IL BIOGRAFO DI DIO

Intervista allo scrittore Jack Miles, autore dell’opera letteraria Dio: una biografia, un’analisi letteraria della figura divina dell’Antico Testamento e della sua natura apparentemente contraddittoria

Di Mike Plato

MILES

Già vincitore del premio Pulitzer nel 1996 per il saggio Dio: una biografia ed ex seminarista gesuita, Jack Miles ha scritto opere su temi religiosi, politici e culturali, apparse in numerose pubblicazioni, come il The New York Times e The Washington Post. Miles descrive i suoi soggetti biblici non come divinità onnipotenti né come figure storiche, ma come protagonisti di un’opera letteraria. Le narrazioni bibliche circa Dio sono state utilizzate da Miles per dedurre informazioni circa la natura di Dio e i suoi fini e motivazioni. È quel che faremo, intervistandolo.

Mike Plato: Lei parte dal Tanakh, ovvero dall’Antico Testamento, per cercare di capire Dio. Cosa è la Bibbia a suo parere?

Jack Miles: «La Bibbia deve essere messa a fuoco come opera d’arte, opera letteraria, piuttosto che lacunosa opera storica. La Bibbia non è affatto un libro di storia. E a dispetto di quanto possa sembrare, il vero protagonista del Tanakh non è Israele, ma Dio in persona. La critica storica non si è mai posta le domande che una seria critica letteraria si pone: perché Dio appare contraddittorio? Perché crea il mondo e dice che è cosa buona e poi vuol distruggerlo pentendosi? L’intreccio della storia ha inizio col desiderio di Dio di avere un’immagine di Se stesso. Sì, può dirsi che Egli desiderasse un altro se stesso, un alter – Sé. Si infittisce quando l’immagine fatta da Dio comincia a sua volta a produrre immagini di se stessa e Dio ne è irritato. L’intreccio raggiunge l’acme allorché Dio tenta, fallendo, di nascondere ad un singolo esemplare di se stesso, devastato nel corpo ma eccitato nel morale, il motivo che gli ha dato origine».

M.P.: Si può conoscere Dio e in che modo?

J.M.: «Una volta Jung, alla domanda se credesse in Dio, rispose come avrebbero risposto i grandi iniziati d’Egitto e gli gnostici di ogni tempo: “io non credo, io conosco”. Ma lascio la sua domanda senza risposta. Quel che sostengo è solo che la vita di Dio, quale si trova nelle pagine della Bibbia, può essere raccontata. Le tre componenti che sono il segreto per conoscere qualcuno sono: cosa dice quel qualcuno di se stesso, ciò che gli altri dicono di lui, e quello che ha fatto. Ora, riguardo a Dio useremo la stessa metodologia: cosa dice di Se stesso, che cosa gli altri dicono di Lui e ciò che ha fatto. Occorre farsi le tre domande per conoscere Dio in pieno, partendo dalla prima: cosa Dio dice di Sé. Ebbene, i versi in cui Dio parla di Sé sono: Esodo 34:6-7; Levitico 19. Cominciamo dal primo: “L’Eterno, l’Eterno Dio, misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà, che usa misericordia a migliaia, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non lascia il colpevole impunito, e che visita l’iniquità dei padri sui figli e sui figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione”. (Esodo 34:6-7). Il secondo: Il Signore disse ancora a Mosè: “Parla a tutta la comunità degli Israeliti e ordina loro: Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo” (Levitico 19:1-2). Il primo passo lo mostra come un essere giusto che usa le due leve della pietà e della severità, a seconda delle circostanze, un essere che giudica».

M.P.: Molti esegeti, direi molto oltre il letterario, legati alla teologia o alla cabala, hanno usato questo verso di Esodo per criticare l’Essere Divino e attribuirgli un agire ingiusto, dato che pare che voglia caricare gli eredi biologici delle colpe dei padri. A mio parere qui abbiamo invece un accenno velato alla reincarnazione e al karma, se intendiamo gli eredi come le successive incarnazioni dell’anima, in realtà veri e propri figli dell’anima.

J.M.: «Questo lo sta dicendo lei. Quello esoterico non è il mio campo di indagine. Ma ciò potrebbe essere, perchè no? In realtà ho utilizzato la Bibbia per mostrare un Dio che si evolve attraverso il suo rapporto con l’uomo, l’immagine di Dio che nel tempo diventa il suo rivale. Talmente rivale che il Creatore quasi decide di distruggere la sua principale creazione».

M.P.: Tuttavia partiamo dalla creazione. Dio si mostra lì?

J.M.: «Sta parlando a Se stesso, non di Se stesso. Non dice nulla di chi sia o cosa voglia. Non si annuncia, ma irrompe e agisce. Le Sue parole sono brusche, imperiali, non intendono comunicare alcunché ad alcuno, ma solo comandare con sovranità e ottenere senza sforzo. Sono comandi solenni. La scena non ha narratore, non viene presentata come una visione concessa ad un profeta che goda del privilegio di vedere Dio all’opera. Donde ha tratto tutto questo Mosè? Lui ovviamente non c’era. Glielo ha riferito Dio in persona, descrivendogli le minuzie creative? O Mosè ha tratto questo da una tradizione egizia antichissima? Neanche questo ci viene detto. Dio, in ogni modo, appare imperturbabile, focalizzato sullo scopo, non esitante, mostra di sapere ciò che sta facendo, non improvvisa. Dio crea un mondo perché vuole l’umanità e crea l’umanità perché vuole un’Immagine».

M.P.: È altrettanto sicuro quando crea l’Adam?

J.M.: «Senza dubbio, anzi in questo contesto creativo Dio non solo crea un’Immagine, ma conseguentemente anche un Dominatore, come lo è Lui. Quando crea l’Adam, immediatamente dopo dice “e domini!”. Di fatto crea un Dominatore, tant’è che poi gli dirà in ebraico: “kabash – soggioga”. Insomma, sembra che Dio avesse in mente di creare un essere molto potente come Lui, essendo Adam ad immagine. Il problema è capire che natura abbia questo “dominare”, su cosa debba essere diretto, in quanto sembra che l’uomo non solo abbia mal interpretato, ma anche usato male questa sua capacità di dominio. Poi Dio ingiunge all’Adam di essere fecondo e moltiplicarsi. Essendo ad immagine, il moltiplicarsi è ad immagine dell’atto creativo divino».

M.P.: Dio crea l’Adam esclusivamente per la gioia di avere un altro Sé? O ci sono altri palesi od oscuri motivi?

J.M.: «Potrebbe aver voluto un servitore, se rimaniamo alle teogonie mesopotamiche. Potrebbe aver voluto qualcuno che lo amasse, o attraverso cui si rispecchiasse e si conoscesse meglio, o qualcuno che Gli tenesse compagnia, o qualcuno che lo glorificasse (come pare dalla stessa Bibbia). Resta un fatto: Dio non dice di loro come per tutte le altre creazioni: ed era cosa buona. Dice: ed era cosa molto buona! riferendosi alla totalità creativa, ma non direttamente all’Adam. Poi il cosiddetto Riposo. Significa forse che il resto lo doveva compiere l’Adam? Forse».

M.P.: Sembra tuttavia che ci siano due distinti momenti nella creazione adamica, quello di Genesi 1:27 da lei accennato, e quello di Genesi 2:7

J.M.: «Sì, vero, e il verbo usato per la creazione dell’Adam è diverso nei due casi: barà (creò) e ytzer (plasmò). E non solo. Se nel primo è ancora Elohim a creare, nel secondo step Elohim è sostituito dal “Signore Dio”, ovvero YHWH Elohim. La divinità viene chiamata col suo nome proprio, YHWH, col nome comune Elohim aggiunto come glossa. L’espressione “Signore”, che per convenzione traduce YHWH, è in effetti una traduzione della parola ebraica Adonai, che non si trova nel testo, ma che gli ebrei pronunciano per non pronunciare oralmente il nome impronunciabile (anche se è possibile scriverlo). Successivamente sarà molto più YHWH che Elohim e si potrà constatare come il comportamento di Dio sarà molto diverso a seconda dei Suoi diversi nomi».

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M.P.: Sono due momenti creativi oppure uno solo?

J.M.: «Sono certamente due momenti e il secondo è il seguito del primo. Tuttavia appare che l’Adam non è più inserito nella terra come gigantesco paradiso naturale, ma in un gan eden, in uno spazio più ristretto che YHWH ha piantato e dato all’Adam perché lo coltivasse. Dio restringe anche il dominio che l’Adam doveva esercitare: può far tutto, ma non può mangiare dell’albero della conoscenza. Nella prima creazione non c’erano proibizioni né limiti, nella seconda sì. Sembra che Dio sia molto più ansioso riguardo alla sua creatura nella seconda creazione che nella prima».

M.P.: Non è che forse il primo Adam è qualcosa di diverso dal secondo, un’ontologia adamica che lasciava tranquillo il Creatore, mentre il secondo si innesta, come suggerisce il verbo “ytzer” in un contesto astrale molto più complicato e meno puro?

J.M.: «Questo lo sta dicendo lei, non posso sapere se si tratta di due ontologie diverse seppur legate, di cui una più sublime dell’altra. So solo che l’atmosfera di ansietà cresce quando YHWH Elohim crea la donna. È come se il secondo spiegasse il motivo per cui il primo evento non fosse stato etichettato come cosa buona. YHWH Elohim, diversamente da Elohim, non vede l’uomo come cosa buona neanche per inclusione. Nell’Adam c’è qualcosa che non va e di questo difetto il Signore può solo dire: “non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Ciò sottintende che l’uomo rifiuta interamente le fatiche che Dio ha fatto per creare gli altri esseri viventi: saranno anche “buoni”, ma non lo sono per lui. YHWH Elohim trae la Isha dalla costola di Ish. L’uomo, nelle prime parole pronunciate dall’Adam, la acclama con gioia, ma senza alcuna espressione di gratitudine nei confronti di YHWH Elohim».

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 M.P.: Qual è la sua opinione sul peccato e sulla caduta?

J.M.: «Quando il Serpente dice alla donna (Isha) che non morirà se mangerà del frutto proibito, in contrasto a quello che aveva detto YHWH, può dirsi che non menta, perchè lei e l’uomo non muoiono una volta mangiato il frutto proibito. Questo ad un livello».

M.P.: Capisco, tuttavia Dio dice allo Ish, prima che si manifesti Isha, qualcosa di misterioso. Non dice “tu morirai”, ma “mut tamut” ovvero “morendo tu morirai” o “morirai di morte”. E anche il Serpente dice a Isha: “non morirete di morte” (mut tamutun). Quindi, assodato che ogni parola biblica abbia un peso enorme e non sia casuale o marginale, mi sembra che qui non si alluda ad una morte per come la intendiamo noi umani, ma ad un morire ad un certo stato ontologico o di coscienza per cadere in uno stato inferiore ove si muore di continuo. Quindi il Serpente in ogni caso mente.

J.M.: «Quello che noto qui è che il serpente ha il potere di ostacolare il piano di Dio, il che suonerebbe come una critica all’onnipotenza divina. Il serpente è il suo nemico? Oppure l’intero episodio della tentazione è per così dire una messinscena? Il serpente è l’agente segreto, consapevole o inconsapevole, di Dio? E per rispondere alla sua obiezione, dico che si può salvaguardare il ruolo di ingannatore rivestito dal serpente, facendo notare che la coppia morì effettivamente all’istante, ma che la loro morte fu spirituale e non fisica. Questa è un’interpretazione teologica. Ma io noto un conflitto in Dio stesso, causa sia di felicità che di infelicità nelle sue creature, perché impulsi buoni e cattivi sono in conflitto nella sua natura. Ma se ammettiamo che non vi è vero dualismo e che il Serpente non è posto allo steso livello di Dio, dobbiamo anche ammettere che il Creatore del Serpente non può sfuggire alla responsabilità di ciò che il Serpente fa. Quando Egli rimprovera il serpente è come se stesse rimproverando e persino maledicendo una parte di se stesso. A tal punto che il serpente né parla più né oppone resistenza. Non c’è partita, non c’è un conflitto cosmico: Dio zittisce e maledice il Serpente senza ostacolo alcuno. Per il monoteismo, non si può ammettere un serpente avente dignità ontologica separata da Dio. Quindi Dio è scisso in se stesso? Il serpente non sembra il Nemico di Dio ma l’Inganno stesso di Dio e di conseguenza la punizione inflitta alla coppia è quasi un arbitrio. Elohim offre l’intera creazione all’Adam. YHWH Elohim lo confina in un giardino e poi glielo sottrae persino».

M.P.: Potremmo pensare piuttosto che i due Adam creati, l’uno il sesto giorno e l’altro il settimo, siano l’uno una versione meno nobile dell’altro. Cosicché al primo viene concessa l’intera creazione… e all’altro una frazione di essa, rimanendo fermo il fatto che l’Adam del settimo sia un velo dell’Adam del sesto giorno.

J.M.: «Mi sembra contorto, nonostante ammetta che il primo Adam è ad Immagine e creato con la Parola, laddove il secondo è plasmato senza Parola. Quindi il primo è molto più grande del secondo. E il primo è creato da Elohim, il secondo da YHWH Elohim. E del secondo non si parla più di immagine. Io insisterei sullo scoppio emotivo di YHWH che sembrerebbe avere tratti umani, come fosse Zeus olimpico. Sembra persino l’originale di una creatura umana fatta di polvere e passione. Nella prima creazione adamica, la relazione tra Creatore e creatura non si fonda affatto sull’obbedienza. Dio è così sovranamente potente ma anche così magnificamente generoso che la cattiva condotta dell’uomo non può turbare la sua calma. Il suo “siate fecondi e moltiplicatevi” sembra più un invito paterno che un ordine tassativo. Nel secondo episodio, YWH Elohim non appare solo meno potente e meno generoso dell’Elohim, ma assai più vendicativo. Peggio: è gratuito nella sua collera, così come Elohim lo era nella sua bontà. Tutto per YHWH Elohim dipende dall’obbedienza al suo ingannevole comandamento».

M.P.: Quindi lei dice che come il primo Adam era stato creato da un Dio superiore, il secondo, l’homoplasmato, è creato da un Dio con minore dignità divina?

J.M.: «Come personaggio letterario, YHWH Elohim dà turbamento, come turba chiunque disponga di un potere immenso e sembri non sapere cosa farne. Il potere di YHWH, per quanto grande, sembra abbastanza inferiore al potere di Elohim. Ma pur essendo inferiore, ci turba parimenti. I motivi per i quali viene esercitato sembrano contraddittori e la relazione contraddittoria tra questi motivi è inquietantemente intima. YHWH Elohim è molto più vicino di Elohim alla sua creatura».

M.P.: E quel “dove sei?” pronunciato da YHWH Elohim all’Adam?

J.M.: «Forse sta ammettendo il proprio bisogno e consapevolmente compromettendo la propria sovranità. O forse essi Gli mancano, avendoli forse creati per tenerGli compagnia. Ma l’agire di YHWH è strano: perché non istrurli fin dalla creazione? Per quale ragione, dopo l’infrazione, non spiegar loro perché li stesse cacciando? Ma, altra contraddizione, nella sua collera imperiale, li ricopre di tuniche di pelli: un gesto di tenerezza in un istante cosmico traboccante di collera. Un YHWH molto più vicino all’uomo che non allo stesso Elohim. Eppure, dopo quel gesto di tenerezza, altra proibizione: non mangi dall’Albero della Vita e viva in eterno. Questa limitazione mi fa porre la domanda: perché Dio avrebbe dovuto creare un essere a propria immagine, quindi eterno come Lui, per poi negargli l’eternità e limitando l’Immagine? Perché gli offre potenzialmente l’eternità ma poi ha paura di concedergliela di fatto e lo rende mortale (“in polvere tornerai”)? Il comandamento di Elohim “siate fecondi e moltiplicatevi” era liberale e incondizionato. YHWH Elohim vuole che l’umanità viva, ma non in eterno, e che si moltiplichi e non senza dolore».

M.P.: Forse perché, come le ho detto, trattasi di due Adam diversi, posti su piani dell’essere diversi e solo il più nobile è eterno.

J.M.: «Non è la mia idea. E non dico che Elohim e YHWH Elohim siano due diverse divinità. Sono solo due aspetti diversi della “persona” divina. Ma il secondo è volubile, ambiguo, contraddittorio, poco chiaro con i suoi “figli”. Questo è evidente persino nella stridente contraddizione tra il collocarli in un eden per coltivarlo e poi non scegliere l’offerta “agricola” di Caino. Crea due agricoltori ma rifiuta il contadino Caino».

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M.P.: Ecco, la questione Caino-Abele ha fatto scorrere fiumi di inchiostro esegetico per secoli. La sua idea in merito?

J.M.: «Nella scena dei due figli di Adam, la doppia personalità di Dio, Elohim e YHWH, è ancor più evidente. Dio non chiede offerte, ma i due fratelli offrono volontariamente per propiziarsi il divino. A YHWH non piace l’offerta di Caino ma gradisce quella “pastorale” di Abele. E Caino si adira. Perché? Cosa si aspettava Caino? In un primo momento YHWH parla a Caino in modo severo, come uomo ad altro uomo. Ma qui non c’è trasgressione di un qualche comandamento, tantomeno quello di “non uccidere”. Quando YHWH scopre il fattaccio dell’omicidio, urla a Caino che la voce del sangue del fratello grida a Lui dal suolo, come a scoprire solo in quell’istante che l’omicidio non è cosa buona e che merita condanna. Anche se quest’affermazione esprime agitazione e sorpresa piuttosto che condanna. C’è qualcosa di sbagliato, ma YHWH sa già precisamente che cosa? YHWH agisce e poi infierisce la propria intenzione in base a ciò che ha fatto. La penalità inflitta a Caino è un’intensificazione “agricola” di quella di Adamo, a cui aveva maledetto il suolo costringendo Adamo a lavorarlo duramente per trarne il cibo. A Caino dice che quando lavorerà la terra, essa nulla più produrrà ed egli sarà un fuggiasco. Caino interpreta ciò come una sorta di bando dalla faccia di Dio. Eppure il “bandito” era l’unico fra i due fratelli a ricevere la voce di YHWH, il quale gli parla da “pater familiae” e non da Signore, dispensandogli consigli (perché sei abbattuto? Domina l’inclinazione cattiva che è in te), cosa che non fa assolutamente con Abele, che peraltro sembra una presenza marginale. YHWH accetta Abele ma con lui non farà ciò che farà con i suoi eletti: Enoch, Noè, Mosè, Giosuè, David, persino Gesù, considerato il nuovo Abele».

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M.P.: Appunto, Noè, il primo giusto della storia biblica, il personaggio legato alla furia distruttiva di YHWH.

J.M.: «Nella storia del Diluvio, il Creatore, tanto come Elohim che come YHWH, diventa apertamente un distruttore. Per un periodo breve ma terrificante, il Serpente che è in Lui, il nemico dell’umanità, prende completamente il sopravvento. Come nella creazione, anche qui vi sono due versioni, una diretta da Dio nel nome di Elohim e l’altra nel nome di YHWH. In entrambe, Elohim e YHWH decidono di distruggere ogni vita annegandola in un grande diluvio. In entrambe, Noè e famiglia vengono risparmiati con l’ingiunzione di costruire un’Arca salvifica. Ma Elohim agisce a causa dei propri sentimenti, del proprio pentirsi di “aver fatto l’uomo sulla terra” (attenti, non dice semplicemente per aver fatto l’uomo). Elohim è amareggiato per il male nell’uomo. YHWH agisce perché l’uomo ha bisogno di una distruzione che faccia pulizia. Il diluvio non è un mezzo per giungere ad un fine: è proprio il fine desiderato, un atto significativo. Noè non è destinato ad essere il nuovo Adamo in un nuovo inizio. Noè, ad acque ritirate e sulla terraferma, compie il primo sacrificio d’offerta bruciata della storia biblica. Ciò è gradito a YHWH, soprattutto il soave odore, che Lo spinge a eliminare l’antica maledizione del suolo e a giurare di non distruggere più il mondo. Mi chiedo cosa sarebbe accaduto se Noè non avesse bruciato una vittima in olocausto. YHWH avrebbe ritirato la maledizione e la promessa? Certo è che la sua promessa di non più distruggere è ancora priva di deliberazione su ciò che Egli vuole che l’umanità faccia o si astenga dal fare. Non era chiaro quale male avesse compiuto l’umanità per meritare il diluvio e anche ora, dopo il diluvio, non ci viene detto. Come per Caino e Abele, anche Noè compie un sacrificio non ingiunto ma spontaneo. Elohim offre un segno di alleanza con l’umanità: l’arcobaleno, oggi simbolo di pace. Ma impone un comandamento che ha il sapore del Karma: chi sparge il sangue di un uomo, da un uomo il suo sangue sarà sparso. Una sentenza che avrei trovato più indicativa nel finale delle vicende di Caino, piuttosto che in tale contesto. Ancor più contraddittoria dopo che YHWH ha versato Egli stesso il sangue dell’umanità, distruggendola. Tuttavia è come se avesse voluto far intendere che Egli è Dio e può creare o distruggere a seconda dei suoi fini imperscrutabili. Mentre all’uomo è concesso solo di creare vita (riprodursi), ma non distruggerla, in quanto uccidere esprime un potere deliberatorio e punitivo che spetta solo a Dio».

Mike Plato: Come vedi il Dio di Genesi in generale? Un Dio distante, intollerante, adirato o piuttosto ben presente nelle vicende umane e amorevole?

Jack Miles: «Dio è nel senso più fondamentale del termine, il protagonista, protos agonistès o prim’attore della Bibbia. Non entra sulla scena dell’uomo, crea la scena dell’uomo, per poi entrarvi. Crea l’antagonista umano, la cui interazione con Dio stesso dà forma a tutta l’azione che segue. Questo è il suo primo e più ovvio tratto distintivo. Da una parte Dio fa dipendere l’antagonista umano da Lui, ma dall’altra Dio dipende unicamente dal suo antagonista umano, e ciò complica l’eventuale intento di leggere la Bibbia come storia esclusiva di Dio. Infatti, benchè la dipendenza dell’uomo da Dio non venga mai negata nella Bibbia, in sostanza è pur vero che molte azioni umane hanno un’autonomia naturale (o sembrano averla) che non troverebbe corrispondenza in alcuna azione compiuta da Dio. D’altra parte, nessuna azione divina pare essere disgiunta dalle azioni umane. Dio non compie alcuna azione che non abbia come oggetto un uomo. Non vi sono “avventure di Dio”. Fino ad un certo punto, questo è il risultato inevitabile del monoteismo. La mitologia politeistica ellenica comprende storie che parlano non solo degli interventi di Zeus nel consorzio umano, ma anche altre che parlano della vita di Zeus tra gli altri dei. Nella Bibbia, essendo l’Unico e Solo, Dio non dispone di questo secondo campo d’azione per presentarsi».

M.P.: Non sarebbe del tutto vero, in quanto nel Salmo 81 Dio delibera in mezzo agli Elohim.

J.M.: «È l’eccezione che conferma la regola. Dio non solo è privo di una compagna e di qualsiasi vita sociale tra gli altri dei, ma è anche privo di ciò che potremmo definire “vita privata”. Il Suo unico modo di coltivare interesse verso Se stesso è attraverso l’umanità. Come mai Dio non parla mai con Se stesso? Di certo la mente divina poteva aprirsi a soliloqui discorsivi, presenti solo nelle scene iniziali della creazione in Genesi e poco prima del Diluvio. Poi più nulla. Dal diluvio in poi, ogni discorso di Dio è indirizzato all’uomo e, nella gran parte dei casi, indirizza l’uomo. Dio è incapace di autobiografia, racconta Se stesso attraverso la vita degli uomini. Dice loro quel che devono fare, così che essi siano ciò che egli vuole che siano. Non si interessa a loro per diritto. Non li prende in considerazione, sempre direttivo e mai valutativo. Così com’è, la trama della Bibbia è ardua ed elusiva in modo proporzionale alla difficoltà ed elusività di Dio quale suo protagonista».

M.P.: Quindi tu suggerisci che di Dio, del suo essere, possiamo sapere poco perché nulla dice di Sè e nulla traspare del suo pensiero e della sua azione in mezzo ad altri eventuali dei.

J.M.: «Per me, Dio è un punto interrogativo vivente. Non c’è una vera storia o una vera azione che possano illustrare il suo carattere. Noi conosciamo un uomo dai suoi pensieri e dal suo vissuto. Nel Dio biblico non ci sono pensieri e non c’è un vissuto individuale, ma sembra piuttosto vivere attraverso gli uomini, in particolare quelli che sceglie apparentemente senza motivo. Dio non ha storia nè genealogia, non un passato, che è come la regola in letteratura (N.d.A., Melkizedek è descritto in questo modo nella Lettera agli Ebrei di Paolo). È un personaggio inumano che profferisce parole umane e fa cose attraverso gli esseri umani. Un carattere umano è interessante e coerente sulla base delle sue azioni passate che lo hanno condotto a come è nel presente. Si tratta di un tipico topos letterario. Ma qui Dio non ha un passato, non si sa da dove venga, dove voglia giungere e perché sia così interessato ad agire attraverso gli uomini e con gli uomini. Gli dei greci avevano desideri e scopi umani. Il Dio biblico non è affatto antropomorfo. Non si comprende davvero il perché della sua creazione, ancor più la creazione dell’uomo. Crea uno spazio, ci infila l’uomo e inizia l’interazione con lui. In Genesi, il suo stile comportamentale è quello di un uomo che abbia un’irriflessiva fiducia in se stesso, modi tra l’invadente e l’aggressivo e un’eloquenza imprevedibile, ma soprattutto che non rivela nulla del proprio passato».

M.P.: La Cabala ebraica (lurianica in particolare), e non solo, ci dice che Dio viene da un’altra creazione finita nel caos, poi seguita dalla creazione narrata in Genesi 1, in cui è evidente il caos (tohu wa bohu).

J.M.: «Sarà pure, ma mi sembra che, quantomeno nei cinque libri di Mosè, Dio non parli mai di una cosa del genere. Il suo retroterra è ignoto e non mi sembra che ne parli ai suoi uomini preferiti. Lui è interessato solo ad agire attraverso gli uomini. All’inizio, e per lungo tempo, Dio dipende dall’uomo perfino per l’elaborazione delle proprie intenzioni, a tal punto che il suo rappporto con il desiderio umano è quasi quello di un parassita. Se l’uomo non volesse nulla, riesce difficile immaginare come Dio potrebbe scoprire quel che Lui stesso vuole. Sembra quasi che l’uomo gli sia indispensabile come specchio per meglio comprendere Sè stesso, l’unico strumento per giungere a conoscersi meglio. La storia della vita di Dio è la storia del lavoro della Sua vita: la creazione della propria immagine umana».

M.P.: Veniamo a questo aspetto: il rapporto uomo-Dio. Dopo la creazione di Adamo e la ricreazione con Noè, mi sembra che con Abramo vi sia un terzo inizio.

J.M.: «Davvero un nuovo inizio, a tal punto che Abramo sembra non conoscere la storia prediluviana. Mai un cenno a Noè, ai patriarchi, al diluvio, ad Adamo. Abramo sembra essere un nuovo Adamo, ma stavolta in mezzo a popoli e nazioni. Abramo non conosce neanche le precedenti azioni di Dio, e pare neanche conoscere Dio, volendola dire tutta. Abramo sembrerà conoscere Dio solo  da ciò che Dio gli dirà e gli farà. Questo inizio, rispetto ai due precedenti, manifesta tuttavia una differenza importante. Se ad Adamo Dio aveva detto “siate fecondi e moltiplicatevi” (Genesi 1:28), e a Noè la stessa identica cosa (Genesi 9:1), nel terzo inizio le cose iniziano a cambiare perchè gli dice: “vattene dal tuo paese verso la terra che ti indicherò”, ma non gli dice “sii fecondo e moltiplicati”, ma “farò di te un grande popolo e ti benedirò”».

M.P.: Quindi, Dio sottrae all’uomo il potere di riprodursi, sempre che ivi si parli di riproduzione sessuale.

J.M.: «Esattamente, Dio ritira quel potere-mandato attribuito all’umanità adamica e poi noachica, e sottrae all’uomo il potere della riproduzione, concedibile solo da Lui. A tal punto che grossa parte delle vicende di Abramo gira intorno all’impossibilità da parte di Abramo di avere un figlio da Sara, che era sterile. Ma al contempo, la fecondità è offerta al solo Abramo e nessuno può eguagliarla in mancanza di una simile assistenza divina. Col terzo inizio, Dio si riprende una parte del dono della vita concesso ai patriarchi prediluviani, che caso strano avevano tutti lunghe vite. Questa riattribuzione del potere della vita di Dio a Se stesso è palese nel caso di Agar, la concubina di Abramo, che lo stesso ingravida. Con una scelta di tempo strana, in quanto doveva accadere prima della fecondazione, appare l’Angelo di Dio che le promette che avrà un figlio, e che da lui discenderà una moltitudine. È un’azione tardiva, proprio come quella in cui Dio promette protezione dopo la guerra dei quattro re, laddove la promessa doveva essere prima del conflitto. In entrambi i casi, Dio sembra cooptare più che causare. Inoltre sembra più interessato ad ostacolare la fecondità di Sara piuttosto che sostenere Agar».

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M.P.: Ma Dio aveva giustificato Abramo per la sua fede, per aver creduto ad una promessa, la promessa che il suo popolo sarebbe divenuto numeroso come le stelle. A me personalmente sembra che sia troppo poco essere giustificati per credere alla promessa di una discendenza carnale numerosa, a meno che quella promessa non celi qualcosa che va al di là dell’umana comprensione.

J.M.: «Alla lettera è tuttavia così, e anche qui Dio si riattribuisce il potere della fecondità e della moltiplicazione. Lo conferma il suo volere la circoncisione di Abramo e dei suoi, cosa mai accaduta prima del diluvio e anche dopo fino ad Abramo stesso. La circoncisione (ebr. milah) non è un segno di alleanza esteriore. L’alleanza riguarda proprio il membro di Abramo e quello dei suoi discendenti, cioè la loro potenza sessuale. Dio sta richiedendo ad Abramo di acconsentire, simbolicamente, a non esercitare da sè la propria funzione sessuale in termini riproduttivi in assenza di sindacato divino. Dio dice ad Abramo che Sara gli darà un figlio, destando il riso e l’incredulità di Abramo, che pure era stato eletto campione della fede e giusto. Abramo crede alla benedizione circa la sua posterità, ma non crede al miracolo promesso: avere un figlio a cento anni da una donna sterile. Può darsi che poi paghi questo suo non credere con la successiva prova del sacrificio di Isacco. Prova in cui non muoverà ciglio, non protesterà, non dirà una parola, non un pensiero. E Dio sembra ribadirgli la Sua fiducia e benedizione affermando di nuovo che la sua discendenza sarà numerosa, ma confermando anche che il potere riproduttivo è in compartecipazione».

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M.P.: Abramo riceve anche una strana visita da tre uomini che egli chiama il Signore.

J.M.: «Sembra un episodio apparentemente scollegato dal resto della narrazione. Dal momento che Dio, nella teologia successiva, è sempre inteso come essere singolare, si è sempre razionalizzata questa teofania definendo i tre come il Signore accompagnato da due attendenti angelici. Ma se il Signore può apparire come uomo, può anche apparire come tre uomini, segno chiaro come non mai nell’Antico Testamento di quanto alla lettera si possa intendere la creazione “ad immagine”. Per tutto l’episodio si alternano le due definizioni di Signore e di uomini, e non vi è un modo di separarle che abbia coerenza interna. Questa alternanza la si può vedere anche nella teofania del roveto di Mosè, in cui non si riesce a distinguere Yhwh e l’angelo di Yhwh. E teofania umana vivrà anche Giacobbe, che lotta con un uomo per l’intera notte e a cui chiede il nome, ricevendo un secco rifiuto. Che sia Dio lo si evince dal fatto che cambi nome a Giacobbe, mutandolo in Israel. Solo Dio può farlo, come già aveva fatto con Abramo e Sara».

M.P.: Secondo te, quindi, l’intera vicenda abramica è una rivendicazione del potere riproduttivo e di concedere la vita da parte di Dio, ovvero: Dio dà Dio toglie, Egli fa ciò che vuole. Fa la Legge e poi può anche distruggerla o mutarla.

J.M.: «Certamente. Dirò di più. Fino al cosiddetto sacrificio di Isacco, la narrazione ha una sua coerenza e una sua logica, soprattutto in quell’ottica di rivendicazione, a partire dalla morte di Sara. A quel punto Dio non appare più ad Abramo, nè promette a Chetura, la nuova moglie, che avrà un figlio, laddove Abramo, ai tempi della promessa a Sara, era decisamente più giovane. Eppure Chetura dà alla luce sei figli. Come se, almeno per la famiglia di Abramo, la riproduzione torna ad essere di nuovo semplicemente una parte della vita umana. Ma per giungere a ciò, Dio ha dovuto addomesticare e sottomettere Abramo. La sottomissione di Abramo è piena e totale con il sacrificio (mancato) di Isacco».

M.P.: E arriviamo a Giacobbe.

J.M.: «Non prima di aver chiarito una cosa sulla figura “composita” di Dio. In tutto il testo di Genesi, si fa riferimento ad Elohim, sempre tradotto con Dio; e a Yhwh, tradotto con Signore. In aggiunta, abbiamo la forma El (Dio o Divinità) sempre seguito da un attributo (Shaddai-Onnipotente, o Olam-Eterno). Il nome semitico El è sia un nome proprio che un nome commune. Nelle tavole di Ugarit, El è il nome della divinità suprema, il corrisponde dell’ebraico Elyon. Ma con una differenza: El era il superiore di una pletora di divinità, Elyion invece non è solo l’unico Dio, ma l’unico Essere che esista davvero. Noi vediamo come Dio si mostri ad Abramo come El Shaddai, e non come Yhwh nè come Io Sono (come farà con Mosè). È pur vero che la narrazione di Genesi dice : «e Yhwh disse ad Abramo», ma sembrerebbe un’informazione rivolta a chi legge e non ad Abramo, che conosce Dio sotto il nome attributo Dio Onnipotente (El Shaddai). In Genesi 12:4, Abramo invoca il nome di Yhwh. Invoca Dio con questo nome, o lo invoca con altro nome, essendo qui Yhwh informazione per chi legge? Ma in Genesi 24:12, il servo di Abramo si rivolge a Dio definendolo “Yhwh Dio del mio signore Abramo”. Un bel rompicapo. Peraltro nonostante lo chiami Yhwh, mostra di non conoscerlo, definendolo Dio di Abramo. Eppure a Mosè dirà che col nome Yhwh non si era mostrato ai tre patriarchi post-diluviani. (Esodo 6:3). Invece vediamo che Abramo lo invoca col nome di Yhwh (laddove lo avrebbe dovuto invocare col nome sacro Shaddai), e persino il servo che non Lo conosce».

M.P.: Senza dubbio un rompicapo, che può essere intercettato solo leggendo Genesi in ebraico. E ritorniamo a Giacobbe, che sembra avere un rapporto molto particolare con Dio, diverso dal padre e dal nonno.

J.M.: «Di sicuro. Basti leggere Genesi 28:20-22. Dio non si mostra a Giacobbe come aveva fatto ad Abramo, non gli dice: “Io son il Dio di tuo nonno Abramo”. Al contrario, è Giacobbe a chiamare e scegliere Dio, e per innescare il rapporto Gli pone sfacciatamente una condizione: «Se Dio  sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio…Yhwh sarà il mio Dio…di quanto mi offrirai Ti darò la decima». Non c’era stata alcuna teofania per Giacobbe, nonostante il sogno della Scala, ma lì Dio non gli parla. Giacobbe aveva sentito parlare di Yhwh dal padre Isacco. E ciò che qui dice è immediatamente successivo al sogno. Questo modo di parlare non trova paralleli in alcuna cosa mai detta da Abramo. Giacobbe parla con Dio e detta le condizioni: «io mi sottometto a Te e sarai il mio Dio se Tu….». E non trova precedenti nè esempi successivi. Forse è per questo che Dio lo definisce Israel, ovvero che combatte con Dio, per la sua sfrontatezza. Vi può essere un’analogia nella vicenda della negoziazione di Abramo e Dio circa il numero minimo dei giusti necessario per evitare la distruzione di Sodoma. Ma qui Giacobbe non negozia, pone condizioni, anche se quanto da lui richiesto è umile, il minimo indispensabile. Dio non dice a Giacobbe «Io ti darò, io ti sarò propizio», ma è Giacobbe ad indovinare la benedizione di Dio da tutto ciò che gli riesce».

8 il sogno della scala di giacobbe

M.P.: Potrebbe un’esegesi profonda suggerirci che il viaggio di Giacobbe non è limitato a quel ciclo di vita, ma riguarda il peregrinare della propria anima? Quindi è un’alleanza perenne tra Giacobbe e il suo Eterno Sè (Dio)?

J.M.: «Qui andremmo davvero troppo lontano e su questo terreno non ti seguo».

M.P.: Giacobbe appare caratterizzato da una certa qual furbizia.

J.M.: «Senza dubbio. Turlupina il padre Isacco acquisendo la primogenitura con un inganno, mette nel sacco lo Zio Labano, e placa con scaltrezza l’ostilità del fratello Esaù. Nel fare queste cose, Giacobbe sembra agire da solo, senza intervento di Dio, il quale sembra solo intervenire per assistere le mogli di Giacobbe nel concepimento. Vedrà Dio in forma umana solo lottandoci per una notte intera e dirà di aver visto Elohim faccia a faccia. Subito dopo incontrerà Esau e gli dirà che vedere la sua faccia è come vedere la faccia di Dio. Il misterioso uomo di Giacobbe era Esaù stesso venuto ad uccidere il fratello? In Giacobbe 35, finalmente Dio gli appare in quanto Elohim e gli intima di andare a Betel. Rimane il Giacobbe che spesso sembra approfittare della consapevolezza di avere Dio al proprio fianco per mentire e raggirare. Come se un eletto rimanga sempre un eletto, nonostante le sue debolezze (era una convinzione degli gnostici circa i cd. Pneumatici). Dio sembra disposto a tollerarlo a tal punto che alla fine Giacobbe realizza compiutamente i suoi scopi. Anche quello del massacro dei maschi di Sichem con cui si era ingannevolmente deciso di unirsi, a condizione, peraltro accettata da parte di quelli di Sichem, di circoncidersi. Si usa qui un simbolo sacro, un simbolo di alleanza divina a fini di genocidio. Dio è assente in questa vicenda, e peraltro Giacobbe non pensa che Dio sia offeso. Giocobbe aveva mentito a Isacco usando Dio, e Dio qui era stato giocato. Qui Giacobbe sembra giocare con un simbolo sacro, usandolo in modo blasfemo per uno scopo totalmente differente da quello per cui esso era stato imposto da Dio ad Abramo. A questo punto della storia, pare che Dio non si curi di ciò che di Lui si dice o se si spende il Suo nome per interessi personali. Si cura di certe cose che vengono fatte, ma ancor più della capacità umana di riprodursi. Ma il discorso umano gli interessa pochissimo. Inoltre è molto attivo con Abramo, ma molto poco teofanico con Giacobbe. L’andamento si completa con la storia di Giuseppe, il figlio di Giacobbe».

9 Giuseppe e la veste multicolore

M.P.: Che personalmente vedo come un modello di virtù Cristica e anche figura del Cristo stesso che verrà.

J.M.: «Mi interessa un altro discorso. Giacobbe ha già tolto a Dio molta parte dell’iniziativa. Da Abramo a Giuseppe ci sarebbe troppa differenza, ma da Giacobbe a Giuseppe il passo è breve. Dio parla e interagisce molto di frequente con Abramo, cala la sua Presenza con Giacobbe e l’azzera con Giuseppe, per poi ritornare in pompa magna con Mosè. Aveva fatto così anche con il corrispondente prediluviano di Abramo, ovvero Adamo, con cui parla, offre la missione e impartisce comandi e divieti. Poi cala con Caino, e smette con i patriarchi successivi, fino a giungere a Noè, con cui si teofanizza nuovamente. Quindi in quest’ottica le linee patriarcali prediluviana da Adamo a Noè, e postdiluviana da Abramo a Mosè corrispondono (fin quasi nei nomi). Nella storia di Giuseppe, non solo Dio ha un ruolo ridotto al minimo, ma è anche di natura diversa. Rimane costante la promessa di terra e discendenza. Ma se Giacobbe aveva “chiesto” a Dio sussistenza e ausilio, Giuseppe ottiene una splendida carriera nella burocrazia egizia senza averla nè presagita nè richiesta. Giuseppe fa il sogno dei covoni, in cui almeno intuisce che un giorno sarà superiore agli altri 11 fratelli, ma Dio non gli si mostra nè gli parla, nè gli insegna nè gli profetizza alcunchè. E Giuseppe stesso non parla con Dio, non lo invoca e non prega. Per tutta la narrazione, aleggia la Presenza di Dio su Giuseppe, ma siamo lontani dall’intenso rapporto Dio-Abramo. L’unico riferimento fatto da Giuseppe a Dio è in Genesi 43:23, laddove dice: “Il vostro Dio e il Dio dei vostri padri vi ha messo un tesoro nei sacchi ….”, laddove è lui ad aver messo quel tesoro nei sacchi. Giuseppe ha il talento dell’interpretazione dei sogni ed è questa ispirazione la presenza di Dio in lui. Gli interventi di Dio per i primi tre patriarchi sono circoscritti alle loro persone e al loro nucleo familiare. Nel caso di Giuseppe, il cerchio si allarga: attraverso Giuseppe e la sua ispirazione, Dio salva l’Egitto. Ma Giuseppe non riceve nè consigli divini, nè ordini. È la sua ispirazione a spingerlo. Dio, col Suo nome di Yhwh, è assente dall’ultimo quarto del Genesi. Ritornerà trionfalmente e massicciamente in Esodo, nelle vicende di Mosè».

Mike Plato: Nell’Esodo la presenza di YHWH è un fattore fondamentale delle vicende di Mosè e di Israele.

Jack Miles: «È evidente che nello “Shemot” YHWH ritornerà con forza improvvisa e violenta dopo la sua assenza nelle vicende di Giuseppe. Ma con Mosè assistiamo ad un fatto completamente nuovo. Fino a quel momento, seppur si comprende che l’uomo dipenda da Dio, le azioni umane sembrano godere di un’autonomia naturale che non trova corrispondenza in alcuna azione compiuta da Dio. Abbiamo già visto che le azioni di Dio non sono mai separate da quelle dell’uomo. Dio non sembra avere nessuna sfera d’azione in cui non risultino protagonisti gli uomini. Non sembrerebbero esserci avventure di Dio, perchè nella visione monoteistica Dio sembra essere dipendente dagli esseri umani».

M.P.: Sembrerebbe forzato dire che Dio sia dipendente dagli esseri umani.

J.M.: «Non più di tanto. Credo che Dio sia alla ricerca di un’immagine di Sè, che non è una debolezza oziosa e superflua ma l’unico ed indispensabile strumento della comprensione di Sè. All’inizio della Bibbia, Dio non è stato fatto ancora da nessuna storia, e perciò non è del tutto evidente a Se stesso. Egli è il Protagonista della Sua storia che crea l’antagonista (uomo), gli offre una realtà e vi ci cala con lui».

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M.P.: E veniamo alle vicende di Mosè narrate nel libro di Esodo, ove pare che l’azione di Mosè sia strettamente legata a quella di YHWH, e ove pare che il rapporto uomo-Dio faccia un salto di qualità.

J.M.: «Certo, ma partiamo dall’inizio. Un qualcosa di nuovo è il chiarimento circa il fatto che i tre patriarchi sembrassero avere ognuno un Dio diverso e personale. Con Mosè, YHWH e Elohim si fondono, e non solo. YHWH dice a Mosè che egli è il Dio dei tre patriarchi e di suo padre, sgombrando ogni dubbio circa il fatto che ognuno dei tre patriarchi avesse a che fare con uno “Elohim” diverso. Percezione che era stata dello stesso Giacobbe all’inizio della sua avventura allorchè dice al Padre: “ perchè l’Eterno, il tuo Dio”  (Genesi 27:20). E dice a Mosè anche un’altra cosa: che aveva preferito presentarsi ai tre col suo nome di Shaddai, ma svelando ora per la prima volta a Mosè il suo eterno nome: Io Sono Colui che Sono (ebr. Eyeh asher Eyeh). Nome che può essere anche correttamente tradotto come “Io sarò colui che sono”, dato che il futuro del verbo essere in ebraico è identico al presente. Non solo, ma per la prima volta Dio si mostra in una fiamma che non brucia e su un monte: non lo aveva mai fatto prima. Qualcun altro sì tuttavia. Si tratta di Ba’al, il Dio dei Cananei, Dio della tempesta e della guerra,  parimenti manifestatosi in una fiamma e su un monte».

M.P.: Ma chi è Mosè? Perchè Dio lo sceglie? Perchè proprio lui?

J.M.: «Bella domanda. Mi limito a parlarne per come la Bibbia sembra suggerire. Ha due padri, uno naturale (ebreo della tribù di Levi), e uno che lo adotta (egiziano). Quindi è un uomo con due nature, due culture, e con un Dio che comprende tutti gli deì. È  l’uomo giusto in primo luogo per trattare con gli egiziani quando servirà, perchè doveva trattrsi di un uomo con grande carisma e noto agli egiziani. È un uomo che conosce la religione egizia e forse anche molto di più, in quanto Atti degli Apostoli ci informa che era stato istruito in tutta la Sapienza degli Egizi, e ovviamente ivi si allude anche alla sapienza del tempio. Certamente, aveva le caratteristiche di uomo carismatico, capace di convincere un popolo, e di uomo forte e coraggioso. Aveva mano potente e incuteva terrore grande, secondo Deuteronomio 34 :12. E secondo Siracide 45, Mosè era un uomo di pietà, scelto da Dio fra tutti i viventi».

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M.P.: Ritorniamo al Nome Eterno, è un caso che si trovi in Esodo 3,14 , il numero infinito?

J.M.: «Non me ne ero mai accorto, è interessante certo. Ma vorrei puntualizzare qualche altra cosa. Il termine ebraico per Io Sono, ovvero traslitterato A E I E,  molto prossimo all’altro nome sacro di quattro lettere I E U E. Differiscono per la Alef e la Vav, ma le altre tre lettere (Jod, He, He) sono in comune».

M.P.: YHWH viene visto oggi nei più disparati ambienti esegetici come un guerrafondaio.

J.M.: «In tutte le sue promesse all’umanità nel suo complesso e a Israele in particolare, il Signore non ha mai ancora promesso di stendere la sua mano e di colpire l’Egitto o alcuna altra nazione. Ciò sorprende in modo particolare perchè non si dà il caso che il popolo eletto da Dio non abbia mai, in precedenza, dovuto scendere in guerra. Abbiamo il caso di Sodoma, ma Israele non era in guerra con Sodoma. Dio distrugge Sodoma per un reato sessuale nei Suoi confronti, mentre fa visita alla città nelle sembianze di due uomini.  Ma l’altra novità assoluta è che YHWH chiami Israele “figlio primogenito” (Esodo 4: 22), e ordina a Mosè di dirlo al Faraone, come anche di lasciarlo partire. Se il Faraone si rifiuterà, YHWH farà perire il primogenito del Faraone. Mai prima di allora, YHWH aveva detto ad Israele o ad un singolo israelita “tu sei il mio figlio primogenito”. Nel frattempo, la circoncisione di Gherson, primogenito di Mosè, serve ad allontanare la collera divina da tutta Israele, che si sottomette al Signore spegnendone l’Ira. In quel momento, YHWH è sul punto di divenire un Dio di Morte, quale non è più stato dall’epoca del diluvio, colpendo l’Egitto con le più disparate calamità. La terza novità è che mai prima di Mosè YHWH aveva usato un intermediario per parlare a qualcuno. Se doveva parlare a qualcuno, lo faceva direttamente, senza mediazione umana. E mai ha offerto la propria azione come risposta allo scetticismo degli uomini, per la serie: “ non mi credi? Aspetta che ti faccio vedere cosa significa non credermi” . E ultima novità, non di poco conto, Dio si insinua nella coscienza del Faraone e lo indurisce, lo rende recalcitrante e diffidente, ne fa un ostacolo per Mosè ed Israele. Persino ad Adamo ed Eva , YHWH aveva lasciato la scelta di obbedire o disobbedire. Qui, invece, YHWH stesso dice a Mosè che farà volutamente del Faraone un ostacolo alla missione di Israele. Una cosa del genere non si vedrà più nel testo biblico. Come tattica di ostilità, questa maniera di accostarsi direttamente al cuore umano, aprendolo o sclerottizzandolo, non sarà più manifesto».

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M.P.: YHWH vuole che la rappresaglia verso l’Egitto e l’uscita di Israele debbano essere spettacolari.

J.M.: «In Esodo 10:1-2, YHWH annuncia a Mosè che le sue azioni in Egitto dovranno essere memorabili e ricordate da tutta Israele di generazione in generazione. Gli Israeliti dovranno esultare per le azioni di Dio in Egitto. A mio parere, la vittoria di Israele in Egitto non è una vittoria della giustizia. È semplicemente una vittoria, una dimostrazione del potere di Dio di ricercare la fecondità del suo popolo eletto, e di annientare quella dei nemici, una prova del fatto che il Signore fa distinzione quando e come vuole. Questo è anche il senso della Pasqua del Signore (Esodo 12.11). Mosè, su istruzioni di Dio, incarica gli Israeliti di segnare lo stipite delle loro porte con sangue d’agnello, di modo che lo Sterminatore (Dio stesso in una sua forma teofanica), vedendo quel sangue, passerà oltre. Questa dovrà poi essere una celebrazione perenne. Il fatto che Dio avrebbe potuto uccidere anche i promogeniti degli Israeliti, che pure appartengono a Lui, è il significato dell’obbligo legale, inserito in questo punto della narrazione, di consacrare tutti i primogeniti a Dio».

7 ARTHUR HACKER And There was a Great Cry in Egypt LANGELO STERMINATORE

M.P.: Tu credi nei fatti narrati in Esodo in quanto fatti storici? Schiavitù, uscita?

J.M.: «Nessuno storico accreditato crede che all’epoca dell’Esodo gli Israeliti siano stati più numerosi degli egiziani, o che una compagnia di 4 o 5 milioni di individui abbia camminato per 40 anni nel deserto fino a Canaan. Malgrado la mancanza di qualsiasi documentazione storica al di fuori della Bibbia, la maggior parte degli storici non crede che la storia dell’Esodo sia completamente inventata. È pur vero che se i dati riportati in Esodo fossero veri, avrebbero trovato riscontro nei dati storici. Ricordo che il Riccardo III di Shakespeare non fosse il mostro che Shakespeare dipingeva, ma evidentemente Shakespeare lo sapeva e ritrasse il re in quel modo per esigenze letterarie, affinchè vi fosse un cattivissimo a cui contrapporre un eroe, cosa che avviene regolarmente in molta filmografia moderna, ove la bipolarità è un’esigenza scenica. Dunque, il redattore o i redattori di Esodo sapevano che il Faraone Ramses non fosse così malvagio e gli ebrei così vessati, ma occorreva una contrapposizione tra bene assoluto e male assoluto per far funzionare la narrazione. Se ciò non fosse, il lettore ne risulterebbe spiazzato, perch è istintivo assumere sempre le parti di qualcuno, laddove forse in questo mondo, come insegna il simbolo del Tao, tutto è mescolanza di luce e tenebra a diversi rapporti. In ogni modo, il vero protagonista di Esodo Dio, ancor più che Mose. Un’interferenza simile nelle vicende umane da parte di Dio non c’era mai stata prima e non ci sarà più neanche dopo, neanche nei Vangeli, ove Dio fa sentire la Sua voce solo al battesimo del Cristo e sul monte Tabor. Poi più nulla, neanche nei minuti finali della crocifissione. L’evento dell’uscita dall’Egitto e successivo viaggio nel deserto è un unicum. L’Esodo non è nè una celebrazione della vittoria degli Israeliti nè della sconfitta degli egiziani. Dall’inizio alla fine, dalle donne isralite che partoriscono prima della levatrice alla sommersione dei carri, Dio è il protagonista assoluto, parte attiva della vicenda: fà grande Mosè, fà ostinato il Faraone, è il regista del film, decide parti e caratteri».

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M.P.: Cosa emerge di Dio dal libro di Esodo? In sintesi, come Lo vedi?

J.M.: «Quando Mosè e gli Israeliti vedono gli egiziani morti sulla riva, e loro stessi scampati, cantano (in Esodo 15:1) uno dei più grandi canti di esultanza per la vittoria della letteratura, un canto il cui tono, che si ode per la prima volta, non abbandonerà mai per intero la Bibbia. Mutato e trasposto, questo canto sarà udibile persino nella parte finale del Nuovo Testamento. Se fossimo costretti a dire in una parola chi sia Dio, e in un’altra quale sia l’argomento della Bibbia, dovremmo rispondere che Dio è un guerriero e che la Bibbia parla di vittoria. In Genesi, Dio non aveva mai veramente mostrato questo attributo di guerriero (Ish Milkama). Inaspettatamente, ora si mostra come un guerriero dalla forza invincibile, in grado di sconfiggere la maggiore potenza militare che gli Israeliti conoscessero. Che questo essere fosse dalla loro parte, che avesse potere sulla natura e di vita e di morte, lo sapevano già. Ma non sapevano nè immaginavano che potesse sguinzagliare il proprio potere distruggendo un esercito e piegando una nazione intera. Di qui la legittima e sfrenata esultanza manifestatasi nel canto. Da questo momento in poi Dio non è il Dio di questo o di quel patriarca, nè è il Dio di Mosè: è il Dio di un intero popolo».

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M.P.: E veniamo al Decalogo e all’attributo del Dio in quanto legislatore

J.M.: «Il monoteismo di YHWH è essenzialmente etico, e la morale è fondata sull’ unicità di Dio, negando la realtà di tutti gli altri dei. La Bibbia, in quanto opera letteraria, è la storia di un dio che diviene progressivamente non solo più unico, ma anche più etico. Fino all’Esodo, Dio dà prova di scarso interesse per l’etica. Offre un comandamento ad Adamo ed Eva, quello di non mangiare il frutto dell’Albero della Conoscenza, che tuttavia non concerne l’etica perché nell’Eden l’etica non è necessaria. Diciamo che era più un consiglio che non una norma etica. Successivamente ai fatti di Caino, Dio impone il divieto etico di spargere il sangue. Ma pare che Dio sia più interessato alla questione della riproduzione più che alla moralità. Con i patriarchi mi pare che il problema non è che non vi siano leggi o costumi, ma che l’osservarli non condiziona minimamente il rapporto uomo-Dio. Con l’esodo egiziano, Israele scopre due volti di Dio che mai aveva conosciuto: il volto del guerriero, feroce, terrificante e spesso anarchico, alternato a quello del legiferatore. Una volta uscito Israele dall’Egitto, Dio gli si rivela in un’esibizione spettacolare e terrificante di effetti vulcanici e metereologici. Mostratosi spaventevole al massimo grado, Dio consegna il Decalogo (Esodo 20:1) e un’altra serie di norme etiche note come Codice dell’Alleanza (Esodo 20:22). Per mostrare al popolo che Egli è il legislatore e il Giudice supremo, che sarà imparziale e inesorabile, dopo che Mosè ha spezzato le prime tavole della legge, guiderà i leviti a massacrare i ribelli e a mandar loro una pestilenza. Mostra così che Egli sarà inflessibile tanto verso i nemici che verso Israele. Le seconde tavole saranno date al solo Mosè, e il popolo non sarà convocato. Ancora una volta, prima di quell’evento, mai il Signore aveva avuto una simile esplosione di collera».

M.P.: Noto che la tua considerazione su YHWH non è positiva. Per te è quantomeno spiazzante, forse disturbante

J.M.: «Non dico questo. Dico solo che il Signore sembra sommamente amorale, impersonale, fisicamente anarchico, anche imprevedibile, una forza della natura sul punto di sfuggire ad ogni controllo, un pericolo mortale in qualsiasi momento proprio per coloro che ha appena salvato dal Faraone. I prodromi di questa imprevedibilità si erano visti già con Abramo, cui dà un figlio a 99 anni e quasi glielo toglie poco dopo. Questa imprevedibilità diverrà palese quando il Signore dice a Mosè che farà piazza pulita dei Cananei, onde dare quella terra ad Israele dopo un genocidio. Se i disastri in Egitto erano dovuti all’ostinazione del Faraone di tenere schiavi gli Ebrei, in Canaan l’unico peccato degli indigeni è quello di vivere in quelle terre. L’imprevedibilità sta nel fatto che non è concesso ai cananei né di convertirsi, né di integrarsi con i conquistatori. Se ciò costituisce  chiaramente un passo oltre il livello di violenza che Dio aveva deciso di infliggere all’Egitto, siamo ad anni luce di distanza dall’atteggiamento di Dio verso le nazioni nelle quali vivevano i primi patriarchi. Quindi, per rispondere alla tua domanda, il Dio di Esodo è certamente come minimo spiazzante, e ancor più disturbante, senza pietà né per il suo popolo né per le Nazioni».

13 metafora della Gloria sul Sinai in INCONTRI RAVVICINATI

M.P.: Dunque il tuo parere sarà ancor più condizionato dai sacrifici di sangue imposti dal Signore ad Israele. Cerco di capire secondo i tuoi schemi

J.M.: «Senza ombra di dubbio. In effetti, i sacrifici imposti da YHWH ai primi patriarchi erano estremamente semplici, e il sangue non riveste alcun ruolo. Col codice dell’alleanza, i sacrifici cruenti diventano insopportabili ad una mente moderna. Non accettabile è l’uso di litri di sangue per aspergere altari e sacerdoti. Attenzione, il sacrificio cruento di animali, nella storia di Israele, è secondario prima dell’esodo, di primo piano dopo l’Esodo e poi col tempo scompare dalla scena, dopo la morte di Cristo. Che diremmo oggi di una personalità del genere? Di una personalità che ordina sacrifici cruenti, che massacra il suo e altri popoli?».

M.P.: Non sono d’accordo con il tuo modo di vedere ad litteram. Credo che quei fatti siano solo espedienti esoterici come lo erano i miti greci, utili per capire dinamiche iniziatiche interiori ed esteriore.

J.M.: «Fammi un esempio di ciò».

M.P.: In Esodo 32:26 YHWH ordina uno sterminio: Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente. Ecco, qui lo sterminio è metaforico e riguarda sia la necessità che l’iniziato debba abbandonare la vecchia vita e i vecchi affetti, sia che debba combattere vizi e abitudini profane. Tant’è che Cristo svelerà il senso di questo sterminio dicendo che per entrare nel Regno di Dio occorre lasciare padre, madre figli, terra. Ciò che Dio aveva chiesto di fare anche ad Abramo, sia fuori che interiormente.

J.M.: «Non sono un esoterista e mi limito ad analizzare la Bibbia come un’opera letteraria, da una posizione neutrale, come non avessi mai conosciuto nè la Bibbia nè Dio. E ciò che vedo qui è che Dio sembra un capo di una banda criminale che chiede ai suoi abilità dimostrativa nell’uccidere, con i suoi che pongono la fedeltà al capo prima di ogni altro imperativo etico. Quel di cui tu parli è una sfera che non mi è propria e non mi riguarda. Ciò che vedo è che persino il suo codice morale appare imbarazzante e discutibile, perchè punisce con la morte la maledizione verso i genitori ed è estremamente tollerante verso la schiavitù. Egli stesso dice di perdonare la trasgressione e il peccato, ma che castiga la colpa dei padri nelle successive generazioni. Perdona oppure è vendicativo? Non è ben chiaro. Ma c’è anche da dire che, in una visione del mondo priva di un  aldilà con premi e punizioni, l’unica pena che si potesse infliggere a un criminale che fosse morto impunito era attraverso i suoi figli, la versione antico-israelita del karma. La consapevolezza che la vendetta potrebbe essere attuata sui propri figli è ancor oggi un significativo deterrente dal crimine in alcune società tradizionali. In questo caso, Dio assicura i propri partner di alleanza del fatto  che, come parte del proprio incrollabile amore per loro, farà quanto spetta al sovrano di fare: far valere la giustizia. E certamente, innanzi ad un’umanità che antepone sempre il potere all’etica, Dio risponde qui con una sfida. Egli vigilerà sul primato della morale. Quindi, se alcune cose di Dio mi sembrano più che discutibili e disturbanti, riguardo al punto in questione mi sembra che ciò che Dio rivela a Mosè sia tutt’altro che crudeltà gratuita. Egli si mostra qui come un Dio che si fa garante della giustizia e del rispetto della stessa da parte di chiunque, senza eccezioni e preferenze».

M.P.: Ma YHWH è anche un padre, anzi il Padre, e in diverse occasioni viene rimarcato questo suo attributo, centrale poi nella visione di Gesù.

J.M.: «Dio è un personaggio dalle diverse personalità mescolate insieme. Forse aveva ragione la mistica a definirle volti o attributi. La logica mi suggerirebbe che se ad un uomo serva qualcosa e debba chiedere a Dio, debba invocare Dio con l’attributo coerente. Per questo, mi sembra strano che la madre del futuro Sansone, Anna, invochi Dio col nome di Tsevaoth (Eserciti) per avere un figlio, laddove avrebbe dovuto invocare Dio con un nome legato alla fecondità e non alla Guerra. Un altro attributo è Geloso (ebr. Qanah). Fino ad Esodo, Dio non si era mai mostrato geloso verso altri dei, ma con Mosè la sua gelosia verso gli dei che non lo sono esplode, per diventare una costante da Giosuè a 2 Re. Ma l’attributo di Padre e di Re ancora non si è manifestato.  Quello di Padre non lo sarà fino a Esodo. Abbiamo gia visto chè in Esodo 4:22 Dio dice: “Israele è mio Figlio, il mio primogenito”. Ma anche in Deuteronomio 14:1: Oh Israeliti, siate Figli del Signore, vostro Elohim”. Accadrà di nuovo in 2Samuele 7,14, laddove Dio dice a Natan ciò che dovrà dire a David parlando di Salomone, il figlio che avrà: Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d’uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo. É qui, per la prima volta, che Dio parla di sè stesso come un Padre. C’è una differenza enorme tra il Dio dei padri e il Dio nostro Padre. Questo non è linguaggio figurato, qui assistiamo ad un effettivo mutamento nel Suo rapporto non tanto con tutta la famiglia umana ma con la casata davidica. Dovremo giungere ai Vangeli, all’atto del Battesimo del Cristo per ascoltare Dio chiamare Gesù Figlio da lui generato. Se poi l’Abbà-Padre di Gesù sia Padre dell’intera umanità è tutto da vedere. Alle folle Gesù comunque dirà: “… perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti (Matteo 5:45)».

IL BIOGRAFO DI DIOultima modifica: 2016-10-18T20:45:07+02:00da mikeplato
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