IN CERCA DEL VERO CRISTIANESIMO

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«Il regno di Dio non è qui: non adeguarsi al mondo è il vero modo di amarlo»: lo stesso approccio che ebbe Gesù

Duro il teologo Vannini: nel culto tradizionale si è installata la falsità

“Nel suo significato vero – ossia come realtà permanente e profonda dell’uomo, ben oltre la superficiale mutevolezza dello psichismo – la parola spirito è così scomparsa, ed è scomparsa perché ne è scomparsa l’esperienza. Per essa occorrono infatti conversione, ossia la fine dell’egoismo naturale, e distacco, ossia la rimozione di tutti i contenuti-legami psichici: quella che nella mistica si chiama “morte dell’anima”, dopo la quale soltanto si ha spirito, nella dimensione della grazia e della libertà”. Queste parole possono compendiare il nucleo centrale della riflessione del filosofo Marco Vannini, contenuta nell’ultima e fondamentale opera del pensatore, dal titolo provocatorio: Prego Dio che mi liberi da Dio (Bompiani, 2010, pp. 195, euro 16).

Vannini, fiorentino di nascita e anche di costumi, è noto al pubblico, specializzato e non, per la carriera ultraquarantennale di traduttore e commentatore della grande tradizione mistica cristiana, che si diparte da Meister Eckhart e Johannes Tauler, e approda a Simone Weil, agganciandosi alla fonte della filosofia greca platonica e neoplatonica, e naturalmente ai Vangeli. Mutuando da questa tradizione e portandola alle sue estreme conseguenze, lo stesso Vannini ha messo nero su bianco l’attuale crisi religiosa e spirituale, e ne ha individuato una possibile soluzione in almeno tre saggi: La morte dell’anima , Tesi per una riforma religiosa e La religione della ragione . Il titolo del nuovo lavoro trae da un sermone latino di Meister Eckhart, il Beati pauperes spiritu , tra i più importanti per cogliere il pensiero del mistico tedesco, dedicato al tema della «povertà evangelica e che il maestro domenicano sviluppa non nel senso della povertà esteriore ma di quella interiore spirituale, ovvero del distacco».

Il pensiero di Vannini ruota tutto attorno alla «religione come verità e come menzogna» (nietzscheano sottotitolo dell’opera). Nel cristianesimo tradizionale (ma non solo in esso) si è installata una falsità, una serie di falsità, che fanno del mito la verità assoluta e incontrovertibile, riducendo tutto alla lettera e a teologia.

«Nel suo aspetto menzognero, la religione è la forma estrema di appropriazione, religio , come legame non all’origini, alla verità, ma a se stessi, ovvero amor sui , che vuole impadronirsi di Dio per metterlo al proprio servizio, a sostegno dell’egoità – e lo fa con la costruzione di una teologia », scrive Vannini. E più oltre: «Il discorso teologico fornisce informazioni non su Dio, bensì sulla mentalità di chi lo proferisce e ha perciò perfettamente senso, ma in quanto descrizione dell’umano. Se invece pretende di parlare di Dio, allora è menzogna e peccato – anzi, qualcosa di animalesco […]. La parola “Dio” si proferisce correttamente … solo quando la si genera , ovvero quando, a partire dal silenzio, cioè dal più profondo distacco, il verbum , il logos viene generato nell’anima – dunque quando si è quella Parola. Si conosce davvero… solo quello che si fa, ovvero si produce, si genera».

C’è però anche una verità delle religioni, che Vannini individua nel platonismo, il quale «non è un sistema da opporre ad altri sistemi», bensì «un’esperienza della conversione», la quale va però intesa non già come «acquisizione di una credenza», bensì come una «radicale inversione di cammino: dall’appropriatività al distacco – dunque passando per una morte dell’ego, cioè dello psichismo naturale». La conversione è il «completo rovesciamento della naturalità animale: allontanamento dal sensibile, dall’appropriazione. dalla corporeità, che è l’elemento determinato, finito, mentre il vero io è il divino in noi».

Ora Vannini giunge ad un punto davvero delicato, a quello che possiamo a ben ragione definire il centro focale, la chiave di volta di ogni religione, e del cristianesimo in particolare: la divinizzazione, espulsa dalle varie confessioni – soprattutto Ebraismo, Cristianesimo e Islam – a favore della teologia, della ritualità e del sociale, che lo studioso condanna senza rimedio.

Diremo per prima cosa che questo concetto – che si può tradurre con l’espressione «diventare Dio» — si è perduto nel cristianesimo occidentale. Teologi e semplici fedeli equiparano quest’espressione, nella loro profonda ignoranza della vera fede e della vera religione, al superomismo di Nietzsche (peraltro falsandolo), ad una volontà di potenza prometeica, ad un arbitrio, ad una hybris (la tracotanza greca), che perderà l’uomo, gettandolo all’inferno. Il contrasto avviene giacché il cattolicesimo ha perduto il contatto con i Padri della Chiesa e con la teologia mistica cristiana, e ha preferito “scegliere” la teologia di stampo tomistico e agostiniano (Vannini non sarebbe d’accordo con una critica di Agostino di Ippona, dal cui De vera religione è partito per comporre il saggio La Religione della ragione . Tutti i Padri della Chiesa hanno esplicitamente ribadito – il primo fu sant’Ireneo di Lione, il grande critico delle eresie – che Dio si è fatto uomo, affinché diventi Dio. Un tema presente nel platonismo, come evidenzia Vannini, e ripreso dal cristianesimo delle origini, e vivo, almeno in linea teorica, nell’Ortodossia. Non un’eresia dunque, ma un patrimonio spirituale del cristianesimo delle origini.

Lo studioso fiorentino, pur non nominando mai la Chiesa d’Oriente, ne cita i padri:  «L’appropriazione del concetto platonico di homoiosis theo [somiglianza a Dio, ndr ] da parte del cristianesimo, quale si compie nei Padri greci – Clemente Alessandrino, Ori-gene, i Cappadoci, fino al Corpus Dionysiaucum e a Massimo il Confessore – non è da considerarsi una estrinseca ellenizzazione del messaggio cristiano, ma deriva invece dalla esatta percezione di una sua profonda affinità con l’insegnamento stesso del Cristo: conversione e distacco e, nel distacco, unione a Dio». Perché è soltanto svuotando se stessi dal proprio ego, mediante il distacco, che si può far spazio allo spirito.

Nel Vangelo questo è chiarissimo, se solo non fosse stato imbrattato da traduzioni imbecilli e razionalizzanti, e se solo gli esseri umani non offrissero, a se stessi e agli altri, interpretazioni di comodo. In Mt 19,12, dopo aver parlato degli eunuchi per il Regno dei Cieli, il Cristo dice: Qui potest capere capiat ( Vulgata di san Girolamo. Capere , in latino, significa, contenere. Non a caso nel linguaggio tecnico si parla di “capacità” dei contenitori di liquidi, e nella nostra lingua di tutti i giorni, quando diciamo di essere capaci di fare o dire o pensare alcunché, intendiamo dire, pur non rendendocene conto, che quella data cosa è nostra, è dentro di noi, poiché noi siamo in grado di contenerla, di metabolizzarla, di introiettarla, e quindi possiamo farla, applicarla. Conferma più precisa l’abbiamo con l’originale greco: O dynamenos chorein choreito , che letteralmente significa: «Il

potente [che può] fare spazio, faccia spazio». E poco prima Gesù dice, parlando del rapporto tra uomo e donna: «Non tutti comprendono questo discorso, ma soltanto coloro ai quali è dato». Falsificazione bella e buona, ché l’originale greco, tradotto correttamente, dice: «Non tutti fanno spazio a questa parola, ma essa è data a chi è in grado di fare spazio», ossia di accoglierla. Solo il potente, ossia colui il quale ha gli strumenti per farlo (ricordiamoci di Mt 22,14: «Molti sono i chiamati, pochi gli eletti»), è in grado di lasciar morire l’ego e pertanto fare spazio allo spirito. Tutto, come si vede, ritorna in perfetta armonia: solo togliendo qualcosa, ossia l’ego e lo psichismo, si aggiunge Qualcuno: lo spirito, la Parola, che è il Logos, quindi il Cristo.

Attraverso questo svuotamento abbiamo quel che Vannini chiama «Un cristianesimo altro», come dichiara l’ultimo capitolo. Questo «cristianesimo altro» vuol dire «ritirato ai suoi principi, e consiste semplicemente nell’evangelico abnegare se ipsum , ed esso toglie via tutte le menzogne, insieme a quanto su di esse di volta in volta si costruisce: teologie. cerimonie, sinagoghe, chiese». Si viene così a realizzare l’opposizione. temuta e orrificante per le anime belle, tra Cristo e il mondo. Nel mondo altro non v ‘è che « amor sui, amor privati boni : ciò che mette in contrasto con gli altri e, insieme, crea solidarietà mafiose… Ogni uomo onesto, in fondo, riconosce questa opposizione e anche ogni mediocre “cristiano” sa perciò di vivere il modo difforme dall’Evangelo, e di conseguenza in modo quasi schizofrenico, nella cattiva coscienza».

Conclusione: «Il regno di Dio non è di questo mondo: non adeguarsi al mondo è il vero modo di amarlo». Come ha fatto lo stesso Gesù Cristo.

IN CERCA DEL VERO CRISTIANESIMOultima modifica: 2017-09-22T11:34:18+02:00da mikeplato
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