IL SUFISMO secondo la TARIQA JERRAHI

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Cos’è il sufismo

Il sufismo non è differente dal misticismo di tutte le religioni. Il misticismo viene da Adamo. Esso ha assunto strutture e forme differenti durante molti secoli; ad esempio, il misticismo di Gesù, dei monaci, degli eremiti e del Profeta Maometto. Un fiume passa attraverso molti paesi ed ognuno Lo rivendica per se. Ma è un unico fiume.

La verità non cambia; cambia la gente. La gente cerca di possedere la verità e tenerla per se, lontana dagli altri. Ma nessuno può avere il possesso della verità.

La via del sufismo è innanzi tutto l’eliminazione di qualsiasi intermediario fra l’individuo e Dio. Il fine è agire come un’estensione di Dio, e non come una barriera. Essere un sufi è servire ed aiutare gli altri, e non semplicemente star seduto a pregare. Essere un vero sufi vuol dire rialzare chi è caduto, asciugare le lacrime di chi soffre, accarezzare l’orfano e chi non ha amici.

Le diverse persone hanno capacità diverse, chi può aiutare con le azioni, chi con la parola, chi con le preghiere, e altri con la ricchezza.

Puoi arrivare alla meta anche con il tuo solo sforzo, ma questa è la via più dura. I nostri fini personali conducono tutti alla stessa meta. Vi è una verità soltanto. Ma perché negare le migliaia d’anni d’esperienza che si trovano nella religione? Vi è una vera saggezza, data da tanti anni di ricerca, di tentativi, d’errori.

Un grande sbaglio è avere soltanto una mezza religione. Ciò tiene lontano dalla vera fede. E’ una vera assurdità. Ricorrere ad uno che è solo un mezzo medico è terribilmente pericoloso. Chi governa a metà è soltanto un tiranno. Quante lotte nel labirinto della religione e delle diverse religioni! Sono come cani che lottano per un osso, tendendo ai loro propri interessi egoistici. La soluzione è ricordare che esiste un unico Creatore che provvede a noi tutti. Più ricordiamo l’Unico, meno si combatte.

Uno shayikh sufi è come un medico, e un discepolo è qualcuno che ha il cuore malato. Il discepolo viene dallo shaykh per guarire. Un vero medico darà una certa dieta e certe medicine per curare i mali di una persona. Se i discepoli seguono le prescrizioni del loro shaykh, guariscono. Altrimenti, possono anche morire. Ma i pazienti che seguono male le prescrizioni del loro medico corrono alla propria rovina.

Ad un livello superiore il rapporto di uno shaykh e dei discepoli è come il rapporto tra un grappolo d’uva ed il ramo. Lo shaykh tiene legato il grappolo all’albero, alla linfa e alla fonte della linfa. E’ estremamente importante capire questo collegamento. E’ come quello fra la lampadina e l’elettricità. L’effetto e lo stesso. Alcuni shaykh hanno 20 volt, altri hanno 100 volt, ma l’elettricità è sempre la stessa.

Gli occhi sono le finestre dell’anima. Guardando i discepoli lo shaykh li unisce. Può esserci una gran forza nello sguardo di uno shaykh.

Il primo stadio è avere fede. Il primo passo in questo stadio è la fiducia nel proprio shaykh. Espressione esteriore di ciò è sottomettersi allo shaykh. Con questa sottomissione la vostra arroganza si trasformerà in umiltà, la vostra irosità e la vostra negatività si trasformeranno in gentilezza di carattere e mitezza. Questo primo passo è veramente grande.

Non ogni persona con un turbante, vestito con toghe ricercate o altro particolare abbigliamento è uno shaykh. Ma quando trovate uno shaykh, grazie al volere di Dio, il primo passo è la sottomissione; ma, attenzione… Il chiedere e il dubitare che oggi sono tanto accentuati in Occidente, possono anche portarvi alla verità. In effetti, vi è una certa cecità nella sottomissione irriflessiva. Può esser meglio, dapprima, osservare, cercare, e pensare, al fine di scegliere uno shaykh da seguire soltanto quando avete risolto i vostri dubbi e i vostri interrogativi.

Nella nostra tradizione generalmente si considera grande infrazione all’etichetta porre domande o dubbi al vostro shaykh. Tuttavia può esser giusto chiedere se, ottenute le risposte alle vostre domande, la vostra fede può diventare più chiara e ferma.

Persino il profeta Abramo chiese a Dio: “Come puoi riportare in vita il morto?” Dio rispose: “Abramo, non hai fede in me? Dubiti di me?” Abramo rispose: “Si, ho fede e Tu sai che cosa c’e nel mio cuore. Ma volevo vedere con i miei occhi”.

Vi sono quattro vie alla Fede. La prima è la via della conoscenza.Qualcuno viene da voi e vi parla di qualche cosa che non avete mai visto. Ad esempio, molti parlavano di un certo paese, ma io non lo avevo mai visto. Alla fine salii su un aeroplano e vidi con i miei propri occhi quel paese dalla finestra dell’aeroplano. Quando vidi il paese con i miei occhi, la mia conoscenza si accrebbe. Ma dopo che percorsi quel paese la mia conoscenza divenne maggiore. Il livello finale sarebbe diventare parte di quel paese.

Allora, le quattro vie verso la fede sono:

  1. sapere che esiste una cosa

  2. vedere una cosa

  3. essere in una cosa

  4. diventare la cosa

E’ bene avere dubbi, ma non dovete rimanere nel dubbio. Il dubbio deve condurvi alla verità. Non fermatevi alle domande. La mente può anche ingannarvi. La conoscenza e la scienza possono ingannarvi. Vi è anche una condizione che fa parte del destino di certi popoli -e cioè: gli occhi che vedono cessano di veddere, le orecchie che odono cessano di udire, e la mente che immagina le cose cessa di immaginare.

Nel caso del profeta Abramo, il suo popolo era adoratore d’idoli. Egli aspirava a trovare Dio. Guardò la stella più luminosa e disse: “Tu sei il mio Signore”. Poi spuntò la luna piena. Era molto più grande e più luminosa di qualsiasi stella. Abramo guardò luna e disse: “Tu sei il mio Signore.” Poi spuntò il sole; la luna e le stelle disparvero. Abramo disse: “Tu sei il più grande, tu sei il mio Signore”. Venne la notte e il sole scomparve. Abramo disse: “Il mio Signore è colui che cambia le cose e le riporta indietro. Il mio Signore e Colui che sta dietro tutti i cambiamenti”.

Vedete, passo dopo passo, con questo procedimento Abramo passò dall’adorazione dell’idolo all’adorazione di Dio. Egli salvò il suo popolo dalla falsità. Si può davvero giungere all’unità dalla molteplicità.

C’è una lotta fra il nafs, il basso istinto, e l’anima. Questa lotta continuerà durante la vita. La domanda è: chi educa chi? Chi diventerà il maestro di chi? Se l’anima diventa il maestro, allora sarai un credente, uno che abbraccia la Verità. Se il basso istinto diventa maestro dell’anima, sarai uno che nega la Verità.

* * * *

Si dice che uno shaykh non deve mai essere ospite di un sultano, e che anche se uno shaykh fa visita ad un sultano, è il sultano ad essere il suo ospite. Ossia, lo shaykh va per insegnare e per portare un beneficio al sultano, non a ricevere qualche cosa da lui. Anche uno shaykh deve difendersi dalle tentazioni del denaro, della fama e del potere. Anni or sono il Sultano dell’Impero Ottomano cominciò a venire alle riunioni del nostro Ordine. Il Sultano fu molto colpito dalla saggezza dello shaykh Jerrahi, e gli piacque molto anche la cerimonia zikr dei dervisci.

Dopo un paio di mesi, il Sultano disse allo shaykh: “Sono stato veramente impressionato e ispirato dalle mie visite qui, e da voi e dai vostri dervisci. Desidero aiutarvi comunque io possa. Per favore, chiedetemi qualsiasi cosa”.

Era un’offerta completa, carta bianca da parte del governatore di uno dei più grandi imperi del mondo. Lo shaykh disse: “Si, o mio sultano, potete fare qualcosa per me. Per favore, non tornate da noi.”

Il Sultano, colpito, chiese: “Ho fatto qualcosa di sbagliato? Non conosco tutte le regole d’etichetta dei sufi, e mi duole se vi ho offeso.”

“No -disse lo shaykh- non mi avete assolutamente offeso. Il problema non è a causa vostra, ma dei miei dervisci. Prima che voi veniste, essi pregavano e cantavano i Nomi Divini soltanto per amore di Dio. Ora, quando pregano e cantano essi pensano a voi. Pensano di ottenere la vostra approvazione e a quanta ricchezza e potere possono conseguire quelli che ottengono il vostro favore. No, o Sultano, non si tratta di voi ma di noi. Temo che non siamo abbastanza maturi spiritualmente per adeguarci saggiamente alla vostra presenza qui. Per questo motivo sono costretto a chiedervi di non tornare qui.”

* * * *

Un giorno il Sultano cavalcava nelle strade di Istanbul, circondato da cortigiani e soldati. Tutta la popolazione della città venne fuori per vedere il Sultano. Ognuno s’inchinò al passaggio del Sultano, eccetto un solo, cencioso derviscio.

Il Sultano fece fermare la sua processione e si fece condurre il derviscio. Volle sapere perché il derviscio non si era inchinato al suo passaggio.

Il derviscio rispose: “Sì inchini a voi tutta questa gente. Essi vogliono tutti ciò che voi avete: denaro, potere, stato sociale. Grazie a Dio queste cose non significano più nulla per me. Inoltre, perché devo inchinarmi a voi, mentre io ho due schiavi che sono vostri padroni?”

La folla rimase senza fiato e il Sultano impallidì di collera. “Che cosa intendi dire?” gridò. “I miei due schiavi che sono vostri padroni sono l’ira e la bramosia” disse calmo il derviscio, guardando bene in faccia il Sultano.

Riconoscendo la verità di quanto aveva udito, il Sultano si inchinò al derviscio.

* * * *

Dio ha detto: “L’universo intero non può contenermi, ma mi contiene il cuore del mio fedele.” Orbene, Dio non è contenuto effettivamente nei cuori umani. Dio non può esser limitato ad un luogo. Le manifestazioni di Dio si adattano ai cuori di tutta la gente. Noi non siamo “parte” di Dio, poiché Dio e indivisibile. L’umanità è creazione di Dio. La manifestazione di Dio nei nostri cuori è che noi siamo vicari di Dio, rappresentanti di Dio. Siamo l’espressione, l’esempio visibile di Dio. E cosi la Misericordia di Dio si esprime tramite i pensieri e le azioni di una persona, la Compassione di Dio tramite un’altra persona, la Generosità di Dio tramite un’altra.

Vi è l’essenza di Dio e vi sono gli attributi di Dio. Capire l’essenza è per noi impossibile; ma possiamo cominciare a capire gli attributi. In effetti, parte dell’educazione di un Sufi è capire quegli attributi in noi.

Dio ha detto: “I miei servi Mi troveranno come essi Mi vedono.” Ciò non significa che se voi considerate Dio come un albero o una montagna Dio sarà quell’albero o quella montagna. Se voi pensate a Dio come Dio di misericordia, .d’amore, o di collera o di vendetta, cosi troverete Dio.

Nel Sufismo è ammesso parlare degli attributi di Dio, ma alla fine, il Sufi giunge allo stadio della sottomissione, e allora smette di porre domande.

L’elettricità è dovunque, ma se voi avete soltanto tre lampadine, tutto ciò che vedrete sono quelle tre lampadine. Dovete aver consapevolezza di voi stessi. Questo è l’inizio e anche la dimensione totale. Soltanto conoscendo voi stessi conoscerete certi attributi. La connessione con gli attributi si attua attraverso la conoscenza del se. Di fuor da voi non troverete nulla.Tutta la creazione è manifestazione di Dio. Ma, come alcune parti della terra ricevono più luce di altre, alcune persone ricevono più luce. I profeti ricevono il massimo della luce Divina. Oltre alla quantità vi è la qualità. Dipende da quali attributi sono manifestati. Alcune persone sono manifestazioni di vari attributi Divini. I profeti manifestano la totalità degli attributi divini. La luna riflette la luce del sole. Il sole è la Verità; la luna è ogni profeta.


La via mistica del Sufismo

(testi del prof.Gabriele Mandel khalifa dell’ordine sufi Jerrahi Halveti per l’Italia )

Secondo Si Hamza Boubakeur “il Sufismo non è in se stesso né una scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, poiché si pone di sopra da ogni obbedienza. E’ innanzitutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d’equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall’essere una innovazione o una via divergente parallela alla pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d’una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua grazie per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata”.
Sempre secondo Si Hamza Boubakeur le componenti della dottrina sufi sono l’amore totale per Dio; la gnosi, che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, per ciò la certezza della Sua esistenza e dell’impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l’ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione e dall’estasi.
Il cammino che il sufi compie si svolge in dieci tappe, ognuna delle quali ha dieci stadi di apprendimento-comprensione, per un totale quindi di termini-rappresentazioni rammemoranti il filo del cammino da compiere. Ognuno ha corrispondenti versetti coranici a illuminarne i valori. In questo cammino il sufi raggiunge sette gradi sottili emblematicamente corrispondenti – secondo la descrizione di Simnani – a sette grandi profeti.
Le dieci tappe sono: inizi, porte, comportamenti, costumi virtuosi, principi, valli, stati mistici, santità, realtà, dimore supreme.


I sette gradi
Nell’arco di discesa, dal macrocosmo al microcosmo, dal divino all’anima, sono l’essenza divina, la natura divina, il mondo dell’informale, il mondo dell’immaginale, il mondo della percezione spirituale, il mondo delle forme, il mondo della natura e dell’essere umano.
Nell’arco di ascesa, quello che compie il sufi per giungere dal sé a Dio, i sette gradi evolutivi sono emblematizzati da sette profeti e dalle relative descrizioni del Santo Corano. La matrice del corpo, nell’acquisizione di una matrice embrionale d’una forma nuova non fisica, è rappresentata da Adamo.
Il secondo grado (senso vitale) corrisponde all’anima animale, o psiche, terreno di lotte quali provò Noè nei confronti del suo popolo.
Il terzo grado (il cuore) è quello del cuore spirituale, perla all’interno della conchiglia, comprensione del sé autentico allo stato embrionale. Questo sé spirituale è simbolizzato da Abramo, poiché Abramo era l’intimo di Dio.
Il quarto grado (il limite del sovracconscio) è il Segreto, il punto del sovracconscio, dei monologhi spirituali quali quelli di Mosè.
Il quinto grado (lo spirito) è un raggiungimento nobile della spiritualità, quale alterità divina, ed è il Davide dell’essere.
Il sesto grado (l’ispirazione) è appunto l’accoglimento in sé dell’ispirazione, ed è simbolizzato da Gesù, perché fu Gesù che annunciò il Nome.
Il settimo grado (la Verità), quello dell’ultimo organo sottile, attivato alla fine di questo percorso, corrisponde al centro divino dell’Essere, al Sigillo eterno, alla realtà trascendente e immanente di ogni essere umano, ed è simbolizzato dal Profeta Maometto (S.a.S.), poiché egli fu il Sigillo della Profezia.


I sette colori
Ognuna di queste sette tappe del viaggio ha il suo relativo colore che corrisponde al colore della luce che durante il dhikr il sufi a volte vede. I sette colori sono, a partire dalla base: nero grigio, azzurro, rosso, bianco, giallo, nero luce, verde smeraldo.


I sette simboli
I sette gradi hanno relativi simboli, il cui studio e la cui elaborazione nel corso delle sedute ne aiuta la comprensione: suono, luce, numero (geometria, costruzione, sezione aurea), lettera (significati segreti dei nomi, costruzione grammaticale), parola (dhikr, Nomi di Dio, Santo Corano), simbolo, ritmo e simmetria.


Tuttavia, questa descrizione sommaria è imperfetta e limitata. Descrivere il viaggio per tappe e gradi non è rendere il vissuto e la sua attualizzazione. Si ricorre allora ad altri termini, per designare una realtà psichica acquisita: stati. stazioni, presenze.

Ahl (pl. ahwâl). Momenti cardine, transitori.Per metafora si può descrivere così: “Il terreno che viene urtato dal suono è egli stesso movimento ondulatorio. L’onda è il metro, il ritmo nasce dalle combinazione dei toni su questa onda […]. I toni si ripartiscono sulla misura, regolare o non regolare; possono riempirla succedendosi con rapidità, o al contrario lasciare vuoti vasti intervalli. A volte si affastellano, a volte si distanziano […]. In ragione di questa libertà di ripartizione e di innescamento, i toni possono dare alla forma di base, costantemente sinuosa, un profilo nobile, differente di continuo […]. Questi giochi del tono sull’onda sonora, questo modellarsi della sostanza dell’onda, la coincidenza e l’opposizione delle due componenti, la loro tensione reciproca e l’adattamento continuo degli uni negli altri, ecco ciò che chiamiamo, in musica, il ritmo. La ripetizione dei toni ha un doppio obiettivo: soddisfare l’esigenza della simmetria che pretende d’essere compiuta, e giocare il ruolo di collegamento nella catena d’amplificazione. Gli stati spirituali e i toni in musica, che costituiscono qualità variabili e non permanenti che pretendono un incontro, o un luogo, in cui scendere per modificare il ritmo, trovano un’espressione simbolica nelle opere d’arte dell’uomo”.
Lo stato spirituale è a sua volta complementare del momento d’incontro e dell’inverso della stabilità. Traduce una molteplicità d’emozioni indescrivibili, unitarie, la cui sede è l’anima; è mutevole e permanente insieme, poiché la ricerca è lotta ma il misticismo è quiete.

Maqâmat. Stazioni spirituali, sono conquiste definitivamente acquisite. Hanno al contempo un atteggiamento attivo e uno passivo: introiezione/dilatazione; unione/separazione; sobrietà/ubriachezza; annientamento/sussistenza totale; presenza/assenza. Nel mondo ma non del mondo.

Hadrat. Le presenze. Come esempio le plurime realtà della calligrafia. E’ l’essere, completo, âlInsân âlKâmil.


Il Maestro Sufi

Quando lo incontri, agirà su di te, che tu sappia o no.
Quello che dice o fa può sembrarti incoerente o incomprensibile; ma ha un suo significato e un suo compito.
La sua intuizione e quella di colui che conosce ]a strada che sta percorrendo e che percorre la strada giusta.
Potrà frustrarti, ma perché ciò è necessario.
Potrà sembrare che restituisca male per bene, o bene per male, ma egli sa quel che è veramente necessario e ciò che è veramente bene e male.
Può darsi che tu senta parlar male di lui da quelli che lo combattono o lo temono, ma fanno ciò solo perché hanno paura di se stessi.
E’ modesto, pur sapendo scoprire quanto c’è da scoprire, e consentendo anche a te di scoprirlo lentamente.
Quando lo incontrerai per la prima volta ti sembrerà molto diverso da te. Non lo è. Potrà sembrarti molto simile a te. Non lo è.

il mondo della natura dell’uomo – l’Adamo dell’essere (nero grigio)
il mondo delle forme – il Noè dell’essere (blu)
il mondo della percezione spirituale – l’Abramo dell’essere (rosso)
il mondo dell’immaginale – il Mosè dell’essere (bianco)
il mondo dell’informale – il Davide dell’essere (giallo)
la natura divina – il Gesù dell’essere (nero luce)
1’Essenza divina – il Maometto dell’essere (verde smeraldo)

Testi liberamente tratti dallo shaykh Gabriel Mandel dai testi di alHallaj (?-922), Ibn ‘Arabi (?-1111), Safr alKbettani (1280-1372) e altri

Essere un Maestro Sufi

Essere un Maestro Sufi vuol dire diventare ciò che si può diventare, senza cercare di perseguire quello che – allo stadio sbagliato – è illusione.
Significa diventare consapevoli di quello che ci è possibile, e non ritenersi consapevoli di quanto invece si sta trascurando.
Il Sufismo è la scienza di acquietare ciò che va acquietato, e di risvegliare ciò che va risvegliato. E’ anche la scienza che fa capire 1’impossibilita di acquietare o di risvegliare quel che non lo può essere, o di credere d’aver bisogno quando non c’è bisogno.
Significa realizzare 1’unità nascosta nonostante le esigenze poste dalla diversità, e non per mezzo di queste esigenze.
Significa tenere conto dei mezzi che nella diversità si presentano, senza pensare che i suoi aspetti esteriori possono essere in se stessi importanti.
Occorre avvicinarsi al Sufismo studiando il modo di imparare a imparare; non cercando di acquistare conoscenza senza attuare la giusta pratica per conseguirla.
Ci si avvia a diventare un Maestro Sufi rendendosi conto che costumi e preconcetti sono fatti essenziali solamente entro determinati ambiti; ma non creando un costume o un nuovo preconcetto, né giudicando sulla base dei preconcetti.
Occorre diventare consapevoli della non-importanza allo stesso modo con cui si è consapevoli dell’importanza; e senza cercare soltanto i sentimenti importanti.
Sapere che 1’umiltà è uno strumento necessario per il viaggio, se opportunamente corretta dall’ambizione, che si terrà del tutto lontana dall’orgoglio e dalla presunzione.
Adottare ciò vale quanto vale e laddove vale, ma solo per coloro per cui vale Non imitate per timore ancor meno per ammirazione, e mai per imitazione.
Il concentrarsi sulle aspirazioni non conduce all’elevazione; per cui non saranno le parole che guariranno, bensì il metodo corretto di sceglierle e di dirle al momento opportuno.
Un uomo, un libro, una scuola, un metodo applicabili a tutti, o ancora: quando entusiasmano tutti, sono come una trappola tesa per catturarvi attraverso 1’elemento più deleterio che c’è in voi.


Le Virtù

Le virtù per la Teologia Cristiana:

1) secondo il loro oggetto: TEOLOGALI (Fede, Speranza, Carità). Oggetto formale: Dio

MORALI (principali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) Oggetto formale: qualcosa di altro che Dio

2) secondo la loro origine: INFUSE direttamente dalla grazia divina;

ACQUISITE con al costanza del retto comportamento

3) secondo il loro fine: NATURALI

SOVRANNATURALI

3) secondo il loro grado: EROICHE (precipue della santità)

COMUNI


Le Virtù del SUFI:

CONOSCENZA

COERENZA

PERSEVERANZA

TOLLERANZA

Empatia universale

Equilibrio universale

La CONOSCENZA si acquisice con il disvelamento dei simboli, la compenetrazione del linguaggio, l’esperienza spirituale (il dhikr conduce dall’esperienza all’illumianzione)

La PERSEVERANZA è rinforzata dalla preghiera canonica, dall’osservazanza del digiuno rituale

La TOLLERANZA consiste nel rispetto delle religioni, dei pensieri, delle persone altrui, entro i limiti dei comportamenti legittimi ed empatici della reciprocità

Tutte queste VIRTÙ rette dall’EQUILIBRIO si basano su:

  • Pazienza

  • Rinuncia

  • Sincerità

  • Accettazione

  • Umiltà consapevole

  • Certezza

Il fine ultimo della pratica di queste virtù è il raggiungimento, attraverso l’ILLUMINAZIONE, di una realizzazione personale (alinsân alkâmil) che disveli a ciascuno di noi la scintilla divina che è in noi: ossia il ricongiungimento pieno a Dio avendo superati i veli dell’ignoranza


I sette livelli dell’essere

Fin dal primo momento in cui abbiamo fatto il nostro ingresso nella scuola del Sufismo, ci hanno parlato dei sette livelli dell’essere. Questi sette livelli sono come esami in un sistema educativo che ognuno deve superare per ottenere la laurea. Però nel nostro sistema le valutazioni sono fatte da un’Autorità più Alta di qualunque insegnante.

L’aver superato o no un esame ci viene reso noto mediante sogni veritieri, ed è attraverso l’interpretazione di questi che l’insegnante assegna nuove responsabilità e nuovi compiti al ricercatore. Ma ciò che è più importante e che il ricercatore stesso dovrebbe essere in grado di realizzare qual è il proprio stato, cosi che possa passare allo stato successivo al quale egli aspira. Ovviamente è in primo luogo necessario che egli sia cosciente, consapevole del proprio carattere e delle proprie azioni, e che sia sincero nell’osservare se stesso. Ma è anche necessario che egli conosca a fondo le caratteristiche d’ogni livello, specialmente del livello in cui presume di essere e del livello successivo al quale egli spera di giungere.

Quindi ancora una volta dobbiamo accingerci a studiare le caratteristiche dei sette livelli dell’essere e cercare di vedere a che livello siamo. Con la speranza che questo tentativo incrementi i nostri sforzi per raggiungere il livello immediatamente successivo e ci renda attenti a non regrederire al livello più basso.

Non è assolutamente in dubbio che il potenziale per la perfezione è presente in ogni esser umano, poiché Iddio Altissimo ha posto i Suoi Divini Segreti nell’essenza dell’uomo, al fine di far apparire dai regni sconosciuti i Suoi Bei Nomi e Attributi. Ma noi abbiamo dimenticato la perfezione che è stata posta prima che giungessimo in questo mondo rivestiti di carne e ossa. Il nostro essere fisico e il suo attaccamento al mondo in cui vive, copre e lascia nell’oscurità la bellezza e la sapienza che sono nascoste in noi e ci ha fatto dimenticare la nostra origine: ci ha lasciato in uno stato d’ignoranza.

Dio nella Sua Misericordia ci ha rivelato nei Suoi Libri Divini degli insegnamenti e ci ha inviato i Suoi profeti e i Suoi santi come guide ed esempi per insegnarci e riportarci alla consapevolezza, alla luce, dalle tenebre con le quali noi abbiamo coperto noi stessi. A quelli di noi che sono in grado di svegliarsi, che riscoprono ciò che di santo c’è in noi stessi e che desiderano giungere più vicini al nostro Creatore e alla nostra origine, che è la perfezione, è stato promesso che se “facciamo un passo verso Dio, Lui ci correrà incontro”.

L’uomo ha due anime. Una è detta Ruhu Hayvani, l’anima animale, e l’altra Ruhu Insani, l’anima umana. L’anima animale è una sostanza creata, raffinata che controlla la vita, la mente, i sensi, i sentimenti, le emozioni, la volontà e i movimenti del corpo fisico. E il nostro essere, che si collega a quest’anima è detto “io animale”, l’io governato dai desideri della nostra carne o Nafsi Ammara, l’io che comanda il male, che è il primo e il più basso dei sette livelli dell’essere.

Il Nafsi Ammara è una manifestazione dell’anima animale nell’uomo, mentre i sei gradini successivi all’io che comanda il male sono lo sviluppo dell’anima umana, che è N anche chiamata Nafsi Natiqa, l’essere che può comunicare con il linguaggio, o l’Essere Razionale.

I successivi sei livelli sono:

  • Nafsi Lawwama, quando l’uomo ascolta la voce della sua coscienza e tenta di resistere ai suoi desideri carnali;

  • Nafsi Mulhima, quando l’uomo riceve istruzioni dirette mediante le ispirazioni del suo Signore;

  • Nafsi Mutmainna, quando l’uomo è liberato dall’auto-indulgenza e trova pace e tranquillità nel suo stato di pietà e obbedienza al suo Signore;

  • Nafsi Radiyya, quando l’uomo accetta tutto ciò che gli accade senza alcun risentimento o sofferenza e quando il bene e il male diventano uguali per lui ed è contento della sua sorte;

  • Nafsi Mardiyya, quando l’uomo assume gli Attributi Divini, abbandonando al sua materialità

  • Nafsi Safiyya, quando l’uomo raggiunge la purezza della perfetta armonia.


Nafsi Ammara

In questo primo livello dello sviluppo dell’uomo, l’io razionale e la coscienza umana sono stati sconfitti dalla cupidigia e dai desideri carnali. A questo stadio il nostro io non riconosce alcuna barriera morale o razionale al prendere ciò che vuole. Esso si esprime con l’egoismo, l’arroganza, l’ambizione, la tirchieria, l’invidia, l’ira, il cinismo, l’oziosità e la stupidità. All’origine gli io, i nostri se, le nostre identità, le nostre personalità e realtà, sono uno dei doni che il creatore ha fatto all’uomo. Ma poiché noi gli permettiamo di inclinare verso i valori materiali, di trarre piacere solo dalla vita mondana e poiché soccombiamo ai desideri della carne, allora diventa brutto e diventa quasi come un animale, mentre la sua forma rimane quella di un essere umano. È una belva camuffata da uomo, un pazzo animale selvaggio che morde e azzanna se stesso e gli altri. Quest’io è il nostro diavolo privato, il nostro peggior nemico, che vive dentro di noi, ci domina e ci tiranneggia e tiene la nostra anima umana imprigionata e dimenticata nelle profondità del nostro subconscio. Se siamo abbastanza fortunati da essere condotti da una guida alla ricerca di uno stato migliore, allora il diavolo ci sussurra nelle orecchie: “Che affare fai ad essere su questa via? Non vedi che tutti quelli che sono su questa Via alla fine muoiono? Tutto ciò che rimane di loro sono poche parole. Lo so che desideri la Verità, ma dove sono i saggi uomini in grado di insegnarti qualcosa? Mostrami un solo singolo uomo santo che riceve rivelazioni, che può mostrare dei miracoli! Essi appartengono ad un’altra epoca. Ora è l’epoca dei fatti, della scienza, della prosperità e del benessere. Se vuoi essere religioso – va bene! Vai alla moschea, prega, digiuna e prega gli spiriti di questi santi uomini del passato che ti aiutino, perché non c’è più nessun valido insegnate vivente!”

In questo modo il diavolo nasconde la verità. Kufr, infedeltà, significa coprire, nascondere in arabo. Kafir, l’infedele, significa colui che nasconde qualcosa. Il diavolo nasconde il fatto che in ogni epoca esistono uomini perfetti al mondo e insegnanti validi che possono condurre alla salvezza.

Il nostro maestro, l’inviato di Dio (saws), ha due aspetti. Uno è la sua profezia, hubuwwa; l’altro è la sua santitudine, la sua amicizia, la sua vicinanza a Dio, o walaya. Lui è Hatemul Enbiya: l’ultimo, il Sigillo della Profezia, ma il suo altro aspetto di santitudine è sempre stato e sempre sarà ereditato dagli uomini perfetti, che lo amano e lo imitano, e questi esisteranno in ogni epoca fino alla fine dei tempi. Ma se il ricercatore presta la benché minima attenzione alle insinuazioni del diavolo, allora soffre di dubbi sul suo maestro, è distolto dalla Via, i suoi sforzi sono rallentati e i suoi orecchi si protenderanno di nuovo verso i sussurri del diavolo il maledetto. Questa volta dirà: Dio perdona, fai conto sulla Sua Misericordia, a Lui non dispiace la gente che fa le cose che Lui permette. Sii dolce con te stesso e non tiranneggiarti. Se tu sarai gentile con il tuo io e gli darai ciò che vuole, allora ti obbedirà!”. Se il ricercatore viene ingannato da queste tentazioni, comincerà a dubitare; non gli sarà chiaro quali cose siano legittime e quali no, se sono giuste o sbagliate. Quando ciò accade è più probabile che egli scelga l’illegittima, poiché di solito è la più piacevole per i sensi. E più i suoi sensi sono soddisfatti, più il suo cuore sarà accecato e indurito, e più sarà incline al male.

A livello dell’io che comanda il male, tutte queste influenze sono molto forti. Per uscirne fuori, ci vuole qualcuno che ci prenda per mano e ci districhi. È molto difficile se non impossibile farlo da soli.

Ma mediante l’aiuto di Dio, tu puoi ascoltare la voce della ragione che dice, “fare ciò che Dio ci permette di fare grazie alla sua Misericordia, invece di fare ciò che ci ordina di fare, è la professione delle creature pigre”. Per il vero servitore di Dio è un obbligo vivere secondo le regole della Shariat e gli ideali della Tariqat.

E se noi seguiamo questa decisione razionale, che è un dono immeritato di Dio Altissimo oppure siamo salvati dalla nostra miseria da un solido insegnante, allora potremmo salire al secondo livello del Nafsi Lawwama. Così l’anima è spinta fuori dalla caverna tenebrosa dell’io alla luce della coscienza, e noi vedremo la nostra arroganza trasformata in umiltà, la vendicatività e l’odio in amore, l’ira in dolcezza, la lussuria in castità … Se Dio vuole.


Nafsi Lawwama

Questo è il secondo passo nello sviluppo dell’uomo. Quando l’uomo diventa cosciente delle sue azioni è in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato, si dispiace per i suoi atti sbagliati. Egli non è ancora in grado di smettere del tutto di commettere errori perché è molto difficile rompere le abitudini del suo stadio precedente. Egli prova a seguire gli obblighi della sua religione e prega, digiuna, fa la carità e tenta di comportarsi in modo decente. Ma vuole essere noto come una persona trasformata. Pubblicizza la sua pietà, i suoi buoni atti e si aspetta apprezzamento dalla gente. Questo rende il suo comportamento ipocrita. Talvolta egli realizza tutto ciò, e si dispiace e tenta di cambiare. L’ipocrisia, uno dei peccati maggiori, è il pericolo principale in questo stato.

Esistono altri due gravi pericoli: l’arroganza e l’ira. Ogni piccolo sforzo di essere buono, comparato con lo stato precedente, sembra un gran risultato. In tal modo pensiamo di essere i migliori, e ci adiriamo con gli altri che sembra non ci rispettino. L’arroganza, il mentire a se stessi, l’ipocrisia, l’ira e l’intolleranza, sono i soldati del diavolo. Al livello del Nafsi Lawwama non siamo in salvo dal diavolo, che ci inietta nelle vene il suo carattere di arroganza e ci sussurra nelle orecchie: “tu adesso sei buono quanto i tuoi insegnanti; non solo sai quanto sanno loro, ma il tuo comportamento è migliore. Se essi fossero in grado di applicare alle proprie vite quello che insegnano sarebbero la metà di te. Tu non hai bisogno delle loro prediche e dei loro consigli. Che adesso la gente veda la tua sapienza e i tuoi atti cosicché tu possa essere loro di esempio.” Non solo i sussurri del diavolo, ma a questo stadio l’intera vita mondana è contro il ricercatore. Per lui Certamente il mondo non può perdere la sua attrattività; lo chiama e lo tenta.

Se la risolutezza del ricercatore è debole, sarà afflitto dall’arroganza, non ascolterà i buoni consigli, e, di fatto, combatterà contro quelli che vogliono il suo bene, pensando che essi lo stiano sminuendo e che facciano i superiori. Adirato, può tentare atti più grandi di quelli che è in grado di compiere, e fallire. Il fallimento lo farà adirare ulteriormente. Il suo umore diventerà nero, deluso; penserà di avere preso la via sbagliata, che stava meglio prima e potrebbe biasimare quelli che lo hanno condotto sulla Via, ricadendo nella condizione precedente di animale in forma umana.

Se il ricercatore viene messo in guardia da questi pericoli all’inizio del secondo stadio di Nafsi Lawwama e se è abbastanza intelligente da non lasciare la mano che lo conduce, e se segue i consigli su come combattere i tre nemici dell’ipocrisia, dell’ira e dell’arroganza, supererà velocemente questo stadio. Più a lungo resta in questo stato transitorio, peggiori saranno le difficoltà.

La cura per l’ipocrisia, sta nel realizzare che il valore di ogni cosa in questo mondo, incluso l’opinione degli altri, è temporanea, incostante e soggettiva, mutevole di minuto in minuto, da luogo a luogo, da persona a persona, e infine scompare. Quindi uno dovrebbe scegliere ciò che è permanente, eterno e potente invece di qualcosa che oggi c’è e domani non c’è più. Quale folle accenderebbe una candela in pieno sole? Non fare affidamento sul rispetto e l’elogio degli altri, e non temerli. Poiché è stato detto: “Chiunque ti loda è tuo nemico perché è un alleato dei tuoi nemici e chiunque ti indica i tuoi errori è nemico dei tuoi nemici.”

La cura per l’arroganza è ricordare che sei venuto da una goccia di seme di tuo padre e da un uovo nel ventre di tua madre, e che finirai come un putrido cadavere nella terra. Bellezza, forza, intelligenza, presto diminuiranno e spariranno. Tutte le tue fortune, proprietà reputazione e amici non ci saranno quando sarai calato da solo nella tua tomba. Le tue preghiere, la tua pietà, i tuoi buoni atti, se fatti per impressionare gli altri, svaniranno, e ancora peggio si rivolteranno contro di te. Realizza che tutto ciò che hai, incluso il tuo corpo e la tua stessa vita, non sono tuoi, ma sono ti sono prestati e affidati dal tuo Creatore. Anche le tue azioni, se sono buone, sono Sue e se sono cattive sei tu che stai tiranneggiando te stesso. Offri grazie per ogni cosa e prova vergogna per i tuoi errori. La caduta di chi sta in basso è meno dolorosa di quella di chi sta in alto.

La cura per l’ira è fondamentalmente raggiunta se puoi curare la tua arroganza. È l’arrogante che si adira per le avversità, persino se ha meno riconoscimenti di quelli che pensi gli spettino. L’emozione negativa dell’ira, quando scoppia, è più veloce dello sforzo razionale di sopprimerla. Una volta che si è accesi d’ira è difficile estinguerla. Come il fuoco, brucia tutto ciò che di umano c’è in noi; compassione, amore, gentilezza, generosità, la capacità di comunicare, di pensare alle conseguenze, e l’intelligenza sono ridotte in polpette. Tutto ciò che rimane è un pericoloso animale selvaggio ferito.

Come rimedio per richiamare e ricordare la propria umanità, l’inviato di Dio (saws) suggerisce che quando siamo colpiti dall’ira, immediatamente dobbiamo cambiare posizione. Se si è in piedi, dovremmo sederci. Se si è seduti, dovremmo inginocchiarci. È difficile urlare e maledire nell’umilissima posizione di ingínocchíato.

Oppure ci si dovrebbe sdraiare sulla schiena e pregare: “Oh Signore, arricchiscimi con la conoscenza, abbelliscimi con la gentilezza, dammi il dono della pietà e della paura e dell’amore per Te e la sanità mentale e la salute, Amin”. Oppure si dovrebbero fare abluzioni con acqua fredda.

Se potessimo evitare questi pericoli, con la volontà di Dio e la guida della nostra religione e l’aiuto del nostro maestro e il nostro desiderio di avanzare, potremmo salire al terzo livello del Nafsi Mulhima, il livello dove si ricevono le ispirazioni del nostro Signore.


Nafsi Mulhima

Questo è lo stadio in cui il ricercatore viene ricompensato per i suoi sforzi, la sua costanza e la sua obbedienza al maestro. Ora lui riceve occasionalmente messaggi dal di dentro: parole senza suono, ispirazioni che gli danno la direzione, l’incoraggiamento e la forza per continuare nel suo progresso. Ci sono ancora gravi pericoli, il peggiore dei quali è che il diavolo è capace di imitare le ispirazioni divine. E il ricercatore potrebbe non essere in grado di distinguerle. Questo è il motivo per Cui a questo stadio la guida di un maestro è così necessaria, di uno che sia in grado di distinguere tra la vera ispirazione e le false immaginazioni ispirate dal diavolo.

È durante questo periodo che la relazione tra il ricercatore e il suo maestro dovrebbe essere più stretta. Il ricercatore non dovrebbe nascondere nulla al suo insegnante: dovrebbe rivelargli tutte le sue speranze, le sue paure, le sue mancanze, persino se nutre del risentimento o dell’opposizione verso di lui, deve confessarglielo. Questi sono come i sintomi di una malattia che un ammalato deve rivelare al dottore in cui ha fiducia. Proprio come tiene conto dei consigli dati o della dieta prescritta, o prende diligentemente le medicine prescritte, se obbedisce al consiglio del suo maestro, sarà in grado di avanzare.

La voce dell’io potrebbe facilmente essere erroneamente presa per ispirazione, specialmente quando l’io cambia il suo vocabolario da materiale a spirituale. Il suo scopo è isolare il ricercatore dai suoi compagni nella ricerca e dal loro insegnante. I suoi fratelli sulla Via gli sembreranno degli schiavi ossequiosi del maestro e il maestro un tiranno egocentrico che trae vantaggio dal suoi seguaci; in realtà i suoi fratelli e i suoi maestri sono degli specchi in cui vede la propria bruttezza. Quando ciò accade, il diavolo maledetto gli parla, pretendendo di essere un’ispirazione, e dice; “Ora hai visto e capito tutto. Ora sai tutto. Tu sei un uomo saggio, un insegnante tu stesso. Perché devi obbedire e fare tutte questo cose non necessarie che il tuo insegnante ti impone. Lui sta tentando di pretendere di essere ancora superiore a te. Abbandona lui e i suoi seguaci che non hanno penetrato il significato interno delle cose e continuano a praticare il lavoro esteriore di pregare e servire. Tu sei ora a un livello nel quale il tuo Signore ti parla direttamente. Quindi svolgi il lavoro interiore: medita, sforzati di ascoltare i messaggi segreti che ti giungono …”.

In questa tempesta il solo salvagente che lo salverà dall’annegare saranno le regole della sua religione. Deve pregare, digiunare e fare la carità con più fervore e attenzione che mai. Soprattutto deve cercare di far rivivere i sentimenti di amore che una volta provava per il suo shaykh e i suoi fratelli sulla Via. Perché l’amore cura tutte le malattie e l’amante è in grado di seguire tutti i desideri dell’amato.

Un’altra afflizione durante questo periodo è un mutamento nella comprensione e nella sensibilità. È come se dimenticasse tutto ciò che sapeva, persino la sua idea di se stesso. Le nuove impressioni non corrispondono alle vecchie. Egli è in grado di vedere le cose in modo differente, di fraintenderle, di sbagliare. Si sente come se non esistesse. Può immaginare di aver raggiunto il livello finale di Fana Fillah – smarrire se stessi in Dio. Ma questo sentimento non ha nulla a che fare con quell’alto stato. Dovrebbe realizzare che è uno stato di impotenza, di vuotezza, uno stato di bisogno disperato, lo stato del Fakr, lo stato che è stato elogiato dal nostro Profeta (saws), che ha detto, “Sono orgoglioso del mio fakr”.

Ma se il ricercatore si e stancato di combattere contro il suo io ed è diventato mal disposto nell’esecuzione dei suoi doveri religiosi, allora ode di nuovo la voce del diavolo, “il tuo Signore è il tuo segreto e tu sei il segreto del tuo Signore. Hai raggiunto l’obiettivo finale di perdere te stesso in Dio, l’Eterno. Tutto ciò che è stato proibito o reso obbligatorio per i suoi servi non si applica a te. Qualunque cosa ti venga in mente, falla, perché tutto ciò che tu fai viene da Lui ed è corretto. Tu non hai alcuna responsabilità”

Possa Dio proteggerci da una tale eventualità, perché cadere in questo stato è come cadere giù dalla cima di un alto edificio. È mortale. Uccide il cuore. Chi è senza cuore non ha coscienza né paura di Dio; diventa un giocattolo del diavolo. Ruba, uccide, beve, diventa un dissoluto; non c’è limite ai peccati che commette. È anche cieco quando sta per cadere nella fossa dell’inferno, quando il suo shaykh e i suoi fratelli sulla Via tentano di trattenerlo, lui scalcia e tira e c’è il pericolo che li spinga all’inferno con lui.

Ma Dio Onnipotente salverà quelli che tengono conto degli avvertimenti e che si attengono alla loro religione e alla mano del loro insegnante. E che alimentano l’amore che sentono per il loro shaykh e i propri fratelli sulla Via per amore di Dio. E sicuramente sarà spinto al livello della pace e dell’armonia nel regno del Nafsi Mutmainna.


Nafsi Mutmainna

Questo stadio è il posto sicuro raggiunto dal ricercatore dopo un lungo e difficile combattimento con il diavolo privato, il suo io, e l’esercito dei diavoli che lo tentano nella sua vita di questo mondo. Per essere in grado di raggiungere questo livello, deve avere placato ambedue. Così è relativamente libero dai pericoli. Ora è sotto il comando della sua anima umana. Che trae piacere nel seguire le regole della religione e l’esempio del Profeta (saws). Possiede le qualità che Dio loda: è gentile, generoso, paziente, perdonatore, sincero, grato, contento e in pace. Ha udito Dio dire:

“O tu che hai trovato pace
Ritorna al tuo Signore, contento con Lui
E Lui contento di te.
Entra tra i miei bravi servi
Ed entra nel mio Paradiso.”

Lui trova la sua pace, la sua felicità, la sua delizia, nel suo Signore. Gli è stato dato il cielo in terra. Entra in Paradiso in vita.

Ogni parola che scaturisce dalle sue labbra o è dal Santo Corano o dalla tradizione del Profeta (saws) o dall’insegnamento dei santi. La sua adorazione e devozione sono nutrimento per la crescita della sua anima. È un insegnante non solo mediante le parole, ma con l’esempio. I miracoli che accadono tramite lui, li attribuisce ad altre cause, non li rivendica mai, li ripudia al punto di negarli. Ogni sua azione corrisponde alle regole della religione. Lui ha riguadagnato il nome di Insan, vero essere umano; il nome deriva dalla parola uns, essere vicino, intimo con il proprio Signore. Così il suo Signore lo prenderà per mano e lo condurrà senza molte difficoltà da qui in poi.


Nafsi Radiyya

Ahimè! Veramente pochi uomini possono aspirare a raggiungere questo alto stato. Da questo livello compreso in su il ricercatore non impara, con le parole o l’esempio, da altri che se stesso, mediante la Ilm al Yaqin, la conoscenza acquisita. Ora ha raggiunto il livello della conoscenza tramite l’esperienza personale e le rivelazioni: Ayn al Yaqln, Certezza. Fin qua ogni cosa era relativa. Ora lui offre la Verità. La manifestazione di questo stato è amore, amore che tutto avvolge. Vede tutto e ogni cosa come atti perfetti di Dio, così li ama come le azioni, fil, dell’Amato. Raggiunge la perfetta sottomissione a ogni cosa che accade. Questa è la “Verità dell’Islam”. C’è una perfetta armonia, di cui egli e conscio. Non ci sono possibilità di errore perché lui è il maestro del suo io, e l’io stesso è diventato un Musulmano, sottomesso al suo Signore. Lui non vuole altro che ciò che ha. Quindi non chiede a Dio alcunché per se. Ma quando prega per qualcun altro, le sue preghiere sono immediatamente soddisfatte. Lui siede sul trono nel regno spirituale, mentre il mondo esteriore è presente per servirlo. La sua accettazione, sottomissione, piacere. gratitudine e amore per il suo Signore sono così perfetti, che il Signore risponde con il Suo piacere per il Suo servo.


Nafsi Mardiyya

A questo livello si manifesta il legame tra il Creatore e il creato, con un amore comune ad entrambi. Il Creatore trova nell’uomo perfetto le qualità che Egli gli ha conferito quando lo ha creato, cosi come ha detto:

“In verità abbiamo creato l’uomo nella forma migliore …”

I Suoi Bei Nomi, i Suoi Attributi, che ha insegnato a nostro padre Adamo, si manifestano nel ricercatore. Così l’uomo perfetto che ha raggiunto il livello dove merita il piacere di Dio, ha perso tutte le sue caratteristiche fisiche animali così come i suoi aspetti umani imperfetti sotto il comando del suo io. Ora i Divini Attributi di Dio sono manifesti in lui e lui vede la Vera Realtà, la Verità, perché è benedetto con Ayn al Yaqin, la Certezza. Lui vede bellezza in ogni cosa, ama tutti, perdona le colpe di quelli che non sanno, è compassionevole, generoso, dà, non chiede mai, serve con tutto ciò che ha per portare gli altri alla luce dell’anima e per proteggerli dai pericoli dei loro io e dall’oscurità della loro mondanità. Tutto questo lo fa per amore di Dio e in Suo nome.

È difficile riconoscere questi esseri. Il loro stato non può essere descritto a parole. Non possono essere paragonati ai concetti che uno conosce ordinariamente. Una loro caratteristica particolare identificabile è che sono sempre in uno stato di perfetto equilibrio, come il centro di un circolo, come il fulcro di una bilancia: giusto nel mezzo, né di più né di meno, il mezzo. Dio ce lo chiede, il Profeta (saws) ci avvisa, tutti lo desiderano, ma nessuno riesce a raggiungere quest’obiettivo di eqilibrio eccetto questi uomi perfetti.


Nafsi Safiyya

Nel mezzo di ogni cosa, avendo trovato il centro, l’anima trova il proprio luogo. È un punto, senza lunghezza o estensione, non ricopre alcun area o spazio. Così è pura. Non esiste desiderio, non esiste richiesta. È l’inizio e la fine. È come il punto sotto la Ba e il punto sopra la Nun, tutta la conoscenza è contenuta in esso. Quando l’essere che possiede questa anima pura si muove, i suoi movimenti sono un potere che reca beneficio; quando parla è sapienza e musica per le orecchie; quando appare è bellezza e gioia per chi vede. Tutto il suo essere è adorazione, ogni cellula del suo corpo è in continua lode del suo Signore. È umile. Sebbene sia senza peccato, versa lacrime di pentimento. La sua gioia è vedere l’uomo che si tende verso il suo Signore, la sua pena è vederlo smarrirsi. Più di ogni cosa ama quelli che servono Dio. È adirato con quelli che si rivoltano. Tutto ciò che desidera per l’umanità è ciò che vuole Dio, e teme per il destino degli infedeli. È giusto, più che giusto! È quello che intercederà per i peccatori.


Dio è il più sapiente. Possa guidarci sulla Retta Via e condurci ai livelli che incontrano la Sua approvazione e ci dia la pazienza, la perseveranza, la forza e la sapienza per avere successo nella Via. Amin.

[Adattato da Marifetname di Hd. Ibrahim Hakki Erzurumi (1703-1780) dallo Shaikh Tosun Bayrak al-jerrahi Zul-Qi’dah, 1420]


Reciprocità

(da un testo di M. Goldsmith e M. Wharton)

Gli estroversi hanno bisogno degli introversi

perché li tengano concentrati e non li facciano distrarre dagli stimoli esterni

per esplorare le profondità interiori

per avere profondità e concentrazione nei lavori in comune

perché li aiutino ad accettare e ad apprezzare la solitudine

perché li aiutino a diventare consapevoli di ciò che accade dentro di loro

perché li aiutino ad ascoltare gli altri

perché li aiutino nei lavori lunghi, lenti o noiosi.


Gli introversi hanno bisogno degli estroversi

perché li aiutino a far conoscere le loro opinioni durante le riunioni

perché li aiutino a conoscere e a farsi conoscere

per mantenere vivi i rapporti e le conversazioni

perché gli estranei e le novità siano bene accolti

per rompere il ghiaccio in ogni occasione sociale


Gli intuitivi hanno bisogno dei sensoriali

perché facciano cogliere loro i dati più importanti

perché leggano le istruzioni o la parte stampata in piccolo nei contratti

per avere pazienza e perseveranza

per poter mettere una certa dose di realismo nei sogni e nei problemi

per poter apprezzare quello che offre il momento presente

per poter essere tenuti al corrente di dettagli essenziali

per prendere nota e sapere dove stanno le cose

per accorgersi di quello che va fatto “adesso!”

per ricordarsi che la vita va vissuta e goduta “ora!”.


I sensoriali hanno bisogno degli intuitivi

per sviluppare una visione del futuro e di quel che potrebbe accadere

per affrontare le difficoltà con ingegno e con gusto

per prevedere e interpretare il cambiamento

per avere entusiasmo

per avere suggerimenti su nuove possibilità di fronte a un problema

per essere pronti quando arrivano nuovi elementi essenziali

per saper vivere in presenza di varie alternative

per rammentare che vale la pena di prevedere le gioie del futuro e di impegnarsi per ottenerle.


I sentimentali hanno bisogno dei pensatori

perché li aiutino ad analizzare fatti e situazioni

perché li aiutino in questioni organizzative

perché facciano i lavori spiacevoli quando ci sono di mezzo le persone

per aver fermezza quando c’è opposizione

per trovare gli errori

per ristrutturare o correggere

per attenersi a una linea di condotta in cui si crede, quando questa viene fortemente criticata.


I pensatori hanno bisogno dei sentimentali

per non perdere di vista il fattore umano

per conciliare e persuadere

per consigliarsi su ciò che provano le persone

per far nascere 1’entusiasmo

perché li apprezzino come pensatori.


I percettivi hanno bisogno dei giudicativi

perché li aiutino a giungere ad una decisione

perché forniscano loro un po’ di organizzazione e di tecnica

perché rammentino loro la fedeltà alle radici

per dare loro il senso del tempo e del suo scorrere

per aiutarli a far fronte alle scadenze

per mostrare loro i vantaggi derivati da una vita ordinata

per rammentare loro 1’esistenza di autorità superiori

perché si accertino che i lavori da compiere vengano svolti.


I giudicativi hanno bisogno dei percettivi

perché li aiutino a non essere troppo frettolosi

per poter apprezzare la varietà delle possibili scelte

per capire che un insuccesso non è per forza un disastro

perché si possano liberare dalla tirannia del consuetudinario

per essere aiutati a vedere le regole come funzionali al servizio e non dispotismi imperativi

perché vedano autorità e gerarchie nella giusta prospettiva

perché si rendano conto di quanto tempo c’è veramente a disposizione

per divertirsi e rispondere ai bisogni del momento.


«Quando si scopre il segreto di un solo atomo si scopre anche il segreto di tutte le cose esistenziate, apparenti o nascoste, e tu cessi di vedere i due mondi come altro che Dio: i loro nomi e ciò che questi indicano sono svuotati di Realtà. O anche: i loro nomi e ciò che questi indicano, e la loro esistenza stessa sono Lui, senz’ombra alcuna di dubbio. Tu non vedi Dio come avente creato mai una qualsiasi cosa, ma come essente “ogni giorno un’opera” (Corano 55°29), che a volte Lo manifesta e a volte L’occulta, e ciò di fuori da ogni modalità concepibile (bi lâ kayfiyya) […]. E’ Egli stesso il Nome e il Nominato. Cosi come è necessario che Egli sia, è necessario che ciò che è “altri che Lui” non sia. In effetti ciò che credi che sia “altri che Lui” non è affatto “altri che Lui”. L’altro che Lui è sempre Lui: la Sua trascendenza esclude che un “altri che Lui” sia veramente “altro”: 1’altro che Lui è Lui stesso senza che vi sia realmente alterità, sia esso con Lui o in Lui, interiormente o esteriormente.

[…] Quando tu conosci che non si può dare a Dio un contrario, un simile, un eguale o un consociato allora, ecco, tu conosci realmente te stesso […]. Così il conoscitore e il Conosciuto sono uno; e il conoscitore è 1’attributo del Conosciuto. Allora si capisce che si tratta di “conoscere”.»

Awhad âlDin Balyâni: “Risâlat âlWahda âlMutlaqa”


1 – Qualche notizia storica sul Sufismo.


Il sufi è un essere umano come tutti gli altri,

si deprime come tutti gli altri, si ammala

come tutti gli altri, muore come tutti gli altri.

Ma egli è consapevole di avere un’anima

che non si deprime, non si ammala, non muore.


Quando in Europa l’Impero Romano, faro luminoso di civiltà e di cultura, fu annientato dalle popolazioni barbariche, la Chiesa ne mantenne intatti gli alti valori e la lingua, ed i monaci nei loro conventi ne perpetuarono gli insegnamenti e i contenuti.

Del pari quando il mondo islamico, luminoso esempio di civiltà e di cultura soprattutto nel campo delle scienze, fu invaso dai Mongoli gengiskhanidi, il Corano ne mantenne intatti i valori, ed i Sufi con le loro Confraternite ne perpetuarono gli insegnamenti e i contenuti.

Secoli dopo l’invasione dei Mongoli, venne la cesura delle colonializzazioni, a causa delle quali – anche per reazione – alla religiosità aperta e luminosa nella vita quotidiana si andò sostituendo una sorta di bigottismo fanatico di cui una parte dell’Îslâm, soprattutto quello wahabbita, soffre ancor oggi; e alla scienza si andò sostituendo la magia. Solo i Sufi dell’Asia seppero mantenere vivo il puro Îslâm e portare avanti le arti e le scienze.

E allora: che cosa è il Sufismo? È la via Mistica precipua dell’Îslâm, e se non si è musulmani non si può essere sufi, così come i monaci sono i mistici del cristianesimo. Il Sufismo è una realtà altamente complessa, intelligibile nella sua pienezza solo da colui che la vive dentro di sé. Per darne una idea,cito qui alcuni brani di due eminenti maestri sufi.

Ha scritto Sayed Husein Nasr: “Come il respiro che anima il corpo, il sufismo ha infuso il suo spirito in tutta la struttura dell’Îslâm, sia nelle manifestazioni sociali, sia in quelle intellettuali. Le Confraternite dei sufi (Turuq, singolare Tarîqa), ampia matrice della società islamica, hanno esercitato il loro influsso durevole e profondo su tutta la struttura della società, benché la loro funzione primaria fosse quella di custodire attraverso i tempi le discipline spirituali e renderne possibile la trasmissione da una generazione all’altra. Sono poi state affiliate al Sufismo anche organizzazioni iniziatiche secondarie, che andavano dagli ordini cavallereschi – ai quali competeva la sorveglianza delle frontiere islamiche – alle corporazioni e ai diversi gruppi artigiani associati nelle futuwwat, e risalenti alla persona stessa di cAlî bn Âbû Tâlib, cugino del Profeta (ss) [e quarto “califfo ben diretto”]. Non è possibile compiere uno studio approfondito della società islamica senza prendere in considerazione queste “società entro la società” […], né sono comprensibili molti problemi della storia islamica senza avere presente la funzione fondamentale svolta dal Sufismo. Anche nel campo dell’istruzione l’azione del Sufismo è stata profondissima, dal momento che il suo compito fondamentale è l’educazione totale dell’uomo, al fine di farlo giungere alla piena e perfetta realizzazione di tutte le sue possibilità. La diretta partecipazione di molti sufi (ad esempio del ministro selciukide khwâjah Nizâmi âlMulk) alla fondazione di università e di madrase (le facoltà universitarie), come pure il ruolo svolto da centri sufi nella diffusione dell’istruzione, rendono l’influsso del sufismo inseparabile dallo sviluppo culturale dell’Îslâm. E ancora: quando, durante certi periodi, in alcune regioni il sistema educativo tradizionale fu distrutto, – ad esempio in quello conseguente alle invasioni dei Mongoli – i centri sufi rimasero gli unici depositari anche del sapere ufficiale e accademico, e sulla base delle loro conoscenze si poterono ricostruire le scuole tradizionali.

“Nel settore delle scienze e delle arti l’influsso del Sufismo fu enorme – afferma sempre Nasr -. Nell’Îslâm la tradizione del Sufismo è strettamente connessa allo sviluppo delle scienze, ivi comprese le scienze naturali. In quasi tutte le forme d’arte, dalla poesia all’architettura, l’affinità con il Sufismo è particolarmente marcata […]. Per l’Îslâm stesso la Divinità è bellezza, e per il Sufismo, che costituisce il midollo dell’Îslâm e ne contiene tutta l’essenza, questa peculiarità appare particolarmente accentuata. Non è fortuito che i testi di più elevata qualità e bellezza siano quelli scritti dai sufi.

“Nel campo della letteratura islamica tutto ciò che vi è di più universale appartiene al Sufismo. Lo spirito del Sufismo innalzò le letterature araba e persiana da lirica locale o tuttalpiù epica ai vertici sublimi della letteratura didattica e mistica di portata universale, arricchendo più d’ogni altro l’arabo e il turco nella loro prosa e il persiano nella sua poesia. Inoltre molte lingue del mondo islamico strettamente locali raggiunsero l’apogeo in mano ai sufi, e debbono il loro sviluppo e la loro persistenza al genio di poeti sufi.

“La stessa situazione è analogamente riscontrabile nel campo della musica, dell’architettura, della calligrafia, della miniatura. Molti dei principali architetti musulmani sono collegati al Sufismo tramite la simbologia e la Sezione aurea; molti maestri calligrafi e molti miniatori lo furono appartenendo a una Confraternita sufica. Per ciò che riguarda la musica, nell’Îslâm essa è legittimata e permessa solo sotto forma di concerto spirituale (samâc) precipuo del Sufismo, sicché la tradizione della musica classica araba, iraniana e turca è stata coltivata attraverso i secoli soprattutto dai sufi. Certi sviluppi della grande musica indiana sono direttamente connessi alla pratica del Sufismo. Insomma: i sufi sono “la gente del sapere sapienziale” e “della visione” (dhawq). Non a caso questo termine indica, in arabo e in persiano, anche buon gusto e senso artistico. I sufi sono stati cultori delle Arti non perché ciò costituisce uno scopo del sentiero sufi, ma perché seguire il Sufismo significa diventare più consapevoli della bellezza divina che si manifesta dovunque, e alla luce della quale i sufi, conformemente alla bellezza della propria natura e secondo le norme artistiche della tradizione, creano capolavori che riflettono la bellezza dell’Artefice Supremo”.

E, secondo Si Hamza Boubakeur, “il Sufismo in se stesso non è né una Scuola teologico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone di sopra da ogni obbedienza. E’ innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, d’equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall’essere una innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta d’una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio, mosse dalla scossa della Sua grazia per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata”.

Sempre secondo Si Hamza Boubakeur, “le componenti della dottrina sufi sono l’amore totale per DIO; la gnosi che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, da cui la certezza della Sua esistenza e dell’impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l’ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione (dhikr) e dall’estasi.”

Le Confraternite dei Sufi sono dunque comunità ben organizzate, che si sono sgranate lungo il corso dei secoli. Punta di diamante dell’Îslâm, dal momento che l’Îslâm non si presenta come un blocco monolitico ma ha varie coloriture, varie sfaccettature e varie istanze a seconda dei luoghi geografici e delle diversificazioni storico-sociali, anche il Sufismo ha vari aspetti. Si può dire che la sua vera origine è situabile nell’Asia turco-iraniana, che per ragioni storiche ha riassunto e inglobato insegnamenti esoterici buddhisti, indù, classico-egizi e cristiani pur scaturendo da una matrice sciamanica non mai sopita; mentre in certe zone dell’Arabia e del Nordafrica – soprattutto nei due ultimi secoli – è andato poi anche degenerando in aspetti folcloristico-popolari, che del misticismo sufico hanno ben poco, e anzi rischiano di screditarne l’immagine.

Vi è quindi nel Sufismo, sì, una luminosa omogeneità di intenti, sui quali però – come su una tela di fondo – le varie correnti, le varie Confraternite, i vari Maestri e i singoli sufi hanno ricamato con una versatilità eccezionale. Da qui la fondazione di Confraternite maggiori e minori, in una sorta di gemmazione continua, talché, invece di svettare come una palma carica di datteri, l’albero del Sufismo si presenta ricco di mille rami, ed ogni ramo è frondoso e carico di frutti.

Resta il fatto che base imprescindibile del Sufismo è il Corano, correttamente letto, meditato, interpretato, come diceva appunto Si Hamza Boubakeur. Di conseguenza:

comportamento corretto (Corano, 2ª177; 25ª63-76; 28ª54-55).

rispetto per le persone (Corano, 25°68; 4ª93; 17ª33; 5ª22);

senso della pace (Corano, 4ª90; 8ª61; 6ª54; 22ª39-40).

rispetto per le religioni (Corano, 7ª188 e 67ª26; 2ª256; 2ª 62; 2ª136; 22°67; 5ª 68-69). Il Versetto coranico 29ª46 recita: E non disputate con le genti del Libro se non nel modo più cortese, eccetto con quelli di loro che agiscono ingiustamente, e dite: “Crediamo in ciò che è stato fatto scendere a noi e in ciò che è stato fatto scendere a voi; il Nostro [Dio] e il Vostro sono uno. A Lui noi siamo sottomessi.” L’emiro Âbd âlKader (1807-1883), commentando questo versetto, scrisse: “Il nostro Dio, quello dei cristiani, degli ebrei, dei sabei e delle sette deviate, è Uno, come Egli ci ha insegnato. Egli Si è manifestato a noi con una teofania differente da quella con cui Si è manifestato nella Sua rivelazione ai cristiani, agli ebrei ed alle altre confessioni. Di più: Egli Si è manifestato alla stessa comunità di Maometto con teofanie molteplici e differenti, il che spiega come questa comunità, a sua volta, comprenda fino a settantatré sette differenti, entro ciascuna delle quali bisognerebbe ancora distinguere altre sette, pur esse varie e divergenti, come constata chiunque ha familiarità con la teologia. Ora, tutto ciò nasce soltanto dalla diversità delle teofanie, che è funzione della molteplicità di coloro cui esse sono destinate e della diversità delle loro predisposizioni essenziali. Nonostante questa diversità, Colui che si epifanizza è Uno, senza mutamento dall’eternità senza inizio all’eternità senza fine.”

* * *

Riassumiamo e coordiniamo allora, qui, qualche dato storico. Possiamo riconoscere alla storia del Sufismo quattro grandi periodi, o tappe.

1) Dal VII all’VIII secolo, si hanno le prime manifestazioni e la prima diffusione, e v’è una certa confusione tra i mistici (i sufi) e gli asceti, o malâmatiyya (“quelli del biasimo”, una sorta di religiosi simili ai “Piagnoni” medioevali), che a volte si avvicinano alle confraternite monacali cristiane, o nei quali gruppi di malâmatiyya confluiscono a volte monaci cristiani passati all’Îslâm. La confusione è aumentata dalla situazione politica, in cui l’Amministrazione è affidata agli Iraniani, la Difesa ai Turchi e la Magistratura agli Arabi. La cultura islamica, comunque, pare ancora una derivazione del Tardo Antico. E’ il tempo dei mistici âlHasan âlBasri (642-729) e Rabîca âlcAdawiyya (713-801), una delle più famose tra le donne sufi.

2) Nel secondo periodo, dal IX al X secolo, mentre le lotte e le controversie politiche che caratterizzano il vasto mondo islamico si riflettono sulla formazione delle più importanti Confraternite sufi, si assiste in generale ad una preponderanza del pensiero turco che opera una graduale autonomia della cultura islamica, sottraendola del tutto alla sua prima derivazione dal Tardo Antico. Gli Arabi vengono ricacciati quasi totalmente nella loro penisola, e sorgono importantissimi stati indipendenti, soprattutto ad opera delle genti turche e andaluse. Gli Arabi cercano di mantenere il predominio nell’àmbito della Teologia; e nella situazione generale di controversie religiose vi è appunto per questo, da parte loro, una crescente ostilità nei riguardi del Sufismo. Per ciò che attiene in particolare al Sufismo, va considerato che i Turchi si caratterizzavano per l’aperto interesse verso tutte le formulazioni fideistiche. Un esempio: in periodo pre-islamico il Buddhismo si diffuse in Cina proprio grazie ai regni turchi della Cina del Nord (in particolare il regno Wei, 386-551). Loyang, capitale dei Turchi Tabgaç, ebbe oltre 1.300 pagode e, per ordine di Thopa Hong II° (471-499) furono creati nelle grotte di Longmen i capolavori dell’arte buddhista d’ispirazione grecoromana, secondo modelli importati dal Gandhàra (Afghànistàn). E’ da tener presente che il Buddhismo è una religione elitaria, e si esprime soprattutto nel coordinamento dell’ordine monastico, ben organizzato e potente. Non è da escludere che quando in quelle zone l’intellighenzia turca passò dal Buddhismo all’Islamismo, gran parte della classe monastica buddhista sia a poco a poco defluita in quello che si può chiamare il “monachesimo” dell’Îslâm, il Sufismo. Ancora nel XIII° secolo molti monaci buddhisti aderirono alla Kalandariyya (ordine sufico del Khorâsân sorto nel IX° secolo), e solo dopo la sua diffusione verso Occidente per opera di Sâvî (1168-1231) questa Confraternita perse ogni echeggiamento buddhista allineandosi del tutto alla Sharîca islamica.

E’ il tempo di grandi Maestri dall’illuminato pensiero: Muhâsibi (781-857), Bistâmi (?-874), Junayd (?-910), Dhû âlNûn âlMisrî (771c.-861) e soprattutto âlHallaj (858c.-922), martirizzato e ucciso per ordine di teologi limitati e giudici corrotti.

3) Nel terzo periodo (secoli XI-XV) si assiste al trionfo del Sufismo. E’ il periodo d’oro: teologi fra i più eminenti dell’Îslâm, come il turco âlGhazâlî (1050-1111) e l’andaluso Îbn âlcArabî (1165-1240), gettano un ponte ben solido fra la Teologia e il misticismo dei sufi. Grandi figure di prua danno l’avvio a Confraternite fra le più importanti: cAlî Sharaf âlDîn (1182-1235), Hasan âlShazûlî (1196-1258), Shustarî (1201-1269), Jalâl âlDîn Rûmî (1207-1273 considerato il Dante Alighieri della gente turca), âlRifâcî (?-1175), âlBadawî (?-1280), âlNaqshbandî (?-1388), Shihâb âlDîn Suhrawardî (1155-1191), Muhammad âlKhalwatî (?-1398).

4) Il quarto periodo va dal XVI secolo ai giorni d’oggi. Si apre con il grande fiume delle sei maggiori Confraternite: Qâdiriyya, Shâzûliyya, Suhrawardiyya, Naqshbandiyya, Mevleviyya e Khalwatiyya (in turco Halveti, il cui ramo mediano sono i Jarrahi) , cui se ne affiancheranno lungo i secoli almeno una ottantina ancora di minori, derivate dalle sei maggiori che le riconobbero e le autorizzarono.

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Ecco dunque, chiaramente, il perché d’una varietà di comportamenti, di rituali, di preminenze dialettiche a volte, tra le varie Confraternite, ferma restando, come dicevo più sopra, la tela di fondo del misticismo che rende luminoso il concetto dell’Unico esistente: Dio. “Tutte le strade conducono ad un’unica meta”.

In definitiva l’organizzazione delle Confraternite consiste in gruppi di musulmani anelanti a Dio, iniziati dal capo della Confraternita, che è l’erede diretto del carisma (la baraka) trasmessogli dal fondatore della Confraternita stessa; e a volte può esserne anche l’erede per sangue. Dal capo della Confraternita si risale al fondatore attraverso una serie precedente di Capi, in una catena precisa e ininterrotta, la salsalat âlWird (o silsila). Il fondatore ha trasmesso loro una particolare preghiera rituale (wird, o hizb), costituente il fondamento del rituale comune; e un testamento mistico, o “raccomandazione” (wasiya).

Il sufi (apprendista, compagno o maestro) fa quindi parte di una tekké e partecipa alle riunioni rituali (hadra). Esse sono di due tipi: una è dedicata alle discussioni, ai postulati, alle delucidazioni, all’istruzione, a quant’altro il Maestro ritiene necessario per la progressione spirituale; ed una è dedicata al dhikr collettivo. E’ abbastanza normale, in queste riunioni, iniziare con la preghiera comunitaria e con il pasto in comune. In varie Confraternite – non in tutte comunque – il dhikr comprende musica, canto e danza, una danza collettiva che spesso è chiamata âlZohd (l’ascesi). Numerosi sono quindi anche i sufi musicisti o cantanti.

In linea di massima la tekké ha proprietà (un negozio, o una scuola, o un mercato, o un ristorante) da cui ricava il necessario per le proprie spese. Se la proprietà della tekké è costituita da coltivazioni, persone pie di tanto in tanto vi lavorano gratuitamente, in una sorta di corvé collettiva (tuîza). In mancanza di ciò ogni sufi che lo può fare – non è assolutamente un obbligo: “nessun versamento di denaro inquini il Cammino!” (Âhâdîth, B. 75°33) – versa alla tekké un obolo (sadaka) per le spese di manutenzione.

Vi è da aggiungere: oggi sono anche sorte, in Occidente, per moda o per curiosità o sulla scia del New Age, pseudo-scuole di pseudo-sufi, imitatrici orecchianti delle pratiche esterne del Sufismo, ma che con il Sufismo nulla hanno a che fare. Non si possono definire sufi, quindi, e per di più molti dei loro aderenti non sono nemmeno musulmani. Ripeto: non si può essere sufi se non si è musulmani; non sussiste Sufismo di fuor da una tradizione solidamente accertata, non sussiste comunità sufi che non discenda direttamente dal venerato Maestro fondatore dal quale prese l’avvio.

Vi è poi una cosa ancora da aggiungere: vi sono dei fanatici che, pur proclamandosi musulmani, avversano il Sufismo, poiché avversano la pace, la bellezza, l’istruzione, la cultura, l’arte, l’aperta accettazione dell’altro, ed il rispetto di tutte le religioni, valori che il Sufismo propugna basandosi strettamente sul verbo del Corano correttamente letto e interpretato. In particolare sono contro il Sufismo quelle correnti musulmane che appoggiano l’operato nefasto di un dittatore per il quale il Sufismo è da eliminare con gli stessi mezzi coercitivi che usò Hitler nella Germania nazista. I dittatori sono tutti eguali, a qualsiasi paese appartengano e a qualsiasi religione si appellino. Se enumerassimo le distruzioni e gli egoismi fanatici nel mondo, facilmente ci accorgeremmo di quanto il Sufismo – e in generale ogni misticismo illuminato – sia, oggi, proprio oggi, necessario.

Uno dei più bei detti del Profeta, ripetuto spesso dai sufi, è: “Înna Âllâh jamîl, îuhibbu âlJamâl”: “certo, Dio è bello e ama la bellezza”. In effetti in questa breve frase è contenuto tutto ciò che è necessario all’essere umano: Dio, amore, bellezza. Se noi tutti compissimo i nostri atti sapendo che li stiamo compiendo al cospetto di Dio, e che a Dio dovremo renderne conto dopo la nostra morte; se li compissimo amando, amando gli altri e noi stessi; e se li compissimo belli (ritmo e simmetria), di certo tutto il mondo sarebbe in totale armonia, sarebbe davvero il pronao di un Paradiso ideale.

IL SUFISMO secondo la TARIQA JERRAHIultima modifica: 2009-07-24T15:58:00+02:00da mikeplato
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2 Responses

  1. at |

    ダイエット成功の秘訣は、何よりも身体を動かすことに尽きると思いる。確かに食事の量を減らしたりすれば、それなりに体重は減るとは思いるが、食事をきちんと摂れないのは楽しくありませんよね。

  2. at |

    ダイエット成功の秘訣は、何よりも身体を動かすことに尽きると思いる。確かに食事の量を減らしたりすれば、それなりに体重は減るとは思いるが、食事をきちんと摂れないのは楽しくありませんよね。

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