L’ANIMA IN VITA E DOPO LA VITA SECONDO LA CABALA

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C. De Leiningen (1887)

L’anima durante la vita

Fra tutti i problemi di cui si occupa la filosofia, quello della nostra essenza, e della sua immortalità, non ha mai cessato di preoccupare l’umanità. Dappertutto e in tutti i tempi, i sistemi e le dottrine su questo soggetto si sono avvicendati, con varietà e contraddittorietà, e la parola Anima è servita a designare i più svariati concetti di esistenza e le più svariate sfumature di essere. Di tutte queste dottrine, a volte antagoniste, incontestabilmente la più antica e la più vicina al vero è quella della Qabalah. Tramandata oralmente – come rivela il suo nome – essa risale all’origine della specie umana e, perciò, forse, in parte è anche il prodotto di quella intelligenza non ancora offuscata, di quello spirito penetrante verso la verità che, secondo l’antica Tradizione, l’uomo possedeva nel suo stato primordiale.

Per quanto la natura sia un tutto complesso, secondo la Qabalah, vi troviamo comunque tre aspetti apparentemente distinti: il corpo, l’anima e lo spirito [la massa, l’energia e il noumeno principiale]. Essi si differenziano tra loro come il concreto, il particolare e l’universale, in modo che l’uno è il riflesso dell’altro e ciascuno, anche in se stesso, offre questa triplice distinzione.

Il primo aspetto, il corpo, con la sua triplice modalità, nella Qabalah prende il nome di Nephesh; il secondo, l’anima, sede della volontà-intelletto, che costituisce propriamente la personalità umana, con la sua triplice espressione, si chiama Ruah; il terzo, lo spirito, con i suoi tre poteri, nella Qabalah prende il nome di Neshamah.

Come prima accennavamo, questi tre aspetti dell’uomo non sono completamente distinti e separati, ma sono l’uno dentro l’altro come i colori dello spettro, i quali, sebbene si susseguano, non possono essere distinti completamente perché fusi l’uno nell’altro. A partire dal corpo, dal potere più basso di Nephesh e attraverso l’anima (Ruah) risalendo fino al più alto grado dello spirito (Neshamah) si trovano tutte le gradazioni, come quando si passa dall’ombra alla luce attraverso la penombra. Inversamente, dalle parti più elevate dello spirito fino a quelle fisiche grossolane, si percorrono tutte le sfumature di radiazione, come dalla luce si passa all’oscurità attraverso il crepuscolo. E soprattutto, grazie a questa unione interiore, a questa fusione degli aspetti, il numero Nove [la triplice modalità di ogni aspetto] si perde nell’Unità per produrre l’uomo, spirito vitale che unisce in sé i due mondi.

Ora, se tentiamo di rappresentare questa dottrina con uno schema, otteniamo la figura che apre questo documento.

Il cerchio a indica Nephesh, e i cerchi interni 1, 2, 3 sono le sue modalità suddivise: 1 corrisponde al corpo, la parte più bassa e materiale nell’uomo; b è Ruah (l’anima) e i cerchi interni 4, 5, 6 sono le sue qualità. Infine c’è Neshamah (lo Spirito) con i gradi della sua essenza, 7,8,9. Quanto al cerchio esterno 10, questo rappresenta la totalità dell’essere vivente.

Consideriamo più da vicino queste diverse parti fondamentali, cominciando da quella di grado inferiore, Nephesh. Questo è il principio della vita, o forma dell’esistenza concreta, e costituisce la parte esteriore dell’uomo; in esso domina la passiva sensibilità per il mondo esterno, mentre troviamo una minore attività ideale. Nephesh è in diretta relazione con gli esseri concreti. Solo a causa dell’influenza di questi, egli produce una manifestazione vitale, però è ugualmente attivo nel mondo esteriore perché fa emergere dalla sua esistenza materiale nuove forze vitali grazie alla sua potenza creatrice, sì da ridare ciò che riceve. Questo grado concreto costituisce un tutto armonico e in esso l’essere umano trova la sua esatta rappresentazione esteriore. Osservato come un tutto unico, questo aspetto vitale comprende, a sua volta, tre gradi che stanno tra loro come il concreto, il particolare e l’universale o come la materia plasmata, l’energiaforza plasmante e il principio, e che nello stesso tempo costituiscono gli organi nei quali e per i quali l’aspetto interiore, lo spirito, opera e si manifesta esteriormente. Questi tre gradi sono, dunque, sempre più elevati e interni, e ognuno di essi possiede diverse sfumature. Le tre modalità di Nephesh in questione sono disposte e agiscono nel modo che fra poco esporremo a causa delle tre divisioni di Ruah.

Questo secondo elemento dell’essere umano, Ruah (l’anima), non è così sensibile come Nephesh alle influenze del mondo esteriore; la passività e l’attività si trovano in proporzioni uguali; esso consiste piuttosto in un essere interno, ideale, nel quale tutto ciò che la vita corporea e concreta manifesta esteriormente come quantitativo e materiale, si ritrova interiormente allo stato virtuale. Questo secondo elemento umano fluttua dunque tra l’attività e la passività o, meglio, l’introversione e l’estroversione; nelle sue funzioni, esso non appare chiaramente né come qualcosa di passivo e esteriore né come qualcosa di attivo e interiore, ma come qualcosa di mutevole che dall’interno all’esterno si manifesta sia attivo che passivo e che, sebbene di natura ricettiva, dà. Da ciò il perché l’intuizione e il concetto non coincidono esattamente nell’anima, benché non siano così nettamente separati da non confondersi facilmente l’una con l’altro. La modalità esistenziale di ciascun essere dipende esclusivamente dal grado più o meno elevato della sua coesione con la natura e dalla maggiore o minore attività o passività che ne è la conseguenza; l’appercezione dell’individuo è in proporzione alla sua attività. Più egli è attivo interiormente, più è elevato e più gli è possibile indagare nelle intime profondità dell’essere.

Questo Ruah, composto di forze che sono alla base dell’essere materiale oggettivo, gode anche della proprietà di distinguersi da tutte le altre parti come un individuo speciale, di disporre di se stesso e manifestarsi al di fuori con un’azione libera e volontaria. Questa anima che rappresenta ugualmente il trono e l’organo dello spirito è, come abbiamo già detto, anche l’immagine dell’intero uomo; come Nephesh, essa si compone di tre gradi dinamici che stanno, l’uno in rapporto all’altro, come il concreto, il particolare e l’universale o come la materia azionata, la forza-energia agente e il principio: in modo che esiste un’affinità non solo tra il concreto in Ruah, che è il suo grado più basso e più esteriore (il cerchio 4 dello schema), e l’universale in Nephesh, che forma la sua sfera più alta (cerchio 3), ma anche tra l’universale in Ruah (cerchio 6) e il concreto nello spirito (cerchio 7).

Nello stesso modo in cui in Ruah e in Nephesh sono compresi tre gradi dinamici, questi hanno i loro tre corrispondenti anche nel mondo esteriore, come apparirà più chiaro col paragone tra Macrocosmo e Microcosmo. Ogni forma particolare di esistenza nell’uomo ha una vita propria nella sfera del mondo che le corrisponde, con la quale essa è in rapporto di continui scambi, dando e ricevendo, per mezzo dei suoi sensi e dei suoi organi speciali.

Inoltre, questo Ruah, a causa della sua parte concreta, ha bisogno di comunicare col concreto che sta sotto di lui; allo stesso modo la parte universale gli conferisce una tendenza verso le parti universali che gli sono superiori. Nephesh non potrebbe congiungersi a Ruah se non ci fosse qualche affinità tra loro, né Ruah si congiungerebbe a Nephesh e a Neshamah se tra loro non ci fosse qualche affinità.

Così, da una parte, nel concreto che la precede, l’anima attinge la pienezza della sua realtà oggettiva, e dall’altra, nell’universale che la domina, attinge l’interiorità pura, l’Idealità che si organizza da sola nella sua attività indipendente. Dunque Ruah è il legame tra l’Universale o Spirituale e il Concreto o Materiale, i quali uniscono nell’uomo il mondo interno intelligibile col mondo grossolano esterno; esso è, nello stesso tempo, il supporto e la sede della personalità umana.

L’anima, in questo modo, si, trova in un duplice rapporto coi suoi tre oggetti, cioè:

1) col concreto che è al di sotto di lei;

2) col particolare che risponde alla sua natura e che è al di fuori di lei;

3) con l’universale che è al di sopra di lei.

In lei, in due sensi contrari, avviene una c circolazione di tre correnti frammischiate, perché:

1) è eccitata da Nephesh che è al di sotto di lei e a sua volta essa agisce su di lui ispirandolo;

2) si comporta anche attivamente e passivamente con l’esterno corrispondente alla sua natura, cioè col particolare;

3) tale influenza che trasforma nel suo seno, dopo averla ricevuta o dal basso o dall’esterno, dà a lei il potere di elevarsi sufficientemente così da stimolare Neshamah nelle regioni superiori. Attraverso questa operazione attiva, le facoltà superiori eccitate producono un’influenza vitale più elevata, più spirituale, che l’anima, ridivenendo passiva, riceve per trasmetterla all’esterno e al di sotto di lei.

Perciò a Ruah, benché abbia una forma di esistenza particolare, benché abbia un’esistenza propria, non è affatto vero che il primo impulso della sua attività vitale gli venga dall’eccitazione del corpo concreto che gli è inferiore. E così anche il corpo, per uno scambio di azioni e di reazioni con l’anima, grazie alla sua impressionabilità, è penetrato da lei, mentre essa stessa diviene come partecipante del corpo. In egual maniera, l’anima, attraverso la sua unione con lo Spirito, ne è riempita e ispirata.

La terza parte fondamentale dell’essere umano, Neshamah, può essere designata con la parola Spirito, nel senso in cui è impiegata nel Nuovo Testamento. In essa la sensibilità passiva verso il mondo esterno non si ritrova più; l’attività domina la recettività. Lo Spirito vive di vita propria e soltanto per l’universale, o per il mondo spirituale col quale si trova in rapporto, costante. Tuttavia, come Ruah, Neshamah non soltanto ha bisogno, in ragione della sua natura ideale, dell’Universale assoluto o Infinito divino, ma anche, a causa della sua reale e concreta espressione, di qualche relazione col particolare e col concreto che sono al di sotto di lui e se ne sente attratto. Anche lo Spirito è in doppio rapporto col suo triplice oggetto: verso il basso, verso l’esterno e verso l’alto; in lui avviene dunque, in due sensi contrari, una triplice corrente intrecciata, del tutto simile a quella descritta più sopra per Ruah. Neshamah è un essere puramente interiore, ma anche passivo e attivo nello stesso tempo, e Nephesh, col suo principio vitale il suo corpo, e Ruah, con le sue forze, rappresentano le sue immagini esteriori. Ciò che c’è di quantitativo in Nephesh e di qualitativo in Ruah viene dallo Spirito – Neshamah – puramente interiore e ideale. Ora, siccome Nephesh e Ruah racchiudono tre gradi diversi di esistenza, o potenzialità di spiritualizzazione, in modo che ognuno è un’immagine più piccola dell’intero essere umano (vedere lo schema), così la Qabalah distingue ancora tre gradi in Neshamah.

É particolarmente a questo elemento superiore che si applica ciò che è stato detto all’inizio, che le diverse forme di esistenza della costituzione umana non sono esseri distinti, isolati, separati, ma, al contrario, sono frammischiati gli uni agli altri perché tutto qui si spiritualizza sempre più, sempre più tende all’unità.

Delle tre forme superiori d’esistenza dell’uomo che sono riunite nella più larga accezione della parola Neshamah, quella inferiore può essere designata come il Neshamah propriamente detto. Essa ha ancora qualche affinità con gli elementi superiori di Ruah; consiste in una conoscenza interiore e attiva del qualitativo e quantitativo che sono al di sotto di lei. Il secondo potere di Neshamah, che è l’ottavo elemento nell’uomo, è chiamato, dalla Qabalah, Chajoth. La sua essenza consiste nella conoscenza della forza interna superiore, intelligibile, che serve di base all’essere oggettivo manifestato e che, per conseguenza, non può essere percepito né da Ruah né da Nephesh e non potrebbe essere riconosciuto da Neshamah propriamente detto. Il terzo potere di Neshamah, il nono e il più elevato elemento nell’uomo, è Jechidad (cioè l’unità in se stessa), la sua propria essenza consiste nell’Unità fondamentale assoluta di tutte le varietà, dell’Uno assoluto originario.

Ora questo rapporto, segnalato fin dall’inizio, di Concreto, di Particolare e di Universale che collega Nephesh, Ruah e Neshamah in modo che ciascuno offra l’immagine del tutto, si ritrova in questo quadro: primo grado di Nephesh, il corpo, il concreto nel concreto; secondo grado, il particolare nel concreto; terzo, l’universale nel concreto. Ugualmente in Ruah: primo potere, il concreto nel particolare; secondo, il particolare nel particolare; terzo, l’universale nel particolare. Infine in Neshamah: primo grado, il concreto nello universale; secondo grado (Chajoth), il particolare nell’universale; terzo (Jechidad), l’universale nell’Unità. É così che si manifestano le diverse attività e le virtù di ciascuno di questi elementi dell’essere. L’anima (Ruah) ha senza dubbio una sua propria esistenza, ma tuttavia essa è incapace di uno sviluppo indipendente senza la partecipazione della vita corporale (Nephesh), e così avviene nei confronti di Neshamah. Inoltre Ruah è in un duplice rapporto con Nephesh: influenzato da questo, è rivolto allo stesso tempo all’esterno per esercitare una libera reazione, in maniera che la concreta vita corporale possa partecipare allo sviluppo dell’anima. La stessa cosa avviene per lo Spirito in rapporto all’anima, ovvero per Neshamah in rapporto a Ruah; attraverso Ruah esso è anche in duplice rapporto con Nephesh. Tuttavia Neshamah ha, inoltre, nella propria costituzione la sorgente della sua azione, mentre le azioni di Ruah e di Nephesh non sono che le emanazioni libere e viventi di Neshamah.

Parimenti Neshamah si trova, in una certa misura, nello stesso doppio rapporto con la Divinità perché l’attività vitale di Neshamah è già in sé un incitamento per la Divinità di intrattenere questo rapporto, di procurargli l’influenza necessaria alla sua sussistenza. Così lo Spirito o Neshamah, quale intermediario, e Ruah con Nephesh vanno ad attingere del tutto involontariamente all’eterna sorgente divina, facendo irradiare continuamente l’opera della loro vita verso l’alto, mentre la Divinità penetra costantemente in Neshamah e nella sua sfera per dare la vita a lui, a Ruah e a Nephesh.

Ora secondo la dottrina della Qabalah, l’uomo, invece di vivere nella Divinità e di ricevere costantemente da lei l’influsso di cui ha bisogno, si è immerso sempre più nell’amore di se stesso e nel mondo dell’errore, dal momento della sua caduta o subito dopo, così da lasciare il suo centro eterno per la periferia. Questa discesa e l’allontanamento sempre maggiore dalla Divinità hanno avuto come conseguenza un decadimento dei poteri nella natura umana, e quindi nell’umanità intera. La scintilla divina sempre più si è oscurata nell’uomo, e Neshamah ha perso l’unione intima con Dio. Allo stesso modo Ruah si è allontanato da Neshamah e Nephesh ha perso la sua intima unione con Ruah. A causa di questo decadimento generale e del rilassamento parziale dei legami tra gli elementi, la parte inferiore di Nephesh, che nell’uomo originariamente era un corpo luminoso, è diventata il nostro corpo materiale; perciò l’uomo è stato assoggettato alla dissoluzione nelle tre parti principali della sua costituzione.

L’anima nel post-mortem

Secondo la Qabalah, la morte dell’uomo non è che il passaggio a una nuova forma di esistenza. Egli è chiamato a ritornare finalmente nel seno di Dio, ma questa riunione non gli è possibile allo stato attuale a causa della materialità del suo corpo. Questo stato, come gli altri che compongono l’essere umano, deve dunque subire una purificazione necessaria per raggiungere quel grado di spiritualità richiesto dalla nuova vita.

La Qabalah distingue due cause che possono portare la morte: la prima consiste nella diminuzione graduale o repentina dell’influenza continuamente esercitata dalla Divinità su Neshamah e su Ruah in modo che Nephesh, diminuendo la forza con la quale vitalizza il corpo grossolano, ne provoca la morte. Nel linguaggio dello Zohar essa potrebbe essere definita la morte dall’alto o dall’interno all’esterno.

Invece, la seconda causa della morte potrebbe essere denominata la morte dal basso, o dall’esterno all’interno. Essa avviene quando il corpo, forma di esistenza inferiore ed esteriore, disorganizzandosi sotto l’influenza di qualche turbamento o qualche lesione, perde la duplice proprietà di ricevere dall’alto e di esercitare l’influenza necessaria per stimolare Nephesh, Ruah e Neshamah a scendere fino a lui.

Poiché ciascuno dei tre gradi di esistenza dell’uomo nel corpo ha la sua sede particolare e la sua sfera d’azione corrispondenti al grado della sua spiritualità, ed essendosi trovati tutti e tre legati a questo corpo in periodi diversi della vita, essi abbandonano il cadavere in momenti differenti e secondo un ordine inverso. Ne deriva che il processo della morte si estende per un periodo di tempo molto più lungo di quanto si pensi comunemente.

Neshamah, che ha la sua sede nel cervello e che, nella sua qualità di principio di vita spirituale superiore si e unito per ultimo al corpo materiale – quest’unione ha inizio all’età della pubertà – è il primo a lasciare il corpo; solitamente ancora prima del momento che noi indichiamo col nome di morte. Esso non lascia nella sua Merkavah che un’illuminazione, poiché l’individualità umana, come si dice nell’Esarah Maimoroth, può sussistere, anche senza presenza effettiva di Neshamah.

Prima del momento che a noi sembra quello della morte, la coscienza sale al grado più elevato di Ruah da dove l’individuo scorge ciò che nella vita era nascosto ai suoi occhi; spesso la sua vista penetra lo spazio e può distinguere gli amici e i parenti defunti. Appena arriva l’istante critico, Ruah si espande in tutte le membra del corpo e prende congedo da loro. Poi tutta l’essenza spirituale dell’uomo si ritira nel cuore e là si mette al riparo dai Masikim [entità subconscie] che si precipitano sul cadavere, come una colomba inseguita si rifugia nel suo nido.

La separazione di Ruah dal corpo è sentita e Ruah o l’anima vivente fluttua, come dice l’Ez-ha-Caiim, tra le alte regioni spirituali, infinite (Neshamah) e quelle inferiori corporali, concrete (Nephesh), piegando ora verso l’una, ora verso l’altra, essa che, in quanto organo della volontà, costituisce l’individualità umana. La sua sede è nel cuore, questo dunque è come la radice della vita, è il Melekh, Re, il punto centrale, la linea che unisce il cervello col fegato, e siccome è in tale organo che l’attività vitale si manifesta all’origine, è anche in questo che finisce. Così al momento della morte Ruah sfugge e, secondo l’insegnamento del Talmud, esce dal cuore, attraverso la bocca, con l’ultimo respiro.

Il Talmud distingue novecento specie di morti diverse. La più dolce è denominata il bacio, la più penosa è quella nella quale il morente prova la sensazione di una spessa corda di capelli strappata dalla gola.

Appena Ruah si è separato, l’uomo sembra morto; tuttavia Nephesh abita ancora in lui. Nephesh è l’anima della vita elementare nell’uomo e ha la sua sede nel fegato. Esso, in quanto potenza spirituale inferiore, possiede molta attrazione per il corpo separandosene per ultimo, come è stato il primo a unirglisi. Tuttavia, dopo la separazione di Ruah, i Masikim prendono possesso del cadavere. Questa invasione, unita alla decomposizione del corpo, obbliga ben presto Nephesh a ritirarsi; tuttavia esso resta ancora a lungo vicino alla sua spoglia per piangerne la perdita. Di solito, soltanto quando sopraggiunge la putrefazione completa egli si eleva al di sopra della sfera terrestre.

La disintegrazione dell’uomo, conseguente alla morte, non è una separazione completa, perché ciò che una volta è stato un solo tutto non può disgiungersi completamente; rimane sempre qualche rapporto tra le parti costitutive, di modo che sussiste un certo legame tra Nephesh e il suo stesso corpo già putrefatto. Dopo che questo recipiente materiale esteriore è scomparso con le sue forze vitali fisiche, resta ancora qualcosa del principio spirituale di Nephesh, qualcosa di imperituro che discende fino nella tomba, nelle ossa, come dice lo Zohar; è ciò che la Qabalah chiama il respiro delle ossa o lo spirito delle ossa. Questo principio, imperituro, del corpo materiale che ne conserva completamente la forma e le pieghe (portamento), forma lo Habal di Garmin, che possiamo tradurre con il corpo della resurrezione (corpo sottile luminoso).

Dopo che le diverse parti costitutive dell’uomo sono state separate dalla morte, ciascuna si reca nella sua sfera attirata dalla propria natura e costituzione; esse sono accompagnate dagli esseri a loro simili che già circondavano il letto di morte. Siccome nell’Universo intero tutto è nel tutto, ciò che nasce, vive e perisce è retto da una sola e identica legge; così il più piccolo elemento è la riproduzione del più grande e gli stessi principi reggono ugualmente tutte le creature, dalla più bassa alla più spirituale, dai poteri più elevati. L’Universo intero, che la Qabalah chiama Aziluth e che comprende tutti i gradì, dalla materia più grossolana fino alla pura spiritualità – l’Uno -, si divide in tre mondi: Assiah, Yetzirah e Briah, corrispondenti alle tre divisioni fondamentali dell’uomo: Nephesh, Ruah e Neshamah.

Assiah è il mondo in cui noi ci muoviamo, tuttavia ciò che di questo mondo percepiamo con i nostri sensi è solo la sfera inferiore, la più materiale, per il fatto che con gli organi sensoriali non percepiamo che i principi inferiori, i più materiali dell’uomo, cioè il suo corpo. Lo schema precedentemente proposto, dunque, è uno schema dell’Universo e anche dell’uomo, perché secondo la Qabalah il Microcosmo è del tutto analogo al Macrocosmo; l’uomo è l’immagine di Dio che si manifesta nell’Universo.

Così, dunque il cerchio a rappresenta il mondo Assiah, e le sfere 1, 2, 3 corrispondono a quelle di Nephesh; b rappresenta il mondo Yetzirah analogo a Ruah, e 4, 5, 6 ne sono i poteri.

Infine il cerchio c raffigura il mondo Briah, le cui sfere 7, 8, 9 raggiungono, come quelle di Neshamah, il più alto potere della vita spirituale.

Il cerchio 10 è l’immagine del Tutto-Aziluth, e rappresenta anche l’insieme della natura umana.

I tre mondi che corrispondono, secondo la loro natura e il grado della loro spiritualità, ai tre principi costitutivi dell’uomo, rappresentano anche i diversi soggiorni di questi principi. Il corpo, guaina più materiale, rimane nella sfera inferiore del mondo Assiah, nella tomba; lo spirito delle ossa resta solo sepolto in esso, formando, come abbiamo detto, lo Habal di Garmin. Nella tomba è in uno stato di oscuro letargo che, per il giusto, è un dolce sonno; molti passi di Daniele e dei Salmi di Isaia vi fanno allusione. Poiché lo Habal di Garmin conserva nella tomba una sensazione oscura, il riposo di coloro che dormono quest’ultimo sonno può essere turbato in tutte le maniere. Ecco perché presso gli Ebrei era vietato sotterrare una accanto all’altra persone che, nella loro vita, erano state nemiche; o collocare un santo vicino a un criminale. Al contrario si aveva cura di seppellire insieme due persone che si erano amate, perché nella morte questo attaccamento potesse continuare ancora.

Il più grande turbamento per coloro che dormono nella tomba è l’evocazione, poiché quando Nephesh lascia la sepoltura, 1o spirito delle ossa resta ancora attaccato al cadavere e può essere evocato; ma questa evocazione raggiunge anche Nephesh Ruah e Neshamah. Senza dubbio sono già in soggiorni distinti ma rimangono anche, sotto certi rapporti, uniti l’uno all’altro, in maniera che uno risente di ciò che provano gli altri. Ecco perché le Sacre Scritture vietavano di evocare i morti.

Poiché i nostri sensi non possono percepire che il cerchio più basso, la sfera inferiore del mondo Assiah, solo il corpo grossolano dell’uomo è visibile agli occhi fisici, corpo che – anche dopo la morte – resta nel dominio della sfera sensibile; le sfere superiori di Assiah non sono più percepibili a noi, e allo stesso modo lo Habal di Garmin sfugge già alla nostra percezione; anche lo Zohar dice: Se ciò fosse permesso ai nostri occhi, potremmo vedere nella notte, quando viene lo Shabath, alla luna nuova o nei giorni di festa, i Diuknim (gli spettri) drizzarsi nelle tombe per lodare e glorificare il Signore.

Le sfere superiori del mondo Assiah servono da soggiorno a Nephesh. Lo Ez-ha-Chaiim dipinge questo soggiorno come il Gan-Eden inferiore, che nel mondo Assiah si estende a sud del paese Santo al di sopra dell’Equatore.

Il secondo principio dell’uomo, Ruah, trova nel mondo Yetzirah un soggiorno appropriato al suo grado di spiritualità. E poiché Ruah, che costituisce l’individualità, è il supporto e la sede della Volontà, è in lui che risiede la forza produttiva e creatrice; così il mondo Yetzirah è, come lo designa il suo nome, il mundus formationis, il mondo della formazione.

Infine, Neshamah risponde al mondo Briah che lo Zohar chiama il mondo del trono divino, e che comprende il più alto grado della spiritualità.

Come Nephesh, Ruah e Neshamah non sono forme completamente distinte di esistenza, ma al contrario procedono l’una dall’altra elevandosi in spiritualità, così le sfere dei vari mondi si incatenano l’una all’altra e si elevano dal cerchio più basso, più materiale, del mondo Assiah, che è percepibile ai nostri sensi, fino ai poteri più elevati, più immateriali del mondo Briah. Da ciò si vede chiaramente che, benché Nephesh, Ruah e Neshamah soggiornino ciascuno nel mondo che loro conviene, essi restano uniti in un tutto unico. Specialmente a causa degli Zelem, questi rapporti intimi tra le parti sono resi possibili.

Con il nome di Zelem la Qabalah intende la figura, l’abito sotto il quale sussistono i diversi principi dell’uomo e attraverso il quale essi operano. Nephesh, Ruah e Neshamah, anche dopo che la morte ha distrutto il loro involucro corporale esteriore, conservano una certa forma che corrisponde alla sembianza dell’uomo originario. Questa forma, per mezzo della quale ogni parte persiste e opera nel suo mondo, è possibile solo grazie allo Zelem; così è detto nel Salmo XXIX,7: Essi sono dunque come nello Zelem (il fantasma).

Secondo Luria, lo Zelem, per analogia con tutta la natura umana, si suddivide in tre parti: una luce interiore spirituale e due Makifim o luci avvolgenti. Ogni Zelem e i suoi Makifim corrispondono, nella loro natura, al carattere o al grado di spiritualità di ognuno dei principi ai quali essi appartengono. É soltanto attraverso il loro Zelem che è possibile a Nephesh, Ruah e Neshamah manifestarsi al di fuori. É su di essi che riposa tutta l’esistenza corporale sulla terra, poiché tutto l’influsso dall’alto sui sentimenti e sui sensi interni dell’uomo avviene per la mediazione di questi Zelem, suscettibili d’altronde di essere affievoliti o rinforzati.

Il processo della morte si produce unicamente nei diversi Zelem, poiché Nephesh, Ruah e Neshamah non sono modificati da essa. Così la Qabalah dice che trenta giorni prima della morte, i Makifim si ritirano dapprima da Neshamah, per poi scomparire, successivamente, da Ruah e da Nephesh, in questo senso c’è da comprendere che essi allora cessano di esercitare la loro forza; tuttavia, nello stesso istante in cui Ruah se ne va, essi si aggrappano, come dice la Mishnath Chasidim, al processo della vita per sentire il gusto della morte. Tuttavia bisogna guardare gli Zelem come esseri puramente magici; ecco perché lo Zelem dello stesso Nephesh non può agire direttamente nel mondo della nostra percezione sensibile esterna.

Ciò che si offre a noi nell’apparizione di persone morte è il loro Habal di Garmin e la sottile materia aerea o eterea del mondo Assiah di cui si riveste lo Zelem di Nephesh per rendersi percettibile ai nostri sensi.

Ciò si applica a qualsiasi specie di apparizione, si tratti di un angelo, di un defunto o di uno spirito inferiore. Allora non è lo Zelem stesso che possiamo vedere e percepire con i nostri occhi, ma solo una sua immagine che, costruita col vapore sottile del mondo esteriore, prende una forma capace di dissolversi immediatamente.

Per quante varietà offra la vita degli uomini sulla terra, altrettanto varia è la loro sorte negli altri mondi; infatti, più infrazioni alla legge divina sono state commesse quaggiù, più bisogna subire purificazione nell’altro mondo.

Lo Zohar dice a questo proposito: La bellezza dello Zelem dell’uomo pietoso dipende dalle buone opere che ha compiuto quaggiù, e più oltre: Il peccato macchia lo Zelem di Nephesh. Luria dice anche: Nell’uomo pio questi Zelem sono puri e chiari, nel peccatore sono torbidi e oscuri». Ecco perché ogni mondo, per ognuno dei principi dell’uomo, ha il suo Gan-Eden (Paradiso), il suo Nahar-Dinur (fiume di fuoco per la purificazione dell’anima) e il suo Gei-Hinam, luogo di tormento; da ciò anche la dottrina cristiana del paradiso, del purgatorio e dell’inferno.

L’ANIMA IN VITA E DOPO LA VITA SECONDO LA CABALAultima modifica: 2009-11-12T09:03:00+01:00da mikeplato
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One Response

  1. christian
    at |

    Mike puoi controllare la foto postata perché non credo sia quella giusta…

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