7Q5 IL FRAMMENTO DELLA DISCORDIA

Immagine 1Il frammento del Vangelo di Marco  nella Biblioteca di Qumran denuncia i rapporti tra Essenato e Cristianesimo

7Q5 è un frammento di un rotolo di papiro rinvenuto in una grotta di Qumran, in Cisgiordania (“7Q5” sta per “grotta 7, Qumran, frammento 5”), e facente parte della collezione dei cosiddetti manoscritti del Mar Morto, che contengono opere della biblioteca della comunità religiosa degli Esseni. Il frammento 7Q5 misura circa 39×27 mm e presenta su di un unico lato un testo in lingua greca, di cui sono visibili una decina di lettere, non tutte chiaramente identificabili, disposte su quattro righe; in base all’analisi paleografica, questo frammento fu scritto tra il 50 a.C. e il 50 d.C.

da Wikipedia:

Il dibattito sulle possibili identificazioni di 7Q5 con altri scritti ha portato nel tempo alla proposta di diverse altre soluzioni. Di particolare credito gode l’ipotesi che il testo pervenutoci sia un frammento del libro apocrifo di Enoch, ma è stata proposta anche una identificazione con il Libro di Zaccaria 7,4-5. Il problema non è in ogni caso di facile soluzione, poiché il frammento è molto piccolo e contiene così poche lettere da potersi comunque prestare a molteplici interpretazioni.Il Prof. Hunger, docente dell’Università di Vienna e già direttore della collezione di papiri della stessa, ha affermato: “Dal punto di vista papirologico è un’attribuzione autentica. Io sono convinto che si tratta di Mc 6,52-53. Non ho obiezioni da fare”. Ed ancora Joan Maria Vernet afferma “Lo studio ed il metodo scientifico di O’Callaghan e di altri autori favorevoli all’identificazione del 7Q5 con Mc 6, 52-53 sono corretti, seri e scientifici”.Il biblista e teologo prof. Enrico Rodolfo Galbiati ha affermato che <<le opposizioni a O’Callaghan sono preconcette. O’Callaghan ha ragione non solo per le argomentazioni scientifiche che adduce, ma anche per la controprova matematica, per il calcolo delle probabilità. La successione e la posizione delle lettere del 7Q5 corrispondono con tanta precisione al Vangelo di Marco che è estremamente improbabile che siano frutto del caso>>.La papirologa prof.ssa Orsolina Montevecchi, d’altronde afferma: << Come papirologa posso dire che la identificazione del 7Q5 fatta dal Padre O’Callaghan mi sembra sicura. Le cinque righe ancora visibili sul frammento corrispondono a Marco 6: 52, 53. È estremamente improbabile la corrispondenza con un altro testo>>

Ciò che segue è estratto dal libro “GESU’ E I MANOSCRITTI DEL MAR MORTO” di David Donnini, pagg. 169-178, pubblicato nel 2006 dai tipi di Coniglio Editore.

1 – IL RITROVAMENTO

1955: la grotta 7 di Khirbet Qumran restituì alcuni frammenti di papiro fra cui quello denominato 7Q5 e datato da alcuni, sulla base di considerazioni storiche e stilistiche, all’anno 50 circa. Si trattava di un oggetto di 3,9 cm di altezza e 2,7 cm di larghezza, che possiamo vedere nell’immagine ingrandita qui a destra. Il gesuita spagnolo Joseph O’Callaghan, esperto papirologo, si mise quasi casualmente ad indagare il frammento in questione (da un punto di vista papirologico) e credette di individuare in esso, sulla base della coincidenza di alcune lettere dell’alfabeto greco, un brano del Vangelo di Marco (Mc 6-52,53) la cui traduzione in italiano è la seguente:

 7q5

“…perchè non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito. Compiuta la traversata, approdarono e presero terra a Genèsaret…”

L’ipotesi di O’Callaghan fu la seguente: il Vangelo secondo Marco non sarebbe posteriore alla distruzione di Gerusalemme (70 d.C.), al contrario, sarebbe stato scritto forse meno di venti anni dopo la crocifissione di Cristo. Il Padre O’Callaghan non si rese conto, in realtà, di avere preso in mano una bomba… e di rischiare che gli scoppiasse fra le mani.

2 – LE PRIME RESISTENZE

 

Padre de Vaux a Qumran negli anni ’50
con la barba nera e il saio bianco

Per la verità, non appena lo studioso gesuita comunicò la sua presunta importante scoperta, gli furono immediatamente opposte delle resistenze, persino da un gruppo di studiosi cattolici specializzato nell’indagine dei reperti di Khirbet Qumran: dall’Ecole Biblique di Gerusalemme, capeggiata dal famoso Padre De Vaux. Questo potrebbe sembrarci strano. In effetti i membri dell’Ecole Biblique avrebbero dovuto essere contenti dell’esistenza di un elemento probatorio a favore dell’idea che la redazione evangelica fosse assai più primitiva e vicina a Gesù di quanto non si era pensato fino a quel momento. Così infatti poteva sembrare.

In realtà lo staff dell’Ecole Biblique, sotto la guida di Padre De Vaux, nello svolgimento del suo lavoro di indagine del materiale papirografico reperito negli scavi di Khirbet Qumran, aveva confermato le distanze fra Gesù e gli esseni, stabilendo l’estraneità e indipendenza della setta Qumraniana dalla comunità dei primi seguaci del Cristo. E’ evidente che la semplice presenza di un frammento evangelico nella biblioteca qumraniana avrebbe portato senza dubbio ad una scomoda serie di domande. Ecco più in dettaglio le conclusioni a cui era giunta l’équipe prima della scoperta di O’Callaghan:

1. I testi di Qumran risalivano a un’epoca molto anteriore a quella di Gesù e, pertanto, erano estranei al cristianesimo delle origini.

2. I rotoli erano opera di un’unica comunità isolata, una «setta» eterodossa periferica, lontana dalle principali correnti del pensiero sociale, politico e religioso dell’epoca. In particolare, la setta non aveva nulla a che vedere con il nazionalismo messianico militante e rivoluzionario, rappresentato dai difensori di Masada.

3. La comunità di Qumran era stata distrutta durante la rivolta di Giudea tra il 66 e il 73 d.C., dopo che aveva nascosto i documenti nelle vicine grotte.

4. Le credenze della comunità di Qumran erano tutt’affatto diverse dal cristianesimo; dato che il «Maestro di giustizia» non era descritto come divino, non poteva essere identificato come Gesù.

5. Poiché Giovanni Battista presentava caratteri troppo simili agli insegnamenti della comunità di Qumran, non era «cristiano» nel vero senso del termine, ma «semplicemente» un precursore. (Baigent, Leigh, op. cit.)

In realtà tali conclusioni si sono rivelate, in seguito, affrettate ed inesatte, ed anche viziate da una spirito tendenziosamente difensivo nei confronti della tesi della estraneità. Che dire delle numerose corrispondenze fra letteratura qumraniana ed evangelica che abbiamo mostrato, nel presente lavoro, nel capitolo “I Manoscritti del Mar Morto – la storia”? E che dire dell’argomentazione di cui al punto 4: “…dato che il «Maestro di giustizia» non era descritto come divino, non poteva essere identificato come Gesù…”? Ma la divinità di Gesù, anzi la sua consustanzialità col Padre (omoousios), è il frutto di una formulazione del Concilio di Nicea, voluto da Costantino all’inizio del quarto secolo. Come avrebbero potuto i Qumraniani anticipare di trecento anni un presupposto teologico di questo genere? Fatte queste premesse, torniamo dunque al nostro problema: perché fu espressa una certa ostilità alle tesi di Padre O’Callaghan? Il fatto è che, dopo avere stabilito che il materiale Qumraniano non conteneva alcun elemento di disturbo per la tradizionale interpretazione storica del cristianesimo primitivo, e cioè dopo avere confermato le ampie distanze di sicurezza fra i Qumraniani e i primissimi cristiani, improvvisamente l’unico manoscritto evangelico del primo secolo (gli altri sono tutti molto posteriori) veniva trovato a Khirbet Qumran! Cioè proprio fra i documenti di quella comunità di cui si era detto che… col cristianesimo non aveva niente a che fare. La scoperta non aveva affatto un’aria gradita, al contrario, sembrava offrire un notevole spunto alle argomentazioni degli storici critici delle origini cristiane.

Essi avrebbero senz’altro cominciato a riempire libri e riviste con pericolose domande: non saranno stati proprio gli Esseni di Qumran i rappresentanti del primitivo giudeo-cristianesimo, ovverosia i seguaci di Gesù che, all’indomani della crocifissione, si erano raccolti sotto la guida di Simon Pietro e dallo stesso fratello di Gesù, l’apostolo Giacomo? Si riconsiderino adesso le conclusioni che l’équipe aveva tratto ufficialmente dall’analisi dei Manoscritti Qumraniani (vedi sopra) e si noti che:

a – Se il gesuita spagnolo avesse avuto ragione sarebbe immediatamente crollato il presupposto 1. Ovverosia il materiale qumraniano non era rigorosamente anteriore all’epoca del cristianesimo primitivo.

b – Inoltre si sarebbe evidenziato che i Qumraniani si occupavano non solo di scritti appartenenti alla letteratura ebraica religiosa antica (libri profetici, commenti agli scritti del Vecchio Testamento, ecc…) e ai loro stessi scritti settari (Manuale di Disciplina, Rotolo della Guerra…), ma che mostravano interesse per gli scritti dei Cristiani. Ora, per quale motivo una setta così escusivista come quella qumraniana avrebbe dovuto conservare gli scritti cristiani, se non ci fosse stata una relazione stretta col movimento dei seguaci del sedicente Messia?

c – E poi c’era l’elemento più sconcertante: per quanto tempo si era sperato di trovare le tracce concrete della cosiddetta “chiesa di Gerusalemme”, ovverosia della comunità cristiana primitiva all’indomani della crocifissione, capeggiata da Simon Pietro e da Giacomo? Non si era mai trovato nulla. E ora, inaspettatamente, l’unica traccia di un vangelo antichissimo si affacciava, in modo enigmatico ed inquietante, proprio a Khirbet Qumran.

Tutto questo sembrerebbe favorire non le interpretazioni tradizionali dei cristiani, sulla origine della loro religione, bensì lo studioso americano Robert Eisenman, sostenitore della tesi che la chiesa di Gerusalemme avesse una delle sue sedi nel ritiro di Qumran, e che Giacomo ne fosse il capo. Evidentemente l’Ecole Biblique, che conosceva i problemi, aveva avvertito subito queste minacce. E i suoi membri non erano molto entusiasti della sorpresa di O’Callaghan.

3 – UNA SERIA IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

Nonostante le polemiche e le ostilità mostrategli persino dai suoi correligionari, Padre O’Callaghan continuò a sostenere la tesi della identificazione 7Q5 = Mc 6-52,53. Egli era un papirologo, non un biblista, e forse non aveva le stesse motivazioni che spingevano l’École Biblique a evitare le inquietanti implicazioni del problema. Dunque l’analisi papirologica del frammento è andata avanti, fino al punto da rinforzare la tesi della identificazione. E’ chiaro che una questione così delicata doveva essere opportunamente gestita perché i suoi pericoli fossero scongiurati e il danno si trasformasse in beneficio. Ed ecco allora che essa fu presentata al pubblico in tutt’altra luce, rispetto alle problematiche cui abbiamo appena accennato; in pratica fu creata una fanfara trionfalistica del tipo: “…Abbiamo trovato una traccia originale del Vangelo, estremamente vicina a Gesù e al suo tempo! Un’altra prova a favore della storicità dei Vangeli…”. In fin dei conti il grande pubblico avrebbe senz’altro accettato questa visione del fatto. Molti cristiani non hanno mai sentito nominare Khirbet Qumran, né gli esseni, né le tesi di Eisenman, e non hanno alcuna possibilità di intuire le problematiche che la scoperta può sollevare. Ora, io non sono competente, in materia papirologica, quanto basta per avere una opinione sicura sull’identificazione effettuata da Padre O’Callaghan ma, in linea di principio, lascio aperta la possibilità che egli abbia ragione; e che il frammento 7Q5 possa essere una piccola scheggia di un Vangelo primitivo. E comunque non ho scritto questo articolo per discutere in particolare sul problema dell’identificazione, ma piuttosto sulle implicazioni che da essa potrebbero derivare, qualora l’identificazione dovesse essere confermata.Attenzione: ho detto “…di un Vangelo primitivo“, non “…del testo di Marco in tutta la sua integrità così come lo leggiamo oggi“.Infatti, qualcuno potrebbe giurare in buona fede che quelle tre o quattro lettere dell’alfabeto siano un frammento staccato proprio dallo stesso testo che leggiamo oggi come Vangelo secondo Marco? Non possiamo escludere che si tratti di una redazione primitiva, o di una fonte a cui l’autore del nostro Marco greco avrebbe attinto. Di qualsiasi altro documento si sarebbero formulate ipotesi di questo genere. Anche perché quello è solo un pezzetto grande come un francobollo, con poche sillabe, e non tutto il Vangelo di Marco. Nel quale, tra l’altro, sono state riscontrate alcune differenze (vedi un d [delta] al posto di un t [tau], o la completa assenza delle parole epi thn ghn [epi ten gen], che normalmente appaiono nel testo greco di Marco). E se queste differenze hanno fatto a lungo discutere sulla validità della identificazione col passo Mc 6-52,53, una volta che il problema sia eventualmente risolto con un responso positivo la discussione non è finita, anzi, è proprio qui che comincia. Infatti a quel punto sarebbe necessario domandarsi se il documento è proprio il Vangelo di Marco, integrale come lo leggiamo oggi, o una sua fonte, o che altro…. Senz’altro si possono sollevare, a questo proposito, una lunga serie di questioni:

1 – Il Vangelo di Marco, come abbiamo visto nel capitolo “La redazione dei 4 vangeli canonici”, contiene un esplicito riferimento all’assedio di Gerusalemme da parte delle legioni di Tito e una descrizione della distruzione del tempio, nonché delle tribolazioni dei giudei in seguito alla grave sconfitta, eventi che riguardano l’anno 70. Come poteva il Vangelo di Marco contenere tale descrizione negli anni 40 o 50?

2 – Se negli anni 40-50-60 circolavano già versioni primitive dei nostri Vangeli, chi ci dice che si trattasse, per filo e per segno, dei testi che leggiamo oggi? Quello che abbiamo trovato, se mai il 7Q5 è un frammento evangelico, è solo un insieme di poche sillabe tronche, non può autorizzarci a trarre conclusioni sicure e definitive su tutto il Vangelo di Marco, come esso si presenta nella versione moderna.

3 – E infine dobbiamo osservare che, nell’ambito di questo dibattito, sembra che sia calato un velo di omertà sui cosiddetto Vangeli giudeo-cristiani (“degli Ebioniti“, “dei Nazorei“, “degli Ebrei“…) e che nessuno voglia domandarsi se il 7Q5, invece che avere legami col Vangelo di Marco, non abbia piuttosto una relazione stretta con quei documenti. In fin dei conti sarebbe anche più verosimile. Basti pensare alle precedenti due obiezioni, che non sussistono nei confronti dei testi giudeo-cristiani.

E allora, il problema deve essere riproposto in questi termini:

a) cos’era quel documento in cui ci sembra di riconoscere la somiglianza con un passo del nostro Vangelo di Marco?
[Questo è il primo quesito, che deve sostituire la fanfara superficiale ed opportunistica del tipo “evviva, abbiamo trovato la copia originale del Vangelo di Marco“].

b) perché si trovava lì, negli archivi dei Qumraniani?
[E questo è il secondo quesito che deve sostituire l’omertà opportunistica con cui si evitano sistematicamente tutte le sue possibili implicazioni]

4 – I VANGELI PRIMITIVI

Normalmente i cattolici considerano i quattro Vangeli canonici come i documenti unici, veritieri, ispirati, che parlano di Gesù. Li avrebbero scritti i esattamente i quattro evangelisti, Marco, Matteo, Luca e Giovanni, che avrebbero preso la penna, si sarebbero messi al tavolino e, da bravi ebrei (almeno per quanto riguarda Marco, Matteo e Giovanni; mentre Luca forse non era ebreo), avrebbero cominciato a scrivere in greco dotto, attingendo (è il caso di Giovanni) dalla teoria ellenistica del Logos! E, più o meno, come i testi sarebbero usciti dalla loro penna, così sarebbero arrivati sotto i nostri occhi, almeno in una buona parte. I credenti non sono molto disposti a prendere in considerazione l’idea, assai più verosimile, che i testi evangelici possano essere il frutto di una redazione stratificata, nonché di una selezione accurata degli innumerevoli scritti che si sono dati questo titolo, e che hanno contribuito a costruire progressivamente, nei secoli, l’immagine teologica di Gesù Cristo. Preferiscono dimenticare la straordinaria complessità della letteratura paleocristiana e delle comunità da cui essa è stata espressa, e, di fronte ad un francobollo con tre o quattro sillabe controverse, gridano felici: “abbiamo trovato il Vangelo di Marco originale…“. Ma, nell’euforia, dimenticano che ciò darebbe adito a pericolose conseguenze. Infatti, visto che siamo in vena di ricostruzioni un po’ sbrigative, a questa esclamazione potremmo anche essere tentati di aggiungere : “…scritto proprio dalla mano dell’evangelista sotto la dettatura di San Pietro“. Al che verrebbe fatto di domandare: “…ma dove? Comodamente seduti al tavolino in una delle sale del monastero esseno di Qumran?” offrendo così una possibilità all’idea che il professor Eisenman abbia ragione nel credere che Qumran fosse la sede dei cristiani-ebrei. Oppure preferiamo credere che Marco avrebbe scritto il suo Vangelo a Roma (come è sempre stato detto) e che poi una copia del testo sia tornata indietro in Palestina e sia stata casualmente archiviata a Qumran, da parte di una setta messianica esclusivista, che coi cristiani non aveva niente a che fare? Se la prima ipotesi è molto ardua, la seconda è ridicola e si confuta da sola.

Gli esseni facevano collezione di libri e raccoglievano anche ciò che non apparteneva alla loro ideologia settaria? Quando mai? Quella presenza è, in realtà, una denuncia senza precedenti, che lega i qumraniani ai primissimi cristiani più di quanto non possano farlo tutte le altre considerazioni contenute in questo studio. Ma torniamo al discorso sui Vangeli primitivi. Il fatto è che alcuni Padri della Chiesa (Epifanio, Ireneo, Eusebio di Cesarea, Teodoreto…) nei loro scritti hanno criticato aspramente alcuni Vangeli che oggi non ci sono più e, nel fare questo, non solo ci hanno informato della loro esistenza ma, nella foga di confutarli, ci hanno detto qualcosa di importante sul loro contenuto:

“…nel Vangelo che essi (gli Ebioniti) usano, detto “secondo Matteo”, ma non interamente completo, bensì alterato e mutilato, e che chiamano “ebraico”… hanno tolto la genealogia di Matteo…”. (Epifanio, Haer., XXX, 13, 6).

“…(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l’apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge…”. (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

“…Gli Ebioniti, pertanto, seguendo unicamente il Vangelo che è secondo Matteo, si affidano solo ad esso e non hanno una conoscenza esatta del Signore…”. (Ireneo, Adv. Haer., III, 11).

“…costoro pensavano che fossero da rifiutare tutte le lettere dell’apostolo (Paolo), chiamandolo apostata della legge, e servendosi del solo Vangelo detto secondo gli ebrei, tenevano in poco conto tutti gli altri…”. (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., III, 27).

“…(I Nazarei) posseggono il Vangelo secondo Matteo, assolutamente integrale, in ebraico, poiché esso è ancora evidentemente conservato da loro come fu originariamente composto, in scrittura ebraica. Ma non so se abbiano soppresso le genealogie da Abramo fino a Gesù…”. (Epifanio, Haer. XXIX, 9,4).

“…(I Nazarei) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l’apostolo (Paolo)…”. (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1).

“…(I Nazarei) hanno usato soltanto il Vangelo secondo Matteo…”. (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 2).

“…Essi sono Giudei che onorano Cristo come uomo giusto e usano il Vangelo chiamato secondo Pietro…”. (idem).

Veniamo così a sapere che esisteva una nutrita letteratura paleocristiana, oggi nota con la denominazione “giudeo-cristiana”, prodotta da comunità pienamente appartenenti alla fede giudaica e rispettose della legge mosaica, che rifiutavano le idee del sedicente apostolo Paolo e che, al loro tempo, erano chiamate “Ebioniti” e “Nazorei“. Il primo dei due termini significa “i poveri”, ed è coerente con lo stile di vita frugale della setta Qumraniana, che negava il possesso privato di beni materiali sulla base di una totale condivisione sociale, mentre il secondo termine è lo stesso titolo che accompagna il nome di Gesù nella narrazione evangelica (Iesous o Nazoraios) e che non ha niente a che fare con la città di Nazaret (vedi “Il problema del titolo Nazareno“). In pratica, la letteratura giudeo-cristiana ha tutti i requisiti per essere considerata non solo molto vicina alla cosiddetta Chiesa primitiva degli apostoli Pietro e Giacomo (si pensi alla conflittualità fra Pietro e Paolo, ovverosia fra i cristiani giudaizzanti e quelli gentilizzanti, che gli Atti degli Apostoli cercano elegantemente di minimizzare presentandola come una diatriba interna al movimento cristiano primitivo), ma essa ha i requisiti per essere considerata anche un’espressione del pensiero esseno e per creare un collegamento, se non una identità, fra la comunità Qumraniana e la Chiesa primitiva degli apostoli giudaizzanti. Un’interpretazione di questo genere è l’unica che possa spiegare ragionevolmente (insieme a tanti altri problemi del cristianesimo primitivo) la misteriosa ed enigmatica presenza di un frammento evangelico a Qumran. Esso non è il Vangelo secondo Marco che leggiamo oggi ma, con estrema probabilità, un documento correlato con quelle fonti scomparse da cui hanno attinto liberamente i seguaci della “via paolina” per redigere il Vangelo secondo Marco e gli altri sinottici (Matteo e Luca). Potrebbe addirittura trattarsi di qualcosa di vicino alla famosa “fonte Q” che alcuni esegeti considerano la fonte degli evangelisti Matteo e Luca. E’ un peccato che il frammento in questione sia solo una briciola con poche sillabe leggibili; infatti, se avessimo potuto visionare il testo integrale di cui 7q5 è un frammento, avremmo probabilmente fatto utili scoperte sulla dinamica delle origini evangeliche, assai poco inquadrabili nelle attuali tesi proposte dalla tradizione.

7Q5 IL FRAMMENTO DELLA DISCORDIAultima modifica: 2013-11-23T13:04:33+01:00da mikeplato
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