L’attacco a Guenon di un ecclesiastico e la risposta di un tradizionalista pagano

René-Guénon-fenice1) L’EQUIVOCO GUENONIANO (di Don Curzio Nitoglia)

“Tradizione” spuria guénoniana

René Guénon († 1951) ha messo in luce, criticandola, la crisi del mondo moderno e ha rivalutato la Tradizione. Ma qual è la Tradizione cui egli si rifà e quale aspetto della Modernità ha criticato nelle sue opere?

La Tradizione guénoniana non è la Tradizione apostolica, ma la “Tradizione primordiale”, ossia una conoscenza (gnosis) iniziatico/esoterica, auto-salvifica e addirittura auto-divinizzante mediante la sola conoscenza (gnosi) dell’iniziato alla scuola di un maestro (guru) o un saggio (eletto).

L’iniziazione guénoniana è attiva e si acquisisce naturalmente da parte dell’iniziato mediante la gnosi o conoscenza esoterica; essa è profondamente differente dalla Mistica cristiana, che è passiva ma alla quale bisogna poi corrispondere, è soprannaturale ed infusa dallo Spirito Santo nell’anima del giusto.

Guénon filo-massone cabalista anti-cristiano

In occidente, secondo Guénon, l’unica forza capace di trasmettere la Tradizione primordiale sarebbe la Massoneria speculativa e mistica, ossia cabalistica (dato che la filosofia esoterica della Massoneria è la cabala ebraica), e non lo sarebbe più la Chiesa cattolica, che avrebbe smarrito sin dai primi secoli la vera Tradizione esoterica. Tuttavia, paradossalmente (ma non troppo) secondo i guénoniani l’avrebbe ritrovata con i Decreti pastorali del Concilio Vaticano II Nostra aetate e Unitatis redintegratio, che propugnano il pan-ecumenismo o la unità trascendente di tutte le religioni, tanto auspicata da Guénon e da Schuon.

In oriente, per Guénon, la filosofia indù sarebbe ancora più perfettamente trasmettitrice della Tradizione primordiale della Massoneria cabalistica in occidente. Ora l’induismo e il buddismo sono una filosofia nichilistica fondata sul nulla, che precorre il Nichilismo filosofico della post-modernità di Nietzsche, della Scuola di Francoforte e dello Strutturalismo francese, che ci ha portato al compimento e al superamento in peggio della Modernità, ossia al parossismo ultra-moderno e post-moderno che è scoppiato in tutta la sua virulenza con il Sessantotto. Ma come si fa a criticare la crisi della Modernità cercando di guarirla con la post-modernità che è ultra-moderna? Si può forse guarire un raffreddore con la polmonite? Ed una polmonite con un cancro ai polmoni?

La Tradizione primordiale è chiamata da Guénon anche “meta-fisica” ossia al di sopra (metà) del mondo materiale (tà physicà). Tuttavia la meta-fisica guénoniana non ha nulla a che spartire con quella platonica, aristotelica e tomistica. Infatti essa è al di là, al di sopra non tanto del mondo fisico quanto soprattutto della Religione rivelata e positiva specialmente cattolico-romana, che sarebbe per Guénon una Tradizione deviata.

Quindi più che di meta-fisica, in Guénon, si dovrebbe parlare di meta-religione, termine usato dal padre del neo-modernismo Pierre Teilhard de Chardin († 1955) che con la dottrina panteistica e pancrististica del “Cristo cosmico”, in cui sarebbero presenti tutte le religioni, le filosofie, gli uomini e il mondo stesso, parlava di “meta-cristianesimo”. Ora lascia più che perplessi il fatto che il contestatore della crisi del mondo moderno lo critichi rifacendosi al Modernismo filosofico/teologico, che è l’espressione più radicale della Modernità. Come lascia perplessi il fatto che Julius Evola († 1974) si rivoltasse contro il mondo moderno seguendo l’Idealismo assoluto di Schelling, prodotto ultimo e più parossistico dell’Io hegeliano, soggettivisticamente creatore della realtà, corretto con un pizzico di magia.

In ambiente cattolico tradizionale e anti-modernista spesso, in buona fede, si equivoca riguardo al guénonismo (ma non viceversa) prendendo i termini Tradizione e Modernità nel senso strettamente cattolico, mentre per Guénon sono termini o concetti identici, che hanno un significato totalmente diverso (equivoco). Cadendo così nella trappola di Guénon, che ha sempre cercato, sin dalla sua giovinezza, di infiltrare il cattolicesimo per eroderlo dall’interno come fecero lo Gnosticismo nel II secolo e il Modernismo nel Novecento. Non a caso il Modernismo e lo Gnosticismo contengono nel loro profondo le dottrine esoteriche, occulte e iniziatiche cui si rifà Guénon.

Tradizione cristiana

La Tradizione cattolica è quella divino apostolica. La Tradizione assieme alla Bibbia è una delle due “fonti” della divina Rivelazione. Essa è anche la “trasmissione” (tradere, trasmettere) orale di tutte le verità rivelate da Cristo agli Apostoli o suggerite loro dallo Spirito Santo, e giunte a noi mediante il Magistero sempre vivo della Chiesa, nella catena mai interrotta dei successori di Pietro, assistita da Dio sino alla fine del mondo.

La Tradizione assieme alla S. Scrittura è il canale contenitore (Tradizione passiva) e il veicolo trasmettitore (Tradizione attiva) della Parola divinamente rivelata.

La Tradizione cristiana si divide in

  • a) Tradizione divina (insegnata direttamente da Cristo agli Apostoli);
  • b) Tradizione divino/apostolica (gli Apostoli non la ascoltarono dalla bocca di Cristo, ma la ebbero per ispirazione dello Spirito Santo).

Essa consiste in quelle verità o precetti morali, disciplinari e liturgici, i quali derivano direttamente da Cristo o dagli Apostoli in quanto promulgatori della Rivelazione, illuminati dallo Spirito Santo, e trasmesse – mediante i Padri apostolici, apologisti ed ecclesiastici – agli uomini di tutti i tempi incorrotte sino alla fine del mondo, perciò essa è oggetto di Fede divina.

I primi ‘Discepoli’ degli Apostoli ricevettero in maniera diretta e immediata la Tradizione dalla bocca dei Dodici, mentre i posteri la ricevono in maniere indiretta e mediata, tramite l’insegnamento dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi) cum Petro et sub Petro: il Magistero è l’organo della trasmissione ininterrotta della medesima eredità ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo o dello Spirito Santo.

La Tradizione orale non esclude che venga poi messa per iscritto, ma non sotto la “divina Ispirazione” (come lo invece la S. Scrittura) in quanto, col passare del tempo, la trasmissione a voce viene fissata in documenti scritti o in epigrafi. Per esempio la validità del Battesimo dei neonati è Tradizione, poiché è parola di Dio non scritta sotto divina ispirazione, ma attestata unanimemente da quasi tutti gli antichi scrittori ecclesiastici. Tuttavia lo scritto è solo un sussidio della Tradizione orale. Onde vi possono essere Tradizioni o insegnamenti divino/apostolici di cui nulla è stato scritto. Sarà la voce del successore di Pietro o della Chiesa, ossia il Magistero vivente nella persona del Papa attualmente regnante a garantire che tali verità sono di origine divina o divino/apostolica. Solo in questo senso soggettivo si può parlare di Tradizione “vivente” o meglio ancora di Magistero vivente, in quanto l’insegnamento divino o apostolico, oggetto della Tradizione, viene trasmesso ininterrottamente dalla catena dei Papi vivi “tutti i giorni (e in atto) sino alla fine del mondo”.

È dottrina comunemente insegnata che la Tradizione è più ricca della sola Scrittura.

Più ricca

  • 1°) in antichità (anche la Scrittura prima di essere messa per iscritto è stata Tradizione, in quanto trasmissione a voce della divina Rivelazione);
  • 2°) in pienezza (in quanto la Tradizione contiene tutte le verità rivelate mentre la Scrittura no) e
  • 3°) in sufficienza (poiché la Scrittura ha bisogno della Tradizione per stabilire la sua autorità).

Il Tradizionalismo classico dell’Ottocento francese è un sistema che svaluta la capacità conoscitiva della ragione umana e le sostituisce la “Tradizione primitiva del genere umano” legata alla genesi del linguaggio e alla Monarchia di diritto divino.

Louis de Bonald, seguìto da Vincenzo Gioberti, insegna che la parola umana è consegnata o trasmessa (tradere/traditio) da Dio all’uomo direttamente e oralmente all’inizio del genere umano (Tradizione primordiale).

Tradizionalismo politico, filosofia politica tomistica e dottrina sociale della Chiesa

Secondo de Bonald (Teoria del potere politico e religioso nella società civile, 1796) anche la dottrina politica sull’origine della società civile e sull’unica (per lui) veramente buona forma di governo (Monarchia ereditaria e assoluta di diritto divino) è stata consegnata, come il linguaggio, da Dio all’umanità. Quindi il monarchicismo assoluto bonaldiano fa un tutt’uno con la dottrina del Tradizionalismo fideistico della genesi del linguaggio.

Secondo questa teoria il potere verrebbe immediatamente da Dio al capo, senza passare attraverso il popolo come canale. Dio sceglierebbe un individuo cui conferirebbe il potere. Ora ciò è vero per la Chiesa Cattolica, per i Re dell’Antico Testamento, ma non per l’autorità umana nel Nuovo Testamento.

Invece – secondo Aristotele e San Tommaso – l’autorità viene da Dio come da causa remota, ma Dio non manifesta (per se o normalmente) direttamente quale sia la persona o il regime di governo che debba esercitare il potere (può farlo per accidens o eccezionalmente, ma in filosofia si prende in considerazione il per se, ossia la regola, e non l’eccezione). La persona è scelta dal corpo sociale. Il popolo però, attenzione!, non crea il potere, ma designa le persone che lo debbono esercitare.

La Monarchia di diritto divino, in cui il re ottiene il potere direttamente da Dio, si presta ad una duplice interpretazione:

  • a) il potere deriva, come da fonte remota, da Dio, e questo è di Fede: “ogni potere viene da Dio” (Rom., XIII, 1);
  • b) l’autorità regale deriva direttamente al Principe da Dio, e perciò è sciolta (ab-soluta) da ogni legame o dipendenza (dal Papa, dalla Chiesa e dal popolo, anche quando il monarca diventa tiranno) e questo è contrario alla sana dottrina.

Il “potere delegato dal popolo canale” è la tesi insegnata dalla prima scolastica (S. Tommaso), dalla seconda scolastica (Bellarmino e Suarez), dalla terza scolastica, dai teologi approvati del secolo XX e XXI e – ininterrottamente – dal Magistero ecclesiastico a partire da Gregorio XVI sino a Pio XII. La scelta del capo appartiene al corpo sociale, inteso come sanior pars, di modo che l’autorità lavori per il bene comune. Occorre specificare che il popolo (che non è la massa amorfa) “ha” il potere solo per comunicarlo al capo, ossia il popolo è soggetto imperfetto o transitivo o “viale” del potere, mentre il capo “è” soggetto perfetto e permanente di esso; cioè il capo detiene stabilmente il potere come suo, una volta datogli e non può essere toltogli dal popolo a suo capriccio (tranne il caso di tirannia). Il capo non è il deputato o rappresentante del popolo; egli ha l’autorità stabilmente, perché gli viene, mediante il popolo-canale, da Dio.

Questa è la dottrina scolastica e cattolica o teoria tradizionale del potere-delegato diametralmente diversa da quella tradizionalista fideistica di de Bonald, de Maistre e seguaci. Dio è fonte remota di potere, il popolo ne è solo canale di trasmissione e, siccome la comunità normalmente non sa perfettamente e stabilmente, esercitare il potere, ecco la necessità di scegliere una persona (o più, a seconda della forma di governo) alla quale trasferire il potere e nella quale il potere resta stabilmente.

San Tommaso insegna che le possibili forme di governo sono tre: monarchia, aristocrazia, politìa (oggi ‘democrazia’ classica, essenzialmente diversa dal ‘democratismo’ moderno di Rousseau). Egli considera la monarchia come la prima forma di governo (il governo di uno solo), che, però, può degenerare in tirannia. La seconda forma di governo considerata dall’Aquinate è l’aristocrazia (governo dei migliori o virtuosi), che può degenerare in oligarchia, ossia tirannia di pochi. La terza forma è la politìa (governo dei magistrati o dei cittadini/militari) o timocrazia (governo in cui le cariche sono assegnate in base all’onore e alla forza della sanior pars populi), la quale può degenerare in democratismo o democrazia moderna (tirannia del popolo). Oggi, in luogo di politìa o di timocrazia, è prevalso l’uso della parola democrazia – che per i classici e gli scolastici aveva già di per sé una valenza negativa – la quale può degenerare in demagogia, come si dice comunemente oggi.

La miglior forma di governo secondo S. Tommaso e il Magistero non è quella di de Bonald
Secondo la tradizione scolastica, la miglior forma di governo non è la monarchia assoluta ed ereditaria di diritto immediatamente divino (come vorrebbe de Bonald), ma è una forma “mista”, data la malizia dell’uomo ferito dal peccato originale che facilmente è portato a degenerare. Nella Somma Teologica (I-II, q. 95, a. 4) San Tommaso scrive: “vi è un certo regime, che è un misto di queste tre forme, il quale è il migliore”. Ed ancora: “la migliore forma di potere è bene temperata dall’unione della monarchia, in cui comanda uno solo, e dall’aristocrazia, in cui comandano i migliori o i virtuosi, e dalla democrazia, che è il potere del popolo, in quanto i Principi possono essere scelti nella classe popolare e possono essere eletti dal popolo stesso” (S. Th., I-II, q. 105, a. 1). Ogni buon regime deve, dunque, essere misto e radicato nel principio del popolo-canale, che trasmette compiti e funzioni di governo ad uomini atti, preparati ed onesti (i migliori); mentre al vertice, la suprema unità di governo appartiene ad un uomo prudente e maturo (il monarca).

San Tommaso, riprendendo e perfezionando l’insegnamento di Aristotele, sottolinea che la monarchia è più nobile dell’aristocrazia e questa lo è più della democrazia. Tuttavia San Tommaso mette in guardia dai pericoli della monarchia, non in quanto pericolosa in sé bensì a causa della malizia dell’uomo. Si può dunque concludere che la più nobile forma di governo, la monarchia, è bene che sia temperata dall’aristocrazia e dalla timocrazia o democrazia (ovviamente non la democrazia moderna o demagogia, secondo la quale il potere non deriva da Dio ma dall’uomo).

Nella sua opera De regimine principum San Tommaso spiega essere necessario che gli uomini, vivendo in società, siano governati da qualcuno: “se è naturale per l’uomo vivere in Società, è necessario che fra gli uomini ci sia qualcuno che governi il popolo. Infatti, quando gli uomini sono in molti, se ognuno provvedesse soltanto a ciò che gli serve, il popolo si frantumerebbe nei suoi componenti, qualora non ci fosse chi si occupasse anche del bene comune; così come l’uomo si dissolverebbe se nel corpo non ci fosse una facoltà coordinatrice generale (il cervello) rivolta al bene comune di tutte le membra […]. Se una moltitudine di uomini è ordinata dal capo per il bene comune di tutti, il governo sarà retto e giusto. Se invece il governo è ordinato non al bene comune, ma al bene privato del capo, sarà ingiusto e perverso”.

L’Aquinate spiega, inoltre, che è più utile che una moltitudine di uomini sia governata da uno solo, piuttosto che da molti. Ciò in quanto l’uno per essenza può garantire l’unità meglio di molti individui. Dunque è più utile il governo di uno solo che di molti. Ma San Tommaso mette in guardia dal pericolo che anche la migliore forma di governo, a causa delle conseguenze del peccato originale, possa degenerare e diventare tirannia di uno solo che è peggiore della tirannia di pochi (oligarchia) così come questa è peggiore della tirannia di molti (demagogia). Alla cosa migliore si contrappone quella peggiore ed un governo è tanto più ingiusto, quanto più si allontana dal bene comune, come quello di un solo tiranno. Occorre, comunque, considerare anche l’enorme danno al bene comune che deriverebbe dalla caotica partecipazione di molti, inetti e moralmente corrotti, alla gestione del potere.

Per Aristotele e San Tommaso, la democrazia è la degenerazione della politìa o timocrazia, in quanto essa si basa sul popolo ridotto a massa informe mentre la timocrazia è fondata sull’equa partecipazione al potere del popolo, formato da persone razionali, libere ed oneste. In questo sistema, la sovranità risiede nella legge e non nella moltitudine e nelle sue deliberazioni. Nella democrazia (oggi diremmo demagogia), intesa come degenerazione della politìa o timocrazia, la legge perde la propria forza e la massa informe ed amorfa diventa arbitro dello Stato. In tale sistema i demagoghi, e non i migliori, tengono le redini del governo, e le leggi positive come specificazioni della legge naturale (intesa quale partecipazione alla legge eterna o divina), inscritta dal Creatore nell’animo umano, non sono più sovrane, ma dipendono dal capriccio della moltitudine dispotica. La politìa o timocrazia (oggi diremmo democrazia classica) si fonda sulla partecipazione al potere da parte del popolo in forma responsabile ed ordinata. Ogni civis deve avere la possibilità di partecipare, se capace e degno, alla vita politica della nazione. Qualunque sia la forma del potere, è essenziale che chiunque lo eserciti legittimamente abbia la consapevolezza di non essere l’origine della sovranità, e, di conseguenza, di non aver alcun diritto all’esercizio potere in senso assoluto. Chi governa – sia esso il re, il capo di una repubblica, i membri di un governo – deve considerarsi vassallo di Dio, ossia subordinarsi all’Unico Signore origine dell’autorità e della sovranità, che – attraverso lo strumento del popolo/canale – trasmette a chi è legittimamente destinato a guidare lo Stato l’istituzione deputata a governare la vita del consorzio umano associato. Una subordinazione che si concretizza nell’adesione integrale, da parte appunto dello Stato, all’etica naturale e cristiana. Come si vede, con il tomismo, siamo agli antipodi del bonaldismo o Tradizionalismo politico, di questa Tradizione primordiale, che secondo de Bonald, accomuna tutte le religioni positive, le ingloba e le supera (come pure tutti i governi). L. de Bonald come J. de Maistre insegna che l’uomo avrebbe delle idee innate e non le astrae dalla conoscenza sensibile, come insegnano Aristotele, San Tommaso e tutta la prima, seconda e terza scolastica. L’uomo avrebbe ricevuto da Dio un “linguaggio primitivo” e una “Tradizione primordiale” linguistica e politica sin dalla creazione. Secondo costoro il linguaggio e le idee che sono espresse dal linguaggio non sono opera dell’uomo mediante l’astrazione del concetto intelligibile dalla cosa sensibile e poi mediante una convenzione con la quale gli uomini hanno deciso di dare tale nome ad un concetto (per esempio ‘uomo’ all’animale razionale). Il linguaggio primordiale, tramandato da generazione in generazione, manterrebbe la Tradizione primordiale secondo costoro (compreso il panteista medievale Scoto Eriugena, al quale si rifanno).

Come si vede, la Tradizione cristiana è diametralmente diversa da quella esoterica e fideistica. Tutti gli uomini, a qualsiasi religione appartengano, hanno la stessa Tradizione e verità primordiale trasmessa da un linguaggio infuso primitivamente nella mente umana dalla Divinità. Le diverse (per elementi accidentali posticci e avventizi) religioni, quindi, sono inferiori alla pura Tradizione primordiale, alla meta-religione guénoniana e devono essere considerate iniziaticamente secondo l’unità trascendente di ogni religione (F. Schuon † 1998).

Secondo de Maistre e de Bonald la religione più vicina alla Tradizione primitiva è il cristianesimo, mentre secondo Guénon è l’induismo assieme all’esoterismo islamico e a quello estremo orientale e per Evola è il neopaganesimo panteistico. Ma, in realtà, è la cabala o la falsa mistica ebraica che accomuna tutte queste varie false concezioni esoteriche.

È curioso notare come un noto studioso e anziano adepto del guénonismo, Jacques-Albert Cuttat, definisce il guénonismo come un “neo Tradizionalismo. Sembra che Guénon abbia ripreso e sublimato, alla luce della filosofia orientale, le tre tesi fondamentali del Tradizionalismo ottocentesco francese (specialmente quello di J. de Maistre, di L. de Bonald e di F. Lamennais), cioè: 1°) l’anti-razionalismo; 2°) l’unanimità della Tradizione primordiale, espressa dal linguaggio, come unico criterio di verità e soprattutto 3°) il primato spirituale dell’Oriente” (Le néo-Traditionalisme: René. Guénon, Aananda K. Coomaraswamy, Frithjof Schuon, in Annuaire del l’E. P. H. E, Vème section: Sciences Religieuses, 1958-1959, p. 68).

La Massoneria mistica (la cui anima è la cabala) è per tutti costoro la fucina della trasmissione esoterica della Tradizione primordiale. Come si vede tutti costoro, sono consciamente o no, intrisi di gnosticismo cabalistico, massonico e quindi, ultimamente, di luciferismo.

Per cui il Tradizionalismo fideistico francese dell’Ottocento non è solo un errore filosofico che svaluta la ragione umana, ma è anche una deviazione teologica, linguistica e politica, che ha portato al rifiuto del Magistero di Leone XIII nel 1892 e a quello di Pio XI nel 1926 soprattutto in Francia, che è debitrice alla cabala spuria giudaica e alla Massoneria delle sue dottrine più specifiche.

I principali esponenti del tradizionalismo francese ottocentesco sono Joseph de Maistre († 1821), Louis de Bonald († 1840), Felicité de Lamennais o più esattamente La Mennais († 1854), Louis Bautain († 1867) e Augustin Bonnety († 1897). L’unico impenitente che non volle ritrattare i suoi errori fu il de Lamennais, mentre gli altri (salvo de Maistre che non aveva esplicitato il suo errore e non fu, dunque, condannato) si sottomisero alla condanna della Chiesa (DB 1613 ss.; DB 1622 ss.; DB 1649 ss., Conc. Vat. I, sess. III, DB 1781 ss.). Da essi prenderanno via due scuole politicamente divergenti: 1°) il monarchicismo assoluto (Joseph de Maistre, Louis de Bonald, Louis Bautain e Augustin Bonnetty), da cui deriva la opposizione al cosiddetto Ralliement di Leone XIII del 1892 e la rivolta di Charles Maurras contro Pio XI nel 1926; 2°) il democraticismo catto/liberale (Felicité de Lamennais), da cui deriva il cattolicesimo-liberale condannato a partire dal 1832 da Gregorio XVI ininterrottamente sino al 1958 con Pio XII.

Conclusione

La Modernità è avversata realmente ed efficacemente dalla filosofia metafisica dell’essere (soprattutto tomistica, che riprende il meglio del platonismo e dell’aristotelismo e li sublima).

Infatti la nozione tomistica

  • 1°) di essere quale atto supremo della sostanza aristotelica, e,
  • 2°) di partecipazione, che perfeziona quella platonica, risolvono tutti i problemi cui il platonismo, l’aristotelismo e la patristica, non ancora sistematizzata e completata dalla scolastica, non avrebbero potuto far fronte in maniera totalmente adeguata.

Si pensi, ad esempio, alle questioni sollevate dalla filosofia moderna (da Cartesio sino a Hegel) come l’immanentismo panteista, che è confutato dall’Essere per essenza o ‘a se’ (che sussiste indipendentemente da altro) realmente distinto dall’ente per partecipazione o ‘ab alio’, composto di essenza e di essere, che non è il suo essere ma ha o riceve e partecipa l’essere.

Tutta la modernità, anche quella non esplicitamente ostile al cristianesimo (da Malebranche a Rosmini), così come quella apertamente incompatibile con la Rivelazione (Cartesio, Kant, Fichte, Schelling, Hegel), trova una risposta (la prima) e una radicale confutazione (la seconda) nella teoria tomistica dell’actus essendi ultimus et perfectus, della composizione ens/esse e della partecipazione.

Per quanto riguarda la post-modernità (da Nietzsche a Freud e sue propaggini: Scuola di Francoforte e Strutturalismo francese), che è caratterizzata da un sostanziale nichilismo metafisico (gnoseologico ed etico) o distruzione dell’essere (conoscibile e buono moralmente), trova nella metafisica dell’essere la diga che si frappone tra ciò che è e il nulla verso cui vorrebbe tendere la post-modernità, la quale, per odio satanico contro l’Essere stesso sussistente, cerca di distruggere l’essere per partecipazione, in quanto esistente (“enti-cidio”), in quanto conoscibile (“razio-cidio”) e in quanto buono (“mori-cidio”), proprio come satana tenta l’uomo o ente per partecipazione (creato a “immagine e somiglianza di Dio”, intelligente e libero) per colpire indirettamente Dio o l’Atto puro, l’Essere per essenza. Onde l’Immanentismo panteista (orgoglio auto-esaltatore), il Nichilismo teoretico (odio auto-lesionista) ed il neomodernismo sono confutati in nuce dal tomismo originario e non dal guénonismo che, anzi, li fa propri in un certo qual modo.

Leone XIII con l’Enciclica Aeterni Patris del 1879 lanciò la rinascita del neotomismo in contrapposizione alla filosofia moderna e soggettivista, che sotto il pontificato di Pio IX e il suo aveva partorito il tradizionalismo (de Maistre in incognito, de Bonald, de Lamennais, Bautain, Bonnetty, apertis verbis) o fideismo francese, l’ontologismo italiano (Gioberti e Rosmini) e il neo-idealismo germanico (Hermes e Günther ). Papa Pecci invitava a diffidare di ogni sintesi diretta tra dottrina cristiana e filosofia moderna e a presentare il tomismo come l’antitesi totale del soggettivismo immanentista della modernità, il quale da parte sua con Feurbach (Essenza del Cristianesimo, 1841) aveva capito benissimo che la vecchia dottrina teologica da distruggere per rimpiazzarla col “nuovo Cristianesimo” era il tomismo.

Invece è proprio la Modernità filosofica che sta alla fonte teoretica del Tradizionalismo fideistico (anche se politicamente esso è monarchicista e anti-rivoluzionario) specialmente con il Nominalismo, il Luteranesimo, il Kantismo e il Romanticismo intuizionista di Friedrich Jacobi (Le cose divine e la loro rivelazione, 1811), che – romanticamente e irrazionalmente – pone nell’uomo una capacità di intuire puramente Dio senza aver bisogno della Rivelazione, con il Pragmatismo di William James e infine con il Modernismo, che pone l’esperienza o il sentimento religioso alla base della conoscenza del Divino e al posto della Tradizione primordiale.

Il concetto di esperienza religiosa appartiene soprattutto al soggettivismo protestantico e modernista. Padre Cornelio Fabro definisce l’esperienza religiosa come «dissociazione della coscienza dal contenuto oggettivo della Fede» (voce Esperienza religiosa, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. V, col. 603).

In filosofia la Modernità laicista ha elevato l’esperienza religiosa soggettiva a criterio assoluto e indipendente da ogni dato oggettivo. Essa ha come caposcuola Kant, per il quale Dio stesso non è un Ente reale e oggettivo, indipendente dal soggetto umano, ma un postulato della “Ragion pratica”, che sente il bisogno di una esperienza religiosa della divinità alla quale la “Ragion pura” o teoretica non può giungere. Da Kant nasce un duplice indirizzo di pensiero:

  • 1°) uno più filosofico e razionalista: l’idealismo-trascendentale di Fichte, Schelling ed Hegel, che – seguendo Kant – cerca di subordinare la religione alla filosofia soggettivistica;
  • 2°) l’altro piuttosto spirituale e misticoide: l’irrazionalismo fideistico e ontologista di Jacobi e Schleiermacher i quali seguono Kant specialmente privilegiando il sentimentalismo religioso soggettivistico, anzi per Schleiermacher e Jacobi il «sentimento è l’unico criterio della verità» (cit., col. 603) onde «la Fede è puro sentimento immediato» (ivi).

Tale concezione soggettivista e sentimentalistica con il Modernismo comincia a prendere un indirizzo sempre più irrazionalista e l’esperienza religiosa si sostituisce totalmente sia alla retta ragione che alla divina Rivelazione e alla Fede teologale. Auguste Sabatier con la sua opera Esquisse d’une philosophie de la religion (Parigi, 1879) e il protestantesimo francese sono stati la punta di diamante della esperienza religiosa soggettivistico/irrazionalista, che insisteva sul primato della vita e dell’esperienza sulla ragione speculativa e la Fede oggettiva. L’influsso del Sabatier è stato talmente forte che la teologia evangelico/protestante è stata negli ultimi centocinquanta anni essenzialmente una fenomenologia dell’esperienza.

In campo cattolico Maurice Blondel ha introdotto il soggettivismo e l’esperienza con la nuova definizione di verità quale “adequatio rei et vitae” e non più “rei et intellectus”. Il vitalismo di Henry Bergson cercava di risolvere la religione in una esperienza psicologica intima. Il pragmatismo, con William James e l’americanismo o modernismo ascetico, riduce la religione a sentimento soggettivo erompente dalla ‘subcoscienza’, sprofondando sempre più nell’immanentismo sentimentalista o razionalista e spalancando le porte alla psicoanalisi cabalistico/freudiana, resa fenomeno di massa dalla Scuola di Francoforte.

Guénon alla maniera del Tradizionalismo e del Fideismo francesi del XIX secolo non solo svaluta la ragione, ma in più scredita anche la Fede soprannaturale per sostituire Fede e ragione con la iniziazione occultistica auto-salvifica e auto-divinizzante.

Come il Fideismo tradizionalista esalta ed esagera la funzione della Fede o della “Tradizione primordiale” nella conoscenza della verità (e della filosofia politica) non solo di ordine etico e trascendente, ma anche naturale ponendo al posto della ragione la conoscenza della verità naturale tramite la Tradizione primordiale e la Fede, così Guénon pone al posto della ragione e della Fede teologale la gnosi o intuizione della verità mediante la Tradizione primordiale o la meta-religione e avversa la politica moderna, ma per rifarsi ad una concezione assolutistica e teocratica (che non distingue, pur nella subordinazione gerarchica, autorità temporale e potere spirituale) del potere politico.

Quindi esistono due metafisiche o meglio una metafisica e una contro-metafisica (specularmente alla Chiesa e alla contro-chiesa): la vera metafisica dell’essere e la falsa metafisica o contro-metafisica dell’esperienza religiosa soggettiva e del non-essere.

Il soggettivismo esoterico, la metafisica del nulla post-moderno, son diventate la filosofia dell’epoca contemporanea. La modernità, dopo l’esaltazione illuministica che aveva condotto l’uomo alle soglie del cielo, è passata, nel XX secolo, alla disperazione irrazionalistica, che non solo ha preteso di aver ucciso Dio, spegnendo la fiaccola di ogni speranza, ma ha fatto anche precipitare l’uomo verso l’abisso del nulla. Così dalla metafisica dell’essere si è passati al primato dell’Io e dell’Idea e poi si è scivolati nella metafisica del nulla. Oggi il principio non è più l’essere, ma il sentimentalismo irrazionale e animalesco, il nulla ed il Nichilismo costituiscono il carattere dominante della nostra epoca.

Guénon si inserisce, con la sua gnosi esoterica, occulta ed infera proprio in questo filone e lo rende peggiore mediante l’iniziazione che non è scevra di legami col mondo preternaturale e demoniaco. Quindi non è possibile curare e combattere la Modernità col guénonismo, il quale non fa che aggravare il male del mondo moderno e post-moderno.

Quindi occorre scegliere o la Tradizione divina e apostolica o la contro-tradizione infera e esoterica guénoniana: tertium non datur, “Per la contraddizion che nol consente”.

2) La risposta di FABIO CALABRESE del Centro Studi La Runa

MA QUALE TRADIZIONALISMO?

Io credo che il concetto di tradizionalismo serva a molto poco se non si ha la cura di specificare quale sia la tradizione alla quale facciamo riferimento. Una cosa che mi ha sempre colpito come una bizzarria (e una fonte di equivoci pericolosi), è il fatto di sentir parlare di “tradizionalismo cattolico” e “tradizionalismo” “integrale”, “evoliano”, “esoterico” come se esistesse un soggetto, il tradizionalismo, cui possono di volta in volta e a seconda dei casi, convenire diversi attributi, ma questo a mio parere è un vero e proprio abuso del linguaggio, un capovolgimento fra soggetto e attributo. Diciamo piuttosto che esistono diverse Weltanschauungen, pagana o cristiana a cui ci si può accostare in modo “tradizionale” o “tradizionalista” o altrimenti. Non esiste quindi un “tradizionalismo cattolico” ma piuttosto un “cattolicesimo tradizionalista” e sull’altro fronte una paganitas che non potrà essere altro che basata sul recupero di una tradizione che si è cercato in tutti i modi di distruggere e che perlomeno si è dovuta occultare da due millenni in qua.

Il raddrizzamento del rapporto soggetto-attributi ha un inconveniente molto tangibile con cui bisogna fare i conti: permette di avvertire a colpo d’occhio che fra la tradizione che si richiama alla più antica spiritualità autoctona europea e la pseudo-tradizione (considerarla tale, infatti, è come scambiare per salute un malanno cronicizzato) che venti-quindici secoli or sono si è cominciata a diffondere in Europa come sovversione distruggendo le religioni e le forme spirituali europee native, non esiste in linea di principio nessuna compatibilità.

E’ dalla corrosione dell’animo europeo iniziata con la cristianizzazione che, dopo un lungo periodo di latenza, sono scaturite le patologie della modernità, il democraticismo e il marxismo, ed è un discorso che vedremo di sviluppare fra un po’. Per il momento è importante osservare che il discorso si sdoppia su due livelli.

Sul piano dei principi, della visione del mondo, diciamo pure che non esiste nessuna possibile compatibilità: non ne può esistere fra chi guarda alla spiritualità indoeuropea e chi basa la sua, “fede” su di un libro mediorientale che è una raccolta di falsità storiche e di infantilismi e sciocchezze in termini spirituali ed etici, e viene venerato come “la parola di Dio”.

Tempo fa, una persona di mia conoscenza mi diceva che da questo punto di vista trovava il mio giudizio un po’ troppo radicale; infatti nel o attraverso il cristianesimo si sono conservati riti, ricorrenze, feste di origine pagana  superficialmente “battezzate” e cristianizzate, soprattutto nel mondo contadino, che l’occhio esperto del cultore di tradizioni può sempre riconoscere e interpretare nel loro vero significato. Che le cose stiano così è innegabile, ma perché ricorrere a una copia alterata e mutila quando si può fare riferimento all’originale? Perché non togliere la patina di cristianizzazione così come un buon restauratore rimuove l’untume e la sporcizia depositatisi sui capolavori pittorici dei secoli passati?

Il “tradizionalismo cattolico” o più correttamente il cattolicesimo tradizionalista rimane una forma di cristianesimo, cioè una variante di una religione le cui origini mediorientali, non-europee e i cui effetti dissolutori sulla cultura e sulle istituzioni dell’Europa, dell’impero romano in primis, non hanno bisogno di essere illustrati. Sarà forse la più vicina al bordo, ma rimane al di là dell’abisso che separa “noi” da “loro” figli del Medio Oriente e non dell’Europa – ebrei, cristiani, islamici, democratici, marxisti.

Sul piano pratico, le cose camminano o potrebbero camminare in maniera un po’ diversa. Perlomeno, accade che ci troviamo ad avere in comune una quantità di nemici. Nel 2009, Giovanna Canzano, che mi aveva intervistato per “Caserta Sette” a questo proposito, riportava questa mia affermazione il cui testo è ancora reperibile in internet:

“Quando si deve condividere un ambiente ristretto gomito a gomito, si fa meglio ad andare d’accordo, a rispettarsi reciprocamente; se poi questo ambiente ristretto è una precaria trincea attaccata dai nemici da tutte le parti, e nemici che sopravanzano i difensori in maniera massiccia, allora la reciproca ostilità equivale al suicidio.

Tutto questo non richiede una particolare profondità intellettuale, una perspicacia ideologica, è semplice, elementare buon senso che più non si potrebbe. A chi è impegnato a lottare assieme a noi contro gli stessi nemici, non chiediamo neppure di amarci, ben sapendo che al cuore non si comanda, ma almeno di rispettarci, di astenersi da aggressioni immotivate. È una richiesta eccessiva?” (“Caserta Sette”, 3 luglio 2009).

Il fatto è che molto spesso i cattolici tradizionalisti si sono tirati addosso una marea di attacchi per il fatto di non fare mistero dei loro sentimenti antigiudaici ed antisionisti. Quando qualcuno viene attaccato a motivo del suo antisionismo, io sono dalla sua parte, non da quella dei servi di ZOG, fosse pure un “compagno”. Io mi schiero idealmente accanto al feretro di Vittorio Arrigoni, non dalla parte dei suoi assassini.

Tuttavia che i cattolici tradizionalisti manifestino in genere sentimenti antigiudaici piuttosto vivaci, considerando le evidenti origini ebraiche della loro religione (Ebreo era Gesù Cristo, ebrei gli apostoli, in ebraico è stato scritto l’Antico Testamento; il Nuovo è stato scritto in greco ma da ebrei ellenizzati) risulta una cosa piuttosto curiosa.

Naturalmente, distinguiamo l’antigiudaismo come avversione verso la religione ebraica, dall’antisemitismo inteso come ostilità razziale verso gli ebrei.

Io vi chiedo scusa, ho fatto il liceo classico come studente or sono quarant’anni e passa, e non posso ricordarmi tutto, mi pare fosse Tacito, ma non ci posso giurare; a ogni modo uno storico latino, parlando dell’imperatore Claudio, riferisce “Expulit iudeos impulsore Chresto tumultuantes”, che parrebbe essere la più antica menzione del cristianesimo da parte di uno storico romano che si conosca, ossia: “(Claudio) allontanò da Roma gli ebrei che facevano gazzarra su istigazione di un certo Cresto (Cristo)”.

Non è chiaro quel che dev’essere avvenuto? A Roma a quel tempo si era già formata una comunità di ebrei immigrati dalla Palestina e, contemporaneamente una comunità di “eretici” cristiani staccatasi dalla prima. Naturalmente, i rapporti fra i due gruppi dovevano essere pessimi, e una qualsiasi occasione deve aver scatenato un bel tafferuglio fra gli uni e gli altri, e l’autorità imperiale pensò bene di risolvere il problema di ordine pubblico espellendo gli uni e gli altri fuori dalle mura dell’Urbe.

Gli ebrei ortodossi sono rimasti più o meno quelli che erano mentre gli ebrei eretici, i cristiani, si sono dilatati a una dimensione ipertrofica perché, a differenza dei primi, non rifiutavano affatto il proselitismo, ma io credo che l’antigiudaismo di matrice cristiana scaturisca sempre da quelle antiche dispute; controversie – ricordiamolo – sorte in seno all’ebraismo e i Romani, a mio parere assolutamente a ragione, identificavano come “iudeos” gli uni e gli altri.

Io ho l’impressione, a giudicare dai cattolici tradizionalisti che ho conosciuto, che queste persone siano sostanzialmente dei conservatori benpensanti che sono cristiani semplicemente perché sono rimasti “imprintati” dalla prima concezione del mondo cui si sono trovati esposti, senza la minima capacità di esercitare un vaglio critico, che se fossero vissuti nell’India del XIX secolo, sarebbero stati dei buoni thung piamente dediti alla devota pratica dello strangolamento. Tradizionalismo è per costoro sinonimo di conformismo, in altre parole il massimo dello squallore.

La mia impressione è che costoro siano al di fuori della realtà come pochi: sembra che si immaginino di essere all’indomani del Concilio di Trento e non si rendano conto di essere non solo ridotti a una scheletrica conventicola, ma di trovarsi in una posizione francamente umiliante, dal momento che la Chiesa cattolica, la Chiesa post-Concilio Vaticano II, è la prima a disconoscerli, a emarginarli o a costringerli a vergognose ritrattazioni tutte le volte che aprono bocca. Si veda, per tutte, la maniera penosa in cui è “rientrato” lo scisma di Econe.

Solo questa mancanza di senso della realtà e l’erronea convinzione di avere dietro le spalle una Chiesa che li sostenga invece di civettare con il democraticismo, il marxismo, il giudeo-cristianesimo “made in USA”, possono spiegare taluni atteggiamenti che costoro talvolta ostentano, a cominciare da attacchi immotivati a coloro che potrebbero essere i loro unici alleati nella lotta contro il democraticismo, il sionismo e la definitiva giudeo-americanizzazione della nostra cultura, e questo non si può assolutamente tollerare perché, come spiegavo a Giovanna Canzano, perché il rispetto possa esistere, deve essere reciproco.

Tanto per fare un esempio, nel 2009 Maurizio Blondet, che pure per altri versi è una persona di indubbio spessore, pubblicò sul sito della EffeDiEffe un articolo che era un violento attacco contro la filosofia di Friedrich Nietzsche; l’ex redattore dell’ “Avvenire” considerava il filosofo tedesco il precursore di … Marco Pannella e confessava di non riuscire a figurarsi il superuomo altro che come un tenore in calzamaglia color tortora che canta arie wagneriane in cima a montagne di cartapesta.

Il limite, probabilmente, non è una mancanza di fantasia da parte di Blondet. Noi possiamo concepire il superuomo come al di là biologico, come superamento della nostra specie perché per noi l’essere umano – noi stessi – è una parte del mondo naturale. A tanto un cristiano non può arrivare, perché ha dell’uomo una visione statica, come “immagine e somiglianza” di una divinità che non è altro che l’espansione a dimensioni universali di un dio totemico mediorientale. Veramente, se l’umanità attuale è il meglio che ci possa essere, verrebbe voglia di dare ragione a Stefano Benni che sosteneva “Dio ci fa una figura migliore se non esiste”.

Un attacco in qualche modo analogo l’aveva portato nel 2005, l’antropologo Mario Polia che nell’articolo Che cos’è la tradizione, pubblicato su “Minas Tirith” (rivista della Società Tolkieniana Italiana) sosteneva:

“Una tradizione, del resto, non può essere definita solo in senso negativo, come opposizione ad un’anti-tradizione, ma richiede di essere definita principalmente in senso positivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda e dal quale trae il motivo e la legittimazione della propria esistenza.

Esiste, inoltre, un “tradizionalismo” in senso lato nel quale si riconoscono appartenenti singoli o gruppi, diversi in quanto a impostazione e tendenze, ma accomunati da un pronunciato antagonismo nei confronti del mondo moderno, delle sue strutture (religiose, sociali, politiche) e della sua cultura (neo-illuminista, edonista, materialista) in quanto ne avvertono fortemente le limitazioni e le aberrazioni. E’ comune alle varie tendenze del “tradizionalismo” (cultural-politico e/o spiritualista) la tensione verso il recupero di un’identità “spirituale” dai contorni in genere mal definiti, non-confessionale, caratterizzata dal sincretismo in campo religioso e, spesso, da una componente marcatamente anti-cristiana”.

(Mario Polia: Che cos’è la tradizione, “Minas Tirith” n. 13, Società Tolkieniana Italiana, Udine 2005).

A fronte della tradizione cattolica – definita in senso positivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda – (prescindiamo per un momento dal valore di questo messaggio) – è il “tradizionalismo” in senso lato – (se non ricordo male le regole della lingua italiana, si usa porre una parola fra virgolette o quando si fa una citazione, o quando si vuole evidenziare il fatto che se ne sta facendo un uso improprio, per cui l’fulteriore specificazione – in senso lato – è pleonastica e l’insieme della frase ha un tono dispregiativo) che consisterebbe più nell’antagonismo rispetto a ciò che si ritiene sia anti-tradizione che in un contenuto positivo, che quando lo si cerca di definire, risulta al più una “tensione verso il recupero” (non il possesso!) di “un’identità spirituale” (di nuovo virgolettato!) dai contorni in genere mal definiti, un “sincretismo” e chi più ne ha più ne metta.

Tutte queste però non sono altro che punzecchiature di spillo in confronto ai colpi d’ascia vibrati con foga delirante da un altro cattolico tradizionalista, don Curzio Nitoglia, di cui un amico mi ha recentemente segnalato sul sito dello stesso ecclesiastico un articolo che è un attacco violentissimo contro la figura di Julius Evola e il suo pensiero. Considerando che si tratta appunto di un ecclesiastico, questo mi ha fatto irresistibilmente tornare alla memoria un’altra reminiscenza scolastica, un detto latino medievale: “Cane ante, mulo retro, fratre ante et retro”, ossia: dal cane guardati davanti, dal mulo di dietro, dal prete davanti e di dietro (e tralasciamo per il momento le implicazioni sessuali di questo detto).

L’articolo, di cui vi riporto il link: http://www.doncurzionitoglia/juliusevola.htm , si presenta come una recensione del libro di Marco Fraquelli Il filosofo proibito, Terziaria, Milano 1994. Onestamente, non ho avuto occasione di leggere il libro di Fraquelli, ma mi pare obbiettivamente inverosimile che possa mostrare nei confronti di Julius Evola maggiore accanimento e maggiore velenosit dello stesso don Nitoglia.

Leggendo l’articolo, la farneticazione, di don Curzio si ha l’impressione di fare un balzo all’indietro nel tempo di oltre un secolo, quanto meno ai tempi del Sillabo di Pio IX se non prima:

“Noi sappiamo che esiste una sola vera Tradizione, che Dio consegnò oralmente ad Adamo, che ci è pervenuta tramite i Patriarchi e i Profeti, che Gesù ha completata e resa universale, e che ha consegnata ai suoi Apostoli affinché, tramite il Magistero della Chiesa, arrivasse di giorno in giorno, fino alla fine del mondo, ad ogni uomo. Questa TRADIZIONE VERACE afferma, in sintonia col buon senso e col realismo, che vi è un Dio trascendente il quale ha voluto liberamente creare il mondo, che è finito, contingente e dipendente da Lui e che l’uomo possiede un intelletto il quale per cogliere la verità deve conformarsi alla realtà oggettiva, e che la realtà non dipende da lui, bensì da Dio”.

E’ chiaro? La premessa di tutto il discorso è l’accettazione incondizionata del dogma cristiano-cattolico, ovviamente indimostrato; se non lo si accetta, esso si affloscia come una ragnatela a cui si toglie il punto di sostegno.

Oltre tutto, nello specifico, don Nitoglia si dimostra un discreto ignorante:

“La vera Tradizione per Evola è anticristiana, infatti il Cristianesimo “rappresenta la causa prima della degenerazione del mondo moderno, è la forza eversiva per eccellenza che ha scardinato qualsiasi principio tradizionale… Secondo Evola il Cristianesimo è il principale responsabile della caduta dell’Impero Romano”.

Don Curzio ritiene che questa idea sia una specie di bizzarria di Evola, eppure non è precisamente quello che hanno sostenuto tutti gli storici e i pensatori dotati di un minimo di probità da Machiavelli in poi?

Possiamo andare oltre a questo: la stessa cosa la ammette perfino un filosofo cattolico di sinistra come Massimo Cacciari in un’intervista rilasciata a Maurizio Blondet che questi ha riportato nel libro Gli adelphi della dissoluzione:

“Il Cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos” (…). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra (…). Il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell’Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli Dei e la società. L’ethos antico era una religione civile (…). Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli dei della Città, sradica l’uomo (…). “Tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell’Uomo (…). La secolarizzazione totale che viviamo [è] figlia della sovversione originaria operata dal Cristianesimo” .

(Maurizio Blondet: Gli adelphi della dissoluzione, Ares, Milano 2000).

Se le cose rimanessero a questo punto, tuttavia, noi saremmo ancora sul piano di un confronto dialettico, per quanto animato, ma don Curzio scivola presto nell’attacco personale nei confronti di Evola, accusandolo di essere un massone, un drogato, un satanista.

Quella di ricorrere all’attacco personale, alla denigrazione della figura morale dell’avversario quando non si hanno argomenti da contrapporre sul piano delle idee, è una vecchia, vecchissima tattica cattolica, è lo stile cattolico-clericale che riesce a essere nello stesso tempo perfido e untuoso. Avrete presenti ad esempio le falsità e malignità inventate sul conto di Nietzsche, la bassa insinuazione che la sua filosofia sarebbe stata causa della sua pazzia, che sappiamo tutti essere stata conseguenza di una sifilide trascurata, e pensiamo a tutti gli atei e anticlericali che hanno vissuto benissimo a lungo e in salute, a cominciare da Bertrand Russell che a 84 anni ha contratto e consumato il suo quarto matrimonio.

E’ uno stile nel quale si può riconoscere un’intima, profonda, atavica vigliaccheria. Sapete ad esempio che l’indice dei libri proibiti, abolito come tale nel 1964 esiste ancora sotto forma di indice dei libri sconsigliati: in esso si trovano persino i Promessi sposi di Manzoni, ma non le opere di Marx, perché – è ovvio – il socialismo-comunismo-sinistra ha rappresentato e rappresenta ancora una forza, un sistema di potere di cui occorre tenere conto. E’ questo lo stile cattolico: pecore coi forti e vipere con chi non può difendersi o si ritiene non possa difendersi.

Riguardo all’accusa rivolta a Evola di essere stato un massone, l’unico elemento concreto è che fra i maestri di Evola vi fu il matematico Arturo Reghini che probabilmente aveva dei contatti con la massoneria, ma data la statura morale di Reghini, ben difficilmente la cosa potrebbe essere considerata disonorevole.

Reghini si chiedeva: “Quando si smetterà di inchinarsi al genio distruttore del cristianesimo per rendere finalmente omaggio al genio creatore di Roma?”

Bene, ce lo chiediamo anche noi.

Più che un satanista in senso stretto, per don Nitoglia Evola sarebbe stato un assatanato, un posseduto:

“Evola non crede al diavolo ma parla esattamente come un posseduto, vittima incosciente, può darsi, ma certa, di colui di cui nega l’esistenza”.

Ci mettiamo a ridere o a piangere? Se non possiamo accettare un Dio che, appena si gratta un po’ sotto la facciata universalista, lascia scorgere tutte le stimmate della sua origine tribale, totemica mediorientale, potremmo forse credere nella sua controfigura negativa?

Il massimo del ridicolo però don Nitoglia lo raggiunge probabilmente quando cerca di accreditare un’ascendenza ebraica a Evola in quanto di origine siciliana.

[Evola] “essendo siciliano, avrà avuto al novanta per cento, un po’ di sangue arabo, ossia semita, nelle sue vene e magari anche ebraico, dato che la Sicilia ha accolto molti ebrei, sia nel medioevo sia dopo l’espulsione dalla Spagna nel 1492”.

A parte il totale delirio, siamo all’offesa gratuita di qualcosa come un sesto dei nostri connazionali. Forse Borghezio arriverebbe a tanto, forse nemmeno lui.

Che simpatici questi preti cattolici che tirano fuori un razzismo biologico a cui non sarebbe arrivato neppure Lombroso!

Dunque, secondo Don Nitoglia, Julius Evola era un massone, un drogato, un satanista o meglio ancora un posseduto, e per soprammercato pure un ebreo, strano, davvero strano che non lo abbia accusato anche di omosessualità.

Forse don Nitoglia avrebbe fatto meglio a guardare cosa ha in casa Santa “Romana” Chiesa (romana, s’intende, nello stesso preciso senso in cui io e voi siamo esquimesi), dai preti pedofili ai contatti dello IOR con la mafia, la massoneria (in questo caso si, altro che essere stati allievi del povero Reghini, la banca vaticana ha fatto intrallazzi con figuri come Michele Sindona e Licio Gelli), la banda della Magliana.

Ma soprattutto don Nitoglia e quelli come lui si nascondono dietro un dito. Non esiste, non può esistere cosa più ridicola di un antisemitismo, antigiudaismo, antisionismo o quel che volete, di matrice cristiana, quando è evidente che il cristianesimo non è altro che un’eresia dell’ebraismo che si è espansa in maniera ipertrofica, ma le sue radici ebraiche sono sempre lì, chiare ed evidenti. Cosa invocano tutte le domeniche a messa i buoni cattolici? Sapete cosa significa “alleluia”? E’ un’abbreviazione dell’espressione ebraica “hallelujavhé”, lode a Javhé, il dio di Israele, non è altri che questi che i buoni cristiani invocano. Guardate lo zucchetto che preti e frati portano sulla testa, e ditemi cos’altro è se non la kippah ebraica.

Ma se ancora non vi bastasse, ricordatevi che l’ha riconosciuto un papa, Pio XI: i cristiani sono “spiritualmente semiti”, l’ha ribadito un altro papa, Giovanni Paolo II: i cristiani sono “fratelli minori” dell’ebraismo.

Se questi sono i fatti, e lo sono, allora don Nitoglia e quelli come lui sono delle contraddizioni viventi.

Tuttavia, a dispetto di tutto, io mi auguro che quello di don Nitoglia sia un caso isolato. Abbiamo bisogno, c’è bisogno di tutte le forze che è possibile mobilitare per contrastare la giudeoamericanizzazione dell’Europa e preparare la rinascita del nostro continente.

L’attacco a Guenon di un ecclesiastico e la risposta di un tradizionalista paganoultima modifica: 2015-06-06T11:37:35+02:00da mikeplato
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