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L’EREDITA’ ESSENA NEL PROTOCRISTIANESIMO

Di Mike Plato

 

La correlazione tra la figura e gli insegnamenti di Gesù e gli Esseni è stata recentemente ammessa dalla Chiesa. Osserviamo gli aspetti principali di questa comunità, di cui parlano antichi autori quali Plinio, Filone e Flavio Giuseppe

 

Nel giovedi santo del 2007 Papa Benedetto XVI – proprio colui che vigilò con severità sulla commissione per la traduzione dei rotoli di Qumran – ammise una correlazione fra Gesù e gli Esseni. Egli disse: «Cristo ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima: l´ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio». In sostanza, partendo dalla convinzione che l’Ultima Cena fu celebrata il giorno di Pasqua, ci si chiede perché il Maestro non l’abbia fatto al modo ebraico, sacrificando un agnello. La dichiarazione è dirompente se fatta dal leader di una Chiesa che ha sempre negato legami tra esseni e paleo-cristiani. È una confessione a denti stretti sul fatto che Gesù condividesse il rito pasquale di una setta, che si fosse creato un mondo di idee tutto suo, che almeno in parte si comportasse da seguace di quel movimento, che respingeva i fedeli del Tempio ufficiale e si concepiva protagonista di una lotta apocalittica tra i Figli della Luce e i Figli delle Tenebre. Papa Ratzinger scriveva inoltre: «Ci colpisce la devota serietà di questi scritti qumranici: sembra che Giovanni il Battista, ma forse anche Gesù e la sua famiglia, fossero vicini a questa comunità. In ogni caso i manoscritti di Qumran presentano molteplici punti di contatto con l’annuncio cristiano. Non è da escludere che Giovanni il Battista abbia vissuto per qualche tempo in questa comunità e abbia in parte ricevuto da essa la sua formazione religiosa». Che il cristianesimo sia la manifestazione di ciò che era nascosto nella Torah e di qui nell’essenismo? Certo è che una comunità monastica come quella essena, per di più dedicata a ideali di purezza ascetica, era un’anomalia, un corpo estraneo in Israele. E fa ancor più meraviglia che i Vangeli sembrino disinteressarsene. Sembrino. Nel 1992, James Charlesworth, autorevole studioso dei rotoli di Qumran e direttore del Dead Sea Scrolls Project, nel fondamentale lavoro Gesù e la comunità di Qumran, ha escluso radicalmente l’appartenenza di Gesù al Tempio esseno, ammettendo solo influenze del secondo verso il primo: «Gesù di certo non era esseno come alcuni autori hanno asserito, né fu indottrinato o significativamente influenzato dagli esseni, malgrado i tentativi di molti ricercatori, da Bahrdt nel XVIII secolo ad oggi, alla fine del XX secolo, di dimostrarlo. Gesù fu influenzato solo in alcuni aspetti minori dagli Esseni. È possibile che abbia avuto in comune con loro una passione per gli stessi testi della Scrittura (Deuteronomio, Salmi, Isaia, e che sia stato influenzato dalla loro esegesi pneumatica, escatologica e messianica. È possibile che abbia ereditato dagli Esseni le idee di redenzione escatologica dei Poveri, di comunione dei beni, di condanna del divorzio, il termine tecnico Figli della Luce e il concetto di Spirito Santo». Ora, Plinio, Filone e Flavio Giuseppe testimoniavano dell’esistenza di diverse correnti nel giudaismo dei tempi di Gesù. Giuseppe, nella Guerra Giudaica, scriveva: «presso gli ebrei la filosofia è coltivata sotto tre forme: i Farisei, i Sadducei e gli Esseni». Nei Vangeli vi sono tutte le correnti tranne gli Esseni. Strana dimenticanza, ancor più strana in quanto a detta di Filone e Flavio Giuseppe, gli Hassidim-Esseni erano la corrente più pura, santa e nobile dell’ebraismo. Ergo, è bizzarro che Gesù e i suoi ignorassero una fratellanza di così grande purità cultuale. La verità è che i Vangeli sono scritti da un’ottica essena, dagli Esseni in prima persona. E se volessimo appoggiare la tesi di Charlesworth, dovremmo pensare che in Israele vi fosse un’altra corrente, sbucata apparentemente dal nulla, ovvero gli stessi paleo-cristiani. Ma poiché il nuovo nasce sempre dalla morte del vecchio, a prescindere da insegnamenti nuovi portati dal Messia, direi che il nucleo della dottrina paleo-cristiana è fondamentalmente esseno. Charlesworth ha elencato una serie di possibili influenze essene sulla dottrina di Gesù. Egli le ritiene minori, ma sono tutt’altro che tali. In apparenza il cristianesimo primitivo sembra un qualcosa di mai visto prima: «Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!”» (Marco 1:27). In realtà, l’evangelista qui inserisce un particolare notevole, come volesse offrirci una traccia: «una dottrina nuova… comanda agli spiriti immondi e gli obbediscono». A prescindere dal fatto che anche Salomone poteva comandare ai demoni, secondo una gnosi ereditata dal padre David (che operava con i salmi), solo gli Esseni coltivavano l’iniziatica arte del comandare agli spiriti e guarire imponendo le mani e pronunziando parole di potenza. Sono cose che Gesù mostrava di saper fare molto bene e qualcuno doveva avergliele insegnate. In Israele, a parte gli Esseni, né i Farisei, né i Sadducei, né gli Scribi, né i sacerdoti Leviti di Gerusalemme, né gli Zeloti avevano idea di questa gnosi iniziatica.

Un po’ di storia

La Bibbia menziona gli Hassidim in 1 Maccabei 2:29-42, ossia in un testo greco che fa parte del canone cristiano ma non di quello ebraico, che accetta solo scritture in ebraico: «allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero per dimorare nel deserto… In quel tempo si unì ai Maccabei un gruppo degli Asidei (siunagoghè Asidaìon), i forti di Israele». Questi Forti – che è poi l’ennesimo attributo che gli Esseni si davano insieme a “Figli della Forza” – si aggregarono e si ritirarono in luoghi desertici per osservare la pura Torah di Mosè. Il fatto è che “sinagoga” in ebraico significa “Assemblea”, il che rimanda all’Assemblea dei Giusti e alla Regola dell’Assemblea. Sinagoga è il termine che definisce il luogo di culto della religione ebraica, essendo la parola stessa la traduzione del termine ebraico בית כנסת – Beit Knesset (casa di riunione). Ora, Kenneset significa anche Fratellanza, Confraternita (ebr. Haburah) e in senso lato Ordine. Quindi quel “Siunagoghè Asidaion” è da tradurre più correttamente: Fratellanza degli Hassidim (pii). Secondo Flavio Giuseppe (Antichità Giudaiche XIII:17), intorno al 150 a.C. sotto la reggenza di Gionata, essi si differenziarono in Farisei ed Esseni. Ciò significherebbe che gli Esseni sono ciò che resta di uno scisma degli Hassidim.

La datazione dei rotoli

Secondo Cecil Roth, storico ed insegnante inglese di religione ebraica, la Regola della Comunità sarebbe stata compilata nel I secolo d.C. Era anche il punto di vista di Godfrey Rolles Driver (The Judean scrolls: the problem and a solution) il quale affermò che i rotoli di Qumran dovessero datarsi nella prima metà del I secolo d.C. fino agli inizi del II secolo, nonostante essi si riferiscano a fatti del I secolo a.C. Driver li definì “Covenanters-Pattanti” (quelli dell’Alleanza). Ma questi storici ignoravano i fatti spirituali che ispiravano i Covenanters e i fatti spirituali si riferivano tutti alla misteriosissima tradizione del Melkizedek di cui gli Hassidim sembravano depositari e custodi. Se da una parte Driver afferma che essi fossero Figli di Sadok perché erano eredi del sacerdozio del Sadok (per fortuna non li confonde con i Sadducei), dall’altra i Fratelli Esseni si ritenevano figli dell’Elohim, ovvero il Melkizedek del rotolo 11q13 e del rotolo della Visione di Amram. Quel Melkizedek che sarà noto ai cristiani gnostici come lo Spirito Santo. Scriveva l’autorevole Luigi Moraldi nell’Introduzione de I Manoscritti di Qumran (Tea): «Che i manoscritti di Qumran siano di origine cristiana, o meglio ebreo-cristiana, siano cioè opera di ebrei convertiti al cristianesimo e rimasti in gran parte fedeli alla legge mosaica, è senza dubbio un’opinione seducente, particolarmente oggi che da più parti si nota un interesse nuovo, per questi cristiani, o per la chiesa della circoncisione, in seguito alle scoperte archeologiche e agli studi di testi e documenti letterari». Nell’agosto del 1954, J.L. Teacher, al Congresso degli Orientalisti a Cambridge, confutò Flavio Giuseppe sull’esistenza degli Esseni. Egli sostenne che la descrizione di Giuseppe fosse un quadro composito, i cui tratti fondamentali derivavano dall’osservazione delle comunità cristiane primitive fatte da un estraneo. In sostanza, secondo Teacher, Giuseppe osservò i primi cristiani e li definì Esseni. Fu anche la tesi di H.E. De Medico: gli Esseni non sono mai esistiti, non sono che un mito, un parto della fantasia di Filone, della credulità di Plinio e delle inesattezze copistiche di Giuseppe Flavio. Come è evidente, ci troviamo innanzi ad un panorama esegetico piuttosto vario e composito, ove tutti possono offrire un contributo alla verità, ma nessuno dispone della verità tutta intera sugli Esseni. Noi sappiamo che Giuseppe, Filone e Plinio testimoniavano dell’esistenza degli Esseni in un periodo che coincide con i rotoli di Qumran e abbiamo i rotoli di Qumran stessi che attestano dell’esistenza coeva di un Ordine di Melkizedek. Non si può che parlare della stessa cosa con nomi diversi. Appurato questo, abbiamo il dovere di confrontare e incrociare tutti i testi sacri della cristianità con i rotoli di Qumran e cercare elementi comuni che possano dimostrare un passaggio di consegne dagli Esseni ai cristiani. Dobbiamo tuttavia scovare elementi probanti e soprattutto numerosi e ampiamente significativi, altrimenti questo passaggio non può essere dimostrato e rimarrà solo un’ipotesi, seppur forte. Possiamo farlo iniziando a confrontare le notizie storiche riportate da Filone con il Nuovo Testamento.

                                              Qumran ricostruzione di forte a sud est di khirbet qumram

La testimonianza di Filone d’Alessandria

Filone ebreo, contemporaneo di Gesù, era un esegeta della Torah, da lui interpretata in una visione ermetico-platonica a tratti estremamente interessante. Nel Quod omnis probus sit liber descrive gli Esseni, mostrando una profonda ammirazione per questa confraternita. Alcune sue testimonianze possono tornarci utili per capire l’essenismo insito nei primi cristiani. Filone affermava alcuni principi fondamentali, elencati di seguito.

1) Gli Esseni non sacrificavano animali ma la propria mente razionale, santificando i pensieri (in ciò avvicinandosi alla pratica del Buon Pensiero di Zarathustra) e controllando gli istinti animali. In sostanza essi erano allineati al sacrificio del sacerdozio di Melkizedek e non a quello di Aronne, ovvero l’uccisione dell’animale interiore. Paolo, nella Lettera agli Ebrei, afferma che Gesù fu reso perfetto (5:9) e sacerdote in eterno al modo di Melkizedek (5:10). Il perfezionamento e il sacerdozio eterno di Melkizedek erano totalmente sconosciuti in Israele. Ora, non è mai scritto che Gesù fu il primo a manifestare questo misterioso sacerdozio di Melkizedek, che appare già in Genesi 14 e nel salmo 110. Questo significa che Gesù si inserisce in una tradizione già esistente da molto tempo, almeno dai tempi di Abramo, ma tenuta segreta e quindi non nota neanche al potere sacerdotale ebraico. Paolo si mostra a conoscenza tanto di questa tradizione sacerdotale super-umana che della condizione sovrumano-melkizedecchiana di Gesù (Ebrei 7:15). Col sacrificio di se stesso, Gesù mostra la via della salvezza dell’anima, rinunciando a tutto ciò che è animale ed umano in lui. Il sacrificio degli animali era solo una figura vivente di ben altro sacrificio. Quindi non sorprende che la testimonianza di Filone sulla negazione dei sacrifici animali da parte degli Esseni trovi un riscontro nelle vicende di Gesù, re dei primi cristiani, che mostravano di conoscere e mettere in pratica il sacrificio al modo di Melkizedek. Ai tempi di Gesù c’era una sola fratellanza che venerava Melkizedek e praticava il sacerdozio di Melkizedek: gli Esseni. E se da una parte gli Esseni temevano e detestavano Beliar, il principe di questo mondo, ebbene l’unico che cita Beliar in tutto il testo Biblico è proprio Paolo, che contrappone Beliar a Cristo come gli Esseni lo contrapponevano a Melkizedek: «Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?» (2 Corinzi 6:15).

Secondo Joachim Gnilka, uno dei mostri sacri dell’esegesi cristiana, la citazione di Beliar non è di Paolo ma di qualche ignoto cristiano che insinua nel testo di Corinzi un qualche scritto essenico (Paul and the Dead Sea Scrolls). L’esegesi ufficiale non può ammettere l’essenità di Paolo, che appare scomoda e costringe a ripensare molte cose. Beliar è descritto dagli Esseni ne La Regola della Comunità, i quali giungevano persino a maledirlo: «sii tu maledetto senza alcuna misericordia, in conformità alle tue opere tenebrose. Sii tu detestabile nelle tenebre del fuoco eterno» (II, 7-8). A onor del vero, la maledizione era pronunziata dai leviti della fratellanza e non dai sacerdoti di Melkizedek, ossia dagli iniziati di grado più alto. Beliar il maledetto è certamente quel Nakash tentatore che provoca la caduta dell’uomo primordiale e che viene maledetto da Dio (Genesi 3:14). Nulla è casuale e quel 3:14 rimanda al numero eterno (3,14) che suggerirebbe un’eterna maledizione, confermata peraltro dalla Lettera di Giuda 6. Gli Esseni accennarono ad un Impero di Beliar che dominava non solo su Israele ma sul mondo intero (I:24). L’espressione Impero di Beliar trova un suo corrispondente nell’esseno Gesù, il quale testualmente afferma: «Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre» (Luca 22:53). Che si tratti dello stesso Impero, nessun dubbio. A leggere bene il testo della Regola, ci si rende conto che il pensiero degli Esseni era che l’Impero sarebbe durato fino all’eskaton (fine del tempo), ma che per ognuno di loro ci sarebbe stata la possibilità di sottrarsi all’impero delle Tenebre in qualsiasi momento grazie al perfezionamento. In ogni modo, comune all’essenismo e al cristianesimo è la convinzione che Dio ha posto un termine al dominio delle tenebre, come si evince dalla Regola della Comunità IV:18-19, nonché dall’Apocalisse e dai discorsi escatologici di Cristo espressi in Luca e Matteo.

2) Filone sostiene che tra di loro «l’insegnamento è impartito per mezzo di simboli secondo un’antica tradizione». Gli Esseni si applicavano a Raz (misteri) e Sod (segreti) attraverso la penetrazione del simbolo. Solo questo particolare rende gli Esseni profondamente diversi dalle altre correnti ebraiche, tanto più il richiamo, operato da Filone, ad un’antica tradizione che gli altri ebrei neanche avevano mai conosciuto. Se vogliamo trovare un corrispondente cristiano di questa forma di insegnamento, dobbiamo attingere al Vangelo gnostico di quel Filippo discepolo di Gesù, che al verso 67 dice: «La verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini. Esso non la riceverà in altra maniera». Lo stesso Paolo promana certamente da quest’antica tradizione custodita dagli Esseni, perché solo un esseno può dire: «Era dunque necessario che i simboli delle realtà celesti fossero purificati con tali mezzi; le realtà celesti poi dovevano esserlo con sacrifici superiori a questi» (Ebrei 9:23). Paolo comprende che il modo di parlare di Dio è per simboli, figure ed allegorie, e per questo cita l’ammonimento di YHWH a Mosè in Esodo 25:40: «Guarda di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte» (Ebrei 8:5). Il che equivale a dire: «dà alla tua gente la verità velata da simboli e figure, affinché chi si applica, se ne sarà degno, pervenga da solo alla comprensione dei miei misteri e segreti».

3) Filone informa che essi si astenevano dai giuramenti. Cristo dice: «ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi» (Matteo 5:34); Filone rivela che «il loro amore verso la virtù è dimostrato dal disprezzo delle ricchezze, della gloria terrena, dei piaceri». È noto che Cristo e i suoi insegnino il disprezzo per Mammona e per i piaceri. Cristo stesso rifiuta con sdegno la proposta del Tentatore (Beliar) di concedergli i regni del mondo;

4) Altro particolare notevole rivelato da Filone è che essi non dimoravano necessariamente nel deserto del Mar Morto (ciò testimoniato da Plinio il Vecchio) ma abitavano anche in villaggi e in case sparse qui e lì, aperte a tutti i fratelli: «ogni casa è di tutti, giacché, oltre al fatto che abitano insieme in confraternite, la loro casa è aperta a tutti quelli che condividono le loro convinzioni, da qualsiasi parte giungano». Se Gesù e i suoi possono considerarsi, sotto un certo aspetto, esseni, ciò spiega come fosse possibile che essi peregrinassero sempre accolti qui e lì da uomini di buona volontà. Erano certamente accolti da fratelli;

5) Filone testimonia dell’organizzazione comunitaria: «hanno un’unica cassa per tutti… hanno adottato l’uso dei pasti in comune… ciò che ricevono come salario giornaliero lo depongono nel fondo comune». In sostanza, un comunismo ante-litteram, anzi il vero e unico comunismo, possibile solo se i suoi membri sono dotati di grande elevazione spirituale. I Templari modularono la loro organizzazione monastica rifacendosi al modello esseno, che viene descritto anche nella Regola della Comunità I:12: «tutti coloro che sono generosi verso la sua volontà apportino tutto il loro sapere, il loro lavoro e i loro beni nella Comunità di Dio». È alla Comunità degli Ebionim (i Poveri, altro nome degli Esseni) che Gesù si riferisce quando dice: «Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi”». Cristo dice: «se vuoi raggiungere la perfezione iniziatica, entra nella nostra Comunità, dà tutto quello che hai al fondo comune dell’Ordine e cambia vita». Ora, i Poveri (gr. Ptokoi) cui allude il Maestro non sono i poveri in senso materiale. Per capirlo dobbiamo analizzare il discorso della montagna (Matteo 5:3) laddove il Maestro parla di “poveri in spirito” (gr. ptokoi to pneùmati), che non sono poveri di spirito, ma poveri da intendersi in senso spirituale. Essi si consideravano poveri rispetto a Dio, colui che è ricco. Questa consapevolezza della miseria della natura umana rendeva unici gli Ebionim (Poveri) Esseni e gli stessi esseni convertiti (nazorei-cristiani). In fin dei conti, i membri della confraternita erano individualmente poveri perché spossessati delle loro ricchezze e persino di se stessi (spersonalizzazione e lotta all’ego). Questo termine “poveri” è talmente particolare e talmente assente nelle altre correnti giudaiche che non si può pensare quantomeno ad un’influenza dell’essenismo su Gesù e sul primo cristianesimo. Il termine “poveri” sia nel giudaismo che altrove ha sempre avuto una valenza economica e sociologica, mai spirituale come avviene in Gesù e in Qumran;

6) Nell’Apologia degli Ebrei, Filone afferma che la loro vocazione non è basata sulla nascita, ma è volontaria e finalizzata a promuovere virtù spirituale e amore fraterno. Ciò trova un’eco in Paolo, che in Ebrei 7:16 sostiene che il sacerdozio melkizedecchiano di Cristo non è imposto da una prescrizione carnale (il sacerdozio levita era ereditario) ma per volontà e vocazione individuale e per potenza di una vita senza difetti carmici;

7) Filone afferma: «consapevoli degli ostacoli che ne derivano per il cammino spirituale del singolo e dell’intera fratellanza, gli Esseni hanno eliminato il matrimonio e si sono imposti una perfetta continenza». Coerentemente a questa filosofia, che nell’ebraismo era esclusiva essena, Cristo parla di iniziati che si sono fatti Eunuchi per il Regno dei Cieli (Matteo 19:12), indicando che la Via impone la ricerca dell’androginia primordiale e questo attraverso celibato e continenza. Ovviamente, il sesso, espressione della dualità, mostra la decadenza dell’uomo che cerca la sua controparte non all’interno ma all’esterno. Quindi, l’invito alla continenza è implicito e appare con forza allorché Cristo dice ancora: «ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito» (Luca 20:35). Anche Paolo sostiene che «se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» (1 Corinzi 7:9), mostrando come vi possano essere diversi gradi di evoluzione spirituale e di sacrificio verso il proprio interiore. A sacrificio più grande corrispondevano poi doni spirituali più grandi. Il discorso è tutto qui: più dai allo Spirito più ne ricevi. Paolo ripropone l’atavica scelta fra l’amor sacro e l’amor profano che gli Esseni-Cristiani risolvevano decidendo di non sposarsi e di non avere figli, proprio per focalizzarsi completamente sull’evoluzione e perfezionamento dell’anima.

8) Giuseppe Flavio, in Guerra Giudaica, testimonia che essi indossassero una veste di lino bianco. Si tratta di un’antica tradizione dei Figli della Luce, tradizione presente anche nel tempio di Heliopoli. In Marco 16,5 è scritto che «entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura». Ma ancor più significativo è Marco 14,51 «un giovanetto però seguiva Gesù, rivestito soltanto di un lenzuolo (in greco Sindone), e lo fermarono». Certamente non si tratta di un ragazzo, ma di un iniziato adulto, in quanto fanciullo o ragazzo è il modo abituale di chiamare gli iniziati. È noto infatti che solo uomini maturi potevano entrare nella Comunità, poiché questo deve essere frutto di una scelta matura e consapevole, impossibile in età giovanile.

 

L’EREDITA’ ESSENA NEL PROTOCRISTIANESIMOultima modifica: 2018-10-03T13:23:27+02:00da
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