare Neshamàh nelle regioni superiori. Mediante questa operazione attiva, le facoltà superiori eccitate producono un’influenza vitale più elevata, più spirituale, che l’anima, riprendendo il proprio ruolo passivo, riceve per trasmetterla al di fuori o al di sotto di essa. Così, benché Rùach abbia una forma d’esistenza particolare, sia un essere d’una consistenza propria, non è meno vero che il primo impulso della sua attività vitale le viene dall’eccitazione del corpo concreto che le è inferiore. Ed allo stesso modo che il corpo, per via di uno scambio di azioni e reazioni con l’anima, ne è, grazie alla sua impressionabilità, penetrato, in tanto che essa diviene come partecipe del corpo; egualmente l’anima, per via della sua unione con lo Spirito, ne è riempita ed ispirata.La terza parte fondamentale dell’essere umano, NESHAMÀH, può essere designata con la parola Spirito, nel senso in cui è usata nel Nuovo Testamento. In essa, la sensibilità passiva verso la natura del di fuori non si ritrova più; l’attività domina la ricettività. Lo spirito vive della sua propria vita, e soltanto per il Generale ovvero per il mondo spirituale con il quale si trova in rapporto costante. Tuttavia, come Rùach, Neshamàh non ha soltanto bisogno, in ragione della propria natura ideale, del Generale assoluto o Infinito divino; ha anche necessità, a causa della sua natura reale, di qualche relazione con il particolare e il concreto che sono al di sotto di essa, ed essa si sente attratta verso i due.Anche lo Spirito è in un duplice rapporto con il suo triplice oggetto, verso il basso, verso l’esteriore e verso l’alto, si produce dunque ancora in esso, in due sensi contrari, una triplice corrente intrecciata del tutto simile a quella descritta più su per Rùach. — Neshamàh è un essere puramente interiore, ma anche passivo ed attivo e a un tempo, di cui Nèfesh,con il suo principio vitale e il suo corpo, Rùach con le sue forze, rappresentano un’immagine esteriore. Ciò che vi è di quantitativo in Nèfesh e di qualitativo in Rùach, viene dallo spirito — Neshamàh — puramente interiore ed ideale.Ora, allo stesso modo che Nèfesh e Rùach racchiudono tre gradi differenti d’esistenza, o potenzialità di spiritualizzazione, in modo tale che ognuna di esse è un’immagine in piccolo dell’essere umano intero (vedere lo schema), egualmente la Qabbalàh distingue tre gradi anche in Neshamàh.È particolarmente a quest’elemento superiore che si applica quanto è stato detto al principio, che le diverse forme d’esistenza della costituzione umana non sono esseri distinti, isolati, separati, ma ch’essi sono, al contrario, intrecciati gli uni negli altri; perché qui tutto si spiritualizza sempre più, tende sempre più verso l’unità. Delle tre forme superiori d’esistenza dell’uomo che sono riunite, nella più ampia accezione della parola Neshamàh, la più inferiore può designarsi come la Neshamàh propriamente detta. Quella ha ancora almeno qualche parentela con gli elementi superiori di Rùach; essa consiste in una conoscenza interiore ed attiva del qualificativo e del quantitativo che ne sono al di sotto.  — La seconda potenza di Neshamàh, che è l’ottavo elemento  nell’uomo, è chiamata dalla Qabbalàh Chayyàh. La sua essenza consiste nella conoscenza della forza interna superiore, intelligibile, che serve di base all’essere oggettivo manifestato e che, di conseguenza, non può essere percepita né da Rùach né da Nèfesh e non potrebbe essere riconosciuta da Neshamàh propriamente detta. — La terza potenza di Neshamàh, il nono elemento – e il più elevato – nell’uomo, è Yechidàh (vale a dire l’Unità in se stessa), la sua essenza propria consiste nella conoscenza dell’Unità fondamentale assoluta di tutte le varietà, dell’Uno assoluto originario. ( Le parole Chayyàh e Yechidàh sono in ebraico così composte: ChYH – YChYDH) Ora, questa relazione accennata fin dal principio, di Concreto, Particolare e Generale, che ricollega Nèfesh, Rùach et Neshamàh, di tal sorta che ciascuna offre l’immagine del tutto, viene a ritrovarsi nel riepilogare tutta questa esposizione: Primo grado di Nèfesh, il corpo — il concreto nel concreto; secondo grado, il particolare nel concreto; terzo, il generale nel concreto. Allo stesso modo in Rùach: prima potenza, il concreto nel particolare; seconda, il particolare nel particolare; terza, il generale nel particolare. Infine, in Neshamàh, primo grado, il concreto nel generale; secondo grado (Chayyàh), il particolare nel generale; terzo (Yechidàh), il generale nel generale. È così che si manifestano le diverse attività e le virtù di ciascuno di questi elementi dell’essere.L’anima (Rùach) ha senza dubbio un’esistenza propria, ma è tuttavia incapace di uno sviluppo indipendente senza la partecipazione della vita corporea  (Nèfesh), e si ha la stessa cosa riguardo a  Neshamàh. Inoltre Rùach è con Nèfesh in un duplice rapporto; influenzata da essa, è allo stesso modo rivolta al di fuori per esercitare una libera reazione, in modo che la vita corporea concreta partecipi allo sviluppo dell’anima; succede lo stesso allo spirito in relazione all’anima o a Neshamàh in rapporto a Rùach; attraverso Rùach anch’essa è in duplice rapporto con Nèfesh. Tuttavia, Neshamàh ha inoltre nella propria costituzione la fonte della sua azione, mentre le azioni di Rùach e di Nèfesh non sono che le emanazioni libere e viventi di Neshamàh.Allo stesso modo, Neshamàh si trova in una certa misura in questo stesso duplice rapporto con la Divinità, perché l’attività vitale di Neshamàh è già di per sé uno stimolo per la divinità ad intrattenerla, a procurarle l’influenza necessaria al suo sostentamento. Così lo spirito o Neshamàh, e per suo mezzo Rùach e Nèfesh, vanno ad attingere del tutto involontariamente all’eterna fonte divina, facendo irradiare perpetuamente l’opera della loro vita verso l’alto; mentre la Divinità penetra costantemente in Neshamàh e nella sua sfera per donarle la vita e la durata allo stesso tempo che a Rùach e a Nèfesh.Ora secondo la dottrina della Qabbalàh l’uomo, invece di vivere nella Divinità e di riceverne costantemente la spiritualità di cui necessita, s’è sprofondato sempre più nell’amore di se medesimo e nel mondo del peccato, dal momento in cui dopo “la sua caduta” (vedere Genesi, III, 6-20), ha lasciato il suo centro eterno per la periferia. Questa caduta e l’allontanamento sempre maggiore dalla divinità che ne è risultato hanno avuto per conseguenza una decadenza dei poteri nella natura umana, e nell’umanità tutt’intera. La scintilla divina s’è ritirata sempre più dall’uomo, e Neshamàh ha perso l’unione intima con Dio. Allo stesso modo Rùach s’è allontanata da Neshamàh e Nèfesh ha perso la sua unione intima con Rùach. Attraverso tale decadenza generale e l’allentamento parziale dei legami tra gli elementi, la parte inferiore di Nèfesh, che era originariamente nell’uomo un corpo luminoso etereo, è divenuta il nostro corpo materiale; in tal modo l’uomo è stato assoggettato alla dissoluzione nelle tre parti principali della sua costituzione. Questo viene trattato nella dottrina della Qabbalàh sull’anima durante e dopo la morte.


2. — L’anima nella morte

La morte dell’uomo, secondo la Qabbalàh, non è che il suo passaggio ad una nuova forma d’esistenza. L’uomo è chiamato a ritornare finalmente nel seno di Dio, ma questa riunione non gli è possibile nel suo stato attuale, in ragione della materialità grossolana del suo corpo; questo stato, come anche tutto ciò che vi è di spirituale nell’uomo, deve dunque subire una purificazione necessaria all’ottenimento del grado di spiritualità che la nuova vita richiede.La Qabbalàh distingue due cause che possono recare la morte: la prima consiste in ciò, che la Divinità diminuisce successivamente o sopprime bruscamente la propria influenza continua  su Neshamàh e Rùach in modo che Nèfesh perde la forza per mezzo della quale il corpo materiale è animato, e questo muore. Nel linguaggio del Zòhar, (Il Séfer ha-Zòhar (Libro dello Splendore), elaborato da Moshè ben Shém Tov de León (morto nel 1305) alla fine del tredicesimo secolo, è l’opera centrale e più nota, insieme al Séfer Yetziràh (Libro della Formazione), della letteratura cabalistica) si potrebbe chiamare questo primo genere «la morte dall’alto, o dal di dentro al di fuori». In opposizione a questa, la seconda causa della morte è quella che si potrebbe chiamare «la morte dal basso, o dal di fuori al di dentro». Essa consiste in ciò, che il corpo, forma d’esistenza inferiore ed esteriore, disorganizzandosi sotto l’influenza di qualche disturbo o di qualche lesione, perde la doppia proprietà di ricevere dall’alto l’influenza necessaria e di eccitare Nèfesh, Rùach e Neshamàh al fine di farle discendere a lui. D’altronde, poiché ognuno dei tre gradi d’esistenza dell’uomo ha, nel corpo umano, la sua sede particolare e la sua sfera d’attività corrispondente al grado della sua spiritualità, e poiché si son trovati tutt’e tre legati a questo corpo in differenti periodi della vita (Non è questo il luogo per spiegare come i princìpi spirituali si uniscano alla materia attraverso l’atto della generazione, argomento che la Qabbalàh tratta assai esplicitamente), è anche in momenti differenti, e secondo un ordine inverso, che essi abbandonano il cadavere. Ne risulta che il travaglio della morte si estende per un periodo di tempo assai più lungo di quanto comunemente si pensi..Neshamàh, che ha la sua sede nel cervello e che, nella sua qualità di principio spirituale, superiore, s’è unita per ultima al corpo materiale — questa unione incominciando nell’età della pubertà — Neshamàh è la prima a lasciare il corpo; ordinariamente già prima del momento che noi designiamo col nome di «Morte». Essa non lascia nella sua Merkavàh (Merkavàh (MRKBH) significa propriamente carro, è dunque l’organo, lo strumento, il veicolo attraverso cui  Neshamàh opera) che una illuminazione; perché la personalità dell’uomo può sussistere, come è detto in Asaràh Ma’amaròth, (Opera di Menachem Azariah da Fano (m. 1623)) anche senza la presenza effettiva di Neshamàh. Prima del momento che ci appare come quello della morte, l’essenza dell’uomo è aumentata di una Rùach più elevata donde egli scorge ciò che, nella vita, era celata ai suoi occhi; spesso la sua vista trapassa lo spazio, e può distinguere i suoi amici e parenti defunti. Appena giunge l’istante critico, Rùach si diffonde in tutte le membra del corpo e prende congedo da esse; ne risulta quindi uno scuotimento, l’agonia, spesso assai penoso. Poi tutta l’essenza spirituale dell’uomo si ritira nel cuore e là si mette al riparo dai Mazziqìm (o spiriti malvagi) (Sui mazziqìm (MZYQYM) cfr. Gideon Brecher, L’immortalité des âmes chez les Juifs, 1856?, trad. fr. Isidore Cahen, Parigi, 1857, p. 161: «Infine le anime dei malvagi sono propriamente i dèmoni maligni (Mazziqim), per cui tutto il piacere consiste nell’ingannare gli uomini e far loro del male (Zòhar,cap. Wayyiqra’ e Tiqqunìm); altri si limitano ad errare senza tregua né pace nel mondo (Tanchùm, cap. Wayyiqra’)») che si precipitano sul cadavere, come una colomba inseguita si rifugia nel proprio nido.La separazione di Rùach dal corpo è assai penosa perché Rùach ovvero l’anima vivente fluttua, come dice lo `Etz Chayyìm, (Opera di Chayyim Vital (1543-1620), il principale discepolo di Yitzchaq Luria) fra le alte regioni spirituali, infinite (Neshamàh) e quelle inferiori corporee, concrete (Nèfesh), inclinando ora verso l’una, ora verso l’altra, essa che, in quanto organo della volontà, costituisce la personalità umana. La sua sede è nel cuore; questo è dunque come la radice della vita; è il MLK (Mèlekh, Re), il punto centrale, il collegamento tra il cervello ed il fegato (La Qabbalàh dice: «Nella parola  MLK (Re) il cuore “è come il punto centrale tra il cervello ed il fegato”. Cosa che bisogna interpretare per  mezzo del senso mistico delle lettere; il cervello, Moch (MWCh), è rappresentato dalla prima lettera della parola Mèlekh (MLK); il fegato, Kavéd (KBD) dalla sua ultima lettera, ed infine il cuore, Lév (LB) dalla L, che è nel mezzo (la lettera K alla fine d’una parola diviene K finale)»); e poiché è in quest’organo che l’attività vitale si manifesta all’origine, è anche per suo tramite che termina. Così, al momento della morte Rùach fugge e, secondo l’insegnamento del Talmùd, esce dal cuore attraverso la bocca, nell’ultimo soffio.Il Talmùd distingue novecento specie di morti differenti più o meno dolorose. La più dolce di tutte è quella che vien chiamata il «bacio»; la più penosa è quella in cui il morente prova la sensazione d’una spessa corda di capelli strappata dalla gola.Una volta separata Rùach, l’uomo ci sembra morto; tuttavia Nèfesh abita ancora in lui. Questa, vita corporea del concreto, è nell’uomo l’anima della vita elementare, ed ha la sua sede nel fegato. Nèfesh, che è la potenza spirituale inferiore, possiede ancora una grandissima affinità, e conseguentemente una grande attrazione per il corpo. È il principio che se ne separa per ultimo, com’è stato anche per primo unito alla carne. Frattanto, subito dopo la partenza di Rùach, i Mazziqìm prendono possesso del cadavere (secondo Luria, essi si accavallano fino ad un’altezza di quindici aune [ «àuna sf. [dal fr. aune, e questa dal germ.] antica misura lineare, di vari paesi, uguale a m 1,1884» (Fernando Palazzi, Novissimo Dizionario della Lingua Italiana, Ceschina, Milano, 1962). Yitzchaq Luria (1534-1572) fu, insieme a Moshè ben Ya`aqov Cordovero (1522-1570), il più celebre cabalista di Safed.] sopra di lui); quest’invasione unita alla decomposizione del corpo obbliga ben presto Nèfesh a ritirarsi; essa rimane tuttavia a lungo presso la sua spoglia, per piangerne la perdita. Ordinariamente, non è se non quando sopravviene la putrefazione completa ch’essa s’innalza al di sopra della sfera terrestre. Questa disintegrazione dell’uomo, conseguente alla morte, non è tuttavia una separazione completa; perché ciò che è stato una volta un solo tutto non può disunirsi in senso assoluto; rimane sempre qualche rapporto tra le parti costituenti. Così sussiste un certo legame tra Nèfesh ed il suo corpo, anche già putrefatto. Dopo che questo recipiente materiale,  esteriore, è sparito con le sue forze vitali fisiche, rimane ancora qualcosa del principio spirituale di Nèfesh, qualcosa d’imperituro, che discende fin nella tomba, nelle ossa, come dice il Zòhar; è ciò che la Qabbalàh chiama il soffio delle ossa o lo spirito delle ossa. Questo principio intimo, imperituro, del corpo materiale, che ne conserva completamente la forma e i modi, costituisce il Haval de Garmìn (HBL D GARMYN (caldaico). Garmìn è il plurale di gèrem, “osso”. Haval è lo stesso che l’ebraico hèvel), che noi possiamo tradurre pressappoco con “il corpo della risurrezione” (corpo astrale luminoso).( René Guénon, ne L’erreur spirite, 1923, parte I, cap. 4, contesta – penso a ragione – che si possa tradurre Haval de Garmìn con “corpo di risurrezione” o “corpo astrale”, affermando che, identificandosi con i Mani dei Latini e con l’Ov (‘WB) di Deuteronomio 18, 11, corrisponderebbe a una forma sottile, di apparenza corporea illusoria, al “doppio” insomma degli antichi Egizi). Dopo che le diverse parti costitutive dell’uomo sono state separate dalla morte, ciascuna fa ritorno nella sfera verso cui l’attirano la propria natura e la propria costituzione; ed esse vi sono accompagnate dagli esseri che sono loro somiglianti e che già attorniavano il letto di morte. Giacché nell’Universo intero tutto è in tutto, nascendo, vivendo e morendo secondo una sola ed unica legge, giacché il più piccolo elemento è la riproduzione del più grande, giacché i medesimi princìpi reggono egualmente tutte le creature dalla più infima fino agli esseri più spirituali, alle potenze più elevate, l’Universo intero, che la Qabbalàh chiama  ATZILÙTH e che comprende tutti i gradi dalla materia più grossolana fino alla spiritualità — fino all’Uno — l’Universo si divide in  tre mondi: `ASIYYÀH, YETZIRÀH et BERI’ÀH, ( Queste parole sono così composte in ebraico: ‘.Tz.Y.L.W.T – `.Sin.Y.H – Y.Tz.Y.R.H – B.R.Y.’.H) corrispondenti alle tre divisioni fondamentali dell’uomo: Nèfesh, Rùach e Neshamàh. `Asiyyàh è il mondo dove noi ci muoviamo; tuttavia, ciò che noi percepiamo di questo mondo con i nostri occhi corporei non è che la sfera più inferiore, la più materiale, nello stesso modo che noi non percepiamo con gli organi dei nostri sensi che i princìpi più inferiori, i più materiali dell’uomo: il suo corpo. — La figura sopra riportata è dunque uno schema dell’Universo tanto quanto dell’uomo, perché secondo la dottrina della Qabbalàh, il Microcosmo è assolutamente analogo al Macrocosmo; l’uomo è l’immagine di Dio che si manifesta nell’Universo. Così dunque, il cerchio  a, a, a rappresenta il mondo `Asiyyàh, e 1, 2, 3 sono le sue sfere, corrispondenti a quelle di Nèfesh. b, b, bYetziràh analogo a Rùach, e 4, 5, 6 ne sono le potenze. Infine il cerchio c, c, c raffigura il mondo Beri’àh, le cui sfere 7, 8, 9 attingono, come quelle di Neshamàh, la più alta potenza della vita spirituale. Il cerchio avvolgente, 10, è l’immagine del Tutto di Atzilùth, allo stesso modo che rappresentava anche l’insieme della natura umana. I tre mondi che corrispoondono, secondo la loro natura e il grado della loro spiritualità, ai tre princìpi costitutivi dell’uomo rappresentano anche le differenti dimore di tali princìpi. Il corpo, essendo la forma d’esistenza più materiale dell’uomo, resta nelle sfere inferiori del mondo `Asiyyàh, nella tomba; lo spirito delle ossa resta solo sepolto in lui, costituendo, come abbiamo detto, il Haval de Garmìn. Nella tomba è in uno stato di letargia oscura che, per il giusto, è un dolce sonno; molti passaggi di Daniele, dei Salmi e d’Isaia vi fanno allusione. E poiché il Haval de Garmìn conserva nella tomba una sensazione oscura, il riposo di coloro che dormono di quest’ultimo sonno può essere turbato in ogni sorta di modi. Ecco perché era vietato presso i Giudei seppellire una presso l’altra persone che, durante la vita, fossero state nemiche, o disporre un sant’uomo vicino a un criminale. Si aveva cura, al contrario, di seppellire insieme persone che si fossero amate, perché nella morte questo affetto continuasse ancora. Il più gran turbamento per coloro che dormono nella tomba è l’evocazione; perché, anche allorquando Nèfesh ha lasciato la sepoltura, “lo spirito delle ossa” resta ancora legato al cadavere, e può essere evocato; ma questa evocazione tocca anche Nèfesh, Rùach e Neshamàh. Senza dubbio, queste sono già nelle loro distinte dimore, ma ciò non fa che siano meno unite l’una all’altra sotto taluni rapporti, di modo che ognuna prova ciò che le altre provano. Ecco perché la Sacra Scrittura (Mosè, Deuteronomio 18:11) vietava di evocare i morti (Ed ecco perché, tra altre ragioni, la pratica dello spiritismo è riprovevole). Poiché i nostri sensi materiali non possono percepire che il cerchio più basso, la sfera più inferiore del mondo `Asiyyàh, non vi è dell’uomo che il corpo che sia visibile ai nostri occhi materiali, quello che, anche dopo la morte, resta nel dominio del mondo sensibile; le sfere superiori di `Asiyyàh non sono più percepibili per noi, e nello stesso modo, il Haval de Garmìn sfugge già alla nostra percezione; così dice il Zòhar: «Se fosse permesso ai nostri occhi, potremmo vedere nella notte, quando viene lo Shabbàth, ovvero con la luna nuova, o nei giorni di festa, i Dyuqnìn (gli spettri) (DYWQNYN (caldaico, “immagini”). Johann Buxtorf, Lexicon chaldaicum, talmudicum et rabbinicum, 1639:  «Effigies, Imago. Videtur esse ex  dúo [greco] et eíkon [greco], q. Duplex imago, per se et alterius rei quam refert») levarsi nei sepolcri per lodare e glorificare il Signore». Le sfere superiori del mondo `Asiyyàh servono di dimora a Nèfesh. Lo `Etz Chayyìm dipinge questo soggiorno come il Gan-`Éden inférieur ( Gan-`Éden significa giardino di voluttà. Nel Talmùd e nella Qabbalàh, seguendo il Cantico dei Cantici, 4, 13, è anche chiamato Pardés, o giardino di piacere; donde è venuta la parola Paradiso), «che, nel mondo `Asiyyah, si stende al sud del paese Santo, al di sopra dell’Equatore». Il secondo principio dell’uomo, Rùach, trova nel mondo Yetziràh una dimora appropriata al suo grado di spiritualità. E poiché Rùach, costituendo la personalità propria dell’uomo, è il supporto e la sede della Volontà, è in essa che risiede la forza produttiva e creatrice dell’uomo; così il mondo Yetziràh è, come indica il suo nome ebraico, il mundus formationis, il mondo della formazione. Infine Neshamàh corrisponde al mondo Beri’àh che il Zòhar chiama «il mondo del trono divino», e che racchiude il più alto grado della spiritualità. Allo stesso modo che Nèfesh, Rùach e Neshamàh non sono forme d’esistenza completamente distinte, ma che al contrario esse si deducono progressivamente l’una dall’altra innalzandosi in spiritualità, allo stesso modo le sfere dei diversi mondi s’incatenano l’una nell’altra e s’innalzano dal cerchio più profondo, più materiale, del mondo `Asiyyàh,che è percepibile ai nostri sensi, fino alle potenze più elevate, più immateriali del mondo Beri’àh. Si vede in tal modo chiaramente che, benché Nèfesh, Rùach e Neshamàh trovino ognuna il proprio soggiorno nel mondo che le conviene, esse non restano con ciò meno unite in un solo tutto. È specialmente per mezzo degli Tzèlem (Karl Feyerabend, Langenscheidt’s Pocket Hebrew Dictionary to the Old Testament, 1965, sub voce tzèlem: «image, likeness, idol; shade, phantom, nothingness») che questi rapporti intimi delle parti separate sono resi possibili. Sotto il  nome di “Tzèlem” la Qabbalàh intende la figura, la veste sotto cui i diversi princìpi dell’uomo sussistono, attraverso cui operano. Nèfesh, Rùach et Neshamàh, anche dopo che la morte ha distrutto il loro involucro corporeo esteriore, conservano ancora una certa forma che corrisponde all’apparenza corporea dell’uomo originale. Tale forma, per mezzo della quale ogni parte persiste ed opera nel suo mondo, non è possibile che per mezzo dello Tzèlem; così è detto nel salmo 39, 7: «Essi sono dunque come nello Tzèlem (il fantasma)». Secondo Luria, lo Tzèlem, per analogia con tutta la natura umana, si suddivide in tre parti: una luce interiore spirituale, e due Maqifìm (Ben Yehuda’s Pocket English-Hebrew Hebrew-English Dictionary, New York, 1970, sub voce maqif: «circle, periphery, circumference») o luci avvolgenti. Ciascuno Tzèlem ed i suoi Maqifìm corrispondono, nella loro natura, al carattere ovvero al grado di spiritualità di ciascuno dei princìpi ai quali esso appartiene. È solamente per tramite dei loro Tzèlem che a Nèfesh, a Rùach ed a Neshamàh è possibile manifestarsi al di fuori. È su di essi che riposa tutta l’esistenza corporea dell’uomo in terra, giacché tutto l’influsso d’in alto sui sentimenti ed i sensi interni dell’uomo si attua per intermediazione di questi Tzèlem, suscettibili d’altra parte d’essere indeboliti o rafforzati. Il processo della morte si produce unicamente nei diversi Tzèlem, giacché Nèfesh, Rùach e Neshamàh non sono modificate da essa. Così la Qabbalàh dice che trenta giorni prima della morte dell’uomo, è dapprima in Neshamàh che i Maqifìm si ritirano, per sparire in seguito, successivamente, da Rùach e da Nèfesh; ciò che bisogna intendere nel senso che essi cessano allora di operare nella loro forza: tuttavia, nell’istante stesso in cui Rùach se ne fugge, essi si riaggrappano, come dice la Mishnàth Chasidìm, ( Opera (1727) di `Immanu’el Chay Ricchi) al processo della vita, «per gustare il gusto della morte». Tuttavia, bisogna considerare gli Tzèlem come esseri puramente magici; ecco perché lo Tzèlem di Nefesh stesso non può agire direttamente nel mondo della nostra percezione sensibile esterna. Ciò che a noi si offre nell’apparizione di persone morte è, sia il Haval de Garmìn, sia la sottile materia aerea o eterea del mondo `Asiyyàh, di cui si riveste lo Tzèlem di Nèfesh, per rendersi percepibile ai nostri sensi corporei. Questo si applica ad ogni sorta di apparizione, sia essa quella di un angelo o dell’anima di un morto, o quella d’uno spirito inferiore. Non è allora lo Tzèlem stesso ciò che noi possiamo vedere e percepire con i nostri occhi; non ne è che un’immagine che, costruita col “vapore” sottile del nostro mondo esteriore, prende una forma capace di ridissolversi immediatamente. Per quante varietà offre la vita degli uomini sulla terra, così altrettanto varia la loro sorte negli altri mondi; giacché, più si sono commesse quaggiù infrazioni alla legge divina, più bisogna subire nell’altro mondo castighi e purificazioni. Lo Zohar dice a tale proposito:«La bellezza dello Tzèlem dell’uomo pio dipende dalle buone opere che ha compiuto quaggiù »; e più oltre: «Il peccato insozza lo Tzèlem di Nèfesh. » — Luria dice anche: «Nell’uomo pio, questi Tzèlem sono puri e chiari, nel peccatore, sono torbidi ed oscuri.» — Ecco perché ogni mondo ha, per ognuno dei princìpi dell’uomo, il suo Gan-`EdenNehàr Dinùr (fiume di fuoco per la purificazione dell’anima) ( (Paradiso), il suo Johann Buxtorf, Lexicon chaldaicum, talmudicum et rabbinicum, 1639:  «NHR DY NWR [in ebraico] Fluvius ignis, Dan. 7.10. Rabbini unicâ voce scribunt DYNWR [in ebraico], & vocatur Fluvius Dinor vel Dinur, de quo scribunt, quòd veniat ex sudore Angelorum, qui portant solium majestatis Dei») ed il suo Gé-Chinnòm (Gé-Chinnòm [Geenna] era propriamente il nome di un posto vicino a Gerusalemme dove in altri tempi si facevano sacrifici di bambini a Moloch; la Qabbalàh intende con questo nome il luogo della dannazione.), luogo di tortura per il castigo; donde anche la dottrina cristiana del cielo, del purgatorio e dell’inferno. La nostra intenzione non è quella di esporre qui la teoria della Qabbalàh sullo stato dell’anima dopo la morte e particolarmente sui castighi a cui essa è sottoposta. Se ne troverà una spiegazione chiarissima nella celebre opera di Dante, la Divina Commedia.

LA DOTTRINA DELL’ANIMA NELLA CABALAultima modifica: 2010-02-24T17:59:00+01:00da mikeplato
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7 Responses

  1. wuè
    at |

    vai con la disinformazione: la cabalà, la più antica filosofia dell’anima?

    ma se é la meno antica e più recente.

  2. wuè
    at |

    dire ciò é un vero e proprio torto alla “filosofia o scienza dell’anima”

  3. mike plato
    at |

    ASCOLTA WUE’…MI SEMBRI PREZZEMOLINO IN OGNI MINESTRA…

    QUESTA E’ L’OPINIONE DELL’AUTORE, E SE CONSIDERIAMO LA CABALA COME LA PROTOGNOSI DI ADAMO, SONO D’ACCORDO CON L’AUTORE.

    E SMETTI DI ASSUMERE QUEST’ATTEGGIAMENTO IRRITANTE…CRESCI UNA BUONA VOLTA

  4. wuè
    at |

    ma che adamo, ancora a ‘sti livelli.

  5. wuè
    at |

    ma che adamo e “protognosi”, ancora a ‘sti livelli

  6. wuè
    at |

    cmq l’irritante non sono io. So che la verità fa male

  7. at |

    Qムダ毛ずっと自己処理してきましたが、お手入れと決別すべく永久脱毛をしたいと考えています。できたら安く、確実に済ませたいのですが、エステの脱毛は本当に毛が生えてこなくなるものなのでしょうか?A私はTBCでわきを永久脱毛した者です。脱毛後本当に毛は生えてきませんよ。すっごいきれいだし、今後一切処理をしなくていいので、私はしてよかったと思っています。金額は毛の量によるので個人差があります。元々少なければ…

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