UN’ERESIA DI LUCE (Manicheismo)

mani.gif

di Ezio Albrile


Nel linguaggio comune il termine “manicheismo” designa un modo di agire in cui due modi di pensare sono contrapposti in modo assoluto. Un pregiudizio clericale che immaginava due dèi, uno del Bene l’altro del Male fronteggiarsi sin dall’eternità è alla base di questa concezione: così, affabulando il diteismo, gli eresiologi antichi descrivevano la “Religione della Luce” fondata da Mani. Ma chi era costui?

Colui che nelle fonti latine è nominato come Manichaios, contrazione del siriaco Mani hayya cioé “Mani il vivente”, nacque nelle lande babilonesi dell’impero persiano il 14 aprile del 216 dell’era volgare. Suo padre, un certo Pattek, di stirpe regale, fu preso da manie religiose ed ad un certo punto della sua vita decise di entrare a far parte di una setta gnostico-giudaica allora in voga in terra mesopotamica, gli Elchasaiti. Il nome di questa setta che predicava l’astensionismo sessuale ed alimentare, ed impartiva continui battesimi derivava dal fondatore, un certo Elchasai, un personaggio che secoli prima di Maometto diceva di aver ricevuto dal cielo il Libro della Rivelazione.

Prima di abbandonare la comunità religiosa del padre, Mani ricevette due messaggi celesti, uno all’età di 12 anni, l’altro all’età di 24 anni: il “gemello”, in greco syzygos gli rivelò i misteri della Luce e delle Tenebre su cui è fondato il cosmo.

Il dualismo che contrappone Luce e Tenebre, Vita e Non-Vita, Verità e Menzogna è il fulcro del credo manicheo. All’inizio esistono due Regni: uno a Nord, governato dal Padre della Grandezza, Abba d-Rabbuta nelle fonti siriache, Zurwan in quelle iraniche, l’altro a Sud, l’universo della Hyle, la Materia, su cui domina il Princeps tenebrarum, Ahriman. Il Padre della Grandezza è composto da Cinque Elementi di Luce, cinque “splendori”, in siriaco ziwane, ed è circondato dai Dodici Eoni adamantini che abitano il Regno di Luce.

Mentre per la Dodecade luminosa il pensiero corre alle dodici costellazioni dello zodiaco, la pentade è una cifra ricorrente nella mitologia manichea: cinque sono gli elementi di Luce, ma cinque sono anche gli elementi di Tenebra contrapposti simmetricamente al Regno del Padre della Grandezza. Quando il Regno delle Tenebre attacca quello della Luce, il Padre della Grandezza decide di combattere evocando, “chiamando” (dal siriaco qra) dalla propria essenza il protos anthropos, l’Uomo primigenio: cinque, anche per lui, sono gli Elementi di Luce che formano la sua fulgida “corazza”, la sua Anima. L’Uomo primigenio deriva dall’essenza dello splendore sorgivo attraverso la Madre dei viventi, Madar i zindagan nelle fonti iraniche.

La strategia adottata dal Mondo della Luce prevede che l’Uomo primigenio si dia volontariamente preda ai demoni dell’oscurità, affinché la Luce sia letale verso le Tenebre, come chi volendo annientare il proprio nemico “mescoli in un dolce un potente veleno”. Quello del “miscuglio”, il gumezisn iranico, è un tema costante nel manicheismo, esso rappresenta il “tempo intermedio” in cui le due sostanze, le due modalità di vita e di non-vita, si amalgamano e combattono per la supremazia sul tutto. Il manicheismo non a caso è noto come religione delle due “sostanze” o “principî” e dei tre “tempi”, initium medium et finem di sant’Agostino.

Lacerato nei penetrali della Tenebra, l’Uomo primigenio innalza una preghiera al mondo del Padre luminoso, anelando la salvazione; essa si concretizza nella figura dello Spirito Vivente, il quale attraverso un “grido” demiurgico sveglia l’Uomo primigenio dal sonno di tenebra. La risposta non tarda ad arrivare ed entrambe i discorsi salvifici – cioè il richiamo dello Spirito Vivente e il riscontro dell’Uomo primigenio – diventano due ipostasi, due personificazioni luminose. Al seguito dello Spirito Vivente, ruha hayya nelle fonti siriache, waxs zindag in quelle iraniche, vi sono anche qui Cinque Figli, i “santi del macrocosmo” delle fonti cinesi, i quali reggono le sorti dell’universo.

L’ossessione pentadica, interiorizzata nelle cinque facoltà noetiche mens sensus prudentia intellectus cogitatio, equivalenti alla serie greca di nous ennoia phronesis enthymesis logismos, si ritroverà nella gnosi islamica personificata nelle cinque figure sante della fazione sciita: Maometto, sua figlia Fatima, il cugino e genero ‘Ali ed i due figli Hasan ed Husain. Nel loro insieme essi sono i “cinque della tenda”, la pentade luminosa dell’ Ummu’l-kitab, il testo sacro degli Ismaeliti del Pamir, edito anni orsono in una magistrale traduzione italiana dal prof. Pio Filippani-Ronconi. La pentade logicamente richiama l’idea di quintessenza, il quinto elemento, l’etere adamantino che nella fisica aristotelica era ritenuto permeare il tutto. Nelle fonti manichee iraniche il primo elemento della pentade era lo xwarrah, l’avestico xvarEnah, il nimbo glorioso che nella tradizione mazdea riveste gli esseri eletti, magistralmente studiato in tanti lavori dal prof. Gherardo Gnoli. Vertice della pentade salvifica è quindi il fulgore luminoso dello xwarrah; cosmologicamente esso corrisponde al primo dei Cinque Figli dello Spirito Vivente: nelle fonti greche è chiamato phengokatochos, colui che veglia gli splendori. Egli regge i cieli posti al di sopra dell’ebdomade planetaria, cioè governa le modalità di esistenza poste al di là della manifestazione fenomenica.

La cosmogonia nel manicheismo è frutto dello smembramento degli Arconti: lo Spirito Vivente, al contrario del Demiurgo gnostico, non crea nel vuoto o dal vuoto, bensì utilizza la pelle ed i corpi dei demoni per fabbricare il mondo, nel loro corpo è infatti intrappolata la Luce, che solo attraverso la cosmogonia può essere restituita alla condizione di purità iniziale. Il risultato sono dieci cieli e – di nuovo!- cinque terre stigma dei diversi gradi raggiunti nella purificazione della Luce; essa infatti è raccolta in proporzioni maggiori nel Sole e nella Luna, mentre le costellazioni della sfera zodiacale sono quello che rimane dei demoni. La Luna ed il Sole hanno una parte centrale nel processo di salvezza della Luce intrappolata nel mondo, poiché rappresentano le “ruote” di un meraviglioso meccanismo, la “Colonna di Gloria”, attraverso cui la sostanza luminosa ritorna nel mondo del Padre della Grandezza.

Fungendo da gigantesco “mulino”, il cosmo sottrae lentamente ma inesorabilmente le scintille di Luce intrappolate nella Hyle: attraverso le lunazioni la sostanza luminosa viene travasata nel Sole, naviglio supremo nel viaggio al Regno originario del Padre della Grandezza. La Luna, che i manichei chiamano “occhio del cielo” ed identificano con il Gesù cosmico, rappresenta il momento di transizione della sostanza spirituale alle dimore beate; un mondo intermedio,un paradiso celeste per certi versi affine alle tante dimore immortali dipinte nelle leggende taoiste. In una di esse il santo taoista Chang Kuo, alla forsennata ricerca dell’Unicorno, ascende in groppa al suo Asino sulla Luna, luogo paradisiaco nel quale trova lo splendente Imperatore di Giada accanto all’Albero della Vita. Uno scenario affine è descritto nella visione che del paradiso lunare manicheo forniscono gli Acta Archelai del presunto Egemonio: la trasmigrazione delle Anime luminose e viventi sull’astro notturno è relazionata all’unione con il principio cristico, il Gesù lunare identico all’Albero paradisiaco. L’Unicorno e l’Asino nella narrazione taoista rammentano inoltre il xar i se pay, l’Asino unicorne che nella tradizione iranico-mazdea dimora, come l’Albero della Vita e il polo cosmico, al centro del mare Vouru.kasa .

L’universo celeste ed onirico su cui veglia il phengokatochos è certamente il più lontano dall’esperienza empirica dell’Adamo somatico, che nella gnosi manichea scaturisce da un connubio diabolico: per conservare un’ultima porzione di Luce, la Hyle escogita un artifizio fondato sulla concupiscentia sexualis, la scandalosa Az dei testi medio-persiani, il temibile demone che nelle tradizioni mazdee tenta di demolire la creazione luminosa di Ohrmazd. La Hyle mira a coagulare la massima parte di Luce in una creazione separata che si contrappone alla creazione “spirituale”, la creazione menog dei testi zoroastriani. Per attuare questo piano, simile per certi versi all’origine fisiologica della patologia tumorale, Az sceglie un demone chiamato Asaqlun ed una demonessa di nome Namrael ; una coppia di cannibali che in poco tempo divora gli Aborti delle demonesse, ingravidate in una fase precedente del mito dal desiderio spermatico per il Legatus Tertius, l’Adamas luminoso apparso nei cieli.

Non paghi del pasto satanico, la coppia di demoni si dà alla fornicazione più sfrenata, plasmando mentalmente, come i NEfilim, gli Angeli decaduti del “Libro di Enoch” una progenie effigiata nelle forme dell’Adamas di Luce apparso nel firmamento psichico. È l’origine della prima coppia umana secondo la gnosi manichea: il grande Ernesto Buonaiuti – oggidì riesumato dal pensiero laico – fu tra i primi ad osservare come il genere umano sia per i manichei esito di un ripugnante connubio di cannibalismo e sessualità. Da un lato il corpo, epifania puramente animalesca dei demoni, e dall’altro la concupiscentia sexualis, esito erotico della brama di possesso sul cosmo, vincolano l’uomo alla potenza delle Tenebre, la Maya hindu. Gli Arconti creano un mondo fittizio modulato sull’illusione del desiderio: la presunta realtà è quindi un miscuglio di paura e di attesa, di passione e di odio, di creazione e di distruzione. Chi ha dimestichezza con il mondo cinematografico contemporaneo non si stupirà nel constatare come idee simili siano alla base di un lungometraggio di successo uscito pochi anni fa, Matrix. Consciamente o inconsciamente l’universo della celluloide, quale dimensione irreale in cui albergano gli Arconti, ha da sempre trascritto in chiave visuale una serie di tematiche definibili neo-manichee. È il caso ancora di una pellicola di circa trent’anni fa, Emmanuelle. Tratto dal romanzo di E. Arsan e magistralmente interpretato dalla ahrimanica Sylvia Kristel, Emmanuelle è un curioso esempio – profetico per i tempi! – di ciò che intercorre nella gnosi manichea tra l’Anima vivente, la griw zindag dei testi iranici, e le potenze del cosmo. In una modalità di esistenza priva di ogni direzione spirituale, l’Anima – come sostengono molti testi gnostici – è preda dei lestes, dei briganti che abusando di lei maculano irrimediabilmente la sua essenza di Luce. È l’interpretazione gnostica dell’episodio evangelico della donna Samaritana, il cui “vero sposo” alberga in una dimensione che trascende questo piano di realtà, ma che nel nostro caso assume nuovi significati: l’universo rappresentato da Emmanuelle è l’universo della scissione ineluttabile, sequenza di edoné-gamos-genesis-thanatos.

Tutto ciò porta ad un paradosso, che è anche il paradosso della gnosi manichea: l’Abisso in cui è volontariamente caduta l’Anima, versione ultima dell’Uomo primigenio, è l’apice della sua abiezione, infimo gradino verso l’Assoluto; questo perché le Tenebre, nel loro macularsi di passioni e rancori, non possono sopportare il veleno più terribile: la Luce!

UN’ERESIA DI LUCE (Manicheismo)ultima modifica: 2009-10-27T18:28:00+01:00da mikeplato
Reposta per primo quest’articolo