EBRAISMO e GIUDAISMO

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di Alessandro Conti Puorger


I fatti riportati dalle Sacre Scritture canoniche della Tenak ebraica e della Bibbia cristiana portano a dedurre un progressivo sviluppo delle religioni abramitiche la cui nascita è attribuita a rivelazioni successive, ma soggette ad evoluzioni in lunghi tempi intermedi di sedimentazione e di chiarificazione.
Risultano, infatti, sussistere negli sviluppi successivi all’entrata nella terra promessa del popolo ebraico, alcuni evidenti contrasti tra le vicende narrate e le norme della Torah, che per come l’espongono i testi sacri sarebbero state invece date sin dai tempi di Mosè con una rivelazione completa sul Sinai da parte Dio stesso, tanto che Gesù poi al riguardo in Matteo 5,17 ebbe a dire: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.”
La religione degli ebrei, infatti, pare solo sbocciare con la rivelazione ai tempi di Mosè per poi svilupparsi, così da divenire sempre più spirituale, in un terreno di superstizione e di culti pagani anche violenti, facendosi sempre più pura.
Ciò fa pensare che la Torah che c’è pervenuta possa essere frutto d’esperienza di vita di un popolo che ebbe il vantaggio di credere nel Dio Unico, quindi una raccolta postuma, sia pure attorno ad un nocciolo originario rivelato.
Tutto ciò fino alla successiva rivelazione, fondamento della fede dei seguaci di Gesù di Nazaret, vale a dire dei cristiani.
Pare proprio che al riguardo sia accaduto come dice Gesù sul Regno di Dio in:

  • Marco 4,27-29 – “Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura.”
  • Marco 4,30-32 – “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra.” (Marco 4,30-32)

In sintesi si può individuare:

  • un pre ebraismo, con un seme di rivelazione;
  • l’ebraismo, con un fatto, una liberazione, indi la rivelazione al popolo;
  • il giudaismo, l’albero con i frutti;
  • l’innestò della nuova rivelazione del cristianesimo.

Il pre ebraismo o rivelazione ai patriarchi, iniziato in tempi proto storici, trattati in pratica pressoché esclusivamente dal libro della Genesi, è caratterizzato:

  • dalla fede in un Dio Unico chiamato “‘El”, “‘Elohi”, “‘Elohim”, “Shaddai”;
  • da patti personali di Dio con i singoli “patriarchi”;
  • dal rispetto di leggi semplici, individuate ancor prima di Abramo nelle 7 leggi noachiche,
  • dal rispetto del patto della circoncisione.

In Israele, i luoghi delle teofanie del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe hanno reso santi i centri di pellegrinaggio successivi del popolo della terra promessa come Sichem, Betel e Mamre, Gerusalemme.
Quel tempo poi è caratterizzato dalla tendenza al nomadismo ed alla pastorizia.
Appaiono sacrifici d’animali, ma non di esseri umani.
È importante il rispetto dell’ospitalità.
Sono favorite scelte di matrimoni endogamici, cioè nell’ambito della familglia e del clan: “Ricordati di Noè, di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nostri padri fin da principio. Essi sposarono tutti una donna della loro parentela e furono benedetti nei loro figli e la loro discendenza avrà in eredità la terra.” (Tobia 4,12)

L’ebraismo, poi, è la religione del popolo d’Israele dal momento della formazione e dalla rivelazione del Sinai da parte di IHWH fino a quando rimasero unite le 12 tribù.

Del libro di Mosè che conteneva il nocciolo della Torah, rivisto ai tempi di Davide e Salomone quando vollero dare un supporto normativo alla decisione di scegliersi un re e dare a questi carisma di legge, è scritto: “Quando sarai entrato nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti e ne avrai preso possesso e l’abiterai, se dirai: Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno, dovrai costituire sopra di te come re colui che il Signore tuo Dio avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello… Quando si insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge secondo l’esemplare dei sacerdoti leviti. La terrà presso di sé e la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore suo Dio, a osservare tutte le parole di questa legge e tutti questi statuti, perché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi, né a destra, né a sinistra, e prolunghi così i giorni del suo regno, lui e i suoi figli, in mezzo a Israele. (Deuteronomio 17,14-20)

Il libro scritto da Mosè è ricordato in Giosuè 8,34 e 23,6.
In Giosuè 24,26 è peraltro anche messo in evidenza che a Sichem: “…Giosuè scrisse queste cose nel libro della legge di Dio; prese una grande pietra e la rizzò là, sotto il terebinto, che è nel santuario del Signore.”
(Sichem, oggi Nablus, poi fu la prima capitale del regno settentrionale di Israele. 1Re 12,25)

Il che fa pensare che il libro della legge di Dio fosse un libro aperto che poteva essere ampliato, il che, unito a quanto detto in Deuteronomio 17,14-20 fa presumere che Re di Giuda vi abbiano potuto apportare integrazioni.

Menzione del rotolo della Torah non si ha più dal libro di Giosuè fino ai libri successivi a quelli di Samuele, cioè quelli dei Re e delle Cronache.
Da dopo la divisione del regno del Nord da quello del Sud, stante gli esili, dell’ebraismo si conosce solo quanto portato avanti in pratica dalla sola tribù di Giuda, quindi ha senso definirlo ormai come giudaismo che esce quale grande ramo unico dal ceppo dell’ebraismo con pochi altri rametti quali i culti dei Samaritani e i Falashah provenienti questi ultimi dall’Etiopia.
L’ebraismo perciò dura fino al tempo dell’esilio babilonese (VI secolo a.C.), mentre il giudaismo è ciò che spunta da quello e perviene ai nostri giorni.
Questo, forte dell’esperienza dell’esilio, allora, fu in grado di sviluppare la religione in assenza del Tempio.
Sacerdoti, sacrifici e tradizioni cultuali furono sostituiti dalla sola Torah e dai Rabbini onde di fatto ogni credente è un sacerdote.
“Compito del popolo eletto è quindi donare il loro Dio, il Dio unico e vero, a tutti gli altri popoli.” (Card. Joseph Ratzinger)
Dottrine, riti e usanze del giudaismo furono poi codificati a partire dal I secolo d.C. nel Talmud.
Dell’ebraismo comunque è noto ciò che filtra dai sacri testi che sono d’origine giudaica.
Sono rilevanti e da tenere come sfondo come ci sono state consegnate le Sacre Scritture:

  • sono solo quelle pervenute dal regno del Sud in cui è da ritenere che i re di Giuda e i sacerdoti del tempio di Gerusalemme abbiano avuto modo d’introdurre versetti e modifiche e norme aggiuntive per agevolare l’ortodossia della propria posizione;
  • al ritorno dell’esilio babilonese Esdra un levita, e Neemia proveniente dalla tribù di Giuda, procedettero alla definitiva versione a noi pervenuta.

Quando sussistevano entrambi i regni d’Israele del Nord e del Sud vi fu in una lotta evidente per fissare il luogo preferenziale ove si manifestava la divinità.
Giuda aveva eletto il santuario reale costruito da Salomone a Gerusalemme ed in cui era stata posta l’arca santa quale sede massima esclusiva di IHWH e Geroboamo il primo re del Nord prese le contromisure.

Chi era Geroboamo ce lo dice 1Re 11,28-40, fatti evidentemente narrato dal profeta Achia unico testimone del fatto: “Geroboamo era un uomo di riguardo; Salomone, visto come il giovane lavorava, lo nominò sorvegliante di tutti gli operai della casa di Giuseppe. In quel tempo Geroboamo, uscito da Gerusalemme, incontrò per strada il profeta Achia di Silo, che indossava un mantello nuovo; erano loro due soli, in campagna. Achia afferrò il mantello nuovo che indossava e lo lacerò in dodici pezzi. Quindi disse a Geroboamo: Prendine dieci pezzi, poiché dice il Signore, Dio di Israele: Ecco lacererò il regno dalla mano di Salomone e ne darò a te dieci tribù. A lui rimarrà una tribù a causa di Davide mio servo e a causa di Gerusalemme, città da me scelta fra tutte le tribù di Israele. Ciò avverrà perché egli mi ha abbandonato, si è prostrato davanti ad Astàrte dea di quelli di Sidòne, a Camos dio dei Moabiti, e a Milcom dio degli Ammoniti, e non ha seguito le mie vie compiendo ciò che è retto ai miei occhi, osservando i miei comandi e i miei decreti, come aveva fatto Davide suo padre. Non gli toglierò il regno di mano, perché l’ho stabilito capo per tutti i giorni della sua vita a causa di Davide, mio servo da me scelto, il quale ha osservato i miei comandi e i miei decreti. Toglierò il regno dalla mano di suo figlio e ne consegnerò a te dieci tribù. A suo figlio lascerò una tribù perché a causa di Davide mio servo ci sia sempre una lampada dinanzi a me in Gerusalemme, città che mi sono scelta per porvi il mio nome. Io prenderò te e tu regnerai su quanto vorrai; sarai re di Israele. Se ascolterai quanto ti comanderò, se seguirai le mie vie e farai quanto è giusto ai miei occhi osservando i miei decreti e i miei comandi, come ha fatto Davide mio servo, io sarò con te e ti edificherò una casa stabile come l’ho edificata per Davide. Ti consegnerò Israele; umilierò la discendenza di Davide per questo motivo, ma non per sempre. Salomone cercò di uccidere Geroboamo, il quale però trovò rifugio in Egitto presso Sisach, re di quella regione. Geroboamo rimase in Egitto fino alla morte di Salomone.”

Questo Achia “fratello di IH”, il che pare strano, è un personaggio che abita a Silo ove anni prima c’era stata l’arca ai tempi di Giosuè, e pare stare a significare la voce proprio dello “Unico in un vivente “.
Lo stesso Achia in quel brano con la storia del mantello gli predice il potere regale su 10 tribù di Israele.
Fu così che Geroboamo divenne re del Nord, ma non si comportò secondo la Torah, infatti: “Geroboamo fortificò Sichem sulle montagne di Èfraim e vi pose la residenza. Uscito di lì, fortificò Penuèl. Geroboamo pensò: In questa situazione il regno potrebbe tornare alla casa di Davide. Se questo popolo verrà a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo signore, verso Roboamo re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda. Consigliatosi, il re preparò due vitelli d’oro e disse al popolo: Siete andati troppo a Gerusalemme! Ecco, Israele, il tuo dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto. Ne collocò uno a Betel e l’altro lo pose in Dan. Questo fatto portò al peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli. Egli edificò templi sulle alture e costituì sacerdoti, presi qua e là dal popolo, i quali non erano discendenti di Levi. Geroboamo istituì una festa nell’ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda. Egli stesso salì sull’altare; così fece a Betel per sacrificare ai vitelli che aveva eretti; a Betel stabilì sacerdoti dei templi da lui eretti sulle alture.” (1Re 12,25-32)

Lo stesso Achia profetizzò allora alla moglie di Geroboamo la morte del piccolo Abia, loro figlio, e lo sterminio della casa di Geroboamo: “Il Signore aveva detto ad Achia: Ecco, la moglie di Geroboamo… appena Achia sentì il rumore dei piedi di lei che arrivava alla porta, disse: Entra, moglie di Geroboamo. Perché ti sei travestita così? Io ho per te cattive notizie. Su, riferisci a Geroboamo: Dice il Signore, Dio di Israele: Io ti ho innalzato dalla turba del popolo costituendoti capo del popolo di Israele, ho strappato il regno dalla casa di Davide e l’ho consegnato a te. Ma tu non ti sei comportato come il mio servo Davide, che osservò i miei comandi e mi seguì con tutto il cuore, facendo solo quanto è giusto davanti ai miei occhi, anzi hai agito peggio di tutti i tuoi predecessori e sei andato a fabbricarti altri dèi e immagini fuse per provocarmi, mentre hai gettato me dietro alle tue spalle. Per questo, ecco, manderò la sventura sulla casa di Geroboamo, distruggerò nella casa di Geroboamo ogni maschio, schiavo o libero in Israele, e spazzerò la casa di Geroboamo come si spazza lo sterco fino alla sua totale scomparsa. I cani divoreranno quanti della casa di Geroboamo moriranno in città; quelli morti in campagna li divoreranno gli uccelli dell’aria, perché il Signore ha parlato. Ma tu alzati, torna a casa; quando i tuoi piedi raggiungeranno la città, il bambino morirà. Ne faranno il lamento tutti gli Israeliti e lo seppelliranno, perché soltanto costui della famiglia di Geroboamo entrerà in un sepolcro, perché in lui solo si è trovato qualcosa di buono da parte del Signore Dio di Israele nella famiglia di Geroboamo. Il Signore stabilirà su Israele un suo re, che distruggerà la famiglia di Geroboamo. Inoltre il Signore percuoterà Israele, il cui agitarsi sarà simile all’agitarsi di una canna sull’acqua. Eliminerà Israele da questo ottimo paese da lui dato ai loro padri e li disperderà oltre il fiume perché si sono eretti i loro pali sacri, provocando così il Signore. Il Signore abbandonerà Israele a causa dei peccati di Geroboamo, commessi da lui e fatti commettere a Israele”. (1Re 14,5-16)

Nacque comunque la divisione della comunità Samaritana da Gerusalemme e la creazione di un culto particolare vicino alla città di Sichem ove si erano continuate a celebrare cerimonie che ricordavano che la città era stata centro di culto.
I re del Nord in definitiva cercarono di fare concorrenza a Gerusalemme con i propri santuari Sichem, Betel, Ghilgal, Dan e infine Silo.
Il re di Giuda Giosia poi soppresse i luoghi di culto locali e centralizzò il culto a Gerusalemme.
Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 587 a.C., quando l’editto di Ciro ne permise la costruzione, i Giudei accettarono per la ricostruzione solo i Giudei e sorse una profonda insanabile inimicizia cultuale con i samaritani considerati impuri.
La Samaria approfittò del cambiamento di dominazione per erigere un proprio santuario sul monte sacro di Garizim, vicino a Sichem in forza di quanto dice il Deuteronomio 19,29: “Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso, tu porrai la benedizione sul monte Garizim e la maledizione sul monte Ebal”.
Gerusalemme giudicò sempre illegittimo il culto sul Garizim, i samaritani erano considerati impuri dal punto di vista cultuale e se ne trovano tracce nei Vangeli, in particolare in quello di Giovanni nell’episodio dell’incontro di Gesù con la Samaritana (Giovanni 4).

In numerosi articoli mi sono avvicinato ad esaminare i periodi antichi quando convivevano i due regni o al momento dell’inizio del giudaismo al ritorno dell’esilio ed al riguardo segnalo:

Questo scritto intende ora entrare in alcuni particolari per tentare di rispondere a vari interrogativi e idee venuti nell’esame dei testi sacri.
In alcuni casi eclatanti, dopo l’uscita dall’Egitto e la consegna della Torah pare, infatti, come se gli insegnamenti della Torah stessa non venissero rispettati da personaggi antichi e famosi.
Su ciò cerca di dare spiegazione il capitolo 2 del libro dei Giudici presupponendo un’apostasia di fatto, graduale, progressiva e generalizzata delle generazioni successive all’Esodo e a Giosuè.
Tali strappi fanno pensare che quella normativa detta Torah così come c’è pervenuta sia stata in gran parte costruita ed ampliata nel tempo, soprattutto nel regno di Giuda onde ha subito incrementi progressivi non ancora definiti nella forma finale ai tempi dei giudici e dei primi re.
Di fatto pochi anni dopo l’invasione della terra promessa narrata nel libro di Giosuè accadde che già la generazione dei nipoti degli Israeliti di allora avrebbero dimenticato tutti gli insegnamenti dei padri e dei nonni.
Si legge infatti: “Queste sono le nazioni che il Signore lasciò sussistere, allo scopo di mettere alla prova per mezzo loro Israele, cioè quanti non avevano visto tutte le guerre di Canaan. Ciò avvenne soltanto per istruire le nuove generazioni degli Israeliti, per insegnare loro la guerra, perché prima non l’avevano mai conosciuta: i cinque prìncipi dei Filistei, tutti i Cananei, quelli di Sidone e gli Evei che abitavano le montagne del Libano, dal monte Baal-Ermon fino all’ingresso di Camat. Queste nazioni servirono a mettere Israele alla prova, per vedere se Israele avrebbe obbedito ai comandi che il Signore aveva dato ai loro padri per mezzo di Mosè. Così gli Israeliti abitarono in mezzo ai Cananei, agli Ittiti, agli Amorrei, ai Perizziti, agli Evei e ai Gebusei; ne presero in moglie le figlie, fecero sposare le proprie figlie con i loro figli e servirono i loro dèi.” (Giudici 3,1-6)

In definitiva erano come i loro vicini e non rispettavano la Torah!

IL PRIMO GIUDICE
Il libro dei Giudici al primo capitolo, probabilmente con aggiunte postume alla prima redazione, propone la tribù di Giuda, da cui verranno i re Davide e Salomone nonché poi i re del regno del Sud, come la prima delle tribù che dopo Giosuè riprese le guerre di conquista.
Ci si attenderebbe prima o poi l’inizio di una guerra contro qualcuno di quei popoli, invece il prosieguo del libro dei Giudici ci presenta come primo giudice, Otniel, che libera gli Israeliti da un oppressore e questo oppressore ad una prima impressione pare venire da lontano.
È definito come Cusan Risataim, re di Aram, Naharaim.



Sembrerebbe un re della Mesopotamia, ma è antistorico.
Forse Aram è Edom oltre i fiumi, sottinteso Giordano ed affluenti, in quanto i due termini Aram ed Edom in ebraico hanno scrittura simile e spesso i copisti fanno errori confondendo la r = con la d = .
Cusan poi è il nome di una località del paese di Madian (Abacuc 3,7), da cui venivano Zippora e i figli di Mosè.
L’Apocalisse di Mosè, scritto apocrifo del II secolo a.C. dice testualmente: “Dopo la morte di Giosuè si pose a capo dei figli di Israele, per ottanta anni, Kusan il terribile. Quindi guidò Israele per venti anni Othaniel…”
Cosicché si può pensare che l’oppressore non fu un re straniero invasore, ma bensì fu un capo israelita che subentrò immediatamente a Giosuè nella guida del popolo ebraico, ma era anche un medianità col soprannome di Cusan Risataim, forse proprio il figlio di Mosè Gherson, medianità cresciuto in Cusan, detto Risataim cioè dalla doppia malizia vale a dire “il terribile”, forse il titolare del tempio di Silo di cui poi diremo.

In linea poi al fine fondamentale della mia ricerca più generale ho provato a decriptare con le regole di “Parlano le lettere” il testo ebraico del capitolo 3 del libro dei Giudici e il risultato messianico della lettura di secondo livello la riporto in Appendice.

Sul tema della decriptazione rimando ai seguenti miei articoli che lo preparano e lo supportano:

ASSENZA DI NEPOTISMO?
Agli inizi del XII secolo a.C., morto Mosè, gli Israeliti, sotto la guida di Giosuè, invasero la terra di Canaan ed il territorio conquistato fu spartito tra le 12 tribù con l’impegno d’allargarsi, come risulta nell’ambito dei testi della Bibbia dal libro detto appunto di Giosuè.
Ci si aspetterebbe che fosse messa in risalto e ricordata davanti al popolo la figura del grande profeta e condottiero Mosè con onori alla sua discendenza ed incarichi di prestigio tra questi, ma così non è.
Se si seguono i racconti della Torah non si trovano incarichi particolari per i figli di Mosè, o almeno non sono riportati o messi in evidenza.
Al riguardo, anzi, si ha la sensazione che quei discendenti fossero evitati o comunque forse v’è stata una rielaborazione dei testi per espungere informazioni che potessero portare a saperne qualcosa in merito, il che da forza a quel pensiero su Cusan il terribile come parente del condottiero Mosè.
Nello stesso racconto della sepoltura di Mosè, diversamente di quanto accadde per i patriarchi, non si parla del ruolo dei figli, del loro dolore e della loro partecipazione; infatti, mentre: “Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nel paese di Moab, secondo l’ordine del Signore. Fu sepolto nella valle, nel paese di Moab, di fronte a Bet-Peor; nessuno fino ad oggi ha saputo dove sia la sua tomba.” (Deuteronomio 34,5s)
(Vedi: “Le benedizioni di Giacobbe e di Mosè“)

Eppure dal libro dell’Esodo 18,3s si conclude che Mosè ebbe almeno due figli da Zippora: “uno dei quali si chiamava Gherson, perché egli aveva detto: Sono un emigrato in terra straniera e l’altro si chiamava Eliezer, perché Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone”.
Dove erano quando mori?
Zippora, figlia di Ietro, sacerdote di un dio locale, era una madianita.
Contro i madianiti, negli ultimi tempi della propria vita Mosè dovette però guerreggiare e considerali nemici.
Madian con Moab aveva pagato Balaam per maledire Israele Numeri 22,4-7.
Il libro dei Numeri 25,6-18 riferisce poi che un certo Zimri condusse una madianita fra gli Israeliti, per cui ci fu come un flagello attribuito al Signore e lui fu ucciso, e i madianiti dovevano essere trattati come nemici.
Sempre secondo il libro dei Numeri 31,16, quello fu un suggerimento di Balaam alle madianiti per trascinare Israele all’idolatria.
Per questa ragione Mosè vendicò questo male sconfiggendo Madian in una battaglia. (Numeri 31,1-12; Giosuè 13,21; Salmo 83,9; Isaia 9,3; 10,26)
Sulla discendenza di Mosè vi è poi un racconto nebuloso in Esodo 4 sulla questione della loro circoncisione.
Pare proprio che Mosè non avesse circonciso ancora il primo figlio.

 Antica pittura a Saqqara 2350-2000 a.C. sulla circoncisione di adulti


Gli antichi egizi praticavano la circoncisione rituale come segno d’affiliazione a Ra, il dio del Sole, che aveva circonciso se stesso.
L’idea forse nasce dal fatto che il sole alla sera diviene rosso come il sangue, patto della rinascita al mattino ed al riguardo una leggenda propone che Ra, masturbandosi si mutilò e caddero alcune gocce di sangue che diedero vita al Dio dell’Aria Shu e a Tefnut, Dea dell’Umidità onde il Dio egizio Ra è considerato il primo dei circoncisi.
Mosè s’era limitato al costume locale di Madian e non aveva curato di provvedere col primogenito Gherson al segno fisico dell’alleanza stipulata da Dio con la stirpe di Abramo.

La moglie di Mosè e così la sua discendenza pare proprio non fossero ben considerati da parte di Aronne e Maria, fratello e sorella di Mosè stesso.
Zippora, infatti, era straniera e così accadde che “Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della donna etiope che aveva sposata; infatti aveva sposato una Etiope”, ma Zippora non era di carnagione scura. (Numeri 12,1)
Etiope è Kush e Abacuc 3,7 associa Kush a Madian: “Ho visto i padiglioni di Cusàn in preda a spavento, sono agitate le tende di Madian”, perché Madian si estendeva anche oltre il Mar Rosso.
Corre il sospetto che forse si preferì evidenziare in quel modo la provenienza piuttosto che parlare di Madian che era divenuto inviso agli occhi degli israeliti.
Sta il fatto che in Esodo 7,16-26 nell’elencazione dei figli di Levi, i figli di Mosè non sono inseriti.
Eppure in 1Cronache 23, così è scritto: “Riguardo a Mosè, uomo di Dio, i suoi figli furono contati nella tribù di Levi. Figli di Mosè: Gherson ed Eliezèr. Figli di Gerson: Sebuèl, il primo. I figli di Eliezèr furono Recabia, il primo. Eliezèr non ebbe altri figli, mentre i figli di Recabia furono moltissimi.” (1Cronache 23,14-17)

A complicare le cose c’è che ha per lo stesso nome Gherson anche il primogenito di Levi (Genesi 46,11; Esodo 6,16; Numeri 3,17; 1Cronache 6,1.16; 23,6) padre di Libni e Simei (Esodo 6,17; Numeri 3,18-21; 1Cronache 6,17.20.43; 23,7) che fu responsabile del tabernacolo e della tenda (Numeri 3,23,25; 4,24-28; 7,7; 10,17) da cui discesero i Ghersoniti di Giosuè 21,6.27.33, infatti, in Giosuè 21,27s si legge:”Ai figli di Gherson, che erano tra le famiglie dei leviti, furono date: di metà della tribù di Manàsse, come città di rifugio per l’omicida, Golan in Basan e i suoi pascoli, Astarot con i suoi pascoli: due città; della tribù d’Issacar, Kision e i suoi pascoli, Daberat e i suoi pascoli”, ma non sono i discendenti di Mosè.

Viene, invece, messo in evidenza in modo chiaro coloro che assumeranno le funzioni di Mosè e Aronne per Israele dopo la morte dei due fratelli.
Al loro ruolo per ordine del Signore saranno cooptati rispettivamente Giosuè come condottiero liberatore ed Eleazaro sommo sacerdote.
Dio, infatti, disse a Mosè:

  • per Eleazaro, in Numeri 20,25-29 – “Prendi Aronne e suo figlio Eleazaro e falli salire sul monte Cor. Spoglia Aronne delle sue vesti e falle indossare a suo figlio Eleazaro; in quel luogo Aronne sarà riunito ai suoi antenati e morirà. Mosè fece come il Signore aveva ordinato ed essi salirono sul monte Cor, in vista di tutta la comunità. Mosè spogliò Aronne delle sue vesti e le fece indossare a Eleazaro suo figlio; Aronne morì in quel luogo sulla cima del monte. Poi Mosè ed Eleazaro scesero dal monte. Quando tutta la comunità vide che Aronne era morto, tutta la casa d’Israele lo pianse per trenta giorni.”
  • per Giosuè, in Numeri 27,15-21 – “Mosè. disse al Signore: Il Signore, il Dio della vita in ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore. Il Signore disse a Mosè: Prenditi Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è lo spirito; porrai la mano su di lui, lo farai comparire davanti al sacerdote Eleazaro e davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini in loro presenza e lo farai partecipe della tua autorità, perché tutta la comunità degli Israeliti gli obbedisca. Egli si presenterà davanti al sacerdote Eleazaro, che consulterà per lui il giudizio degli Urim davanti al Signore; egli e tutti gli Israeliti con lui e tutta la comunità usciranno all’ordine di Eleazaro ed entreranno all’ordine suo”.

SACRIFICI UMANI
Nel libro dei Giudici al capitolo 11 è riportato un episodio che fa domandare se il racconto del sacrificio d’Abramo e d’Isacco narrato al capitolo 22 del libro della Genesi fosse noto a quei tempi o se piuttosto non sia stato inserito come monito a non dar seguito a sacrifici umani che venivano compiuti dai popolo limitrofi e che influivano a far deviare dalla retta fede il popolo d’Israele?
Si pensi al dio Molok e ai sacrifici nel fuoco di primogeniti per ingraziarselo.
Nel complesso dei testi inseriti nella Bibbia cristiana il nome di Abram o Abramo è inserito circa 325 volte di cui circa 125 nel Nuovo Testamento.
Nel Vecchio Testamento appare però per circa 150 volte nel libro della Genesi che racconta la sua storia e solo 18 volte negli altri libri della Torah.
Nel libro dei Giudici non è mai ricordato.

Solo una volta è citato nel libro di Giosuè 24,2 – “Giosuè disse a tutto il popolo: Dice il Signore, Dio d’Israele: I vostri padri, come Terach padre di Abramo e padre di Nacor, abitarono dai tempi antichi oltre il fiume e servirono altri dèi. Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume e gli feci percorrere tutto il paese di Canaan; moltiplicai la sua discendenza e gli diedi Isacco. Ad Isacco diedi Giacobbe ed Esaù e assegnai ad Esaù il possesso delle montagne di Seir; Giacobbe e i suoi figli scesero in Egitto.” (Giosuè 24,2-4)

Restano poi citazioni dalle quali non appaiono espliciti riferimenti al sacrificio di Isacco e precisamente:

  • nei libri storici 1Re 18,36; 2Re 13,23; 1Cronache 1,27-32; 16,16; 29,18; 2Cronache 20,7 e 30,6;
  • in Neemia 9,7;
  • in Tobia 4,12 e 14,7;
  • nei profeti, Isaia 29,22; 41,8; 51,2; 63,16; Geremia 33,26; Baruc 2,34; Ezechiele 34,24; Daniele 3,34-36; Michea 7,20;
  • nei Salmi 47,10; 195,6-9,42;
  • in Siracide 44,19-21;
  • in Ester 4,17(f) e 4,17(y).

Solo nella Bibbia cristiana si trovano due brani nei libri deuterocanonici in cui risulta evidente un riferimento al libro della Genesi ed alla storia di Abramo:

  • Daniele 3,34-36 – “Non ci abbandonare fino in fondo, per amore del tuo nome, non rompere la tua alleanza;non ritirare da noi la tua misericordia, per amore di Abramo tuo amico, di Isacco tuo servo, d’Israele tuo santo, ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare la loro stirpe come le stelle del cielo, come la sabbia sulla spiaggia del mare.” ove è evidente il riferimento a Genesi 22,17 “…io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici.”
    (Il libro di Daniele descrive le vicende ambientate nell’esilio di Babilonia 587-538 a.C. del profeta Daniele, saggio ebreo che rimane fedele a Dio, e visioni apocalittiche preannuncianti il Figlio dell’Uomo-Messia e il regno di Dio. è scritto in ebraico con una sezione in aramaico e con inserimento di parti in greco. Vedi: “I geroglifici ebraici del libro di Daniele“.
    Per la maggior parte dei bibblisti la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea attorno al 164 a.C.)
  • Giuditta 8,26 – “Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe in Mesopotamia di Siria, quando pascolava i greggi di Làbano suo zio materno.”, riferimento che in qualche modo può riferirsi a quel sacrificio narrato in Genesi 22.
    (Giuditta è un libro deuterocanonico ambientato al tempo di Nabucodonosor; il testo c’è pervenutoci in greco datato II secolo a.C., accolto dalla Bibbia cristiana e non dalla Tenak ebraica)

Dopo questa parentesi sul racconto del sacrificio d’Isacco, tornando ai sacrifici umani, è da dire che nel libro dei Giudici si racconta di Iefte, giudice d’Israele (figlio di un certo Galaad) che sacrificò la sua unica figlia.
AH! Mi dimenticavo di dire al riguardo che l’unica nota che nel testo sacro potrebbe essere di commento negativo è che di questo Iefte viene sottolineato che era il figlio di una prostituta: “Ora Iefte, il Galaadita, era un guerriero forte, figlio di una prostituta; lo aveva generato Gàlaad.” (Giudici 11,1)
Inoltre, cacciato di casa dai fratelli, figli regolari del padre, divenne capo “…di sfaccendati e facevano scorrerie con lui”. (Giudici 11,3)
C’era una guerra contro gli Ammoniti ed Iefte fu scelto per il suo valore di combattente; poi fu giudice per 6 anni (Giudici 12,7) nella tribù di Manasse.
Era un periodo in cui, come risulta da Giudici 10,6-16, gli Israeliti avevano abbandonato il Signore e servivano dèi stranieri.
Quindi anche Iefte si presume avesse una spiritualità condizionata da tale situazione.
Il racconto però propone che “…lo spirito del Signore venne su Iefte…” (Giudici 11,29) il che evidentemente in favore del popolo, nota inserita per far capire che avrebbe vinto comunque con l’aiuto di Dio, ma non per questo, come risulta dai fatti, Iefte fu santo, infatti, senza nessun invito del Signore volle strafare secondo gli usi del tempo e del luogo come se non vi fosse Torah!
La vicenda di Iefte e della figlia è così narrata: “Iefte fece voto al Signore e disse: Se tu consegni nelle mie mani gli Ammoniti, chiunque uscirà per primo dalle porte di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vittorioso dagli Ammoniti, sarà per il Signore e io lo offrirò in olocausto“. (Giudici 11,30s)
Si proprio così “veha’littihu o’lah” , lo farò salire in olocausto.
Il corpo della povera figlia si sarebbe trasformato in fumo che saliva al cielo per offrirlo al “dio” che immaginava lui.
In Genesi 22,2 il comando del Signore che mette alla prova Abramo, usa proprio lo stesso verbo “fallo salire in olocausto”
La battaglia si svolse in favore degli Israeliti e Iefte batté gli Ammoniti.
Al rientro a casa a Iefte si fece incontro, danzando, per festeggiarlo, la sua unica figlia, restata senza nome.
Il padre disperato, si lacerò le vesti.
Sarebbe stato felice di sacrificare un altro!?
La fanciulla fu informata dal padre del voto che aveva fatto.
Ella chiese solo che le venisse permesso di trascorrere due mesi sulle montagne per piangere la propria verginità con le compagne e poi avrebbe aderito alla volontà del padre.
Il padre aveva fatto un voto sconsiderato, aveva giudicato il Signore come fosse un demone assetato di vite umane alla pare degli dèi dei popoli vicini.
Vinse l’orgoglio e non l’amore e Iefte non tornò indietro sulla propria decisione.
Trascorsi i due mesi la figlia fu sacrificata: “Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli compì su di lei il voto che aveva fatto. Ella non aveva conosciuto uomo; di qui venne in Israele questa usanza: le fanciulle d’Israele vanno a piangere la figlia di Iefte il Galaadita, per quattro giorni ogni anno.” (Giudici 11,39s)
Assurdo per la Torah un sacrificio del genere.
Dice il libro del Levitico: “Dirai agli Israeliti: Chiunque tra gli Israeliti o tra i forestieri che dimorano in Israele darà qualcuno dei suoi figli a Moloc, dovrà essere messo a morte; il popolo della terra lo lapiderà. Anch’io volgerò il mio volto contro quell’uomo e lo eliminerò dal suo popolo, perché ha dato qualcuno dei suoi figli a Moloc, con l’intenzione di rendere impuro il mio santuario e profanare il mio santo nome. Se il popolo della terra chiude gli occhi quando quel uomo dà qualcuno dei suoi figli a Moloc e non lo mette a morte, io volgerò il mio volto contro quell’uomo e contro la sua famiglia ed eliminerò dal suo popolo lui con quanti si danno all’idolatria come lui, prostituendosi a venerare Moloc.” (Levitico 20,2-5)

È chiaro che Iefte per orgoglio non aveva rispettato il comandamento fondamentale dell’amore, quello di cui dice Gesù i questo estratto di Vangelo: “…un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento? Gli rispose: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti.” (Matteo 22,35-40)

In definitiva i sacrifici umani rientrano tra le colpe punibili con pena di morte dalla Torah come:

  • l’omicidio premeditato (Esodo 21,12; Levitico 24,7);
  • il rapimento e vendita di persona (Esodo 21,16; Deuteronomio 24,7);
  • la stregoneria (Esodo 22,17);
  • maltrattamenti e percosse ai genitori (Esodo 21,15; Levitico 20,9);
  • l’adulterio e l’incesto (Levitico 20,10-12; Deuteronomio 22,22);
  • l’idolatria (Deuteronomio 17,2-5; 19,17-18).

È, quindi, per la Torah, quello di Iefte un comportamento abominevole, eppure nessun commento negativo!
Si trovano, infatti, le seguenti norme nel libro del Deuteronomio:

  • 12,31 – “Non ti comporterai in tal modo riguardo al Signore, tuo Dio; perché esse facevano per i loro dèi ciò che è abominevole per il Signore e ciò che egli detesta: bruciavano nel fuoco perfino i loro figli e le loro figlie in onore dei loro dèi.”
  • 18,10 – “Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia.”

Nel libro del profeta Geremia 7,21-31, vissuto durante il regno degli ultimi re di Giuda – Giosia (640-609 a.C.), Jehoahaz (609), Jehoiakim (609-598), Jehoiakin (598-597), e Sedechia (597-586) – si trova questo anatema da parte del Signore anche contro i sacrifici umani: “Dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Aggiungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! Io però non parlai né diedi ordini sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dalla terra d’Egitto, ma ordinai loro: Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici. Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio alla mia parola… i figli di Giuda hanno commesso ciò che è male ai miei occhi, oracolo del Signore. Hanno collocato i loro idoli abominevoli nel tempio, sul quale è invocato il mio nome, per contaminarlo. Hanno costruito le alture di Tofet nella valle di Ben-Innòm, per bruciare nel fuoco i loro figli e le loro figlie, cosa che io non avevo mai comandato e che non avevo mai pensato.”

A Gerusalemme nella valle dell’Hinnom i re eretici di Giuda, Acaz e Manasse, consentivano e praticavano il culto al dio Moloch, al quale dei bambini, dopo sgozzati, venivano offerti in olocausto, cioè bruciati integralmente. (2Cronache 28,1-3; 33,1-6)
Per bocca del profeta Geremia 7,32-33; 19,2-11 Dio decretò che la valle di Hinnom, cioè la Geenna, divenisse luogo di raccolta di immondizie della città.
Così fu e come tale è ricordata spesso anche nei Vangeli.

IL SANTUARIO DI SILO
Sulla costa mediterranea cominciavano ad insediarsi i Filistei che dettero poi il nome alla Palestina, i “Pelishettim” , che non erano stati ancora interessati dall’espansione israelita.
Di questi è detto, un modo antistorico anche nel libro della Genesi in contemporanea con Abramo ed Isacco (Genesi 26).
Era però ineluttabile che prima o poi avvenisse lo scontro, perché entrambi, Filistei e Israeliti, avevano interessi d’espansione contrastanti.
Gli Israeliti portavano in sé la convinzione che Dio li aveva scelti tra tutti i popoli ed era loro alleato ed erano certi che li accompagnava nella conquista.
Mosè, il loro primo condottiero e giudice, aveva ricevuto da Dio stesso la chiamata e le tavole del patto ed aveva fatto costruire l’arca in cui porle.
Questa arca in pratica era il trono mobile di Dio, trasportabile a braccia con delle stanghe, ove Dio, seduto tra i cherubini che erano sulla cassa, in modo glorioso e luminoso si manifestava a Mosè.
Sotto la guida di Giosuè, dopo la prima invasione della terra promessa, la tenda del convegno per contenere l’arca dell’alleanza fu eretta in Silo come risulta all’inizio del capitolo 18 del libro di Giosuè “…tutta la comunità degli Israeliti si radunò in Silo, e qui eresse la tenda del convegno Il paese era stato sottomesso a loro.” (Giosuè 18,1)

Ora: “Rimanevano tra gli Israeliti sette tribù che non avevano avuto la loro parte. Disse allora Giosuè ai figli di Israele: Fino a quando trascurerete di andare ad occupare il paese, che vi ha dato il Signore, Dio dei padri vostri? Sceglietevi tre uomini per tribù e io li invierò. Essi si alzeranno, gireranno nella regione, la descriveranno secondo la loro eredità e torneranno da me. Essi se la divideranno in sette parti: Giuda rimarrà sul suo territorio nel meridione e quelli della casa di Giuseppe rimarranno sul loro territorio al settentrione. Voi poi farete una descrizione del paese in sette parti e me la porterete qui e io getterò per voi la sorte qui dinanzi al Signore Dio nostro. Infatti non vi è parte per i leviti in mezzo a voi, perché il sacerdozio del Signore è la loro eredità, e Gad, Ruben e metà della tribù di Manàsse hanno già ricevuta la loro eredità oltre il Giordano, ad oriente, come ha concesso loro Mosè, servo del Signore… Giosuè a coloro che andavano a descrivere il paese ordinò: Andate, girate nella regione, descrivetela e tornate da me e qui io getterò per voi la sorte davanti al Signore, in Silo. Gli uomini… e vennero da Giosuè all’accampamento, in Silo. Allora Giosuè gettò per loro la sorte in Silo, dinanzi al Signore, e lì Giosuè spartì il paese tra gli Israeliti, secondo le loro divisioni.” (Giosuè 18,2-10)

Segue la ripartizione, poi: “Quando gli Israeliti ebbero finito di ripartire il paese secondo i suoi confini, diedero a Giosuè, figlio di Nun, una proprietà in mezzo a loro. Secondo l’ordine del Signore, gli diedero la città che egli chiese: Timnat-Serach, sulle montagne di Efraim. Egli costruì la città e vi stabilì la dimora. Tali sono le eredità che il sacerdote Eleazaro, Giosuè, figlio di Nun, e i capifamiglia delle tribù degli Israeliti distribuirono a sorte in Silo, davanti al Signore all’ingresso della tenda del convegno. Così compirono la divisione del paese.” (Giosuè 19,49-51)

Viene sottolineato che là a Silo a distribuire le eredità furono il sacerdote Eleazaro, Giosuè stesso e i capi tribù.
Il radicale ebraico è proprio del verbo “essere felice, essere tranquillo, vivere in pace, prosperare”.
Erano, peraltro, quelle di lettere suggestive, in quanto proponevano l’idea che da quel luogo “la luce/il fuoco del Potente usciva “.
Silo era una località ove venne impiantato il campo e poi divenne una città.
Era a 14 km “…a nord di Betel a oriente della strada che va da Betel a Sichem e a mezzogiorno di Lebona” (Giudici 21,19) in zona baricentrica del territorio occupato, nell’ambito della parte assegnata alla tribù di Efraim.
Sichem invece era a circa a 30 km a nord di Betel ed era stata definita come una delle possibili città rifugio per gli omicidi non volontari (Giosuè 20).
Il sito di Silo, però, nel libro di Giosuè non è inserita tra le città di Efraim né tra quelle assegnate ai Leviti; è quindi da intendere che quella città non ci fosse ancora, ma era solo un territorio ove fu eretto un campo e che poi divenne città, comunque di proprietà del Signore, quindi, amministrata da Leviti, e direi di più, la logica richiede che tra questi fosse in consegna ai discendenti di Mosè.

I Filistei, come gli Israeliti, erano sopravvenuti da poco in Canaan ed erano in fase d’espansione, ma un secolo dopo essendosi consolidati, iniziarono le prime ostilità, come denuncia il libro dei Giudici quando riferisce della storia di Sansone (Vedi: “Nella gloria, Sansone – piccolo sole – annuncia il Messia“).
Nel frattempo Silo era divenuto un importante luogo di culto per tutti gli Israeliti ed era stato costruito un tempio per il Signore delimitando almeno in muratura un recinto sacro per la tenda del convegno che conteneva l’Arca Santa, infatti: “il sacerdote Eli stava sul sedile davanti a uno stipite del tempio del Signore“. (1Samuele 1,9)
Lungo tale muro, all’interno del recinto, evidentemente erano stati costruiti magazzini ed alloggi per i sacerdoti a servizio della tenda, infatti: “La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele era coricato nel tempio del Signore, dove si trovava l’arca di Dio”. (1Samuele 3,3)
Dopo circa 130 anni dalle prime conquiste, da entrambi le parti il tempo fu maturo per una vera e propria guerra tra Israeliti e Filistei.
Questi attaccarono in forza a Eben Ezer ai piedi dei monti di Efraim, circa a 30 km in linea d’aria a occidente di Silo nei pressi dell’antica via del mare.
I Filistei ebbero la meglio e gli Israeliti per mantenere la posizione decisero di far venire l’arca dell’alleanza per incutere coraggio ai propri combattenti.
A quel tempo il primo ministro del Tempio di Silo era Eli, vecchio e cieco, che aveva vari figli che si comportavano però indegnamente, e due di questi Cofni e Pincas accompagnarono l’arca.
I Filistei, nonostante la presenza dell’arca, che incuteva rispetto col suo misterioso potere, ebbero a prevalere uccidendo molti ebrei compresi gli stessi due figli di Eli, s’impadronirono così dell’arca sacra la portarono ad Asdod, circa 50 Km a sud nei pressi della costa del Mediterraneo.
Dopo la vittoria a Eben Ezer i Filistei inseguirono gli Israeliti su per le montagne ed evidentemente rasero al suolo il santuario di Silo e bruciarono la tenda.
Di questo fatto il libro dei Giudici tace.
Tale evento e però ricordato:

  • dal Salmo 78,60: “il Signore Abbandonò la dimora di Silo, la tenda che abitava tra gli uomini.”
  • dal profeta Geremia 26,6: “…ridurrò questo tempio come quello di Silo e farò di questa città un esempio di maledizione per tutti i popoli della terra”.

Al tempo di Geremia perciò erano ancora visibili le rovine del tempio di Silo.
L’arca invece si salvò perché come detto era stata portata tra i combattenti di Israele contro i Filiste che l’avevano sistemata nel tempio di Dagon ad Asdod, ove, la mattina seguente, trovarono l’immagine del loro dio rovesciata a terra e nel contempo una pestilenza colse la popolazione; il paese fu infestato dai topi.
I capi filistei delle 5 città principali – Asdod, Gaza, Ascalon, Gat, Ekron – decisero di farla portare a Gat, ma la pestilenza colpì anche lì, quindi la trasferirono ad Ekron (1Samuele 5,11) ma accadde che un terrore mortale li assalì.
Misero allora l’Arca su un carro trainato da buoi con un’offerta riparatoria e lasciarono andare il carro che s’inoltrò verso la valle di Sorek.
Gli Israeliti di Bet Semes la scorsero, esultarono, ma anche alcuni di loro perirono.
Fu allora portata a Kiriat Iarim, forse da Keniti discendenti di Ietro, ove rimase per circa 20 anni finché David la fece portare a Gerusalemme, la nuova capitale.
Che vi fossero in Palestina i discendenti di Ietro, per non dire di Mosè, risulta da questa notazione ai tempi di Debora: “Ora Eber, il Kenita, si era separato dai Keniti, discendenti di Obab, suocero di Mosè, e aveva piantato le tende alla Quercia di Saannaim che è presso Kades.” (Giudici 4,11)
(I Keniti, in effetti, erano un popolo che abitava anche parte della terra promessa come risulta da Genesi 15,19. In Numeri 24,21-22 Balaam pronunciò questo oracolo sui Keniti paragonandoli a Caino: “Poi vide i Keniti, pronunziò il suo poema e disse: Sicura è la tua dimora, o Caino, e il tuo nido è aggrappato alla roccia. Eppure sarà dato alla distruzione, finché Assur ti deporterà in prigionia”. Il che sta a significare che un tempo furono ritenuti fratelli.
1Samuele 15,6 riferisce: “Disse inoltre Saul ai Keniti: Andate via, ritiratevi dagli Amaleciti prima che vi travolga insieme con loro, poiché avete usato benevolenza con tutti gli Israeliti, quando uscivano dall’Egitto. I Keniti si ritirarono da Amalek.”
1Samuele 27,10 riferisce “Quando Achis chiedeva: Dove avete fatto scorrerie oggi? Davide rispondeva: Contro il Negheb di Giuda, contro il Negheb degli Ierahmeeliti, contro il Negheb dei Keniti”)

Il fatto che non riportarono l’Arca Santa a Silo è un’informazione indiretta che suggerisce la conclusione che quel santuario era stato ormai distrutto.
Dopo quel fatto si profilarono decenni di grande prostrazione per la supremazia dei filistei che timorosi di espansioni degli Israeliti li trattavano duramente.
Tale peso contribuì al consolidarsi tra gli israeliti della convinzione della necessità di dotarsi di un re come avevano gli altri popoli, e aprì gli eventi ai fatti successivi, al profeta Samuela ed all’unzione, circa 20 anni dopo, di Saul quale primo re d’Israele.
Per comprendere l’atmosfera di servitù che era stata imposta dai Filistei basta ricordare la notazione:
“Allora non si trovava un fabbro in tutto il paese d’Israele: Perché – dicevano i Filistei – gli Ebrei non fabbrichino spade o lance. Così gli Israeliti dovevano sempre scendere dai Filistei per affilare chi il vomere, chi la zappa, chi la scure o la falce. L’affilatura costava due terzi di siclo per i vomeri e le zappe e un terzo l’affilatura delle scuri e dei pungoli. Nel giorno della battaglia, in tutta la gente che stava con Saul e Giònata, non si trovò in mano ad alcuno né spada né lancia. Si poté averne solo per Saul e suo figlio Giònata.” (1Samuele 13,19-22)

IL SANTUARIO DI DAN
Presenterò in un altro articolo quanto mi risulta per la tribù di Dan, ma estraggo da quello in anteprima quanto segue riguardo al Santuario di Dan.
Il libro dei Giudici al capitolo 17 informa su un certo Mica che si fece un santuario privato in cui adorava Dio sotto forma di una statua d’argento ed aveva prima investito uno dei suoi figli come sacerdote munito di “Efod e Terafim” per la divinazione, poi prese al proprio servizio un levita proveniente da Betlemme.
Tutto ciò senza commento alcuno sulla palese infrazione delle norme della Torah.
Lo stesso libro dei Giudici al capitolo 18 tratta poi della presa di Lais, una città fenicia, e della fondazione di un santuario particolare, detto di Dan.

Il testo di Giudici 18,27-31, in particolare riferisce: “Quelli dunque, presi con sé gli oggetti che Mica aveva fatti e il sacerdote che aveva al suo servizio, giunsero a Lais, a un popolo che se ne stava tranquillo e sicuro; lo passarono a fil di spada e diedero la città alle fiamme. Nessuno le prestò aiuto, perché era lontana da Sidòne e i suoi abitanti non avevano relazioni con altra gente. Essa era nella valle che si estende verso Bet-Recob. Poi i Daniti ricostruirono la città e l’abitarono. La chiamarono Dan dal nome di Dan loro padre, che era nato da Israele; ma prima la città si chiamava Lais. E i Daniti eressero per loro uso la statua scolpita Gionata, figlio di Ghersom, figlio; di Mosè, e i suoi figli furono sacerdoti della tribù dei Daniti finché gli abitanti del paese furono deportati. Essi misero in onore per proprio uso la statua scolpita, che Mica aveva fatta, finché la casa di Dio rimase a Silo.”

Della statua che aveva fatto fare Mica è detto nel capitolo Giudici 17 come pure del levita di Betlemme che si prestò a curare il santuario privato di Mica.
V’è qui poi, al capitolo 18, la pratica condanna, ma senza commenti, della conquista di Lais da parte dei Daniti.
Era quello di Lais un popolo che stava tranquillo e sicuro e che fu passato a fil di spada in modo proditorio e senza preavviso.
Per due volte si dice che quelli di Sidone, cioè gli antenati dei Fenici erano lontani e non seppero nulla.
Quella fu la capitale che chiamarono Dan e vi istallarono il santuario dei Daniti, ove s’adorava una statua fatta da mani d’uomo, rinnegando il comando di Dio:

  • Esodo 34,17 – “Non ti farai un dio di metallo fuso.”
  • Levitico 19,4 – “Non rivolgetevi agli idoli, e non fatevi divinità di metallo fuso. Io sono il Signore, vostro Dio.”
  • Deuteronomio 27,15 – “Maledetto l’uomo che fa un’immagine scolpita o di metallo fuso, abominio per il Signore, lavoro di mano d’artefice, e la pone in luogo occulto! Tutto il popolo risponderà e dirà: Amen.”

Poi c’è ancora in Deuteronomio 29,15-17 che dopo quanto abbiamo visto pare proprio riferirsi alla tribù di Dan: “Davvero voi sapete come abbiamo abitato nella terra d’Egitto, come siamo passati in mezzo alle nazioni che avete attraversato. Avete visto i loro abomini e gli idoli di legno, di pietra, d’argento e d’oro, che sono presso di loro. Non vi sia tra voi uomo o donna o famiglia o tribù che volga oggi il cuore lontano dal Signore, nostro Dio, per andare a servire gli dèi di quelle nazioni. Non vi sia tra voi radice alcuna che produca veleno e assenzio.”

Ciò lo conferma il Midrash nel Talmud (TB Sanedrhin 103b) asserisce che la statua di Mica fu trasportata via dall’Egitto ed attraversato il Mar Rosso con Israele in mezzo alla tribù di Dan.
C’è, infine, una sorpresa!
Il levita era un nipote di Mosè.
Si chiamava Gionata: “Gionata, figlio di Ghersom, figlio di Mosè, e i suoi figli furono sacerdoti della tribù dei Daniti.”
La precedente traduzione C.E.I., riportava il nome di Manasse: “Gionata, figlio di Ghersom, figlio di Manasse“.
Il testo masoretico, peraltro, infatti, propone “figlio di Manasse”, ma in modo timido.
Il testo ebraico, infatti, scrive così, con la lettera = N che porta il nome da Mosè a Manasse, sollevata, comunque a segnalare un inserimento postumo e non dovuto:


Ritengo ciò molto importante.
Aiuta a comprendere come sulla discendenza di Mosè è stato steso sulle Sacre Scritture della Bibbia un velo pietoso.
Questo è uno dei casi rari in cui è svelato il mistero del perché invece non è stato esaltato il ruolo dei suoi posteri.

Il Mesech Chochmà (Esodo XXI,13) ricorda che per la statua di Mica usata come idolo dalla tribù di Dan, risulta che la tribù di Levi per colpa di Jeonathan ben Gershon ben “Menashè” o meglio “Moshè”, non può redimere nessuno!
Nel libro dei Giudici capitoli 19 e 20 c’è poi un altro racconto di un altro strano levita che tratteremo più avanti.

BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE
Il Salmo 118,25-26 della liturgia ebraica per la festa delle Capanne recita:

“Dona, Signore, la tua salvezza, dona, Signore, la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore…”
Chi è questo “colui che viene”?

Per comprendere di più occorre riportarsi alla benedizione di Giacobbe in Genesi 49,8-12 dove si parla di qualcuno che deve venire.
“Giuda, te loderanno i tuoi fratelli;la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare?
Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi,
finché verrà colui
al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli.
Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte.”

Questi è il Messia che verrà da Giuda!
Le lettere esatte che sono usate per scrivere “finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli” sono:



finché
venga
“Shiloh”
per lui
l’obbedienza dei popoli

Deve venire Shiloh !
Chi è Shiloh?
È simile a Silo dove ci fu il tempio, anzi quel modo di scriverlo forse aiuta anche a comprendere il senso di quel nome “un dono di/per Lui ” come d’altronde sarà il Messia “un dono del Potente per il mondo “.
Quindi alcuni traducono “finché egli non sia venuto a Silo, avendo l’ubbidienza dei popoli”, ed egli è il Messia, il Figlio di David della tribù di Giuda, tante volte ricordato così nei sinottici (Matteo 1,1-20; 9,27; 12,25; 15,22; 20,30; 21,9.15 – Marco 10,47.48; 12,35 – Luca 3,31; 18,38.39; 20,41).
L’Arca col Signore seduto tra i cherubini si mise in cammino da Silo e tornerà come dono con la venuta del Messia dal suo popolo.

Il Vangelo di Matteo coglie a pieno la profezia in quell’episodio che noi definiamo Domenica delle Palme e riferisce la profezia a Gesù di Nazaret che la compie pienamente:
“Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito. Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma. I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!” (Matteo 21,1-9)

Gerusalemme era la nuova Silo e fu come se il Signore Gesù, il nuovo Giosuè che ci darà la vera terra promessa, rientrasse a Silo il suo antico tempio per ricominciare e terminare la conquista, non della sola Palestina, ma questa volta del mondo intero, vale a dire di tutti i popoli di cui gli aspetta l’obbedienza.
Gesù prende possesso del Tempio, infatti, e subito come primo atto travolge tutto come fosse un terremoto: “Gesù entrò nel tempio e scacciò tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe 13 e disse loro: Sta scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri.” (Matteo 21,12s)

ELI E SILO
Racconta 1Samuele 4,12-18 che nel giorno della sconfitta da parte dei filistei, “Uno della tribù di Beniamino fuggì dalle file e venne a Silo il giorno stesso, con le vesti stracciate e polvere sul capo. Mentre giungeva, ecco Eli stava sul sedile presso la porta e scrutava la strada di Mizpa, perché aveva il cuore in ansia per l’arca di Dio. Venne dunque l’uomo e diede l’annuncio in città e tutta la città alzò lamenti. Eli, sentendo il rumore delle grida, si chiese: Che sarà questo grido di tumulto? Intanto l’uomo si avanzò in gran fretta e narrò a Eli ogni cosa. Eli era vecchio di novantotto anni, aveva gli occhi rigidi e non poteva più vedere. Disse dunque quel uomo a Eli: Sono giunto dal campo. Sono fuggito oggi dalle schiere dei combattenti. Eli domandò: Che è dunque accaduto, figlio mio? Rispose il messaggero: Israele è fuggito davanti ai Filistei e nel popolo v’è stata grande strage; inoltre i tuoi due figli Cofni e Pìncas sono morti e l’arca di Dio è stata presa! Appena ebbe accennato all’arca di Dio, Eli cadde all’indietro dal sedile sul lato della porta, batté la nuca e morì, perché era vecchio e pesante. Egli aveva giudicato Israele per quaranta anni.”

Siamo attorno al 1050 a.C., circa 130 anni dopo l’entrata di Giosuè nella terra promessa, intervenuta 40-45 anni dopo la morte del faraone Ramsete II faraone, quando cioè là in Egitto tornò Mosè ad incitare l’uscita degli ebrei secondo l’ordine che gli aveva dato IHWH.
Sorge subito la domanda, ma chi era Elì.
È ben strano che nessun testo biblico ne indichi la paternità.
C’è però un passo nel capitolo 2 del 1 libro di Samuele che parla della profezia della morte dei due figli fatta ad Eli da un uomo di Dio che parla a nome di Dio in questo modo: “Un giorno venne un uomo di Dio da Eli e gli disse: Così dice il Signore: Non mi sono forse rivelato alla casa di tuo padre, mentre erano in Egitto, in casa del faraone? Non l’ho scelto da tutte le tribù d’Israele come mio sacerdote, perché salga l’altare, bruci l’incenso e porti l’efod davanti a me? Alla casa di tuo padre ho anche assegnato tutti i sacrifici consumati dal fuoco, offerti dagli Israeliti. Perché dunque avete calpestato i miei sacrifici e le mie offerte che io ho ordinato per sempre e tu hai avuto maggior riguardo ai tuoi figli che a me e vi siete pasciuti in tal modo con le primizie di ogni offerta di Israele mio popolo? Ecco dunque l’oracolo del Signore, Dio d’Israele: Avevo promesso alla tua casa e alla casa di tuo padre che avrebbero sempre camminato alla mia presenza. Ma ora – oracolo del Signore – non sia mai! Perché chi mi onorerà anch’io l’onorerò, chi mi disprezzerà sarà oggetto di disprezzo. Ecco verranno giorni in cui io taglierò via il tuo braccio e il braccio della casa di tuo padre, sì che non vi sia più un anziano nella tua casa. Guarderai sempre angustiato tutto il bene che farò a Israele, mentre non si troverà mai più un anziano nella tua casa. Qualcuno dei tuoi tuttavia non lo strapperò dal mio altare, perché ti si consumino gli occhi e si strazi il tuo animo: ma chiunque sarà nato dalla tua famiglia morirà per la spada degli uomini. Sarà per te un segno quello che avverrà ai tuoi due figli, a Cofni e Pìncas: nello stesso giorno moriranno tutti e due. Dopo, farò sorgere al mio servizio un sacerdote fedele che agirà secondo il mio cuore e il mio desiderio. Io gli darò una casa stabile e camminerà alla mia presenza, come mio consacrato per sempre.” (1Samuele 2,27-35)

È riconosciuto che è una inserzione tardiva relativa al massacro dei sacerdoti di Nob discendenti di Eli (1Samuele 22,18s) salvo Ebiatar destituito poi da Salomone (1Re 2,27).
Dio in effetti si rivelò a Mosè!
Evidentemente Eli era della casa di Aronne o di Mosè, ma il libro di Giosuè non dice che Silo fu data ad Eleazaro o a discendenti di Aronne.
Silo di fatto era per gli Israeliti il luogo più importante:

  • “la casa di Dio era a Silo” (Giudici 18,31);
  • vi era stato eretto il tempio a IHWH;
  • vi si conservava l’arca dell’alleanza (1Samuele 4,3) e vi risiedeva il sommo sacerdote, sì della famiglia di Aronne;
  • Israele vi portava le offerte per il Signore (1Samuele 2,13s);
  • ogni anno venivano gli israeliti da ogni parte della Palestina, “per prostrarsi e sacrificare a Jahweh degli eserciti” (Giudici 21,19; 1Samuele 1,3).

Ma chi era il possessore!
Il profeta Geremia ricorda Silo paragonandola, appunto, a come poi divenne Gerusalemme per il regno di Giuda, col riferire che IHWH avrebbe detto: “…nella mia dimora che era in Silo avevo da principio posto il mio nome… io tratterò questo tempio (di Gerusalemme) che porta il mio nome e nel quale confidate e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo” (Geremia 7,12-16).
Il titolare del santuario poteva ben essere stato un discendente di Mosè, forse, proprio il Gherson figlio di Mosè, opinione in più modi motivata del ricercatore Flavio Barbato e che viene supportata e può chiarire alcuni aspetti oscuri di alcuni episodi del libro dei Giudici.
Dice quel testo 1Samuele 2,33 “Qualcuno dei tuoi tuttavia non lo strapperò dal mio altare…”, infatti, alcuni capitoli, ai tempi di Saul, è scritto: “Achia, figlio di Achitùb, fratello di Icabòd, figlio di Fineès, figlio di Eli, sacerdote del Signore a Silo, portava l’efod e il popolo non sapeva che Giònata era partito.” (1Samuele 14,3) Icabod fu partorito dalla moglie di Fineès presa dalle doglie appena saputo della morte del marito e del suocero Eli come si legge in 1Samuele 4,19-22.

LA MATERNITÀ DI DIO
Giovanni Paolo I, il cui pontificato durò poco più di un mese, nel corso dell’Angelus del 10 settembre 1978 ebbe a dire: “Il popolo ebraico ha passato un tempo momenti difficili e si è rivolto al Signore lamentandosi dicendo: Ci hai abbandonati, ci hai dimenticati! No! – ha risposto per mezzo di Isaia Profeta – può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo (Isaia 49,15).” Anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetti da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre.”
Lo stesso Giovanni Paolo I riprese poi questo tema nel commentare Matteo 23,37 “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!” sottolineando così l’immagine materna Dio.

L’aspetto materno di Dio, contro altare di una descrizione paterna riduttiva antropomorfica per dare un pallido cenno a noi umani del suo correlarsi d’amore assoluto, in effetti, ci è presentato fin dai primi versetti del libro del Genere, esaltando ai nostri occhi questo paragone: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.” (Genesi 1,27)

Il successivo papa, Giovanni Paolo II, riprese il tema nell’udienza del mercoledì 20 gennaio 1999 ove ebbe a dire tra l’altro: “Una paternità così divina e nello stesso tempo così umana nei modi con cui si esprime, riassume in sé anche le caratteristiche che solitamente si attribuiscono all’amore materno. Anche se rare, le immagini dell’Antico Testamento in cui Dio si paragona ad una madre sono estremamente significative…”
Il Catechismo della Chiesa Cattolica così sintetizza la questione all’articolo 239: “Chiamando Dio con il nome di Padre, il linguaggio della fede mette in luce soprattutto due aspetti, Dio è origine primaria di tutto e autorità trascendente e, al tempo stesso, è bontà e sollecitudine d’amore per tutti i suoi figli. Questa tenerezza paterna di Dio può anche essere espressa con l’immagine della maternità, che indica ancor meglio l’immanenza di Dio, l’intimità tra Dio e la sua creatura. Il linguaggio della fede si rifà così all’esperienza umana dei genitori che, in certo qual modo, sono per l’uomo i primi rappresentanti di Dio. Tale esperienza, però, mostra anche che i genitori umani possono sbagliare e sfigurare il volto della paternità e della maternità. Conviene perciò ricordare che Dio trascende la distinzione umana dei sessi. Egli non è né uomo né donna, egli è Dio. Trascende pertanto la paternità e la maternità umane, pur essendone l’origine e il modello: nessuno è padre quanto Dio.”

Al riguardo, è da considerare che quando si parla di misericordia di Dio, in effetti, si parla di utero “rachem” , e di viscere di misericordia , cioè di una prerogativa prettamente “femminile” di Dio, infatti, in Esodo 34,6 nel presentarsi a Mosè “…proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso…
Misericordioso e pietoso è “ ” cioè che e “dotato di utero” e pieno di grazia “Chen” ; tutte caratteristiche femminili di una madre.
Seguendo tale pensiero è pure da considerare che “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.” (Salmo 33,6)
Lo spirito “ruach” il soffio dell’energia vitale di Dio è parola di genere femminile e tale spirito in Genesi 1,2 come una madre aleggiava sulla superficie delle acque di un mondo che doveva essere partorito.
È anche da considerare che i patriarchi (Genesi 17,1; 28,3; 35,11; 43,14; 48,3; 49,25; Esodo 6,3; Numeri 24,4) e Giobbe (31 volte) conobbero Dio come “‘El Shaddai” il Dio onnipotente, ma letteralmente “che mammella è”; si presentò loro come madre, in ebraico, infatti, “shad” è mammella.

Altri apporti:

  • “Non è forse Èfraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza. Oracolo del Signore.” (Geremia 31,20) cioè viene esaltata la qualità “materna” di Dio.
  • Il profeta Osea rafforza tale pensiero di Dio tenero attribuendogli atti propri di una madre verso il figlio: “Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.” (Osea 11,1-4)
  • Il Salmo 131 conferma l’idea di un Signore madre, infatti: “Signore, non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me. Io invece resto quieto e sereno: come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è in me l’anima mia. Israele attenda il Signore, da ora e per sempre.”
  • Il libro di Giobbe, capitolo 38, versetti 8-11 dicono: “Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno , quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”, come appunto se il Creatore avesse un utero.
  • Questa idea è confermata in modo esplicito in Isaia 66,9: “Io che apro il grembo materno, non farò partorire? dice il Signore. Io che faccio generare, chiuderei il seno? dice il tuo Dio.”
  • Proseguendo pochi versetti dopo in Isaia 66,13 conferma in modo chiaro quel pensiero: “Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati.”

Sono da tenere presenti le credenze generalizzate dei popoli limitrofi ad Israele su divinità femminili, forze creatrici e rigeneratrice della natura, la mitica grande dea madre primigenia, legate a riti di fertilità e al ciclo di vita-morte-vita come l’egizia Iside, la fenicia Astarte, la sumera Inanna, la babilonese Ishtar e la Cananea “Asherah” che è una dea popputa.

La dea Asherah


Petto-mammella come abbiamo visto sono anche attributi di Dio rivelatosi ai patriarchi che fa intuire come fossero sensibili al culto della dea cananea.
Asherah con i pali sacri a lei dedicati è ricordata nei sacri testi così come ci sono pervenuti quale un’aberrazione d’Israele, il che fa sospettare che al rientro dell’esilio babilonese vi sia stata una revisione dei testi sacri per togliere aspetti che potevano dar luogo a idee contrarie all’unicità di Dio per il pericolo si confondesse Sue qualità con persone divine.
Ecco la serie dei brani dell’A.T. ove è ricordata Asherah:

  • 1Re 15,9-14 – “Nell’anno ventesimo di Geroboamo, re di Israele, divenne re su Giuda Asa. Costui regnò quarantun anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Maaca, figlia di Assalonne. Asa, come Davide suo antenato, fece ciò che è giusto agli occhi del Signore. Eliminò i prostituti sacri dal paese e allontanò tutti gli idoli eretti da suo padre. Anche sua madre Maaca egli privò della dignità di regina madre, perché essa aveva eretto un obbrobrio in onore di Asera; Asa abbatté l’obbrobrio e lo bruciò nella valle del torrente Cedron. Ma non scomparvero le alture, anche se il cuore di Asa si mantenne integro nei riguardi del Signore per tutta la sua vita.”
  • 2Cronache 15,16 conferma quanto sopra: “Il re destituì dalla sua dignità di regina Maaca, madre di Asa, perché aveva eretto un abominio in onore di Asera. Asa demolì questo abominio, lo fece a pezzi e lo bruciò nel torrente Cedron.”
  • 1Re 18,17-19 – “Appena lo vide, Acab disse a Elia: Sei tu la rovina di Israele! Quegli rispose: Io non rovino Israele, ma piuttosto tu insieme con la tua famiglia, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito Baal. Su, con un ordine raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele”.
  • 2Re 21,1-7 – “Quando divenne re, Manàsse aveva dodici anni; regnò cinquantacinque anni in Gerusalemme; sua madre si chiamava Chefziba. Fece ciò che è male agli occhi del Signore, imitando gli abomini delle popolazioni sterminate già dal Signore all’arrivo degli Israeliti. Ricostruì le alture demolite dal padre Ezechia, eresse altari a Baal, innalzò un palo sacro, come l’aveva fatto Acab, re di Israele. Si prostrò davanti a tutta la milizia del cielo e la servì. Costruì altari nel tempio riguardo al quale il Signore aveva detto: In Gerusalemme porrò il mio nome. Costruì altari a tutta la milizia del cielo nei due cortili del tempio. Fece passare suo figlio per il fuoco, praticò la divinazione e la magìa, istituì i negromanti e gli indovini. Compì in tante maniere ciò che è male agli occhi del Signore, da provocare il suo sdegno. Collocò l’immagine di Asera, da lui fatta fare, nel tempio.”
  • 2Re 23,4-7 – “Il re comandò al sommo sacerdote Chelkia, ai sacerdoti del secondo ordine e ai custodi della soglia di condurre fuori del tempio tutti gli oggetti fatti in onore di Baal, di Asera e di tutta la milizia del cielo; li bruciò fuori di Gerusalemme, nei campi del Cedron, e ne portò la cenere a Betel. Destituì i sacerdoti, creati dai re di Giuda per offrire incenso sulle alture delle città di Giuda e dei dintorni di Gerusalemme, e quanti offrivano incenso a Baal, al sole e alla luna, alle stelle e a tutta la milizia del cielo. Fece portare il palo sacro dal tempio fuori di Gerusalemme, nel torrente Cedron, e là lo bruciò e ne fece gettar la cenere nel sepolcro dei figli del popolo. Demolì le case dei prostituti sacri, che erano nel tempio, e nelle quali le donne tessevano tende per Asera.”

Il profeta Geremia 7,18 e 44,17-19- 25 la nomina come la “Regina del cielo”.
Gli “‘asherim” erano oggetti di culto, in generi pali sacri, collegati alla venerazione di Asherah, intesa come consorte di Baal o di Yahweh.

L’aspetto femminile della divinità ha portato il misticismo ebraico espresso convenzionalmente e simbolicamente dalla Qabbalah o tradizione ebraica (Vedi: “La sposa in estasi – appunti di qabbalah di un cristiano“) alla convinzione che l’unione sessuale fra uomo e donna, compiuta in santità, coinvolge la divina presenza della Shekinah.
Per la Qabbalah le dieci sefirot o sfere, sono le “facce del Re”, le vesti della Divinità, ma anche i raggi della luce che emana, i dieci gradi del Tutto, gli aspetti vari della sua manifestazione, come Egli appare, per i quali dal recondito si rivela con la Sua Shekhinà o presenza:

  • keter corona la volontà divina Kèther Elyòn, la “suprema corona” della Divinità;
  • chokmah, saggezza, sapienza;
  • binah, comprensione, intelligenza;
  • chesed, amore o grazia di Dio;
  • gevurah, potere la “potenza” di Dio giudicante;
  • tiferet, bellezza o rachamim, la “misericordia” di Dio;
  • netzach, vittoria, la “stabile durata” di Dio;
  • hod, gloria, la “maestà” di Dio;
  • yesod, fondamento di tutte le forze generanti di Dio;
  • Malkut, regno o presenza divina il “regno” di Dio, indicato per lo più nello Zòhar come Knèseth Iisraèl, archetipo della comunità di Israele, o come presenza o Shekinah .

La Shekinah è in pratica lo Spirito Santona atteso e che si manifesta alcune volta al fedele negli “Shabbat” come Regina del Sabato o “Shabbat hamlekkah” ed anche con l’aspetto di colomba.
I convertiti all’ebraismo sono coloro che si pongono sotto le ali della colomba.
È ritenuto, infatti, che nello “Shabbat” a chi lo rispetta integralmente dedicandosi in definitiva allo studio della Torah alla sera, al canto “Lekha Dodì” “vieni cara amica”, fornisce un’anima supplementare detta “i’ibbur” e il risultato evidente è il servire Dio nella gioia.

UN EPISODIO TERRIBILE
Gli ultimi tre capitoli del libro 19-21 riportano un episodio veramente orrendo e le sue conseguenze, compiuto da un “innominato” che è definito semplicemente come un “un levita, che dimorava all’estremità delle montagne di Èfraim” (Giudici 19,1), quindi nei pressi dove c’era stato il santuario di Silo.
Questo levita si era presa una concubina da Betlemme di Giuda.
La concubina però gli scappò e tornò a Betlemme.
Il levita allora si mise in viaggio per andare a riprenderla a casa del padre di lei.
Nel ritorno, però, a Gabaa dei beniaminiti, nella notte alcuni sconsiderati e viziosi di quella città violentarono a lungo la donna che ne morì.
Il levita allora divise il corpo della concubina in 12 pezzi e li inviò a tutte le tribù d’Israele che furono convocate a Mispa il cui nome significa “torre di guardia” o “posto per guardare”, ed è usato nella Bibbia per vari luoghi che avevano un posto di vedetta.
A quel tempo evidentemente anche Silo vicino aveva un posto di avvistamento, quindi è da ritenere che gli Israeliti furono convocati nei pressi del già santuario di Silo per decidere la vendetta.
Vennero tutti vicini e lontani e quel levita, non si sa con quale autorità, ma ne doveva ben avere e riconosciuta, pretese che la tribù di Beniamino fosse sterminata, donne e bambini inclusi.
Detto e fatto!
Solo alcune giovani furono risparmiate per perpetuare la tribù.
Quel levita fece poi sterminare anche gli abitanti di Jabes del Galaad, perché non s’erano presentati all’appello (Giudici 21,8-12).
Il levita innominato, ma ben potente, protagonista di questo orrendo episodio era certamente il titolare del tempio di Silo, visto il potere che aveva ancora di convocare tutte le tribù e condizionarle in quel modo.
Di certo il suo nome fu cancellato per rispetto a Mosè per suo rispetto.
Tanta ferocia richiama l’antenato Ghersom il terribile!

In definitiva una altro episodio da prendere con le molle che fa pensare a come la Torah fosse veramente ignota in tale periodo ai personaggi che più avevano l’obbligo di rispettarla.
Dice il libro del Deuteronomio 31,24-27: “Quando Mosè ebbe finito di scrivere su un libro tutte le parole di questa legge, ordinò ai leviti che portavano l’arca dell’alleanza del Signore: Prendete questo libro della legge e mettetelo a fianco dell’arca dell’alleanza del Signore, vostro Dio. Vi rimanga come testimone contro di te, perché io conosco la tua ribellione e la durezza della tua cervice. Se fino ad oggi, mentre vivo ancora in mezzo a voi, siete stati ribelli contro il Signore, quanto più lo sarete dopo la mia morte!”

APPENDICE – DECRIPTAZIONE DI GIUDICI 3
Il testo integrale della ultima traduzione in italiano della C.E.I. di questo capitolo 3 del libro dei Giudici è il seguente:

Giudici 3,1 – Queste sono le nazioni che il Signore lasciò sussistere, allo scopo di mettere alla prova per mezzo loro Israele, cioè quanti non avevano visto tutte le guerre di Canaan.

Giudici 3,2 – Ciò avvenne soltanto per istruire le nuove generazioni degli Israeliti, per insegnare loro la guerra, perché prima non l’avevano mai conosciuta:

Giudici 3,3 – i cinque prìncipi dei Filistei, tutti i Cananei, quelli di Sidone e gli Evei che abitavano le montagne del Libano, dal monte Baal-Ermon fino all’ingresso di Camat.

Giudici 3,4 – Queste nazioni servirono a mettere Israele alla prova, per vedere se Israele avrebbe obbedito ai comandi che il Signore aveva dato ai loro padri per mezzo di Mosè.

Giudici 3,5 – Così gli Israeliti abitarono in mezzo ai Cananei, agli Ittiti, agli Amorrei, ai Perizziti, agli Evei e ai Gebusei;

Giudici 3,6 – ne presero in moglie le figlie, fecero sposare le proprie figlie con i loro figli e servirono i loro dèi.

Giudici 3,7 – Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore; dimenticarono il Signore, loro Dio, e servirono i Baal e le Asere.

Giudici 3,8 – L’ira del Signore si accese contro Israele e li consegnò nelle mani di Cusan-Risatàim, re di Aram Naharàim; gli Israeliti furono servi di Cusan-Risatàim per otto anni.

Giudici 3,9 – Poi gli Israeliti gridarono al Signore e il Signore fece sorgere per loro un salvatore, Otnièl, figlio di Kenaz, fratello minore di Caleb, e li salvò.

Giudici 3,10 – Lo spirito del Signore fu su di lui ed egli fu giudice d’Israele. Uscì a combattere e il Signore gli consegnò nelle mani Cusan-Risatàim, re di Aram; la sua mano fu potente contro Cusan-Risatàim.

Giudici 3,11 – La terra rimase tranquilla per quaranta anni, poi Otnièl, figlio di Kenaz, morì.

Giudici 3,12 – Gli Israeliti ripresero a fare ciò che è male agli occhi del Signore; il Signore rese forte Eglon, re di Moab, contro Israele, perché facevano ciò che è male agli occhi del Signore.

Giudici 3,13 – Eglon radunò intorno a sé gli Ammoniti e gli Amaleciti, fece una spedizione contro Israele, lo batté e occuparono la città delle palme.

Giudici 3,14 – Gli Israeliti furono servi di Eglon, re di Moab, per diciotto anni.

Giudici 3,15 – Poi gridarono al Signore ed egli fece sorgere per loro un salvatore, Eud, figlio di Ghera, Beniaminita, che era mancino. Gli Israeliti mandarono per mezzo di lui un tributo a Eglon, re di Moab.

Giudici 3,16 – Eud si fece una spada a due tagli, lunga un gomed, e se la cinse sotto la veste, al fianco destro.

Giudici 3,17 – Poi presentò il tributo a Eglon, re di Moab, che era un uomo molto grasso.

Giudici 3,18 – Finita la presentazione del tributo, ripartì con la gente che l’aveva portato.

Giudici 3,19 – Ma egli, dal luogo detto Idoli, che è presso Gàlgala, tornò indietro e disse: O re, ho una cosa da dirti in segreto. Il re disse: Silenzio! e quanti stavano con lui uscirono.

Giudici 3,20 – Allora Eud si accostò al re che stava seduto al piano di sopra, riservato a lui solo, per la frescura, e gli disse: una parola di Dio per te. Quegli si alzò dal suo seggio.

Giudici 3,21 – Allora Eud, allungata la mano sinistra, trasse la spada dal suo fianco e gliela piantò nel ventre.

Giudici 3,22 – Anche l’elsa entrò con la lama; il grasso si richiuse intorno alla lama. Eud, senza estrargli la spada dal ventre, uscì dalla finestra,

Giudici 3,23 – passò nel portico, dopo aver chiuso i battenti del piano di sopra e aver tirato il chiavistello.

Giudici 3,24 – Quando fu uscito, vennero i servi, i quali guardarono e videro che i battenti del piano di sopra erano sprangati; pensarono: Certo attende ai suoi bisogni nel camerino della stanza fresca.

Giudici 3,25 – Aspettarono fino a essere inquieti, ma quegli non apriva i battenti del piano di sopra. Allora presero la chiave, aprirono, ed ecco che il loro signore era steso per terra, morto.

Giudici 3,26 – Mentre essi indugiavano, Eud era fuggito e, dopo aver oltrepassato gli Idoli, si era messo in salvo nella Seirà.

Giudici 3,27 – Appena arrivato là, suonò il corno sulle montagne di Èfraim e gli Israeliti scesero con lui dalle montagne ed egli si mise alla loro testa.

Giudici 3,28 – Disse loro: Seguitemi, perché il Signore vi ha consegnato nelle mani i Moabiti, vostri nemici. Quelli scesero dopo di lui, occuparono i guadi del Giordano in direzione di Moab, e non lasciarono passare nessuno.

Giudici 3,29 – In quella circostanza sconfissero circa diecimila Moabiti, tutti robusti e valorosi; non ne scampò neppure uno.

Giudici 3,30 – Così in quel giorno Moab fu umiliato sotto la mano d’Israele e la terra rimase tranquilla per ottanta anni.

Giudici 3,31 – Dopo di lui ci fu Samgar, figlio di Anat. Egli sconfisse seicento Filistei con un pungolo da buoi; anch’egli salvò Israele.

Si nota uno sforzo perché l’intero testo risulti di 31 versetti, numero che evoca + + + l’Unico che è fu e sarà .
L’intero capitolo, infatti è composito formato da:

  • un commento iniziale, dalla storia succinta del giudice “Otnièl, figlio di Kenaz, fratello minore di Caleb”;
  • della storia arricchita di particolare di “Eud, figlio di Ghera, Beniaminita”;
  • un cenno minimo su un altro giudice minore “Samgar, figlio di Anat”.

La decriptazione del primo versetto che presento come esempio ci porta ad una premessa che richiede la venuta di un salvatore.

Giudici 3,1 – “Queste sono le nazioni che il Signore risparmiò allo scopo di mettere alla prova Israele per mezzo loro, cioè quanti non avevano visto le guerre di Canaan.




“Portò il maledetto nel mondo l’orgoglio () a stare nei viventi all’origine ; un fuoco nel corpo entrò per l’angelo (ribelle) che fu per vivere a portarsi nel mondo . Da serpe l’angelo vestito dentro i viventi venne () per essere libero () da Dio . Per primo finì la rettitudine il serpente nella donna (), nei corpi per il serpente la calamità del peccare () venne (). Iniziò a finire in tutti i viventi il vigore . La morte così inviò in azione l’angelo .”

La decriptazione tutta di seguito è la seguente.

Giudici 3,1 – Portò il maledetto nel mondo l’orgoglio a stare nei viventi all’origine; un fuoco nel corpo entrò per l’angelo (ribelle) che fu per vivere a portarsi nel mondo. Da serpe l’angelo vestito dentro i viventi venne per essere libero da Dio. Per primo finì la rettitudine il serpente nella donna; nei corpi per il serpente la calamità del peccare venne. Iniziò a finire in tutti i viventi il vigore. La morte così inviò in azione l’angelo.

Giudici 3,2 – Nei corpi versò il serpente in seno l’impurità. Nel tempo nelle generazioni si portò in tutte ad abitare l’angelo. Dalla rettitudine alla vanità si assuefarono i viventi. Il serpente il veleno nei corpi versò. Nelle donne nei corpi il serpente soffia energia onde ci sia della vita il rifiuto. È a sbarrare col peccare tutti.

Giudici 3,3 – Di nascosto per salvare tutti dal ribelle inviato fu il Verbo dal Potente. D’illuminare scelse chi fosse tra i viventi a portarlo. Una sposa retta da un angelo sentì che inviato le sarà per portarsi nel mondo; giù fosse ad aiutarlo.
L’angelo che fu a portarsi nel mondo. Ad annunciarle fu che sarà alla luce nella famiglia partorito del Potente il Figlio che le porterà l’energia. La vita l’entrò nel corpo ad abitare, dall’alto si chiuse nel corpo della madre l’energia dell’Eterno. La potenza dentro portò l’Unigenito a chiudere in un uomo.

Giudici 3,4 – A portarsi fu al mondo a stare per portarsi dal serpente tentatore. Per portargli la fine dentro un vivente venne in Israele in un neonato nel tempo. Ad uscire fu alla luce dal seno e venne tra i viventi giù a portarsi dalla prescelta. Il Signore da donna dal corpo giù si portò nel mondo. Venne da primogenito in una casa portato in modo puro. Dentro fu nel sangue la luce del mondo.

Giudici 3,5 – Portato il Figlio fu. Fu alla luce nel corpo Dio, ad abitare. Si portò in una casa. Riversò in un corpo dentro nel mondo la rettitudine. La inviò in un misero del mondo a chiudersi completamente. Fu a recarsi nel mondo l’Unigenito a vivere in un corpo. Fu a portarsi nel mondo il Verbo in un corpo. Questi fu a recarsi nel mondo (come) l’annuncio fu a recare. Ad entrare fu in una casa per portare la pienezza all’esistenza.

Giudici 3,6 – Portato che fu a versarsi di nascosto, portarono il primogenito sulla paglia (quando) recato al termine fu ad uscire in vita. Il Potente, per l’uscita della Parola, inviò una luce che fu ai viventi a recare che venne del Figlio a portare indicazione. Furono ad uscire per i viventi angeli ad indicarlo. Gli angeli li portò il Potente per il Figlio che era uscito in vita. A portarsi fu per servire per portare a venire della divinità l’essenza ai viventi.

Giudici 3,7 – A portarsi saranno a vedere la luce portata sulla casa ove angeli stavano. Furono la luce a vedere del Potente che l’Unigenito indicava. Dai campi aperti pastori la casa a vedere furono, ove lamenti il Signore recava. Era la luce la rettitudine ad annunciare, venuta col Signore Dio nell’esistenza dei viventi. Si portò per spazzare da dentro l’essere impuro. Venne in una casa dall’alto per stare tra i viventi e venne l’Unigenito per la liberazione portare a tutti.

Giudici 3,8 – Portato fu in una grotta dell’Unico il Verbo. Il Signore ad abitare fu in Israele per portare il cambiamento con la rettitudine. Nei viventi dentro sarà d’aiuto la rettitudine che recherà a rinnovare. L’empietà a finire sarà tra i viventi. Nei viventi, del serpente affliggerà il verme. L’energia a rigenerare sarà i viventi. Agendo dentro l’essere impuro che abita tra lamenti sarà bruciato. Nei corpi la divinità verrà per la rettitudine che porterà la risurrezione. Li invierà l’ottavo (giorno) dal mondo alla rinnovata esistenza della vita.

Giudici 3,9 – A portarla sarà Questi in azione, a rovesciare sarà dentro l’energia che sarà la forza per risorgere i corpi. La divinità di Dio sarà al mondo a recare che la perversità sarà a rovesciare dai viventi. Il Signore nei viventi porterà la risurrezione che spazzerà il serpente. Figli saranno in forza della risurrezione dei corpi che la divinità porterà. Sarà a recare il dono in azione nei viventi che verranno dal tempo angeli ad essere. Nell’Unico nel cuore puri invierà questi. Nell’Unico a vivere tutti dentro entreranno versati nel cuore. Da angeli i viventi vivi abiteranno.

Giudici 3,10 – A portare la fine del mondo sarà l’Altissimo. Portatosi nel corpo per recarsi dai viventi porterà alla perversità la forza per bruciarla. Dal Verbo dal cuore verrà un forte fuoco. Si vedrà il serpente che si porterà ad uscire. La potenza della vita col vigore nei viventi rientrerà. A portare sarà la fine dell’energia onde è la perversità dentro a stare. L’essere impuro verrà arso dalla risurrezione. Per l’energia l’empio a finire sarà nei viventi. Rivivendo la potenza della rettitudine delle origini nei corpi morirà per la forza chi è impuro. L’agire della potenza della rettitudine porterà a rinnovare. I corpi risorti si vedranno di tutti riessere in vita.

Giudici 3,11 – Si porteranno nel Crocifisso i risorti a versarsi nel cuore, entreranno nell’Unigenito nel corpo. Saliranno all’Unico le moltitudini a vederlo.
Saranno i salvati tra gli angeli ad entrare e saranno i morti nel tempo tra gli angeli. Saranno nell’Unico nel cuore puri angeli questi.

Giudici 3,12 – Portati saranno nei giri dal Verbo e dentro con gli angeli staranno, saranno la luce a vedere del Potente. Per la potenza che agirà simili al Crocifisso usciranno. Nei corpi agirà la forte energia che ci sarà stata. Il Signore sarà stato a portali nel petto i versatisi che furono nel mondo ed entreranno nell’Unico tutti. L’Unigenito nel cammino li accompagnerà dagli angeli per vivere dal Potente. Retti i viventi porterà dal Padre Altissimo. Liberati dalla maledizione retti saranno per opera della distruzione che avrà finito l’entrato cattivo che dentro agiva da oppressione essendo l’essenza della perversità.

Giudici 3,13 – A recarsi fu l’Unigenito per far perire il maledetto che fu a recare alle origini in tutti dentro l’energia. Per spazzarlo in un vivente recò l’energia. Portò in azione in un vivente la potenza a versare. A recare fu la potenza della rettitudine e fu un retto a venire in Israele. A portarla fu a stare in un povero, e per venire ad agire stando in un corpo nel mondo, scelse Maria.

Giudici 3,14 – Portatosi per essere il servo si portò nel figlio a stare. Fu ad illuminarla che dal corpo Dio verrà ad agire. A rivelare si portò un angelo che il Re in vita avrebbe portato. Nel primogenito in famiglia alla luce la madre porterà. Inviato nel mondo opererà per liberarlo rinnovandolo.

Giudici 3,15 – A portarsi fu Questi in azione. A versare portò nel Figlio a stare l’essenza del principe di Dio. La divinità il Signore portò nell’obbediente madre. Del Signore la potenza entrò nella madre. Da liberatore venne il primogenito. Lo splendore nel figlio scorse. Nel corpo del primogenito figlio entrò nei giorni. Abitò in un uomo l’Unigenito nel cuore. In un corpo fu per aiutare nei giorni l’energia a recare. Portò ad esistere un fuoco potente; a chi rese colpevole ad inviarla sarà. Fu la risurrezione in un corpo con la divinità dentro a stare. L’aiuto porterà ai viventi guidandoli. La potenza in azione a rivelare porterà, invierà ai viventi la potenza. La rettitudine ai viventi riporterà che all’origine li abitava.

Giudici 3,16 – A recare fu a vedere una luce il Potente per il portarsi dell’Unigenito. Lo splendore sulla grotta ove abitavano portò. Uscì una luce con gli angeli che fu per chi in cammino. Era portatrice d’un segno che in cammino i viventi aiutava. La luce della rettitudine al mondo recata era nascosta. Chi in cammino vide il recato segno. Nel mondo viveva di sotto il Potente per i viventi aiutare. Era stato a recare l’Altissimo in un corpo la rettitudine nei giorni ad abitare.

Giudici 3,17 – Si portò il diletto in una casa. Vennero il tributo del Potente alla vista a rivelare. Si portarono gli angeli per il Re che tra i viventi si recava. Il Padre portava a vedere a chi in cammino. L’accompagnarono gli angeli. In un uomo dentro il corpo stava l’Unigenito che viveva nella nube.

Giudici 3,18 – A recare fu nel mondo a stare la rettitudine dell’Unico per liberare tutti nel mondo dal serpente. Nel mondo a versarsi in un corpo fu per abitarvi. Venne in un vivente l’energia a racchiudere. Nel mondo porterà ad esistere la risurrezione. Il vigore verrà ad agire nei viventi. Inviata la risurrezione, all’Unico sarà dal mondo i viventi a guidare.

Giudici 3,19 – Per recarsi nel mondo si portò in una donna dentro, la madre; l’energia entrò, la riempì il Verbo. Fu il Potente a stare in un vivente. Da Donna nel corpo venne a rivelarsi. In cammino il Potente si portò per essere da primogenito a viverle nel corpo. La Parola le riempì completamente il corpo. La potenza era di Dio che v’era in modo retto entrato. Il Re si portava per esserle il primogenito a vivere col corpo nel mondo. Nella madre si portò a stare giù l’Unigenito portandosi nel seno. L’Altissimo si portò nella sposa a dimorare; fu dai viventi l’Altissimo a portarsi.

Giudici 3,20 – Portò l’Unico lo splendore dentro dell’Unigenito. Dio fu a portarsi e Lui abitò in una casa che l’Altissimo aveva scelto. Per entrare tra i viventi si versò in un corpo. Uscì dell’Unico il principe che la potenza recava nel cuore. Per l’essere impuro che si portò a stare alle origini nei viventi, nel corpo l’originario splendore sbarrò. Dentro i corpi la maledizione fu a vivere, la potenza che c’era di Dio fu con la rettitudine portata per essere rovesciata dai viventi. In un vivente dall’alto uscì la rettitudine che a riempirli ricomincerà.

Giudici 3,21 – Porterà la forza per strappare dalla tomba. L’originario splendore riverrà. Sarà d’aiuto ai viventi; la divinità porterà che sarà a rovesciare le tombe. Riverranno dalle tombe i corpi da dentro vivi. L’Altissimo nel corpo la rettitudine, che nei giorni l’energia recherà, porterà. Sarà alla fine a versarla in azione nel mondo; dentro gli abiterà nel cuore l’energia che recherà.

Giudici 3,22 – A recare sarà a scorrere per i viventi nel mondo l’energia. Giù da dentro dell’Unico dal chiuso del corpo uscirà per foro. Uno straniero l’aprirà con vigore. Dall’intimo dell’Eterno uscirà la potenza. Uscirà da dentro la rettitudine che sarà il rifiuto per bruciare il serpente. Dal Verbo uscirà dal chiuso del corpo da dentro con l’acqua. Da dentro il cuore l’energia recherà e scaturirà fuori a far frutto. Il demonio per l’energia uscirà.

Giudici 3,23 – Porterà a rispuntare l’originario splendore. Rientrerà nei viventi la pienezza. Le generazioni riporterà energiche nel mondo. Portato che sarà il foro scorrerà dal corpo fuori l’aiuto potente. In croce portato crocifisso innalzato che sarà nel mondo da dentro l’eternità porterà ed invierà in azione la potenza.

Giudici 3,24 – E Lui a scaturire la portò. Per servire fu di portarla dentro a desiderare e fu dal corpo l’Unigenito a recarla. Portata fuori l’energia uscì la liberazione per tutti. La portò dalla croce fuori (quando) innalzato fu nel mondo. Invierà in azione la potenza recandola dalla croce e sarà unita con l’acqua. Dal corpo recherà dell’Unico la rettitudine ai viventi dal foro. Sarà così al mondo, che si portò l’Unigenito venuto col corpo, a rivelare sarà. Portato dentro la tomba l’aiuto nel corpo gli entrerà. Dalla putredine il corpo uscirà.

Giudici 3,25 – E rifù in vita potente a portarsi per sempre. A casa si portò simile agli angeli. Entrò dell’Unico nell’oppresso l’energia che riportò il soffio al Crocifisso nella tomba. Per l’aiuto la potenza nel Crocifisso si portò. Il Crocifisso riuscì per l’azione della potenza; il Signore era. A versare l’annuncio venne dalla madre. Il Verbo indicò che dalla tomba si riportava. Bello il Crocifisso dalla tomba si riportò. Porterà ad entrare l’energia nel mondo dell’Unico. Giudicato fu che uscisse dai viventi l’aborto che all’origine nei corpi scese, n’uscirà morto.

Giudici 3,26 – Porterà per l’Unico, di perversità giudicato nei viventi il serpente, che nei cuori agisce, l’aiuto per uscire. Puri n’usciranno i viventi del mondo che nella vita portano l’essere impuro dall’origine. Tra gli Ebrei venne il Verbo in pienezza. Fu il Potente a stare tra i viventi e fu in un vivente la potenza nel cuore ad entrare; il demonio finirà nel mondo.

Giudici 3,27 – A portarsi fu nel mondo. Fu dentro in una casa a portarsi l’Unigenito, ma portato fu in croce. Versò in azione da dentro la risurrezione. Porterà il Verbo le moltitudini a rigenerare. All’Unico il frutto dei viventi porterà. Fu nel corpo per aiutare a recarsi in azione in un vivente per recare dentro l’energia che sarà la forza per liberare dal maledetto i viventi. Per i lamenti del mondo nel corpo si portò. Dio in persona fu ad entrare in un vivente.

Giudici 3,28 – A portare fu all’origine l’essere ribelle la maledizione nei viventi nei corpi. Per l’aiuto il Verbo portare ai fratelli nel corpo fu a recare la rettitudine che è l’energia che finirà l’angelo per cui ci fu la perversità. Venne dal nemico a stare. Un retto vivente venne ai viventi recato dal Padre. Dentro fu l’aiuto con la rettitudine ai viventi a recare. Scese per portarla ai fratelli. Ad irrigarla la porterà, e sarà per la potenza della rettitudine, l’essere impuro venuto in seno, a mangiare portandolo a finire. Gli uscirà un Giordano di potenza; con l’acqua la recherà. Del Padre recherà la potenza delle origini in dono e negli uomini la potenza agirà dentro i corpi.

Giudici 3,29 – Portata che sarà la rettitudine riporterà l’originaria integrità e dal Padre da dentro il tempo usciranno entrando a stare con l’Unigenito. Retti si vedranno liberare dal Crocifisso. Da Dio per il Verbo saranno le centinaia che vi saranno di risorti, la sposa, nell’ottavo (giorno) porterà. Tutti gli uomini vivi dal condurrà dal Potente. Incontreranno i viventi il Potente che ama gli uomini.

Giudici 3,30 – Porterà tutti retti tra gli angeli i popoli e nel Padre abiteranno. Un giorno usciranno per Lui, il Crocifisso, dalle tombe. Tutti saranno aiutati dalla forza della risurrezione dei corpi che la divinità porterà. Nel Crocifisso i risorti con i corpi nel cuore entreranno. Dalla terra i risorti viventi porterà tra gli angeli per stare in una vita rinnovata.

Giudici 3,31 – L’Unigenito chiusi nel corpo sarà a portare dall’Essere i risorti viventi. In cammino le moltitudini invierà alla vista degli angeli. Tutti a portare sarà così all’Unico il Crocifisso. Meravigliosi luminosi tutti saranno i viventi risorto che il Risorto vivi condurrà al Padre. Gli uomini di vita potente vestiti entreranno a casa. Riversatisi col corpo, portatisi in Gesù, in cammino i viventi del mondo porterà all’Unico; verranno a stare liberi da Dio.

EBRAISMO e GIUDAISMOultima modifica: 2018-06-24T22:24:12+02:00da mikeplato
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