INTERVISTA A KEN WILBER

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Sulla Spiritualità Post-Metafisica – di Ken Wilber. Risposta a Habermas e Weis

La pubblicazione del libro di Jurgen Habermas, Nachmethaphysisches Denken (Il pensiero Post-Metafisico) e dell’articolo di Hans-Willi Weis sul mio lavoro hanno sollecitato molte persone, in Germania, a chiedere quale fosse la mia reazione a questi due scritti. Quanto segue è una breve risposta ad entrambi. Le domande sono state poste da Edith Zundel, Frank Visser e da altri. Ho riportato le loro domande e le mie brevi risposte. La Parte I tratta le questioni sollevate da Jurgen Habermas e la Parte II quelle riguardanti Hans-Willi Weis. (Ho tradotto solo la Parte I: Risposta a Habermas e le Appendici I e II che ho trovato di maggiore interesse.Per la Parte II, visitare il sito di Wilber )

Parte I: Habermas e la Spiritualità Post-Metafisica

Dalle pagine de Il pensiero postmetafisico, un testo uscito nel 1988, affiora la convinzione habermasiana che la metafisica (idealistica e platonica) sia una forma di pensiero onnipervasivo e totalizzante, incentrato sulla riduzione dell’essere al pensiero e sulla preferenza accordata alla teoria anziché alla prassi. In opposizione al pensiero metafisico, Habermas sostiene che il pensiero post-metafisico sia dialogico e comunicativo. Per quel che riguarda la filosofia e il suo destino nel mondo attuale, il nostro autore si fa ancora una volta alfiere di posizioni illuministiche, sostenendo che al giorno d’oggi non vi sia “un troppo, ma un troppo poco di ragione”: è vero, la ragione non può più essere intesa come depositaria di un sapere ultimo e assoluto; ma ciononostante, essa non deve rinunciare al suo ruolo critico e smascherante, alla sua funzione di “custode della razionalità” e di baluardo della tradizione illuministica di cui s’è alimentata la nostra civiltà.

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Mr. Wilber, la sua visione è evoluzionistica dall’inizio alla fine.

Attenzione su questo. La mia visione è stata sintetizzata come “quadranti, onde, correnti, stati, tipi, Io”. Di questi, soltanto le onde e le correnti (o livelli e linee) si sviluppano in modo evolutivo. Le altre variabili e dimensioni non lo fanno. Per esempio, gli stati di coscienza generalmente non si evolvono. Inoltre, quando siamo a un certo stadio o livello, anche i tipi a quel livello non mostrano alcuno sviluppo. E, ancora più importante, l’Urgrund senza-tempo non si evolve (sebbene i suoi aspetti manifesti spesso lo facciano). Il mio approccio include aspetti di sviluppo ed evolutivi come parte di un modello integrale, perché questo è ciò che la realtà ci chiede oggi. La dottrina scientifica dell’evoluzione è una ricostruzione del passato; ogni teoria dell’evoluzione futura è per definizione speculativa.

Su quali basi lei fonda le sue idee di un’evoluzione futura?

Le mie idee circa un’evoluzione futura sono basate largamente su una scienza ricostruttiva. E sono predittive solo all’interno di questo contesto. Cioè, osserviamo individui che oggi si evolvono verso livelli che sono oltre la media o tipici, e basandoci sulla ricostruzione dello sviluppo di questi individui (cioè i livelli più elevati da loro raggiunti), suggeriamo che lo sviluppo futuro dei livelli più elevati potrebbe, nell’insieme, essere simile al precedente per quanto riguarda certi schemi interni profondi. Ecco un esempio preso dalle scienze naturali: facciamo finta di essere uno “scienziato di Marte” che osserva la vita che si evolve sulla Terra. Vediamo emergere i quark, poi gli atomi, poi le molecole. Quindi vediamo che, in pochi e rari casi, le molecole si riuniscono in cellule. Basandoci su quest’osservazione empirica, concludiamo che, se altre molecole continuano la loro evoluzione, anch’esse probabilmente formeranno delle cellule. NON è una speculazione metafisica, ma una conclusione empirica basata sulla scienza ricostruttiva. Così, nel mondo attuale, osserviamo quegli individui (le molecole) che si evolvono a livelli più elevati (le cellule) e prediciamo, basandoci sulla ricerca empirica, che lo sviluppo futuro seguirà probabilmente quelle tendenze generali. Ma quelle tendenze, in quanto tali, sono sistemi aperti basati sulla realtà dei Quattro Quadranti (intenzionale, comportamentale, sociale e culturale) (clicca per vedere la figura dei quadranti), e non possiamo predire con certezza le forme effettive e le caratteristiche di superficie delle realtà future; questa è la ragione per cui il sistema rimane, per molti aspetti, aperto. Al contrario della filosofia perenne, della quale io respingo molti presupposti, credo che i livelli di coscienza siano largamente plastici, e che il Grande Campo dell’Essere (Great Nest, la Grande Catena dell’Essere non è tanto una catena quanto una serie di dimensioni annidate una nell’altra, nested appunto, in forma olarchica secondo il principio “trascendi e includi”; adottiamo la traduzione di “nest” con “campo” utilizzata da Filippo Falzoni Gallerani. N.d.T.) sia, di fatto, un vasto campo morfogenetico di potenzialità (vedi Integral Psychology per la discussione di questo concetto), non una serie predeterminata di livelli attraverso cui l’umanità deve marciare rigidamente sulla via della sua realizzazione. Tuttavia, dopo che un livello di coscienza è emerso in un numero sufficiente di persone, diventa allora un modello kosmico per lo sviluppo futuro, quindi diventa qualcosa di simile a un livello stabile, non in senso platonico, ma nel senso evidenziato da Charles Peirce, cioè un insieme di abitudini kosmiche, abitudini che sono, di conseguenza, ripetute negli stadi seguenti di sviluppo (proprio come gli atomi e le molecole sono parte di tutta l’evoluzione posteriore). Quest’approccio supera e respinge il punto di vista metafisico e lo sostituisce con un approccio empirico, fenomenologico, fondato sull’esperienza e sulla sperimentazione. Tenendo presenti queste condizioni, una scienza ricostruttiva basata sul passato può predire le caratteristiche generali di alcune forme future. Mi lasci fare un esempio, utilizzando gli stadi evolutivi di Spiral Dynamics (segui il link per vedere Spiral Dynamics): quando l’umanità iniziò a evolversi si trovava, in generale, al livello beige (o arcaico). Ma alcuni pionieri dell’evoluzione si spinsero al livello successivo, il porpora (o magico). Quando lo fecero, questo stadio di sviluppo non era predeterminato in nessuna maniera sostanziale. Anzi, la sola cosa dispensata dal Grande Campo dell’Essere era la potenzialità per un funzionamento più elevato e più complesso. Un principio di creatività (Whitehead), o un principio di Eros (Plotino), o semplicemente la possibilità di auto-organizzazione dei sistemi (come sostengono oggi la teoria della complessità e la teoria del caos – il lavoro di Stuart Kaufman, per esempio). Inoltre, e questo è davvero importante nel mio modello, la forma attualizzata del livello porpora fu creata e plasmata dai Quattro Quadranti (intenzionale, comportamentale, culturale e sociale) che erano operanti in quell’epoca. Assolutamente nessuno di quei fattori era predeterminato. Adesso facciamo un salto in avanti di centomila anni al tempo, diciamo, dell’Impero Romano: l’umanità si era evoluta dal beige (arcaico) al porpora (magico) al rosso (mitico) al blu (mitico razionale).Ogni volta che emergeva un livello evolutivo, gli stessi principi erano al lavoro: cioè il principio di creatività o di auto-organizzazione verso un livello di maggiore complessità, le cui caratteristiche concrete non erano predeterminate, ma erano configurate dal concorso dei quattro quadranti. Ripetiamolo, nessuna delle caratteristiche particolari era determinata in senso platonico, e la forma attualizzata di ognuno degli stadi principali – porpora, rosso, blu, ecc. – avrebbe potuto dispiegarsi in un infinito numero di modi. Ma, dopo che quegli stadi emersero assumendo la loro forma manifesta, quella forma divenne un’abitudine kosmica che fu, poi, ripetuta ogni qual volta essi si manifestavano. Tutto questo è molto simile, per esempio, alla teoria dei campi morfogenetici di Rupert Sheldrake. Questo significa che una persona nata in una cultura del livello blu, nasce comunque al livello 1, nasce, cioè, sempre al livello beige e quindi si evolve ai livelli porpora, rosso, blu… Come lo sappiamo? Soltanto attraverso un’ampia ricerca empirica e fenomenologica sugli stadi di sviluppo (vedi Integral Psychology), che è appunto scienza ricostruttiva. Quindi, se vediamo qualcuno oggi che è al livello porpora, possiamo predire che se continua nella sua evoluzione, svilupperà le capacità del livello rosso e poi del blu, e questa predizione è basata soltanto su una scienza ricostruttiva del passato che osserva coloro che si sono evoluti oltre il livello porpora. Non c’è niente di metafisico – e gli psicologi evolutivi non fanno altro che questo. Non possiamo dire, tuttavia, quale forma attualizzata assumerà il futuro sviluppo di una persona. E neppure possiamo dire quale forma prenderà il livello più elevato di sviluppo, l’avanguardia evolutiva. Tutto questo è ancora aperto e fluido – ed è plasmato dall’insieme dei quattro quadranti che cambiano continuamente sotto molti aspetti. Quindi, ogni futuro sviluppo sarà la miscela di almeno questi cinque fattori: la potenzialità verso uno sviluppo più elevato offerta dallo Spirito (o il Grande Campo dell’Essere, Eros, auto-organizzazione); i desideri e le intenzioni personali e autonomi dell’individuo; i sistemi e le istituzioni sociali; i valori culturali e i significati condivisi – e tutte queste dimensioni hanno aspetti che sono sempre aperti e liberi (insieme a molti altri aspetti che sono condizionati, determinati, o karmici e abituali). Allo stesso modo, la dimensione sottile non è un livello predeterminato e fissato, ma un gran serbatoio di futuri livelli di coscienza che si dispiegano. Questa è la ragione che mi ha spinto ad affermare in Sex, Ecology and Spirituality, che questa evoluzione creatrice può continuare verso, letteralmente, miliardi di mondi. Nessuno di quei futuri “livelli” è predeterminato o fissato. Ma, quando un particolare livello/stadio emerge nell’evoluzione, il suo modello interno profondo diventa un’abitudine del Kosmos, quindi viene ripetuta dovunque si manifesti quel livello – proprio come i livelli porpora, rosso e blu sono modelli che ora gli esseri umani ripetono nel loro sviluppo (come un gran numero di ricerche multiculturali hanno dimostrato in modo incontrovertibile). Ancora una volta diciamo che non c’è niente di metafisico, tutto è perfettamente empirico, fenomenologico, sperimentale, e rientra nell’ambito della scienza ricostruttiva. La metafisica è un approccio che io ripudio in modo molto netto. Questa domanda è forse un po’ fuori luogo, dal momento che nessuno può occuparsi di tutto contemporaneamente.

Ma, secondo lei, come può il suo sistema aiutare la pratica meditativa? Mi sembra, a volte, che il viaggiatore spirituale non abbia bisogno soltanto di una buona mappa (come quella da lei elaborata), ma anche di una specie di guida del Pianeta Solitario, capace di addentrarsi nei dettagli descrittivi del territorio, Il suo modello basato sui livelli evolutivi è in grado di rispondere anche a domande come: cosa succede al meditatore principiante e quali prove deve fronteggiare il meditatore avanzato?

La domanda non è affatto inopportuna, è appropriata, invece. Potrei rispondere dicendo che quello che cerco di fare nel mio lavoro è fornire la mappa più generale possibile, poiché i dettagli specifici possono essere trovati solo attraverso la pratica concreta, normalmente con una guida esperta in una particolare tradizione. La stessa cosa è valida sia che si studi lo Zen, la cucina, il giardinaggio, la matematica o che s’impari a pilotare una macchina da corsa. Sarebbe sciocco da parte mia cercare di dare tutti i dettagli, quando la maggior parte di essi è esperenziale, non teorica. Invece, quello che cerco di fare è questo: se prendiamo tutte le verità che sono state proclamate in Occidente e in Oriente, nelle epoche premoderne, moderne e postmoderne, e se le mettiamo insieme, quale sistema di pensiero può onorare, riconoscere e integrare il maggior numero di verità proveniente dal maggior numero di tradizioni? Credo che il sistema integrale che ho suggerito sia quello che può riconoscere e includere il maggior numero di verità provenienti dal maggior numero di tradizioni, quindi è un sistema che può offrire alle persone una via migliore per aprire le loro menti e il loro cuore al sovrabbondante dispiegarsi del Kosmos, alla sua bontà, bellezza, e alle sue molte verità. Ma per i dettagli, come sempre, dobbiamo immergerci noi stessi nella realtà e nelle peculiarità concrete di questo momento. Riguardo alla pratica spirituale, questo significa studiare con un maestro in cui si abbia fiducia e operare per la propria salvezza con dedizione.

Quale posizione dobbiamo assumere circa i diversi retroterra culturali della meditazione, quando, per esempio, si tratta di interpretare le esperienze meditative (penso al dibattito tra yogi e buddhisti sull’esistenza o la non esistenza dell’io)?

E’ proprio in relazione a questo tipo di problematiche che abbiamo bisogno dei quattro quadranti (o della comprensione che ogni evento reale possiede le dimensioni intenzionale, comportamentale, sociale e culturale come intrinseci aspetti del loro essere-nel-mondo). I “livelli” di coscienza che sono ora disponibili per gli esseri umani non sono dati in qualche modo predeterminato di tipo platonico (o hegeliano o aurobindiano): sono invece dati come forme e modelli potenziali (che riflettono il gradiente della tensione evolutiva, cioè il Grande Campo dell’Essere) e queste forme emergenti prendono sostanza e contenuti dai modelli intenzionali, comportamentali, culturali e sociali operativi in quel dato momento. Scopriamo che alcuni di quegli aspetti sono universali (basandoci su un’accurata scienza ricostruttiva), ma quegli “universali” sono soltanto abitudini del Kosmos e non modelli rigidi e predeterminati (e possiamo ragionevolmente immaginare che essi avrebbero potuto essere molto diversi, in un Universo diverso creato dallo stesso Spirito, poiché il “gioco” dello Spirito coinvolge i quattro quadranti). Questo suggerisce che un significato particolare (in ogni contesto storico-culturale dato) è una combinazione di aspetti universali (o che trascendono il contesto) e di aspetti condizionati dal contesto (una visione simile a quella di Habermas, sebbene la sua mappa evolutiva non includa gli stadi e gli stati della coscienza più elevati, transrazionali, e questo limiti il suo altrimenti eccellente contributo). Dal mio punto di vista, gli aspetti universali che troviamo negli sforzi evolutivi degli esseri umani derivano da almeno due fonti: la potenzialità dello Spirito come capacità di creare e di auto-trascendersi (che permette, di fatto, a ognuno di trascendere se stesso verso stadi più elevati; questa potenzialità universale alla trascendenza è il gradiente del potenziale o il campo morfogenetico noto come Grande Campo dell’Essere, sebbene nessuna delle sue forme di superficie sia predeterminata); l’altra fonte è costituita dai modelli interni profondi delle abitudine kosmiche che sono già stati consolidati dallo sviluppo passato (come abbiamo visto con Spiral Dynamics). Vorrei dare un altro importante esempio: diciamo che una persona ha una potente esperienza della coscienza cosmica, o il sentimento di essere uno con l’intero mondo manifesto. Ora, lo schema profondo di quell’esperienza è molto simile, qualunque sia la cultura in cui avviene – possiamo avere quell’esperienza di unità sia che siamo Cinesi, Indiani, Tedeschi o Messicani, sia che viviamo oggi, sia che siamo vissuti mille anni fa (e questo riflette la capacità universale di auto-trascendenza). Ma i contorni concreti, i contesti, gli aspetti di superficie e i significati specifici di quell’esperienza generalmente variano da una cultura all’altra e, persino, da una persona all’altra. Nel mio modello integrale, gli aspetti universali (che riflettono un universale capacità di auto-trascendenza che non è prefissata e determinata, ma è aperta e fluida) e gli aspetti relativi o dipendenti-dal-contesto (determinati dai quattro quadranti in quanto “si tetra-evolvono”) sono inclusi entrambi. Quest’approccio offre quella che credo sia la visione più comprensiva di questi intricati problemi. Allo stesso modo, le differenti onde (o stadi) della coscienza che si dispiegano nei meditatori mostrano somiglianze che trascendono i contesti (certe esperienze in meditazione sono universali e riflettono il gradiente universale del potenziale di trascendenza, cioè il Grande Campo dell’Essere); ma i dettagli specifici, il cammino effettivo, i tipi di stati di coscienza sperimentati lungo il percorso e il significato concreto a essi attribuito, variano da cultura a cultura, da una tradizione all’altra e, spesso, da un maestro all’altro. Questo è parte della meravigliosa diversità della manifestazione che deve essere inclusa insieme agli aspetti universali e alle somiglianze dimostrabili. Questo mi porta a porre una domanda circa lo status di “scienze spirituali” come la meditazione. Quale ruolo gioca il condizionamento (buddhista, induista, sufi) in questo, e fino a che punto colora le nostre esperienze in meditazione? Non si tratta di puro condizionamento? Dov’è l’obiettività? Dove è la scoperta di una realtà interiore e dove il condizionamento culturale e religioso?

E’ proprio su questo punto che la scienza ricostruttiva ha più da offrire. Se consideriamo gli studi sugli stadi della meditazione fatti da Daniel P. Brown (vedi Wilber e altri, Le Trasformazioni della Coscienza, Ubaldini; e Wilber, Integral Psychology), troviamo che le stesse onde (livelli) generali di sviluppo più elevato della coscienza sono riconosciuti dalle principali tradizioni spirituali, per lo meno nei loro modelli interni profondi (sebbene le loro configurazioni superficiali varino considerevolmente). Allo stesso modo, i meditatori di oggi che si evolvono fino a una permanente coscienza nonduale hanno mostrato che attraversano gli stessi livelli generali (vedi Wilber, Waves, Streams, States and Self in Journal of Consciousness Studies,n.11-12, 2000) anche se, ripetiamo, gli aspetti superficiali cambiano (perché i quattro quadranti sono differenti). La domanda allora diventa: è possibile che questi stadi di sviluppo della coscienza siano solo dei condizionamenti?

Non sembra essere il caso. La stessa accusa potrebbe essere mossa contro qualsiasi concezione evolutiva, inclusa quella, per esempio, di Lawrence Kohlberg riguardante lo sviluppo morale. Come possiamo decidere se quegli stadi siano dei semplici condizionamenti? Portiamo avanti una scienza ricostruttiva al massimo delle nostre capacità. Utilizzando Kohlberg come esempio, il suo modello di sviluppo morale è stato ora testato in diverse dozzine di paesi del Primo, Secondo e Terzo Mondo, e finora non sono state trovate rilevanti eccezioni all’esistenza dei suoi livelli. La mentalità meme verde (o pluralistica) si ribella violentemente a questa conclusione, ma la ricerca è molto chiara: “Risultati simili [circa gli stadi di evoluzione morale di Kohlberg] sono emersi dagli studi fatti in Messico, Bahamas, Taiwan, Indonesia, Turchia, Honduras, India, Nigeria e Kenya… Quindi sembra che i livelli e gli stadi di Kohlberg circa il ragionamento morale siano strutture ‘universali’… [e] i livelli morali di Kohlberg sembrano rappresentare una sequenza invariante.” (Shaffer, D., Social and Personality Development, 1994). Un altro ricercatore sintetizza le prove empiriche della validità delle teorie di Kohlberg: “L’analisi esaustiva degli studi multiculturali suggerisce che la teoria e il metodo di Kohlberg sono ragionevolmente rispettosi delle culture e riflettono questioni, norme e valori morali rilevanti in altri contesti culturali. Inoltre, questi dati supportano i criteri evolutivi implicati dal suo modello di sviluppo e danno anche un notevole sostegno alla sua teoria evolutiva e alla sua posizione non relativistica…” (Vasudev J. Ahimsa, Justice and the Unity of Life in M. Miller e S. Cook-Greuter, Trascendence and Mature Thought, 1994). Questo non significa che il modello di Kohlberg copra tutte le questioni morali rilevanti nelle varie culture, significa solo che esso ha provato di essere universale in quegli stadi che ha preso in considerazione (non perché si tratti di archetipi in senso plotiniano/hegeliano/aurobindiano, ma perché quei livelli sono diventati ora abitudini kosmiche di sviluppo). Gli stadi evolutivi di Kohlberg sono non-relativistici e non sono dovuti al condizionamento, per quanto possa essere stabilito dalle prove di una scienza ricostruttiva. Lo stesso avviene per gli stadi che possiamo incontrare nella meditazione. Ricerchiamo molto accuratamente nel maggior numero possibile di contesti multiculturali e vediamo se emerge qualche tipo di affinità o somiglianza. Se è così, siamo autorizzati a sospettare che si tratti di livelli “quasi-universali”. Ripeto che non c’è nulla di metafisico e di meramente teorico in tutto questo, ma di ricerche basate su prove empiriche e fenomenologiche soggette all’analisi razionale post factum, anche se alcuni di questi stadi sono transrazionali (stadi conosciuti direttamente, non attraverso l’analisi razionale o la scienza ricostruttiva, ma attraverso la diretta pratica meditativa o scienza spirituale – vedi sotto). La scienza razionale ricostruttiva e la pratica spirituale diretta sono aspetti dell’approccio più integrale che propongo. Questo non significa che tutte le esperienze dei meditatori di oggi siano già consolidate come abitudine kosmiche perché: 1) gli stadi più elevati sono sempre aperti e liberi in ogni circostanza; 2) la realtà dei livelli più elevati è data dallo Spirito come potenzialità, e non ancora come abitudine del Kosmos (il gradiente del potenziale di trascendenza, cioè il Grande Campo dell’Essere, è universale, anche se le caratteristiche di superficie non lo sono); 3) ogni esperienza specifica è il prodotto dei quattro quadranti, quindi l’esperienza individuale degli stadi più elevati (o di qualunque stadio) sarà sempre unica sotto molti aspetti.

Uno dei suo libri The Marriage of Sense and Soul ha come sottotitolo: “Integrating Science and Religion”. Questo potrebbe essere considerato il filo conduttore della sua intera opera. Molti scienziati che ho incontrato si sono mostrati molto scettici circa questa possibilità. Sospettano che invece di integrare scienza e religione, lei introduca surrettiziamente la religione nella scienza, con il risultato di produrre una cattiva scienza. Scienza e religione sono due dimensioni che non si sono mai incontrate – l’acqua è H2O oppure acqua santa, nel mezzo non c’è niente. Qual è la sua posizione sull’argomento?

I suoi amici scienziati avrebbero completamente ragione se dessimo al termine “religione” il significato che comunemente viene a esso attribuito, cioè la religione come fondamentalmente il livello o onda evolutiva mitica (dal meme rosso al blu). La maggior parte delle “integrazioni” di scienza e religione implicano atteggiamenti come quelli assunti dai teologi cristiani che cercano di contrabbandare la loro teologia all’interno dei principi della scienza naturale, e quindi pensano di poter “provare” che il Big Bang fu creato dal Dio in cui credono – Jehovah. E questa sarebbe “integrazione” di scienza e religione! Io respingo completamente quest’operazione. E’ ancora un esempio ulteriore dell’approccio metafisico al problema dei livelli e stati di coscienza più elevati. Una scienza postmetafisica e ricostruttiva procede con metodi molto diversi: si basa su prove dirette raccolte attraverso l’investigazione condotta sulle persone che hanno dimostrato ripetutamente di essere competenti circa i livelli postrazionali di sviluppo. Questo implica sia una ricostruzione razionale degli elementi essenziali o aspetti profondi degli stadi più elevati, sia l’impegno a sviluppare questi livelli in se stessi, attraverso la pratica di quei metodi trasformativi che, come è stato dimostrato empiricamente, sono efficaci nell’accelerare il dispiegarsi di questi livelli più elevati. Queste dirette esperienze spirituali sono del tutto compatibili con un atteggiamento generale di tipo scientifico che richiede prove empiriche, ottenute attraverso la ricerca e radicate in ogni momento nella sperimentazione e nell’esperienza concreta. Questo è l’approccio post-kantiano e post-metafisico che io propongo di utilizzare negli studi spirituali, come parte di studi integrali più ampi. La “religione” alla quale lei si riferisce è pre-kantiana, dogmatica e mitica, un approccio adeguato solo ai livelli di coscienza premoderni.

Lei ha identificato procedimenti comuni sia nelle scienze naturali sia in quelle sociali. Al di sopra di queste due, lei ha postulato un terzo tipo di scienza di cui nessuno aveva mai parlato prima, “una scienza spirituale”, come lo yoga e la meditazione, che, nell’ambito della spiritualità, conseguirebbe risultati ripetibili. Sta davvero suggerendo che oggi possiamo provare l’esistenza di Dio, così semplicemente come possiamo provare l’esistenza della luna?

No. In realtà, è molto più semplice, ma questa è un’altra storia! Mi lasci cominciare sottolineando che, come per la parola “religione”, ci sono molti significati anche per la parola “scienza”. In molti dei miei lavori ho fatto notare che illustri studiosi hanno utilizzato almeno due significati principali di “scienza” e almeno tre “livelli” di “scienza. Vediamoli nell’ordine. I due significati principali sono “scienza ristretta” e “scienza estesa”. La scienza ristretta è quella scienza che accetta come reale soltanto eventi sensoriomotori, o che cerca, secondariamente, di collegare la sua analisi razionale e teoretica soltanto agli eventi sesoriomotori. La maggior parte delle “scienze dure” come chimica e biologia sono esempi di scienza ristretta. Così, per le scienza ristrette, “empirismo” significa “esperienze che hanno origine nei cinque sensi e nelle loro estensioni” (microscopi, telescopi, ecc.). Ma molti filosofi della scienza hanno sottolineato che ci sono altri tipi di scienza che non dipendono strettamente dai sensi: per esempio, la matematica e la logica. Lo stesso vale per le scienze sociali e le scienze del geist che si basano, sotto molti aspetti, sui dati simbolici e non soltanto su quelli sensoriali. Sono chiamate “scienze estese” o “scienze profonde”, e persino le scienze ristrette come la fisica dipendono in parte dalle scienze profonde (come matematica e logica). Le scienze profonde trattano spesso realtà che possono essere viste soltanto “dall’occhio interno” (come l’algebra booleana e i numeri immaginari). L’empirismo è usato da tutte le scienze estese o profonde in un modo molto più vasto e ricco: in particolare, un evento è considerato empiricamente reale se può essere direttamente sperimentato da individui in un gruppo di pari che siano competenti nei metodi che permettono l’accesso all’evento. Quindi, matematici competenti possono fare l’esperienza mentale dei nastri di equazioni simboliche che costituiscono il Teorema di Pitagora, e concludere che il Teorema di Pitagora è vero (rappresenta, cioè, realtà effettive). In altri termini, molte forme di scienza profonda respingono il dualismo radicale tra pensiero ed esperienza, poiché i pensieri stessi possono essere sperimentati dalla coscienza. Questa è la base generale della scienza del geist, comprese le scienze interpretative dell’ermeneutica e le scienze introspettive della varietà fenomenologica. Cioè, le scienze del geist possono investigare gli oggetti o i fenomeni o le esperienze che si presentano in qualsiasi soggetto o coscienza, sia nel caso di oggetti/esperienze sensoriali, sia nel caso di oggetti/esperienze mentali o spirituali. Ho fatto notare che questi due principali tipi di scienza (ristretta e profonda) condividono almeno tre aspetti, cioè, entrambe operano attraverso ingiunzioni/modelli, esperienze/prove empiriche e convalidazione/confutazione – i cosiddetti “tre criteri” di ogni buona scienza. Questo significa che ogni “buona scienza”, non importa se ristretta o profonda, cerca di seguire questi tre criteri, ed è questo che fonda le loro pretese di verità e le rende “scientifiche”. Questi tre criteri furono suggeriti al fine di incorporare in modo esplicito gli aspetti validi della teoria della scienza proposta da Thomas Kuhn (la necessità di modelli/ingiunzioni/paradigmi), l’empirismo (la necessità di fondamenti esperenziali), e Karl Popper (l’importanza della potenziale confutazione). Io, in aggiunta, sostengo che questi tre criteri sono, in generale, rispettati dalla scienza sensoriale, dalla scienza mentale e da quella spirituale. E questo ci porta al concetto di livelli della scienza. Dal momento che la scienza estesa o profonda investiga qualsiasi esperienza diretta che si presenti alla coscienza e che possa essere condivisa e comunicata in un gruppo di pari formato da persone competenti, e poiché abbiamo visto che ci sono livelli di coscienza, ne consegue che ci sono tanti livelli di scienza fenomenologica quanti sono i livelli di coscienza. Poiché possiamo dimostrare che ci sono tre principali livelli/stati di coscienza (grossolano, sottile e causale correlati, per esempio, con la veglia, il sogno e il sonno profondo), ne consegue che ci sono (almeno) tre livelli principali di scienza – grossolano, sottile e causale – o, come sono più comunemente chiamate, scienza sensoriale, scienza mentale e scienza spirituale. Quindi, un approccio più integrale, suggerisce che ci sono scienze sensoriali, mentali e spirituali (basate rispettivamente sull’investigazione di oggetti/fenomeni della coscienza grossolani, sottili e causali). La scienza ristretta si riferisce generalmente al primo livello: si occupa di investigare primariamente oggetti della coscienza materiali, sensoriali o grossolani. Le scienze estese o profonde vanno oltre e si occupano di investigare il secondo e il terzo livello di esperienze fenomenologiche, in particolare gli oggetti o fenomeni della coscienza mentali, simbolici, ermeneutici e interpretativi (secondo livello), come anche – andando ancora oltre – i fenomeni della coscienza spirituali, causali, transrazionali, sopramentali (terzo livello). Questi tre livelli della scienza, se si riferiscono a una buona scienza, implicano i tre criteri di ogni buona scienza: ingiunzione, esperienza, convalidazione/confutazione. Ho dato un gran numero di esempi di questo, tratti da varie discipline mentali e spirituali (vedi Eye to Eye, The Marriage of Sense and Soul, A Theory of Everything). Ho avanzato anche un altro suggerimento: usando i quadranti, possiamo correlare i dati della scienza estesa (per esempio le esperienze meditative) con i dati della scienza ristretta (per esempio, le configurazioni delle onde cerebrali durante la meditazione registrate con l’apparecchio EEG). Quest’approccio “tutti-i-quadranti, tutti-i-livelli” ci permette di fare qualcosa che né le tradizioni spirituali premoderne né la scienza moderna possono fare con i loro metodi: cioè, seguire le tracce delle quattro dimensioni di un evento concreto (intenzionale, comportamentale, sociale e culturale) e quindi offrire per la prima volta un approccio integrale alla scienza, alla coscienza e alla spiritualità.

Nella sua visione della patologia umana, lei non ha solo ristrutturato il campo della psichiatria convenzionale, ma ha anche aggiunto nuovi ambiti alla “terapia”: le dimensioni personali e transpersonali. Non è che sta imponendo a queste dimensioni le categorie proprie della terapia e della patologia? Non dovremmo vedere la spiritualità con occhi completamente nuovi?

Non dovremmo vedere la spiritualità con occhi completamente nuovi? Certamente, se lo potessimo, ma questo è, naturalmente, impossibile, dal momento che ogni percezione è sempre condizionata dal contesto. Quello che vogliono dire coloro che sostengono il contrario non è, forse, che dovremmo vedere la spiritualità come la vedono loro? Il mio punto di vista è molto semplicemente che, basandoci su una scienza ricostruttiva, troviamo che certi modelli dello sviluppo, secondo l’opinione di quanti intraprendono questo cammino evolutivo, sono più appropriati, autentici o “sani”, e altri modelli sono più disequilibrati, malsani o patologici. Tutte le tradizioni – anche lo Zen – riconoscono la “malattia” sul loro cammino. Per esempio, “la malattia dello Zen”, come Hakuin la chiamava, si riferisce a un’erronea concentrazione che può provocare problemi di debilitazione fisica, emozionale o mentale. Un approccio più integrale non fa altro che prendere tutte queste patologie ed elencarle, come segnali di allarme che, durante la pratica, devono essere presi in considerazione da terapeuti, maestri e studenti. Non sto certamente cercando di patologizzare i livelli di coscienza più elevati o di trasformarli in un percorso di tipo terapeutico. Ma per coloro che desiderano beneficiare di quest’approccio più integrale, sono disponibili diversi interventi terapeutici rivolti alla cura di disturbi nei livelli o stati transpersonali del loro essere e divenire.

Il suo sistema sembra molto normativo. Come ha scritto in A Sociable God, esso descrive quello che può andare male (aspetto critico) e come le cose dovrebbe essere (aspetto normativo). In che modo si possono coniugare scienza e norme?

Come sempre dipende da quale sia la “scienza” a cui si riferisce. La scienza ristretta non ha norme, la scienza profonda, invece, si occupa continuamente di norme. Generalmente, l’obiezione che la scienza tratti solo di fatti (cosa è) e non di valori o norme (cosa dovrebbe essere) è un’obiezione sollevata unicamente da coloro che credono soltanto nella scienza ristretta (anche se la scienza ristretta dipende anch’essa dalla scienza estesa, come abbiamo visto prima, e la scienza estesa include inevitabilmente norme). Inoltre, la stessa scienza estesa fornisce una guida per identificare norme più o meno autentiche, basandosi (in parte) su una scienza ricostruttiva. Per esempio, la scienza estesa indaga sul dispiegarsi degli stadi della coscienza (come abbiamo visto con Kohlberg e Spiral Dynamics). In quello sviluppo, il cos’è di uno stadio diventa il cosa dovrebbe essere dello stadio precedente, e, quindi, la fattualità è trasformata in tendenze normative a ogni dispiegamento evolutivo. Il cos’è apre la strada al cosa dovrebbe essere, indagato e dimostrato scientificamente. Il gradiente del potenziale dato dallo Spirito risulta essere un gradiente normativo dispiegato nell’evoluzione – così come viene scoperto da una scienza ricostruttiva estesa. Farò un esempio specifico tratto da Spiral Dynamics. Uno psicologo evolutivo che utilizzi una buona scienza ricostruttiva (cioè una scienza che onora i tre criteri – questa è la parte “buona” – quando indaga le realtà interiori/fenomenologiche – questa è la parte “estesa”- in un gruppo di pari che hanno già dimostrato la loro competenza in uno specifico compito evolutivo – questa è la parte “ricostruttiva”), trova che, in generale, lo sviluppo della coscienza procede dal livello beige al livello rosso, al blu, all’arancione (fino a, forse, livelli ancora più elevati). Questa è la conclusione basata su una scienza ricostruttiva che trova questi stadi di evoluzione post factum, non li impone assolutamente attraverso un approccio a priori. Ma, dopo che la scienza ricostruttiva ha dimostrato il cos’è di ogni stadio – cioè, dopo che ha semplicemente descritto, in modo del tutto fenomenologico, le caratteristiche di ogni stadio di sviluppo in una popolazione competente – allora, l’intelletto riflessivo può riconoscere l’esistenza di modelli nello sviluppo successivo. Uno di questi modelli è: ogni stadio successivo implica un aumento di prospettivismo e quindi un aumento della capacità di cura e compassione reciproca (per esempio, è scientificamente dimostrato che il livello arancione ha una maggiore capacità di essere compassionevole del livello rosso). Il cos’è di ogni livello di sviluppo della coscienza apre la strada a un modello di variabili che mostrano un aumento, e quindi il cos’è fattuale di ogni stadio si dispiega in una serie di tendenze normative, in modo tale che è fattualmente vero che la compassione normativa aumenta con lo sviluppo della coscienza (cosa questa stabilita da una scienza ricostruttiva). Quindi, per esempio, SE diamo valore alla compassione, una scienza ricostruttiva può dire: che cosa dovrebbe fare il livello rosso? Dovrebbe continuare il suo sviluppo fino al livello arancione… (E una scienza ricostruttiva più integrale, che spingesse la sua investigazione nelle dimensioni transpersonali, potrebbe dire: SE diamo valore alla compassione, allora il livello arancione dovrebbe continuare il suo sviluppo fino agli stadi causali e nonduali, e questo è un fatto scientifico.)

Può il valore normativo essere ricavato semplicemente e direttamente dalla direzione dell’evoluzione?

Soltanto in un’ottica metafisica, pre-kantiana. Un approccio post-metafisico ed esperenziale nega la natura ontologica dei “livelli di realtà” separati dalla coscienza conoscitiva – e afferma, invece, che le tendenze normative non possono essere semplicemente ricavate dall’evoluzione, ma solo riconosciute nell’evoluzione, con l’aiuto della concreta realizzazione delle onde/livelli più elevati di sviluppo. Questo significa che, la realizzazione delle onde causali e nonduali dello sviluppo della coscienza – garantita da una buona scienza estesa delle dimensioni transpersonali – contiene il fondamento normativo dell’intera sequenza evolutiva. Per questo il Buddha rispose a chi gli chiedeva perché una persona avrebbe dovuto essere morale: “A causa del nirvana”. Il “nirvana” non è, ovviamente, un paradiso mitico o un eterno Aldilà, ma è uno stato di coscienza. Buddha sta dicendo che le azioni morali contribuiscono al dispiegamento del livello più elevato di coscienza conosciuto come nirvana, e, quindi, in aggiunta a qualsiasi valore relativo da esse perseguito di diritto (come, per esempio, accrescere il karma positivo per l’io egoico), il loro valore ultimo si trova nel fatto che esse contribuiscono alla diretta realizzazione dello Spirito. Quindi, il fondamento normativo ultimo dell’intero dispiegarsi evolutivo non può essere dedotto da nessuno stadio o serie di stadi, ma soltanto dalla diretta realizzazione dell’Urgrund stesso, realizzazione garantita da una buona scienza estesa delle onde di sviluppo postrazionali e confermata da una scienza ricostruttiva di coloro che hanno dimostrato competenza in quest’ambito. Il fondamento normativo ultimo, dunque – o cosa dovrebbe essere – viene trovato nel cos’è delle dimensioni transpersonali, dimostrato da una buona scienza estesa e confermato da un’attenta scienza ricostruttiva. Nel dispiegarsi stesso dell’evoluzione, le tendenze normative di alcune variabili mostrano un aumento nel loro sviluppo posteriore, quindi SE diamo valore a queste variabili, possiamo estrarre modelli normativi da quei livelli più elevati. Questi due fattori – l’aumento relativo di certe variabili normative durante lo sviluppo e il loro fondamento ultimo nelle dimensioni transpersonali (o nello Spirito) – possono essere entrambi investigati da una buona scienza estesa e da una scienza ricostruttiva. Ovviamente, coloro che si basano soltanto sulla scienza ristretta non crederanno a niente di tutto questo. Ma essi non credono neppure nella scienza del geist, che dire allora? (Naturalmente, chiedete a uno scienziato “ristretto” perché difende la sua scienza in modo così aggressivo come l’unico approccio corretto alla verità – chiedetegli, cioè, perché dà così tanto valore alle scienze ristrette mentre pretende che la scienza ristretta manchi completamente di valori, e, tuttavia, è la sola verità – e a questo punto la conversazione diventerebbe davvero interessante. Poiché, secondo lui, non ci sono valori nella realtà, da dove esattamente salta fuori il suo?)

Qual è lo status della “scienza critica” in relazione alle scienze più “oggettive”?

Una “teoria critica” può essere sviluppata in qualsiasi disciplina – nell’arte, nella morale, nella scienza. Dipende semplicemente dal fatto che c’è qualcuno che pretende che il suo approccio sia di maggior valore, più autentico, più comprensivo, più accurato, insomma “più qualcosa”. La Scuola di Francoforte, per esempio, ha sviluppato una teoria sociale critica, la cui pretesa era di offrire una maggiore libertà politica e personale. Possiamo avere una teoria critica dell’arte, della morale, della spiritualità, ecc. ma tutte le teorie critiche sono limitate internamente da una serie di pretese normative che devono essere giustificate come imprescindibili e, in un certo senso, vincolanti per gli altri. Ovviamente, questa è la parte complicata della faccenda. Poiché io ho proposto una “teoria integrale” che pretendo sia capace di includere un maggior numero di tipi di verità rispetto alle teorie alternative, devo offrire una serie di giustificazioni per questa pretesa, ed è quello che cerco di fare nei miei libri. Poiché credo che in molti casi posso giustificare la mia pretesa di essere più integrale degli altri, ho spesso criticato le visioni alternative come parziali e “meno integrali” o “meno comprensive” (e quindi, presumibilmente “meno vere”). Quindi sì, la mia è “una teoria integrale critica”. (Vedi l’Introduzione di Jack Crittenden a The Eye of Spirit, dove sintetizza la mia teoria critica.) Devo dire, tuttavia, che considero questa teoria integrale critica ancora molto approssimativa. Parte della difficoltà consiste nel fatto che, a questo stadio preliminare, i miei sforzi per elaborare una teoria integrale sono ancora davvero incompleti e del tutto agli inizi. Ci vorranno decine di anni di lavoro da parte di centinaia di studiosi per dare sostanza e contenuti a una teoria integrale che abbia qualche tipo di veridicità vincolante. Fino ad allora, quello che cerco di proporre sono suggerimenti per rendere le teorie e le pratiche esistenti almeno un po’ più integrali di quanto non lo siano ora…

Come si colloca rispetto a Habermas che difende una scienza critica?

Come molti sanno, considero Habermas il più grande filosofo vivente del mondo. Questo non significa, tuttavia, che io sia d’accordo con tutto quello che sostiene. Ma, in termini generali, mi trovo molto d’accordo con il suo approccio quasi-universalistico; la sua prospettiva evolutiva; i suoi metodi dialogici; le sue tre dimensioni e le sue tre pretese di validità (arte, morale, scienza – una versione dei quattro quadranti); con la nozione di mondo vitale (lebenswelt), da lui propugnata, in aggiunta a quella di sistema; il suo tentativo di ricostruzione di una storia pragmatica della coscienza incarnata; il suo coraggio normativo; la sua integrazione delle pretese trascendentali e delle pretese condizionate dal contesto; la sua posizione critica. Sono, tuttavia, rispettosamente in disaccordo con molti aspetti specifici di queste questioni più ampie; e mi allontano decisamente da Habermas per quanto riguarda le dimensioni pre-linguistiche e trans-linguistiche. Considero del tutto scorretti i modi in cui Habermas mette in relazione gli esseri umani con la Natura preverbale e con lo Spirito transverbale. Un approccio più integrale (o “tutti-i-quadranti, tutti-i-livelli, tutte-le-linee, tutti-gli-stati”) consente di disporre di una visione del Kosmos molto più ampia di quanto non ci permetta Habermas. Molte persone pensano che la spiritualità dovrebbe essere avvicinata attraverso immagini e metafore e non utilizzando trattazioni razionali e accademiche Ancora una volta dipende da cosa intende per “spiritualità”. Alcuni livelli di coscienza hanno aspetti spirituali che è meglio avvicinare attraverso immagini e metafore; alcuni attraverso trattazioni razionali e accademiche; e alcuni attraverso la pratica e la realizzazione dirette. Il mio approccio cerca di rispettarli e includerli tutti. Allo stesso tempo, una teoria integrale critica suggerisce quali di questi approcci sia più autentico di altri; e la conclusione è che tipi differenti di spiritualità corrispondono in modo adeguato a livelli differenti di sviluppo della coscienza. Ci sono tipi differenti di spiritualità che possiamo trovare, di fatto, a ogni livello dello spettro della coscienza. Utilizziamo, in questo contesto, i termini “spiritualità” e “religione” in modo intercambiabile, volendo significare con essi quello che costituisce l’interesse ultimo di un individuo e quello in cui egli pone la sua fede ultima. Per esempio, negli stadi magico e mitico, la religione dogmatica e mitologica non è soltanto il tipo di spiritualità prevalente, è di fatto il solo tipo di spiritualità che può essere sostenuta a quei livelli. Questa spiritualità è metafisica e pre-kantiana in pressoché tutti i sensi, perché confonde strutture della coscienza con livelli ontologici della realtà separati dalla coscienza – ma è completamente adeguata a quei livelli e, in ogni caso, noi non possiamo cambiare adesso il profilo di quelle abitudine kosmiche. Possiamo, però, continuare la nostra evoluzione oltre i livelli mitici fino ai livelli razionali. Agli stadi razionali la spiritualità (o il nostro interesse ultimo e la nostra fede ultima) implica un tipo di approccio razionale-scientifico verso l’universo (dove “scienza” significa sia la scienza del primo livello sia quella del secondo livello). A questi stadi intermedi di coscienza, un individuo crede nei fenomeni razionali ed empirici con una sorta di cieca fede religiosa, anche se non vi è nessuna prova razionale-empirica per farlo: non c’è nessuna prova scientifica che soltanto la prova scientifica sia vera, e tuttavia il livello egoico-razionale crede con tutto il cuore e tutta l’anima che soltanto la razionalità apra i segreti dell’universo. Proprio come nello stadio precedente, quando ci si identificava con la mitologia e, conseguentemente si trovava la propria religione nei dogmi mitici, negli stadi razionali ci si identifica con la ragione e, conseguentemente, si trova la propria religione nei proclami razionali e nella fede scientifica. La religione o l’interesse ultimo di Habermas, per esempio, è la ragione comunicativa ed essa è del tutto appropriata a questi stadi di sviluppo della coscienza. Un credente del livello razionale colloca la sua fede nella ragione, proprio come nello stadio precedente poneva la sua fede nei miti. “Fede”, in tutti i casi citati, non è intesa in senso peggiorativo, ma in senso positivo. Una persona ha fede in ciò che “conosce” come reale e, a ogni livello dello sviluppo della coscienza, una persona entra in contatto direttamente con vari fenomeni della coscienza: ai livelli magici vede fenomeni magici (che in quanto fenomeni sono reali); ai livelli mitici vede fenomeni mitici (che in quanto fenomeni sono reali); ai livelli razionali vede fenomeni razionali (che in quanto fenomeni sono reali); e ai livelli spirituali vede fenomeni spirituali (si pretende ulteriormente che essi sfumino nel noumeno stesso, non in senso metafisico, ma in senso esperenziale, dimostrato da una buona scienza profonda nell’esperienza diretta del satori, per esempio). Quando lo sviluppo continua dalla mente alle dimensioni sopramentali o transpersonali o postrazionali (uno sviluppo che può essere ricostruito razionalmente, ma non ottenuto razionalmente), la spiritualità passa da un interesse ultimo concernente i contenuti della mente a un interesse ultimo concernente i contenuti della coscienza trascendentale in quanto tale (che, poiché trascende e include i livelli precedenti, si rivela idealmente come un approccio integrale alla spiritualità, alla scienza e, in generale, all’universo intero) – passa, cioè, dalla fede nella mente alla fede nello spirito. Come nei livelli precedenti, questa “fede” non è mal riposta; essa è il risultato di una diretta realizzazione della realtà spirituale come si dischiude ai livelli postrazionali dello sviluppo della coscienza. Naturalmente, alcuni individui vedono la realtà spirituale più chiaramente di altri, così come alcuni usano la ragione in modo più brillante di altri. Ma per tutti coloro che continuano lo sviluppo negli stadi transpersonali, una scienza ricostruttiva di quello sviluppo mostra in modo inequivocabile la sua natura sopramentale e spirituale – ma questa è ora una spiritualità basata sulla testimonianza esperenziale diretta (satori) che può essere comunicata all’interno di un gruppo di pari formato da persone che hanno dimostrato competenza in quello sviluppo (sangha). Questa è quindi una spiritualità genuinamente post-metafisica e post-kantiana. Essa abbandona i livelli ontologici della realtà per i livelli postmoderni di coscienza (che sono reali come eventi fenomenologici che si rivelano, alla fine, come potenzialità dello Spirito verso la trascendenza e sono conosciuti direttamente da una buona scienza estesa). Questo genere di spiritualità post-metafisica è stata sviluppata molto chiaramente in Oriente dal genio buddhista Nagarjuna, che utilizzò una dialettica trascendentale simile a quella di Kant (ma Nagarjuna la scoprì 1500 anni prima) per demolire le strutture delle credenze e decostruire radicalmente i miti, così da aprire la strada alle prove empiriche dell’esperienza diretta (o scienza nel senso esteso del termine). Mentre miti e dogmi sono il materiale della spiritualità metafisica, pre-kantiana, l’esperienza diretta e la scienza profonda sono il materiale della spiritualità post-metafisica. Come ho scritto nell’introduzione di Sex, Ecology and Spirituality: “ Se metafisica significa pensiero senza prove empiriche, non c’è una sola frase metafisica in tutto questo libro.” Perciò Habermas afferma che “non c’è alternativa al pensiero post-metafisico”, e io sono completamente d’accordo. Ma quello che Habermas non sembra realizzare ancora è che proprio su questo poggiano le fondamenta senza fondamenta della costruzione di una spiritualità post-metafisica dell’esperienza spirituale diretta che si dispiega nei livelli di sviluppo postrazionali della coscienza, investigati da una buona scienza profonda da parte di coloro che hanno dimostrato competenza evolutiva in queste dimensioni, e confermati da una scienza ricostruttiva dell’intero spettro dello sviluppo nell’arco della vita umana.

Habermas ha scritto circa i movimenti New Age: “Quei movimenti che esprimono un pensiero più serio oscillano all’interno di un ventaglio surreale di visioni del mondo chiuse, costituite da pezzi di teoria scientifica mal concepita. La New Age soddisfa in modo ironico l’intenso desiderio dell’Uno e del Tutto perduti con l’autorità astratta di un sistema scientifico che diventa sempre più incomprensibile. Ma le visioni del mondo chiuse possono stabilizzare se stesse nel mare della comprensione decentralizzata del mondo, soltanto rifugiandosi su isole di subcultura”. Qual è la sua posizione su questo?

Sono d’accordo con Habermas. Ma credo che possiamo essere più specifici nell’analizzare il fenomeno. Innanzi tutto, è vero che gran parte del pensiero New Age soddisfa il desiderio intenso dell’Uno e del Tutto, non soltanto in modo ironico, ma attraverso una regressione vera e propria a stadi anteriori di “unità” e di “totalità”, che non sono, in realtà, totali in nessun senso evolutivo, ma sono semplicemente stadi infantili di fusione e di indifferenziazione, impregnati di visioni magiche e mitiche (cioè i livelli porpora e rosso). Inoltre, è vero che gli approcci New Age più sofisticati fanno ricorso, in qualche modo, alla scienza, ma la scienza è quasi sempre distorta (in particolare la “nuova fisica” e la “rete della vita”) – Habermas ha ragione, questa pseudo-scienza è davvero incomprensibile (e questo vuol dire che non produce prove empiriche, dunque non è vera scienza – è semplicemente una nuova mitologia, da cui la sua natura spesso regressiva). Queste visioni del mondo New Age sono chiuse, sia in termini di sviluppo sia in termini di falsificabilità (e quindi, di nuovo, non sono vere scienze, perché non rispettano i tre criteri di una buona scienza). E, infine, Habermas è nel giusto quando afferma che questi movimenti possono sopravvivere soltanto in isole di subcultura. In America una di queste isole subculturali si trova a San Francisco, per questo io chiamo la versione più diffusa dell’approccio New Age più sofisticato: il “Paradigma 415” (415 è il codice telefonico dell’area di San Francisco). Un’altra isola di queste credenze è Boulder, Colorado, la città dove vivo. Ahimè! Per questo è così importante che la psicologia integrale e tutti i movimenti post-metafisici seri prendano le distanze, ogni qual volta sia possibile, dai movimenti New Age (per questa ragione io stesso non sono più membro del movimento transpersonale americano che ha, purtroppo, tutte le caratteristiche del movimento New Age che Habermas ha descritto). Sempre in questo contesto, è importante anche differenziare la spiritualità post-metafisica dalla filosofia perenne, ed è per questo che non mi sono identificato con essa ormai da più di quindici anni. Alcune delle sue concezioni sono, naturalmente, importanti e meritano estremo rispetto – ma solo quando possono essere ricostruite utilizzando una buona scienza estesa e una scienza ricostruttiva. Ho reiterato la necessità di quest’approccio critico post-metafisico in molti libri recenti, come Sex, Ecology and Spirituality e Integral Psychology. Per coloro che non hanno letto questi libri, nell’Appendice I (vedi sotto) ho incluso molte note tratta da Integral Psychology. Infine, con riferimento a quanto affermato da Habermas, vorrei sottolineare che un certo tipo molto diffuso di credenze New Age è molto affascinante, non soltanto per i livelli prerazionali porpora e rosso (magico e mitico), ma anche per il livello verde (lo stadio di sviluppo pluralistico, multiculturale), e questo perché, molto semplicemente questo stadio pluralistico è caratterizzato da un forte soggettivismo. Il livello (meme) verde riguarda circa il 25% della popolazione dell’America e dell’Europa, quindi, questa porzione dell’isola subculturale più che un’isola è un enorme continente, che Habermas e io facciamo del nostro meglio per trascendere.

Appendice I: Sul bisogno di una Spiritualità Post-Metafisica e Critica

Le note che seguono sono tratte da Integral Psychology. Esse sottolineano, ancora una volta, la mia convinzione che abbiamo bisogno di superare un approccio metafisico (che assume che molti piani o livelli di realtà esistano in un modo radicalmente indipendente dalla coscienza che li conosce) per andare verso un approccio molto più critico (che indaga le strutture del soggetto che conosce l’oggetto o, in questo caso, che conosce i livelli della realtà). Nelle note che seguono, cerco di evidenziare due questioni essenziali: 1) non possiamo più concepire piani o livelli di realtà come strutture ontologiche interamente preesistenti e predeterminate; 2) dobbiamo, tuttavia, continuare a riferirci a livelli ontologicamente reali della realtà, ma soltanto se essi sono concepiti come fondamentalmente co-dipendenti dalla coscienza che li percepisce e li co-crea. Questo ci permette di mantenere piani, livelli e dimensioni della realtà come variabili separate e quasi-indipendenti, ma solo comprendendo che quei livelli di realtà sono correlati internamente con i livelli di coscienza, e se una particolare coscienza umana non percepisce una dimensione, quella dimensione esiste soltanto perché è una dimensione della coscienza contenuta nello Spirito (uno Spirito che la coscienza umana può realizzare direttamente nel satori o nell’illuminazione). Questo implica un definitivo passaggio da livelli indipendenti di realtà conosciuti a priori dalla speculazione metafisica, a livelli di realtà conosciuti dall’esperienza diretta (e quindi continuamente aperti al criticismo e al perfezionamento attraverso la scienza profonda, la ricerca e l’investigazione) – il passaggio, cioè, da una spiritualità metafisica a una spiritualità post-metafisica.

Alcune delle note potrebbero non essere comprese completamente, senza aver letto il libro da cui sono tratte (Integral Psychology), ma, nell’insieme, credo che siano abbastanza chiare e che possano dare un’idea generale.

1.3. (che significa Nota 3 al Cap.1) Come Huston Smith sottolinea nel suo libro Forgotten Truth, nelle grandi tradizioni i livelli di coscienza (o livelli dell’io, del soggetto) sono, a volte, distinti dai livelli di realtà (o piani di realtà) e anch’io seguo questa distinzione. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, devono essere trattati insieme, come aspetti di “essere e conoscenza” di ognuno dei livelli del Grande Campo dell’Essere. In altri termini, le strutture basiche della conoscenza (i livelli della coscienza/io) e le strutture basiche dell’essere (i piani/dimensioni della realtà) sono intimamente e internamente connesse, e, a meno che non sia indicato diversamente, sono entrambe designate dai termini strutture basiche o livelli basici del Grande Campo. (Huston Smith indica questo quando usa la stessa figura di cerchi concentrici per riferirsi sia ai livelli di realtà sia ai livelli di coscienza.) Ma la ragione per cui è necessario distinguerli è che un dato livello di coscienza può incontrare un differente livello di realtà, come vedremo in seguito; è quindi necessario salvaguardarli come variabili indipendenti. Nondimeno, ci sono vantaggi, per la trattazione moderna di questo tema, a mettere l’accento sulla componente epistemologica rispetto a quella ontologica, come mostrerò nella trattazione che segue.

1.5. Questo è simile alla nozione del Buddhismo Mahayana di alaya-vijnana, “il serbatoio collettivo della coscienza” che è presente in ogni persona, e che, si afferma, è il deposito delle tracce della memoria (vasana) di tutte le esperienze passate di se stessi e degli altri (non è solo collettivo, ma anche transpersonale, abbraccia tutti gli esseri senzienti; nel mio sistema si estende dal sottile-superiore fino al causale inferiore). Viene detto che, nei livelli elevati di meditazione, si può contattare questa coscienza transpersonale e questo aiuta a liberarsi dall’identificazione ristretta e limitata all’io individuale. Quindi, secondo il Buddhismo Mahayana, alaya-vijnana è: 1) una dimensione transpersonale reale, una realtà fattuale che esiste in tutti gli individui; 2) tuttavia, raramente si entra in contatto con essa in modo cosciente, quindi per la maggior parte delle persone quel contatto cosciente è solo una potenzialità; 3) come deposito collettivo, esso si evolve e cambia man mano che una quantità crescente di vasana è accumulata collettivamente; 4) quindi i suoi contorni effettivi co-evolvono continuamente con le esperienze delle persone – non è assolutamente un modello predeterminato e immutabile, o un archetipo eterno; 5) anche se si evolve continuamente, ogni persona, in qualsiasi epoca, avendo esperienza diretta di quella dimensione, può essere liberato dalla costrizione dell’individualità; 6) il fatto che questa dimensione sottile si evolva e cambi non significa che non possa, in qualsiasi epoca, dare accesso alla liberazione transpersonale. Naturalmente, la liberazione finale, afferma il Mahayana, si colloca al di là delle forme sottili o vasana, nel senza-forma o causale (e poi nel nonduale). Il causale è il solo “livello” basico che non cambia e non si evolve, perché è puramente senza forma. Ma anche il nonduale in parte si evolve, perché è l’unione del vuoto causale (che non si evolve) con l’intero mondo manifesto (che si evolve). Secondo me, questa concezione (che è una ricostruzione della visione buddhista) è più adeguata di quella che sostiene modelli archetipici eternamente immutabili (cfr. l’Introduzione al Vol. 2 dei Collected Works per una trattazione completa di questo tema, ristampata come Appendice II di questo scritto con il titolo The Nature of Involution; vedi sotto la traduzione); alcuni aspetti del Kosmos devono ancora essere considerati come archetipici, ma il numero è molto minore di quanto abbia generalmente creduto la filosofia perenne. Secondo me, tutti gli oloni dell’esistenza (incluse le strutture basiche) sono, in parte, questi tipi di memorie o abitudini evolutive. E, per la presente discussione, bisogna ricordare che i livelli più elevati si stanno ancora evolvendo essi stessi, e sono, dunque, grandi potenzialità, non assoluti predeterminati, ma questo non impedisce loro di poter liberare dalle costrizioni delle dimensioni meno evolute.

8.1. Come indicato nel testo, gli stati di coscienza sono molto importanti, ma affinché possano contribuire allo sviluppo devono diventare strutture o tratti. Piani e dimensioni sono importanti, ma non devono essere concepite pre-criticamente come realtà ontologicamente indipendenti, ma come coproduzioni degli “io” che li percepiscono (vedi nota 8.2 sotto). Quindi, la generalizzazione più semplice è che lo sviluppo individuale implica le onde/livelli, le correnti/linee e l’io, senza negare in nessun modo l’importanza di tutti quegli altri fattori, gli stati, i piani, i numerosi processi e modelli eterarchici.

8.2. E’ mia opinione che le strutture basiche nel Grande Campo dell’Essere siano simultaneamente livelli si conoscenza e di essere, epistemologia e ontologia. Per le ragioni presentate nel testo (cioè, la modernità rifiuta l’ontologia e accetta solo l’epistemologia), mi riferisco di solito alle strutture di base come “le strutture di base della coscienza” (o “i livelli di base della coscienza”), ma il loro status ontologico non dovrebbe essere trascurato, purché venga considerata la loro interna connessione con la coscienza. Generalmente, la filosofia perenne si riferisce ai livelli di conoscenza come livelli di coscienza (o livelli dell’io) e ai livelli di essere come piani o dimensioni di esistenza (o livelli di realtà), che devono essere intesi come inestricabilmente interconnessi (vedi nota 1.3). Quindi, come ha sottolineato Huston Smith (Forgotten Truth), il livello corporeo di coscienza corrisponde alla dimensione o piano di realtà terrestre dell’esistenza; il livello mentale di coscienza corrisponde alla dimensione o piano intermedio dell’esistenza; il livello di coscienza dell’anima corrisponde al piano celestiale dell’esistenza; il livello spirituale di coscienza corrisponde al piano infinito dell’esistenza. Poiché sono strutture correlative (i livelli di coscienza e i piani di esistenza), io li includo entrambi nell’idea di strutture di base o livelli di base del Grande Campo. Tuttavia, in certi casi è utile distinguerli, poiché un dato livello di coscienza può fare esperienza di un diverso livello o piano di realtà. Ho fatto spesso questa distinzione quando ho analizzato le modalità della conoscenza (vedi Eye to Eye, Cap. 2 e 6; A Sociable God, Cap. 8) e farò lo stesso in questo libro, quando parlerò delle modalità dell’arte. Inoltre, nell’ontogenesi, le strutture si sviluppano ma i piani no (cioè l’io si evolve attraverso piani o livelli potenziali di realtà preesistenti [che preesistono soltanto come gradiente del potenziale di trascendenza]; tuttavia, tanto nell’involuzione del Kosmos quanto nell’evoluzione/filogenesi, anche i piani/dimensioni si sviluppano, infatti si dispiegano dalla Sorgente o si ripiegano in Essa (quindi non possiamo dire che i piani non mostrano nessuno sviluppo: essi si involvono e si evolvono dallo e verso lo Spirito; vedi la nota 1.5, sopra, per i modi in cui i piani stessi co-evolvono). Ma un dato livello dell’io, generalmente, può interagire, in varia misura, con differenti livelli di realtà, per cui è necessario mantenere strutture della coscienza e piani/livelli della realtà come variabili indipendenti. Per esempio, come ho mostrato in Eye to Eye, la coscienza può rivolgere la sua attenzione al piano materiale (utilizzando l’occhio epistemologico della carne), al piano intermedio (utilizzando l’occhio epistemologico della mente), o al piano celestiale (utilizzando l’occhio epistemologico della contemplazione). I piani materiale, intermedio e celestiale sono i livelli ontologici, in Eye to Eye mi riferisco a essi utilizzando i termini sensibilia, intelligibilia e transcendelia (cioè gli oggetti di quei piani o dimensioni). Gli occhi della carne, della mente e della contemplazione sono i livelli epistemologici correlati ai piani ontologici di sensibilia, intelligibilia e transcendelia (e che li dischiudono). (Naturalmente, qui usiamo soltanto la versione semplificata di tre livelli del Grande Campo; se usiamo 5 livelli, ci saranno 5 piani di esistenza e 5 livelli di coscienza correlati, ecc. Nel mio schema, poiché uso spesso da 7 a 9 livelli generali di coscienza, ci sono 7 o 9 dimensioni o piani generali di realtà.) Da notare: si può arrivare allo stesso risultato utilizzando soltanto i livelli di coscienza (poiché essere e conoscenza sono i due lati dello stesso livello). Possiamo dire che la mente può investigare la dimensione intermedia, o possiamo dire semplicemente che la mente può investigare altre menti. Possiamo dire che la mente può investigare la dimensione celestiale, o possiamo dire che la mente può investigare il livello sottile. Si tratta della stessa cosa, purché siamo consapevoli che ogni livello dato di soggettività (o di coscienza) può rivolgere la sua attenzione a qualsiasi livello di esistenza (o piano di realtà). A queste due scale indipendenti, in altri termini, ci si può riferire come “un livello di coscienza investiga altri piani di esistenza”; ma anche come “un livello di coscienza investiga altri livelli di coscienza”, purché siamo consapevoli delle correlazioni implicate. Io utilizzo spesso quest’ultima formulazione perché, come ho detto, questo elimina le speculazioni ontologiche e metafisiche che la modernità, giustamente, trova molto discutibili. La filosofia premoderna era sfrontatamente metafisica (cioè assumeva senza problemi l’esistenza ontologica dei vari piani, livelli, dimensioni della realtà trascendente); mentre la filosofia moderna è stata soprattutto critica (indaga sulle strutture del soggetto del pensare, e mette in dubbio lo status ontologico degli oggetti di pensiero), quindi la modernità ha introdotto un’attitudine critica molto necessaria in questo ambito (anche se ha esagerato nel suo zelo critico e a volte ha cancellato tutti gli oggetti della conoscenza tranne quelli empirici e sensoriomotori). Un problema paralizzante che troviamo nelle tradizioni della filosofia perenne (e in generale negli approcci puramente metafisici) si riferisce al fatto che esse tendono a trattare i livelli ontologici (piani o assi) come se essi fossero preesistenti, indipendenti dal percettore di quelle dimensioni, trascurando così l’enorme quantità di ricerche moderne e postmoderne che dimostrano che i retroterra culturali e le strutture sociali plasmano profondamente le percezioni di tutte le dimensioni (cioè, la filosofia perenne non differenzia sufficientemente i quattro quadranti). Per tutte queste ragioni, parlare semplicemente di “piani” come realtà ontologiche completamente indipendenti è estremamente problematico – ancora una ragione questa per cui io ho cercato di mettere l’accento sugli aspetti epistemologici rispetto a quelli puramente ontologici.

Appendice II: La Natura dell’Involuzione

Il Progetto Atman e Up from Eden contengono entrambi una lunga trattazione dell’evoluzione e una breve, ma importante disamina dell’involuzione. Secondo la filosofia perenne – o il nucleo comune di tutte le grandi tradizioni di saggezza del mondo – lo Spirito manifesta l’universo “riversandosi fuori da se stesso” o “svuotando se stesso” per creare l’anima, che si condensa a sua volta nella mente, che si condensa nel corpo, che si condensa nella materia, la forma più densa di tutte. (Nell’analogia della montagna che ho utilizzato, “l’anima” non è una sostanza o una struttura preesistente ma il potenziale di discesa a 8000 metri; la mente il potenziale di discesa a 5000 metri; il corpo, a 2000 metri; e la materia è l’estremità della montagna con 0 metri di discesa, il punto di partenza per il ritorno allo spirito con 10.000 metri di risalita. Il punto è che questi “livelli” sono semplicemente livelli del gradiente del potenziale esercitato dalla gravità o Eros spirituale, e non strutture preesistenti o realtà completamente indipendenti.) Ognuno di quei livelli è ancora un livello dello Spirito, ma una versione ridotta o “diminuita” dello Spirito. Alla fine del processo di involuzione, tutte le dimensioni più elevate sono ripiegate, come potenziali, nella dimensione materiale che è la più bassa. Quando il mondo materiale viene all’esistenza (con, diciamo, il Big Bang), allora il processo inverso – o evoluzione – può prodursi, passando dalla materia ai corpi viventi, alle menti simboliche fino all’anima radiosa e al puro Spirito. In questo dispiegarsi evolutivo o dello sviluppo, ogni livello successivo non elimina e non rinnega il livello precedente, ma lo include e lo abbraccia, proprio come gli atomi sono inclusi nelle molecole, che sono incluse nelle cellule, che sono incluse negli organismi. Ogni livello è un tutto che è anche parte di un tutto più vasto (ogni livello o struttura è un tutto/parte o olone). In altri termini, ogni dispiegamento evolutivo trascende e include il suo precedente (o i suoi precedenti), con lo Spirito che trascende e include assolutamente tutto il resto. Questa sequenza con le sue modalità – cioè lo Spirito che trascende ma include l’anima, che trascende ma include la mente, che trascende ma include il corpo, che trascende ma include la materia – viene chiamata spesso la Grande Catena dell’Essere, ma si tratta chiaramente di una definizione davvero infelice. Infatti, ogni successivo livello non è un anello ma un “campo” (nest), che include, abbraccia e avvolge i suoi predecessori (o il suo predecessore). La Grande Catena dell’Essere è, in realtà, il Grande Campo (Nest) dell’Essere – non una scala, una catena, una gerarchia a senso unico, ma una serie di sfere concentriche di inclusione olistica crescente. Il Grande Campo dell’Essere è un’olarchia, composta di oloni, uno sviluppo che è un avviluppo. E le tradizioni affermavano che i modelli profondi di questo sviluppo, almeno in un certo qual modo, erano depositati nell’involuzione. Naturalmente, questo solleva la spinosa domanda: poiché le principali dimensioni dell’esistenza sono sedimentate nell’involuzione, allora l’evoluzione non è altro che un percorso completamente determinato? I livelli (o strutture, oloni, stadi) più elevati sono preesistenti come le Forme Platoniche, pronte a cadere dal cielo al segnale stabilito? La maggior parte dei tradizionalisti – come Huston Smith, Fritjof Schuon e Ananda Coomaraswamy – risponderebbero con un deciso “Sì”. Ma io non ho mai potuto essere veramente d’accordo con questa parte della “filosofia perenne” (è una delle ragioni per cui ho scritto “La Neo Filosofia Perenne”, sostituendo il principio centrale delle Forme Platoniche statiche con un “panenteismo” evolutivo). Come la maggior parte degli strutturalisti, i tradizionalisti credevano in Forme astoriche, completamente preesistenti, non toccate dal tempo, dalla storia o dall’evoluzione. Io, invece, sostengo che ci sia davvero un arco involutivo, ma che l’unico aspetto “predeterminato” sia la presenza di alcune potenzialità molto generali per il dispiegamento evolutivo (cioè la spinta della gravità spirituale). Dire che materia, corpo, mente, anima e Spirito sono potenzialità evolutive è dire allo stesso tempo molto e molto poco. Sono d’accordo con i tradizionalisti che queste dimensioni più elevate dell’essere (o stati più elevati di coscienza) sono potenzialità che sono disponibili per noi in ogni momento, se siamo capaci di aprire sufficientemente gli occhi: la ragione per cui sono disponibili, in una certa misura, è l’involuzione: tutte queste potenzialità furono rese disponibili durante l’efflusso o involuzione, quando lo Spirito si è riversato fuori da se stesso per creare le dimensioni di anima, mente, corpo e materia, dimensioni che aspettano di essere riscoperte da tutti coloro che riescono a trascendere i livelli più superficiali per trovare quelli più profondi. Quegli individui, per esempio, che hanno un’intensa esperienza religiosa, il satori, o l’illuminazione, quasi sempre riferiscono che stanno semplicemente riscoprendo qualcosa che una volta sapevano (nell’eternità) e che hanno dimenticato (nel tempo). Le esperienze mistiche profonde portano sempre con sé il sentimento del “ritorno a casa” e mai il sentimento di imbattersi in qualcosa di completamente sconosciuto. Platone, su questo punto, aveva ragione: questo tipo di conoscenza spirituale è un ricordare non un inventare. E ci ricordiamo dei nostri stati più elevati perché sono già dentro di noi come potenzialità, aspettando di essere riscoperti (la riscoperta di qualcosa che abbiamo posseduto, non nell’infanzia, ma nelle profondità del presente senza tempo). In questo specifico senso, abbiamo assolutamente bisogno di un concetto di involuzione per non tradire l’evidenza fenomenologica dell’esperienza spirituale. Ma questo non significa che ogni aspetto dell’evoluzione sia contenuto come deposito nell’involuzione, come se l’evoluzione non fosse altro che il riavvolgimento della videocassetta, per usare questa immagine. Al più, certi tratti profondi delle dimensioni principali sono dati dall’involuzione come potenzialità, ma tutti i tratti di superficie sono creati, plasmati, modellati e formati dalle correnti storiche e dalle forze evolutive. In questo senso, certi tratti profondi sono ricordati, ma i tratti superficiali sono appresi. E, come ho già spiegato sopra, io penso che perfino i tratti profondi degli oloni siano parzialmente modellati dalle forze formative del tempo. Dico “parzialmente” perché se fossero plasmati totalmente dalle pressioni evolutive, dovremmo allora spiegare la formazione delle pressioni evolutive stesse, cosa che richiederebbe almeno alcune forze che non provengono dall’evoluzione. Lo Spirito, in altri termini, non è una macchina deterministica, ma al contrario una Spirito organicamente vivace, il cui svago (lila) preferito include il meraviglioso gioco della “sorpresa” in ogni occasione, scalzando qualsiasi determinismo come fa sempre l’impulso creativo. Penso all’involuzione utilizzando l’analogia dell’elastico: se lo allunghiamo abbiamo l’involuzione che produce una forza (cioè l’Eros) che , in seguito, attira di nuovo all’indietro i due capi dell’elastico (materia e spirito) e li fa tornare insieme – in altri termini, si tratta di una forza involutiva che tira a ritroso l’evoluzione facendola dispiegare. Ma il cammino concreto intrapreso in questo ritorno, e la sua meravigliosa diversità, è una co-creazione di ogni olone e della corrente di Eros in cui l’olone galleggia in modo libero e fluido. Naturalmente, siete totalmente liberi di credere nell’evoluzione e di respingere la nozione di involuzione. Io penso che questa sarebbe una posizione incoerente, ma voi potete concordare con tutto quello che, nelle pagine seguenti riguarda l’evoluzione della cultura e della coscienza, e rifiutare o rimanere agnostici circa l’involuzione. Ma la nozione di una forza involutiva precedente aiuta moltissimo a risolvere il puzzle, altrimenti impenetrabile, dell’evoluzione darwiniana che ha cercato di spiegare, non ottenendo mai il benché minimo successo, perché a un certo punto sulla terra un mucchietto di fango si sia alzato in piedi e alla fine abbia cominciato a scrivere poesie. Questa nozione di evoluzione come Eros, o Spirito-in-azione, che agisce attraverso il mondo con una, per usare le parole di Whitehaed, gentile persuasione verso l’unità, contribuisce a fare luce sull’inesorabile cammino evolutivo dalla materia, al corpo, alla mente, all’anima fino all’Auto-riconoscimento di Se Stesso da parte dello Spirito. L’Eros, o lo Spirito-in-azione, è quell’elastico intorno al vostro collo e al mio che ci tira, ci tira tutti indietro, verso casa.

INTERVISTA A KEN WILBERultima modifica: 2018-03-22T09:57:23+01:00da mikeplato
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