LA MAGIA,L’ASTROLOGIA E L’ALCHIMIA DI CECCO D’ASCOLI

La biografia e gli insegnamenti di Cecco d’Ascoli, poeta occultista medievale, astrologo e mago, cercatore della Pietra Filosofale. Fu in rapporto stretto con i Fedeli d’Amore e con la Dottrina della “Sapienza Santa”. Seppe leggere il Libro della Natura. Fu condannato a morte dall’Inquisizione.


Di Anna Maria Partini

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Francesco Stabili, più noto come Cecco d’Ascoli, è uno dei personaggi più affascinanti e discussi del Medioevo. Medico, astrologo, mago e scienziato, fu anche poeta e alchimista. Nacque intorno al 1290 e morì nel 1327, condannato al rogo sotto accusa di eresia, rogo che affrontò coraggiosamente sostenendo le proprie idee fino alla fine: «L’ho detto, l’ho insegnato, lo credo». Contemporaneo di Dante insegnò medicina e astrologia prima a Firenze e poi all’Università di Bologna. La cattedra di Cecco comprendeva quasi tutta la scienza dell’epoca, in quanto medicina, astronomia, astrologia, non erano ancora separate. Oltre che medico e astrologo fu scrittore e poeta. Nel campo delle lettere è noto soprattutto per aver scritto l’Acerba, poema aspro e difficile che contiene un po’ tutta la scienza dell’epoca. Infatti, vi troviamo numerose nozioni di scienza naturale che vanno dai fenomeni celesti a quelli terrestri, dalle stelle alle pietre, agli animali, alle piante. Si potrebbe definire Cecco D’Ascoli uno scienziato enciclopedista, la cui caratteristica fu soprattutto l’insegnamento e la vasta erudizione. Le opere di Cecco in latino sono: il Commento alla sfera del Sacrobosco; il Commento al De Principiis Astrologiae dell’Alcabizio (astrologo arabo del X sec.); e il De Eccentricis et Epyciclis. Altri scritti come un Commento al Centiloquio di Tolomeo e un Commento ai Prognostistici di Ippocrate sono andati dispersi. In lingua volgare ci rimangono alcuni sonetti da lui scambiati con i poeti dell’epoca (Cino da Pistoia, Petrarca, Dante) e un famoso sonetto alchemico sulla “pietra filosofale”, («Chi solvere non sa, né assottigliare…») che insieme a quello di Frate Elia («Solvete i corpi in acqua a tutti dicho»), sono famosi nella letteratura alchemica e si trovano in molti codici antichi. Poche notizie abbiamo sulla sua vita.


Un astrologo reale

Medico e astrologo di Re Roberto di Napoli, era tenuto in grande considerazione alla corte angioina. Sotto la sua guida Re Roberto divenne così esperto in astrologia da fare egli stesso previsioni sorprendenti, come quella relativa alla battaglia di Crecy (vinta da Edoardo III d’Inghilterra contro Filippo IV di Francia, nel 1346), che si svolse esattamente come era stato previsto da un oroscopo di Re Roberto. Molte sono invece le leggende sorte intorno alla sua figura. A quei tempi l’immagine dell’uomo di Scienza era spesso avvicinata a quella del “sapiente” depositario di segreti e “operatore di miracoli”. Un alone di mistero avvolse il poeta ascolano fina dalla sua nascita. Appartengono alla leggenda la costruzione di un ponte fatto in una sola notte (detto il “ponte di Cecco” o del “Diavolo”), le sue apparizioni attraverso covoni di paglia, la sua presunta sparizione dal rogo cui era stato condannato, ecc… In un codice veneto del XVII sec., sono nascoste «le meravigliose trasformazioni e le false apparenze le quali era fama che Cecco per virtù diabolica facesse vedere». Questa fama di Cecco, mago e negromante fu esaltata soprattutto nel secolo XVI, e portò al sorgere di altre leggende intorno al suo paese e alle sue arti magiche, che si erano sviluppate in base ai capi di accusa della sentenza. I racconti leggendari sulla vita e morte del Maestro Cecco, che vanno da pochi cenni a una vera e propria biografia, seppure fantastici, rimangono una delle poche fonti di notizie sulla vita dell’ascolano. A lui si attribuiva un famoso “Libro del Comando”, trovato nel fondo di una grotta, e consacrato al Lago di Pilato, con cui operava i suoi prodigi. Dei carattere magici incisi da Virgilio o da Cecco sulle pietre del lago ci parla Nicolò Peranzoni nel De Laudibus Piceni: «Ivi sono incastrati due cerchi incisi sulle pietre vicino all’argine del Lago con alcuni caratteri che dicono necessari a raggiungere l’arte magica; alcuni dicono che i abbia scritti il poeta Virgilio, altri Cecco d’Ascoli». (1). La figura di Cecco mago emerge soprattutto dagli appunti del Colocci, dotto umanista del XVI secolo di Jesi. Egli chiama Cecco «mago e operatore di miracoli», avvicinandolo al famoso mago pitagorico Apollonio di Tiana. Lo dice esperto di fisiognomia, chiromanzia e soprattutto dotato del potere di «leggere nell’animo di chi andava a consultarlo». Infatti, molti poeti del suo tempo come Cino da Pistoia, Petrarca e lo stesso Dante, si rivolgevano a lui per consiglio.


Profezie e magia

Da un punto di vista pratico Cecco si interessò soprattutto di medicina e magia astrologica. Egli apre e chiude il suo Commendo alla “Sfera” dichiarando la necessità per il medico di conoscere la natura delle stelle, i loro moti, i loro aspetti. Molto importante è la posizione della Luna, «essa è un segno celeste nel quale il medico può prevedere il corso della malattia». Importante è osservare la posizione della Luna per i sogni: essi sarebbero veri o falsi a secondo se la Luna è nei segni fissi o mobili. Mentre per Dante la veridicità dei sogni è dovuta alla posizione del Sole, Cecco dà quindi importanza alla posizione della Luna: «Vi è una forza nell’anima precognitiva che se è coadiuvata dalla Luna nei segni fissi viene fuori e dà sogni precognitivi» (tratto da Commento all’Alcabizio). A Cecco si attribuirono anche diverse profezie e previsioni. Il Villani riporta che: «aveva dette e rivelate per scienza d’Astrologia molte cose future, le quali si trovarono poi vere, degli andamenti del Bavaro (Ludovico) e dei fatti di Castruccio e di quelli del Duca di Calabria», (Cronaca del Villani). Cecco, pur dando una certa importanza alle previsioni, non fece oroscopi che raramente, ma si serviva delle indicazioni astrologiche soprattutto per le cure mediche dei suoi pazienti e per riequilibrare l’organismo umano con i ritmi cosmici, mediante la magia astrologica. La magia di Cecco si può far risalire alle teorie tramandate sotto il nome di Ermete Trismegisto, da lui più volte citato nei suoi scritti. Fondamento teorico della “magia astrologica” era che gli influssi astrali potevano essere canalizzati secondo le intenzioni dell’operatore. L’operatore per esempio, che voleva attrarre l’influsso di Venere, doveva conoscere le piante, le pietre, gli animali, il metallo (rame) in armonia con Venere, nonché le immagini da incidere sui talismani. In modo particolare l’influenza del cielo si riflette nelle “virtù occulte” dei talismani e degli amuleti. Essi possiedono virtù magiche per gli influssi stellari sotto cui sono stati costruiti. Il sapente astrologo (mago astrale) è colui che riesce a costruire “imagines” (disegnate o scolpite) con un rituale appropriato, capaci di avvincere i demoni, stornare le influenze negative degli astri e attrarre quelle positive. Mentre l’astrologia divinatoria implicherebbe un rigido fatalismo “l’astrologia operativa” darebbe un modo di sfuggire al fato: «Anima sapientis dominabitur astris». Nella magia astrologica di Cecco ha una certa importanza il culto astrale dei “decani” che egli chiama anche facies. Sembra che i decani fossero considerati soprattutto in razione al corpo umano; invocati mercè incantazioni, rendevano la salute alle parti inferme del corpo. Nell’Asclepio, uno dei testi ermetici più importanti, sono date istruzioni per la costruzione di talismani operativi mediante l’influenza dei “decani”. Dice infatti Ermete: «Ho disposto per te (Asclepio) le parti e le forme dei 36 decani contenuti nei segni zodiacali… se vuoi evitare le sofferenze alle quali andresti soggetto, devi incidere l’immagine e il nome (del decano) sulla pietra a esso sacra; porterai teco il talismano così fatto e avrai un benefico potente potere protettore». Attribuisce poteri terapeutici e virtù magiche alle pietre (diamanti, smeraldi, zaffiri) e ad animali simbolici (la fenice, il grifone, la salamandra).


L’insegnamento di Cecco

L’elemento magico pervade tutta l’Acerba, ma lo troviamo soprattutto nel libro IV dove dedica un lungo capitolo alle arti magiche. Distingue quattro tipi di divinazione: attraverso il fuoco (piromanzia), attraverso l’acqua (idromanzia), attraverso gli spiriti dei trapassati (negromanzia), mediante la terra (geomanzia). Secondo Cecco il momento più favorevole alla divinazione è quello della Luna piena quando gli spiriti evocati da carmi e invocazioni, danno responsi. Avverte però che certe forze non si possono controllare né evocare senza grave pericolo e senza incorrere in altre cose contrarie alla nostra Fede. Ciò è valido ancora oggi. Spirito polemico e padrone delle conoscenze dell’epoca, Cecco d’Ascoli fu un precursore di idee nuove e incitò i suoi allievi verso un modo più responsabile di essere. Come scrive all’inizio del libro IV, egli non canterà favole come Dante, ma cose reali sperimentate; mentre Dante ammonisce: «State contenti humana gente al quia», Cecco invita ad andare oltre, al chiedersi il perché delle cose: «Io voglio qui che il quare trove il quia». Vero è che l’insegnamento di Cecco sconfinava nella cosiddetta magia; ma suo scopo era mettere in luce i limiti della conoscenza razionale rispetto al valore delle scienze occulte. L’occultismo di Cecco non va confuso con quell’insieme di pratiche e superstizioni che oggi sono inclusi nella nostra scienza ufficiale. Per esempio, quando nell’Acerba ci parla dei colori dell’iride che si possono ottenere sperimentalmente facendo passare un raggio di Sole in un bicchiere d’acqua, precorre di alcuni secoli le leggi della rifrazione della luce; o quando descrive la posizione del bimbo nel grembo materno. Profondo studioso del gran Libro della Natura, sempre secondo i presupposti della scienza medievale, si accorse che accanto alle qualità manifeste delle cose, vi sono delle virtù nascoste, occulte che legano gli eventi terrestri a quelli celesti («quante sono le nature occulte a nostra umanità cieca e ignara!»). La virtù della calamita, per esempio, è celata, occulta, cioè non si manifesta senza la prova pratica. Tale qualità attrattiva è in tutti i corpi, anche nel corpo vegetale: «Sì come ferro tira calamita, così ciascuna vegetabile pianta tira l’umore proprio a sua vita». (Acerba, Libro IV, capitolo VI). Questa particolarità della calamita che agisce, pur se non visibilmente, dà modo agli alchimisti di indicare sotto questo nome le energie sottili dei corpi (“lo spirito vitale”), che essi chiamano “la nostra magnesia”.


La Pietra Filosofale

L’alchimia o Magia Trasmutatoria fu certamente al centro degli interessi di Cecco come risulta da alcuni capitoli dell’Acerba (il Bestiario, i Metalli), ma soprattutto dal suo sonetto sulla Pietra Filosofale. Il sonetto di Cecco sulla pietra filosofale nel testo originale, in volgare, si trova in vari manoscritti e figura anche in una rara stampa quattrocentina contenente la Summa di Geber (Incunabolo Silber, 1481). Lo stesso sonetto tradotto in latino è riportato anonimo e senza titolo nel Theatrum Chimicum (Lazzarus Zethzener, Argentorati, 1659, Vol. III) tra altri scritti alchemici e in un manoscritto di J. Heckius, uno dei quattro fondatori dell’Accademia di Lincei, anche qui anonimo. Non c’è dubbio che il testo latino sia una traduzione del sonetto volgare, cosa che dimostra la popolarità di Cecco alchimista tanto da tradurre in latino i suoi versi. Scopo dell’Alchimia è la realizzazione della Grande Opera, cioè la restaurazione nell’individuo degli antichi poteri regali. La prima operazione l’Adepto la deve compiere su se stesso, trasmutando i propri metalli vili in oro, cioè le facoltà comuni dell’uomo in facoltà purificate, divinizzate. Alla base dell’opera alchemica abbiamo i tre principi: Zolfo, Mercurio e Sale che si realizzano attraverso i quattro elementi: Terra (corpo), acqua (le passioni), aria (il pensiero), fuoco (la volontà). Il processo alchemico si attua attraverso tre fasi: la fase al nero, la fase al bianco, la fase al rosso. Culmine del processo alchemico è la nascita del figlio regale, del Rebis, di cui troviamo un aperto riferimento sulla “Porta Magica” di Piazza Vittorio a Roma: “Filius noster/Mortus vivit/Rex ab igne redit/Et coniugio/Gaudet occulto”. Anche nell’Acerba Cecco d’Ascoli accenna alle pratiche per trasformare la materia. Certo la materia di Cecco non è solo quella fisica, come i pianeti e le stelle non sono sempre quelli materiali; egli spesso indica per pianeti e stelle quella purezza di sentimenti e delle facoltà mentali che si può ottenere solo battendo col martello sull’incudine, come dice Cecco nel sonetto e forgiando i vari metalli (tendenze). Come la calamita attrae il ferro così ogni essere vivente (pianta vegetabile) attrae dalla terra, dall’aria e dal cielo le energie (umore o succo) necessarie alla vita. E cioè il poeta porta la nostra attenzione sull’alchemico «trasmutare in sottile lo spesso e in spesso il sottile» (spiritualizzare il corpo e corporizzare lo spirito), ossia invita l’adepto a imitare la natura, facendo consapevolmente, quanto la pianta vegetabile fa per via spontanea e inconscia. E’ però prima necessario sciogliere i misti; in ogni composto chimico, gli elementi perdono le singole caratteristiche (non tengono nel mixto gli elementi le proprie forme, Ac 4061); ma separandoli dal mixto si può arrivare alle virtù celate in esse. Per esempio, la “fissione nucleare”, scatena e libera tutte le energie (virtù) che nessuno sospetterebbe in una così piccola parte di materia. Cecco sapeva che alle “virtù occulte”, delle cose si può arrivare attraverso la via alchemica. Al suo interlocutore che gli chiede: «ora credi si possa dare a li metalli forma, se li elementi alcun giunge a desparte?» (Ac, lib. IV, Cap. VI). Egli risponde che i vari metalli si possono congiungere e separare (solve et coagula) fino a ottenere oro e argento purissimo, seguendo l’opera del laboratorio della natura, ma aggiunge che non sempre si arriva alla perfezione. Certo, come si è già detto i metalli non sono per Cecco quelli naturali, ma le varie facoltà e tendenze dell’uomo; ciò risulta evidente quando a proposito del Mercurio dice che mentre la Luna fa «l’argento… morto» (3950), «Mercurio fa il vivo senza scame»: o quando a proposito delle pietre accenna alla rugiada celeste (cfr. Liber Mutus). Sempre nel IV parlando dei metalli, ci porta a riflettere sulla fucina alchemica della natura («Devi saper che sette metalli…), che corrisponde, in senso psicologico, al laboratorio individuale, dove ognuno ha in se il materiale e la possibilità di forgiare il proprio essere interno, per ottenere oro e argento purissimo attraverso il perfezionamento di Mercurio. In alchimia è soprattutto necessario tacere. Da buon alchimista più volte nel suo poema, specie nel libro IV, Cecco esorta il suo allievo a tener la bocca chiusa («Deve ciascun odire, più che parlare… – A. 4669 -; … Convien di tacere / che non è saggio chi tutto discopre… – Ac. 4437). Più esplicito è quando parla della natura dell’intelligenza, di cui distingue due tipi: uno che si serve della parola, e l’altro che comunica direttamente dice allora: «iusto è ‘l tacere, iusto è ‘l parlare», e cioè quando si vuol comunicare “sottil cosa”, occorre saper tacere o parlare a proposito. Notiamo che questi brani alchemici dell’Acerba ci indicano Cecco d’Ascoli anche come precursore di altri poeti (Berni: L’Orlando Innamorato, Santinelli: Carlo V) che hanno trattato in versi l’argomento alchemico. E terminiamo con l’ultima terzina del sonetto sulla pietra filosofale che ci riporta alle frasi della Tavola di Smeraldo del mitico Ermete Trismargisto: «Allor vedrai fuggir la nocte oscura», corrisponde nella Tavola di Smeraldo a «ideo fugiet a te omnis obscuritas»: «Allor vedrai fuggir la nocte oscura / Et ritornar lo sol lucente et bello / Com molti fiori ornato in sua figura». Si tratta di far emergere il principio spirituale, il sole dalle Tenebre, dalla “Terra mama” che lo “fa celare”.

LA MAGIA,L’ASTROLOGIA E L’ALCHIMIA DI CECCO D’ASCOLIultima modifica: 2010-01-29T17:51:00+01:00da mikeplato
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