DAL FUSUS AL HIKAM di IBN ARABI

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La sapienza della verità (al-hikmat al-Haqqiyah) nel Verbo di Isacco

Il riscatto d’un profeta [Isacco essendo stato profeta] con

Come possono equivalersi il belato d’un ariete e la parola

l’offerta d’un animale in olocausto: umana?

Dio il Magnifico [dicendo nel Corano: «E l’abbiamo riscattato

con un grande olocausto»] magnificò l’ariete,

Aiutandolo a mezzo nostro o aiutandoci a mezzo suo[1],

non vedo mercé quale equilibrio …[2].

Il cammello e i bovini sono senz’altro di piu gran taglia,

E tuttavia cedono il posto a un ariete offerto in olocausto.

Perché mai non posso sapere come un ariete abbia sostituito

Col suo piccolo corpo il vicario del Clemente in terra?

Ma non vedi che il comando [d’immolare un ariete anziché

Isacco] implica un ordine logico,

Garantendo il profitto e compensando la perdita?[3].

Poiché non v’è creatura [terrena] superiore al minerale,

Poi al vegetale, secondo i suoi gradi e funzioni;

E dopo la pianta in tale gerarchia vi è l’animale[4];

Ciascuno [degli esseri di questi tre regni] conosce il suo

Creatore per diretta intuizione (kashf) e chiari segni[5];

Mentre l’uomo è condizionato [nella sua conoscenza di Dio]

dalla ragione, dal pensiero e dal dogma del suo credo.

Questo affermò Sahl [at-Tostari] e il conoscitore della realtà[6], come noi,

Giacché tutti – noi e voi- dimoriamo nella stazione della

virtu contemplativa (al-ihsan).

Chiunque contempli la realtà da me contemplata,

Dirà lo stesso, in segreto e palesemente.

Non ti volgere quindi a coloro che ci contraddicono,

E non seminare il grano nella terra dei ciechi!

Poiché sono essi i sordi e i muti di cui parla – per le nostre orecchie –

L’immune da peccato [il Profeta] nel Corano.

Sappi – e Iddio aiuti te e noi – che Abramo, l’amico di Dio, disse a suo figlio: «…in verità, ho veduto in un sogno [profetico] che t’immolavo»[7]. Ora il sogno dipende dalla Presenza immaginativa (hadarat al-khayal) [vale a dire dalla Presenza divina nelle forme o immagini sottili]; tuttavia Abramo non traspose il sogno [dal simbolo alla realtà simboleggiata, come conviene fare per ciò che si manifesta in questo stato]: un ariete era apparso in sogno nella forma del figlio di Abramo, e Abramo credette al sogno; ma Dio riscattò il figlio dall’illusione (wahm) di Abramo col «grande olocausto» [dell’ariete], che era la trasposizione divina della visione, trasposizione di cui Abramo non era stato consapevole[8].

Difatti la rivelazione formale nella Presenza immaginativa può essere compresa solo con l’ausilio di un’altra scienza che permetta di discernere quanto Dio vuoi farci intendere con una forma determinata. Ricordi che l’Inviato di Dio – su di lui la benedizione e la pace! – disse ad Abu Bakr, allorché questi interpretò un sogno: «Ne hai indovinato una parte, e dell’altra non hai colto il significato?». Allora Abu Bakr domandò al Profeta di fargli sapere cosa avesse detto di giusto e dove si fosse ingannato, ma il Profeta non rispose[9].

Dio disse ad Abramo, quando gli parlò: «In verità, o Abramo, tu hai creduto alla visione!»[10], e ciò non significa che Abramo, credendo di dover immolare suo figlio, fosse stato fedele all’ispirazione divina; aveva infatti interpretato la visione alla lettera, mentre ogni sogno esige una trasposizione o interpretazione. Per questo il signore di Giuseppe in Egitto disse: «…se sapete interpretare i sogni»[11]; interpretare equivale a trasporre la forma percepita in un’altra realtà; [nel caso ricordato] le giovenche accennavano ad annate fertili o sterili. Se Dio avesse lodato Abramo per la fedeltà alla visione, questi avrebbe dovuto uccidere veramente suo figlio, poiché aveva creduto che il sogno ne indicasse l’immolazione, e invece simboleggiava, nella prospettiva divina, il «grande olocausto» [dell’ariete] [12]. Il figlio fu dunque riscattato solamente nel pensiero di Abramo, non nella realtà e nella prospettiva divina.

Vi è pertanto analogia tra la forma corporea dell’ariete e quella immaginaria del figlio d’Abramo. Se Abramo avesse visto in sogno un ariete, l’avrebbe interpretato come significante suo figlio o altro. Dio disse poi ad Abramo: «In verità, questa è la prova [resa] evidente»[13], ciò vuoi dire che Dio lo mise alla prova nella sua conoscenza, sperimentando se sapesse o meno quanto la prospettiva propria della visione immaginativa esiga come interpretazione[14]. Giacché Abramo sapeva bene che lo stato cosmico dell’immaginazione richiede un’interpretazione, ma non ne tenne conto, non considerando la condizione inerente allo stato  [in questione]; credette alla visione come si manifestava[15], al pari di Taqi ibn Mukhallad, il tramandatore di tradizioni orali, che apprese da fonte certa il detto del Profeta: « Chi mi vede in sogno, mi vede come nello stato di veglia, poiché Satana non assume il mio aspetto »; ora T aqi ibn Mukhallad vide in sogno il Profeta che gli diede da bere una coppa di latte: egli credette alla visione, però si sforzò di vomitare [per appurarla], e allora rigettò del latte sufficiente a riempire una coppa. Se avesse interpretato il sogno, avrebbe saputo che il latte significa la conoscenza, [ma agendo in quel modo] si defraudò di una grande conoscenza nella misura di quanto ne bevve. Non vedi che l’Inviato di Dio – su di lui la benedizione e la pace! – ricevette in sogno un bacino di latte e raccontò d’averlo bevuto «finché la sazietà mi uscf dalle unghie, e cosf mi fu dato ciò con cui hv colmato Ornar»? Gli chiesero: «E cosa lo ritieni [il latte], o Inviato di Dio? ». Rispose: «Conoscenza». Egli non lo ritenne dunque semplicemente latte, sapendo che lo stato in cui avvenne la visione esige una trasposizione. Sappiamo che la forma corporea del Profeta – lo benedica Iddio e gli doni la pace! – è sepolta a Medina, e che la sua forma spirituale – al pari della sua realtà sottile – non è mai stata vista da nessuno; non possiamo infatti neppure vedere la nostra forma spirituale, e lo stesso avviene per ogni spirito. Ma lo spirito del Profeta assume, allorché appare in sogno a qualcuno, la forma del suo worpo come era prima della morte, senza alcuna imperfezione[16], di modo che è veramente Muhammed – su di lui la pace! – ad apparire col suo spirito in un corpo sottile (jasad) che somiglia al suo corpo sepolto, giacché Satana non può assumere la forma sottile del Profeta, Dio proteggendo cosf chi la vede. Colui che vede il Profeta in tale forma, riceva quindi gli ordini che il Profeta gli potrà dare o gli annunzi che gli comunicherà, come si ricevettero i suoi insegnamenti quando era vivo, conformemente al significato immediato, figurato o implicito delle parole, o qualunque sia la forma dell’espressione.

Ma se il Profeta gli dà una cosa [in sogno], questa sarà soggetta alla trasposizione, a meno che essa si manifesti nello stato di veglia qual era in sogno, poiché allora non va fatta alcuna trasposizione nei suoi confronti. In tale aspetto del sogno fidarono Abramo, l’amico di Dio, e Taqi ibn Mukhallad.

Dal momento che la visione [in sogno] comporta questi due aspetti [l’uno diretto e l’altro soggetto all’interpretazione], e che Dio c’insegnò quale debba essere il nostro atteggiamento mediante ciò che fece e disse ad Abramo – [questo insegnamento] appartenendo proprio alla funzione profetica [d’Abramo] – sappiamo che vedendo Iddio – lode a Lui! – in una forma che il ragionamento rifiuta [come Dio, infatti è la ragione a inferire la trascendenza], dobbiamo interpretare tale forma come se fosse la Divinità condizionata, sia per lo stato di chi la vede, sia per il «luogo» cosmico (al-makdn) in cui è vista, oppure per ambedue le circostanze. Viceversa, se il ragionamento non la rifiuta, la consideriamo direttamente per quello che è, come quando vedremo Dio nell’al di là … All’Unico, al Clemente (ar-rahman) appartengono, in ogni stato d’esistenza, tutte le forme nascoste o palesi. Se dici: questo è Dio! dici il vero; ma non appena affermi altro, allora interpreti. Il suo principio [di manifestazione] non muta da uno stato d’esistenza a un altro; ma Egli genera la verità per le creature. Allorché Egli si rivela alla vista, le ragioni lo rifiutano con prove inesistenti; è invece accettato nella sua rivelazione intellettuale e in quella che si denomina immaginazione (khayal); però la vera [visione] è la «visione» diretta.

Abu Yazid [al-Bustami] disse di tale stazione spirituale: «Anche se il Trono divino e tutto ciò che esso racchiude fossero contenuti cento milioni di volte in un cantuccio del cuore del conoscitore [di Dio], costui non li sentirebbe». È questa l’ampiezza di Abu Y azid nel mondo delle forme « corporee » [poiché il Trono è qui concepito simbolicamente come una forma estesa]; ma io dico: anche se l’indefinito di tutto quello che esiste potesse essere concepito come definito e fosse contenuto, con l’essenza (al-‘ayn) che l’unisce, in un cantuccio del cuore del conoscitore [di Dio], costui non ne sarebbe consapevole; si dice infatti che il cuore contiene Dio – a Lui la lode – e tuttavia non raggiunge la saturazione; e se fosse colmo, sarebbe saturo. E l’affermò pure Abu Yazid[17].

Abbiamo già alluso a questa stazione spirituale dicendo: o Tu, che crei le cose in te stesso, Tu includi tutto ciò che crei; ora Tu crei ciò la cui esistenza non ha fine in te, cosicché sei l’Angusto, il Vasto! Se quanto Egli creò fosse nel mio cuore, l’alba rilucente di Dio non vi brillerebbe; ma colui che contiene Dio non  esclude alcuna creatura; come accade dunque questo, o Tu che ascolti? Ogni uomo crea per congettura (wahm), nella sua facoltà immaginativa, quello che non ha esistenza al di fuori di questa.

Ed è una cosa comune. Il conoscitore [di Dio] però crea con la sua volontà spirituale (al-himmah) quello che acquisisce un’esistenza al di fuori della sede di tale facoltà[18]. Tuttavia la volontà spirituale non cesserà di conservare in esistenza quanto ha creato, senza che sia alterata da questa conservazione; ogni volta che il conoscitore scorda di mantenere cosi in vita la creazione della sua volontà spirituale, la sua creatura cessa d’esistere; salvo che il conoscitore abbia attuato tutte le Presenze [divine] e non ne dimentichi alcuna; senza dubbio la sua coscienza si concentrerà necessariamente su una Presenza [e non su tutte nello stesso tempo, giacché egli stesso cesserebbe allora d’esistere]; ma se il conoscitore ha creato con la sua volontà spirituale ciò che ha creato, e possiede questa conoscenza totale [che include in teoria tutte le Presenze divine], la sua creatura manifesterà la sua «forma» [vale a dire la «forma» del conoscitore] in ciascuna Presenza, di modo che le «forme» [analoghe, apparenti nei diversi stati] si sostengono reciprocamente in esistenza[19]; se il conosçitore diviene inconsapevole di una qualsiasi Presenza – o di piu Presenze – pur sostenendo, nella Presenza [divina] che egli continua a contemplare, l’esistenza della « forma» da lui creata, tutte le « forme » [analoghe] saranno conservate con il mantenimento di questa «forma» particolare nella Presenza di cui egli rimane consapevole. Difatti l’inconsapevolezza non è mai totale, né negli uomini ordinari né negli eletti. Con questo ho esposto un segreto della natura di ciò che gli iniziati hanno sempre serbato gelosamente nascosto, perché comporta una confutazione della loro pretesa all’identità con Dio; in realtà Egli – sia lode a Lui! – non è mai inconsapevole di nulla, mentre il servo è necessariamente inconsapevole di una certa cosa a vantaggio di un’altra; ora, in quanto il servo mantiene da sé in esistenza quello che creò, può dire: sono Dio; ma egli non lo mantiene nel senso della conservazione divina; ne abbiamo appena spiegato la differenza.

In quanto il servo rimane cosciente di una delle «forme» in una Presenza particolare, egli si distingue da Dio; se ne distingue di necessità, quantunque tutte le «forme» [analoghe] siano mantenute in vita con la conservazione di una sola di esse che appare nella Presenza di cui il conoscitore resta cosciente – la qual cosa è una conservazione per garanzia implicita – giacché la conservazione cHvina riguardante il creato non è cosf, ma Iddio conserva ciascuna «forma» in particolare. Nessuno, né io né altri, ha mai scritto finora sull’argomento da me esposto; la sua menzione è pertanto unica nel suo tempo e senza precedenti, cerca di non dimenticarlo!

Sia la Presenza [divina] di cui rimani cosciente, sia la «forma» ad essa corrispondente sono paragonabili al Libro dove Dio in scrive ogni cosa: «…non abbiamo trascurato nulla nel Libro»[20]. cosicché questo integra a un pari ciò che è manifestato e ciò che non lo è[21]. Ma nessuno comprenderà il nostro dire eccetto colui che è egli pure Corano[22]. D’altronde chi « teme» Dio sarà dotato della « discriminazione » (al-furqân)[23] [che distingue l’assoluto dal condizionato], secondo la sentenza divina [«O voi che credete, se temete Iddio, Egli vi doterà d’una discriminazione», Cor., VIII, 29]. Ora tale discriminazione conviene appunto a quel che dicevamo sul modo con cui il servo si distingue dal Signore. Questa è la piu elevata «discriminazione» concepibile.

Una volta, senza dubbio, il servo sarà Signore [per l’unione];

E un’altra, di certo, il servo sarà servo [per la discriminazione].

Se è servo, è vasto grazie a Dio,

E se è Signore, è in una vita angusta.

In quanto è servo, egli vede la sua essenza, e le sue speranze si ampliano a cominciare da lui; ma in quanto è Signore [per l’estinzione dell’individualità nella pura luce intellettuale], vede il cosmo intero, dalla terra agli angeli, che lo sollecita, e si vede impotente a soddisfare la sua richiesta da solo [perché rimane servo nonostante il suo riassorbimento nella luce divina].

Vedrai perciò piangere alcuni contemplativi. Sii dunque servo [per la tua coscienza manifesta, pur essendo] Signore [per la tua identificazione essenziale con Dio] e non essere [nella tua coscienza distintiva] Signore del proprio servo, affinché tu non diventi preda del fuoco [del rigore divino], e non sia dato alle fiamme[24].

[1] L’animale sacrificato, sostituendo la vttuma umana, « aiuta». l’uomo nella riconciliazione col «cielo». Il sacrificatore favorisce per altro l’animale facendolo partecipe della funzione sacerdotale dell’uomo, mediatrice tra il «cielo» e la «terra». L’Islam, al pari del Giudaismo, perpetua ritualmente il sacrificio di Abramo con l’immolazione di un ariete. Il sacrificio d’Abramo prefigura per i cristiani quello di Cristo, a sua volta perpetuato nel rito eucaristico.

[2] L’oggetto da sacrificare può essere sostituito solo da quanto lo contiene essenzialmente.

[3] Se l’uomo è superiore all’animale per la partecipazione attiva all’intelligenza, l’animale è da parte sua superiore all’uomo per la natura primordiale, ossia per la fedeltà alla norma cosmica; in questo senso l’animale nobile rivela un aspetto interiore e sovrarazionale dell’essenza stessa dell’uomo, e ciò costitUisce l’«ordine logico». del sacrificio, «garantendo il profitto» per l’uomo e «compensando la perdita» per l’animale.

[4] Affermazione che pare contraddire la dottrina rivelata secondo la quale l’uomo è il vicario di Dio in terra, tutti gli altri esseri terreni essendogli soggetti. Tuttavia, se è cosi in una determinata prospettiva, cioè in quella che considera le possibilità spirituali degli esseri, l’ordine contrario è altrettanto vero in un’altra visuale, poiché la perfezione «sostanziale,. Degli esseri è in un certo senso all’opposto delle loro virtualità essenziali; il mondo – dice Ibn ‘Arabi nel capitolo su Seth – è simile a uno specchio « dove la realtà s’inverte e diviene ambigua ». Proprio grazie a questa legge d’inversione il diamante, ad esempio, è l’immagine piu perfetta dello Spirito – o Intelletto – sebbene questo sia atto puro e il minerale quanto di piu passivo esista nel mondo. La superiorità dell’uomo sugli altri esseri terreni – creati prima di lui – è di natura relativamente « interiore», mentre la superiorità dell’animale sull’uomo, o della pianta sull’animale, o del minerale sulla pianta, consiste in una maggiore « esteriorizzazione,. delle perfezioni essenziali. Vedasi in proposito: Frithjof Schuon, De l’Unité transcendante des Religions, Paris, 1979, pag. 75 e segg. (tr. it. Unità trascendente delle Religioni, Edizioni Mediterranee, Roma 1980, pag. 66 e segg. – N.d.E.).

[5] Cioè con una contemplazione in certo qual modo naturale, che si confonde con la « forma » essenziale della specie.

[6] Il sufi Abu Yazid al-Bustami.

[7] Cor., XXXVII, 102.

[8] Ibn ‘Arabi indica, nel capitolo su Enoch, un altro aspetto di questo sacrificio, d’un ordine ancora piu «interiore»: il figlio è il simbolo dell’anima – o della realtà interiore – del suo procreatore; l’immolazione del proprio figlio significa pertanto il sacrificio di se stesso; cosi l’ariete è il simbolo dell’anima di Abramo. Questi da una parte vide la sua anima, nella sua visione interiore, nella forma del figlio, e dall’altra essa gli apparve, nel mondo esteriore, nella forma ,dell’ariete. – Va precisato che il Corano parla di una visione (ruya) o di un sogno profetico che aveva indotto Abramo ad immolare il figlio. L’episodio commentato mostra la duplice rifrazione delle realtà eterne nel mondo delle forme. che si distingue in un ambito «soggettivo» e in uno «oggettivo», ambedue racchiusi nell’«immaginazione» (al-khayal) cosmica; l’apparizione dell’anima nella forma del figlio deriva da una proiezione «soggettiva», mentre la trasposizione del figlio nell’ariete nasce dal complementarismo tra il microcosmo e il macrocosmo: in questo caso l’animale sacrificale occupa il grado che spetta simbolicamente al « figlio dell’uomo».

[9] Ecco la vicenda. «Un uomo andò dal Profeta e gli disse: Questa notte ho visto in sogno una nuvola da cui cadevano grasso e miele. E vidi la gente che ne raccoglieva con le mani: alcuni ne ricevevano molto e altri poco. E vidi una corda che scendeva dal cielo alla terra: tu l’afferrasti e fosti elevato al cielo; un uomo l’afferrò dopo di te e fu pure elevato; poi un altro uomo la ghermi e fu anch’egli elevato; quindi la prese un altro e ne fu escluso, più tardi essa gli pervenne ancora e fu elevato. – Allora Abu Bakr disse: O Inviato di Dio, per mio padre, per te e per Dio, se me lo concedi l’interpreterò. L’Inviato di Dio rispose: Interpretalo. Abu Bakr disse: Per quanto concerne la nuvola, essa è la nuvola dell’Islam; circa il grasso e il miele che ne cadono, essi significano la dolcezza e l’unzione del Corano, di cui la gente raccoglie piu o meno. La corda che scende dal cielo sulla terra è la verità che tu possiedi: tu l’afferri e Dio ti eleva per mezzo di essa; poi un uomo la prende dopo di te e ne è elevato; poi un altro uomo l’afferra e ne è elevato; quindi l’afferra un altro e ne è escluso, piu tardi essa gli giunge ancora e ugualmente lo eleva. Dimmi ora, o Inviato di Dio, per mio padre, ho detto il vero o il falso? L’Inviato di Dio rispose: Ne hai indovinato una parte, e dell’altra non hai colto il significato. Abu Bakr replicò: Per il Signore, o Inviato di Dio, raccontami ciò di cui non ho colto il senso. Egli rispose: Non mi costringere!». – An-Nabulusi, che narra l’episodio secondo Muslim, fa notare che la visione dei tre uomini che afferrarono la corda dopo il Profeta si riferisce probabilmente alla storia dei tre califfi, il primo di essi fu lo stesso Abu Bakr e il terzo Othman, contro il quale si sollevarono altri musulmani, e che fu assassinato dai rivoltosi e riconosciuto santo dopo la morte.

[10] Cor., XXXVII, 105.

[11] Cor., XII, 43.

[12] Cosi la visione d’Abramo suggeriva proprio l’immolazione rituale dell’ariete, altrimenti non sarebbe stata profetica. Soggiungiamo che si trattava di un « grande olocausto » perché doveva da allora sostituire l’immolazione rituale di vittime umane. Vedasi al riguardo: Frithjof Schuon, L’Dei/ du Coeur, cap. Du sacrifice – Dervy-Livres, 1974 (tr. it. L’Occhio del Cuore, cap. Il racrificio, Edizioni Mediterranee. 1982 – N.d.E.).

[13] Cor., XXXVII, 106.

[14] Dio, secondo l’interpretazione comune di questa storia sacra, provò Abramo nella fedeltà, non nella conoscenza, e questo significato parrebbe imporsi come il piu religioso; tuttavia ogni « prova » divina è riducibile alla fin fine a una limitazione della coscienza di chi la subisce, limitazione che può essere sostanziale, come presso la maggior parte dei mortali, oppure accidentale e insieme provvidenziale, come accade ai profeti: la prova dipende sempre da un’apparente contraddizione delle promesse pivine o piu genericamente delle rivelazioni divine; chi si pone intellettualmente al di sopra del piano relativo ove appaiono tali contraddizioni, non le subisce piu. La prova d’altronde ha appunto lo scopo di far superare l’ambito dei contrasti «immaginari >>. L’ordine apparente di immolare il figlio contraddiceva, nel caso d’Abramo, la promessa di posterità fattagli da Dio prima della nascita del fanciullo. La rassegnazione d’Abramo al sacrificio della sua posterità era. in un’altra ottica, la condizione intrinseca per la << sacralizzazione >> di questa. Nella prospettiva cristiana si dirà che il sacrificio intenzionale d’Abramo preparava la venuta di Cristo. – Si noterà cosi che la fede nelle promesse divine, malgrado la loro apparente oscurità, sostituisce tempor;meamente la conoscenza di quanto esse implicano, e ne richiede infine la conclusione.

[15] Difatti, come si vedrà in seguito, vi sono talune apparizioni nel mondo del sogno che vanno interpretate alla lettera, senza far uso per esse della legge dell’analogia capovolta. Queste apparizioni sono in un certo senso perfettamente simboliche, e non accidentalmente soggette alle condizioni dello stato immaginativo; è il caso, per l’Islam, delle apparizioni del Profeta.

[16] Considerato che il Profeta stesso è il simbolo per eccellenza, la sua apparizione nel sogno non può subire rifrazioni che ne capovolgerebbero la forma. E diremo che nel mondo cristiano le apparizioni della Vergine hanno un carattere altrettanto diretto, mentre quelle di Cristo non ricadono necessariamente in questa legge, perché Cristo s’identifica per il cristiano con la Divinità che, dal canto suo, si manifesta in tutti gli aspetti possibili. I grandi maestri dell’esicasmo, ad esempio, hanno sempre ammonito contro le apparizioni sataniche imitanti l’immagine di Cristo; ovviamentesiffatte apparizioni includeranno sempre qualche segno della loro falsità. La persona del Profeta – come quella della Vergine – comporta una «qualità di servo» (‘ubudiyah) perfetta, che Satana non può imitare.

[17] Avendo ricevuto da Sahl at-Tostari il messaggio: «Ecco un uomo che bevve una bevanda che Io lascia dissetato per sempre», Abu Yazid rispose: «Ecco un uomo che bevve tutte le esistenze. ma la cui bocca è secca e brucia di sete».

[18] Cioè: la forma cosi creata, sebbene sia di natura sottile, non ha solamente una realtà soggettiva. Per questa «creazione» La facoltà immaginativa (al-khayal) avrà solo la funzione della sostanza passiva; la forma qualitativa della « creatura,. sarà determinata da al-himmah, ossia la «volontà spirituale» o «forza di decisione spirituale», che, da parte sua, non ha impulso puramente individuale, ma corrisponde al raggio dell’attività divina nell’uomo. Si noti l’antinomia tra la congettura (al-wahm), termine che significa alt resi opinione o sospetto) e la volontà spirituale (al-himmah).

[19] Poiché questa «creatura» è l’oggetto di un’incessante concentrazione spirituale, non può essere altro che il simbolo dell’Essenza. È d’uopo quindi accostare il passo a ciò che lbn ‘Arabi dice altrove, nel capitolo su Muhammed, circa l’impossibilità di «contemplare» senza un sostegno l’Essenza. – ‘Abd al-Karim al-Jili scrive in al-insan al-kamil: «Se l’immaginazione modella nella mente una forma qualsiasi, questa forma immaginaria è creata; ora il Creatore è presente in ogni creatura; del resto tale immagine è in te, cosicché tu sei, rispetto ad essa, come Dio (al-haqq). La plasmazione delle forme [mentali] spetta necessariamente a te, ma in Dio. c Dio (al-haqq) vi è presente» (capitolo ar-rahmfzniyah). La Presenza divina nelle forme mentali, come viene considerata da ‘Abd al-Karim al-Jili, è puramente principiate; se la forma mentale corrisponde però a un simbolo rivelato. la Presenza vi sarà virtuale, e se l’atto totale dell’uomo, al-himmah. coincide col simbolo, la Presenza divina sarà attuale; Ibn ‘Arabi considera il secondo caso. Il simbolo, attraverso la sua attualizzazione spi· rituale, acquisisce una realtà indipendente dalla sfera individuale del contemplativo, e poiché comporta veramente ciò che esprime, esso riassume tutte le modalità della Presenza divina o tutti gli stati dell’Essere; per altro, dal momento che il contemplativo s’identifica egli stesso, con il suo atto totale, con tale forma simbolica, questa lo « dispiega » a sua volta in tutti gli stati dell’Essere. Cfr. in proposito anche: Frithjof Schuon, L’Oeil du Coeur, cap. Microcosme et Symbole.

[20] Cor., VI, 38.

[21] Ossia la «Presenza reale», che ha per sostegno la forma del simbolo, attualizzata dalla concentrazione spirituale, implica ogni realtà in modo totale e indifferenziato.

[22] Colui che si trova lui stesso in uno stato di conoscenza totale. Al-qur’ân, letteralmente «la lettura» o «la recitazione», designa l’aspetto unitivo della rivelazione e conseguentemente la conoscenza unitiva in generale, cioè la conoscenza dell’unità essenziale tra l’increato e il creato.

[23] Al-furqân, «la discriminazione», indica l’aspetto legislativo della rivelazione e pertanto la conoscenza distintiva, o meglio la discriminazione tra l’increato e il creato. La conoscenza unitiva si riflette nell’amore, mentre la discriminazione ha come corollario psichico il timore. Nella via spirituale i due aspetti della conoscenza devono equilibrarsi.

[24] L’intero passo si riferisce all’economia spirituale regolata dai due aspetti, unitivo e discriminativo, della conoscenza.

DAL FUSUS AL HIKAM di IBN ARABIultima modifica: 2018-06-01T13:23:55+02:00da mikeplato
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