di Nuccio D’Anna
Si è molto discusso sul significato del corteo del Graal e sui suoi possibili simboli di tipo essenzialmente eucaristico. In realtà, la dimensione “essenziale” e “principiale” nella quale si svolgono le vicende del Perceval, la sostanziale natura di ierostoria di questi racconti, svuota di ogni sostanza lo scetticismo di molti filologi per i quali il fatto che il Re Pescatore veniva nutrito dall’Ostia contenuta nel Graal sembrava dimostrare che la famosa coppa fosse un semplice ciborio. Il Graal contiene l’Ostia santa non perché sia un ciborio, ma perché in esso si ritrovano ambedue le Specie: il Graal prefigura l’unità originaria del sangue e del corpo del Redentore antecedente alla specificazione derivata dal sacrificio in croce, riconduce alla “perfezione totale” e “principiale” che ha preceduto la ribellione di Lucifero e il peccato di Adamo. D’altronde, non bisognerebbe mai dimenticare che la stessa Messa ordinaria non è una cerimonia priva di efficacia reale, ma il Luogo e il Tempo della Resurrezione del Cristo e della Sua Luce che inonda il cuore dell’uomo. Se il credente è sufficientemente puro, se il suo cuore è immacolato come la Fanciulla che porta il Graal, ha una efficacia reale e trasformante. Il fedele che resta un puro spettatore è come Perceval prima della sua conversione finale, quando guardava la liturgia che concretamente si svolgeva sotto i suoi occhi senza minimamente capirne il mistero divino e perciò rimaneva incapace di pronunciare la formula liberatoria, non capiva “a cosa serve il Graal”.
I Cistercensi furono i protagonisti principali di questo movimento spirituale. Uno di loro, Cesario di Heisterbach, poco prima del 1220 compose persino una raccolta di “miracoli” (vera e propria controparte “cristica” delle tante raccolte di “miracoli” della Vergine Maria che proprio in quel tempo fiorivano numerosi) che dovevano dimostrare la forza trasformante dell’Eucaristia e la sua centralità nella vita della Chiesa. Studiando le somiglianze straordinarie fra i miracoli raccontati da Cesario di Heisterbach ed alcuni elementi essenziali dell’anonimo Perlesvaus (composto non più tardi del 1210, ma secondo alcuni bisognerebbe risalire al periodo compreso fra il 1190 e il 1195), si è persino potuta mostrare la concomitanza della compilazione di questo romanzo che insiste significativamente sul mistero della comunione e sui suoi effetti salvifici, con la florescenza straordinaria della “mistica eucaristica” che in quel tempo cominciava a pervadere il corpo sociale cristiano. La stessa istituzione della festa del Corpus Domini statuita dal Concilio Lateranense può considerarsi l’atto conclusivo e ufficializzante della forza onnipervadente di questa “mistica eucaristica” da sempre alimento della spiritualità cistercense, ma ora diventata un diffuso culto popolare fino al punto da “entrare” nell’ordinario calendario liturgico quale completamento del ciclo pasquale e della Pentecoste, la festa dell’effusione dello Spirito Santo e della “nascita” della Chiesa. D’altronde, la spiritualità cistercense di quel tempo era permeata profondamente, quasi ordinariamente, da forme di mistica non confinabili nell’esperienza solitaria ed eccezionale di qualche pio monaco. Si trattava di dottrine intimamente radicate nella stessa vita rituale dell’Ordine che lo rendevano adatto come pochi altri all’esperienza diretta della spiritualità che sostanziava i simboli più elevati del mondo cristiano.
Su questa linea contemporaneamente sacramentale, eucaristica e mistico-contemplativa trova significato lo sviluppo di testi del ciclo del Graal particolarmente orientati verso la spiritualità cistercense. Si tratta di opere anonime come La Quête du Graal e l’Estoire du Graal che, fortemente influenzate dalla cosiddetta “trilogia” di Robert de Boron, della quale sembrano costituire una sorta di completamento ecclesiale, mostrano la dimensione più elevata del Graal, ne rivelano i simboli più importanti, quelli che ne hanno arricchito la complessa esposizione e indirizzato la prospettiva verso una vera e propria forma di realizzazione spirituale. In queste opere si va ben oltre la semplice prospettiva di etica cavalleresca che aveva arricchito molte chansons de geste. Qui la “cerca” si specifica definitivamente come un itinerario di perfezione spirituale che indica in Galaad l’autentico cavaliere immacolato, il typus del cavaliere cristiano, colui che finalmente ha la “grazia” di trovare il Graal perché ha realizzato sino in fondo il dettato evangelico “Siate Perfetti com’è Perfetto il Padre mio che è nei cieli”.
C’è tutta una corrente di alta spiritualità sviluppatasi all’interno dell’Ordine cistercense che mira al superamento di ogni dualismo concettuale, tende ad esaurire tutte le possibilità conoscitive della ragione e ad attingere uno status interiore nel quale si riteneva possibile esperire la radice metafisica delle due “Qualità divine” designate come Conoscenza e Amore. Accedere al piano ontologico e alle medesime condizioni spirituali dalle quali traeva ragion d’essere la loro identità di fondo significava dare alla contemplazione e all’azione una portata metafisica che di necessità oltrepassava il mondo delle forme, obbligava a risalire al sostrato di fondo e all’unità “principiale” dalla quale sono scaturite queste due “qualità divine”. E mentre la cognitio intellectualis per la stessa dimensione meta-razionale nella quale si colloca tende a “sperimentare” il significato della contemplazione, l’amore implica un’”attività espansiva” che è tipica dell’azione quale si è incarnata nel modus operandi della cavalleria spirituale. È evidente che qui non si tratta della “conoscenza” e dell’”azione” quali sono sperimentate nella vita empirica e profana, radicate nella sfera dell’attività razionale e sganciate da ogni prospettiva spirituale ed ecclesiale, ma al contrario delle due “forme” spirituali scaturite dalla stessa Rivelazione che possono aver dato valore e significato persino alle eventuali loro adattazioni empiriche e transeunti.
Tutta la “cerca”, con la sua insistenza sulla figura del cavaliere pellegrino ed errante che dopo una serie estenuanti di prove e con l’aiuto di straordinarie figure di eremiti e di monaci riesce finalmente a contemplare la coppa del Graal e a ridare “pienezza” ad una terre gaste che è divenuta tale per colpa di un sovrano menomato, non fa che ripetere il simbolo universale del peregrinus che raggiunge la propria mèta solo dopo una serie interminabile di difficoltà e di ostacoli frapposti dalle potenze delle tenebre. Quello che c’è di straordinario in questo aspetto del ciclo graalico è l’attenzione posta ad una speciale “linea di continuità” di cavalieri Custodi del Graal che può rivendicare tale sua dignità perché scaturisce da una consacrazione diretta da parte del Cristo, una trasmissione spirituale che nei testi, anche in quelli più “informati” dallo spirito cistercense, appare parallela a quella apostolica della Chiesa e spesso sembra indicare rituali il cui simbolismo si basa sulla dimensione pre-formale della vita spirituale, ma i cui elementi dottrinali coincidono di necessità con il patrimonio di fede custodito dalla Chiesa.