IL CODICE ASTRONOMICO DI DANTE

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Intervista di Simone Leoni a Chiara Dainelli

Un viaggio nei segreti astronomici del Sommo Poeta fiorentino, attraverso l’intervista a Chiara Dainelli, autrice del libro Il Codice Astronomico di Dante 

L’opera massima del Sommo Poeta, Dante Alighieri, si chiamava in origine La Comedìa, divenuta poi Divina Commedia. La figura di Dante ha sempre affascinato storici e filosofi, ma anche esoteristi. Alcuni sostengono che sia appartenuto ad una società iniziatica e che il suo scritto possa contenere conoscenze che egli ha dovuto nascondere proprio al suo interno, forse per scampare all’inquisizione. Ma quali sono le conoscenze “pericolose” che l’Alighieri ha inserito nel suo poema? Cerchiamo di scoprirlo insieme alla dottoressa Chiara Dainelli, autrice del libro Il Codice Astronomico di Dante (Eremon Edizioni, 2012), in questa intervista per Fenix.

Simone Leoni: Dottoressa Dainelli, come nasce il suo interesse per la figura di Dante Alighieri?

Chiara Dainelli: «La mia passione per il Sommo Poeta nasce da bambina: sono cresciuta in un ambiente nel quale si è sempre alimentato un profondo rispetto per la Letteratura Italiana e la figura di Dante mi è sempre stata portata a modello per la sua rilevanza e il suo valore! Crescendo, l’interesse per le sue opere si è consolidato, incoraggiandomi, poi, ad analizzare tutti i 100 canti della “Comedìa”. Una vera e propria scoperta, verso dopo verso! Fino all’intuizione, come mi piace definirla, della conoscenza da parte di Dante della precessione equinoziale, che ho avuto leggendo i versi 22-27 del I Canto del Purgatorio. Da questi ha avuto origine il mio studio, portandomi alla consapevolezza che all’interno della “Divina Commedia” ci sia un’assoluta comprensione di nozioni a livello astronomico, che nel periodo medievale risulterebbero a dir poco molto improbabili!».

S.L.: Nel suo libro Il Codice Astronomico di Dante parla di un filo conduttore che lega l’astronomo Tolomeo e Dante Alighieri. Sarebbe a dire?

C.D.: «Tolomeo d’Alessandria (II sec. d.C.) è il collegamento che ha permesso all’Alighieri di avere nozione della precessione equinoziale e delle altre grandi conoscenze astronomiche che presento nel mio libro. Tolomeo fu l’autore di un Trattato di Astronomia o Sintassi Matematica, meglio conosciuto come Almagesto! All’interno di tale imponente opera non si spiega solamente la famosa teoria geocentrica, che ebbe larga fortuna durante tutto il Medioevo, ma vi sono raccolti tutti i quattordici libri a carattere matematico-astronomico, che Ipparco di Nicea redasse durante la sua vita. Ipparco di Nicea, vissuto nel II sec. a.C., nella nostra cultura greco-romana, fu lo scopritore della precessione equinoziale e tutte le sue teorie si ritrovano, perfettamente compenetrate, nei versi astronomici della Divina Commedia. Subito dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, la cultura greco alessandrina cadde nel silenzio! Fu a causa dello scontro-incontro tra la cultura islamica orientale e la cristiana occidentale, che ritornarono sulla scena intellettuale europea grandi filosofi e matematici, quali Aristotele e appunto Tolomeo. Nella prima metà del XII sec., fra i traduttori di opere scientifiche, si pose in evidenza Gherardo da Cremona, che sotto richiesta di Federico Barbarossa divenne traduttore e divulgatore dell’Almagesto di Tolomeo. Un uomo di grande ingegno, quale fu l’Alighieri, non poteva non aver letto l’opera del grande alessandrino, infatti Gherardo da Cremona viene citato dal Sommo Poeta nel Convivio, precisamente nel II capitolo, paragrafo XIV! Ecco il filo conduttore che lega Dante Alighieri, Tolomeo di Alessandria e Ipparco di Nicea, ad un distanza temporale tra il primo e l’ultimo di quindici secoli!».

S.L.: Cosa cercava Dante nell’astronomia? Cosa ha trovato secondo lei di così importante da criptarlo in un testo poetico come la Divina Commedia?

C.D.: «L’Uomo ha sempre puntato il suo sguardo agli incommensurabili e distanti spazi siderali; qualsiasi oggetto, dalle stelle, ai pianeti, alle nebulose, del nostro Universo, ha sempre affascinato il genere umano, che ha cercato, con costanza e dedizione, di renderlo più vicino a sé, inglobandolo nelle leggi fisiche e matematiche che lo regolano! Ma Dante va oltre! Le sue conoscenze astronomiche non sono solamente mero frutto dello studio di un grande scienziato, quale lui era: esse sono mediate dalla costante ricerca di unire insieme tutte le discipline! All’interno della Comedìa non si può solamente ricercare la Letteratura, la Poesia, la Filologia, la Spiritualità, la Filosofia e la Teologia e chiuderle ognuna all’interno di paratie stagne! L’Astronomia è il collante di tutto questo e la prova è nel fatto che ogni Cantica termina con la parola “Stelle”! Nell’Astronomia Dante cerca esattamente ciò che chiede alle altre discipline: una vera e propria unità del sapere, che non può essere scisso, perché ogni facoltà ne richiama un’altra, nell’infinito dell’Universo, nella costante ricerca di Dio! Per questo la “Divina Commedia” è poderosa e monumentale, in quanto racchiude tutto lo scibile umano! Probabilmente Dante ha voluto “criptare” questo suo sapere astronomico, impossibile per l’epoca medievale, per non finire nella rete di una cultura che all’epoca si voleva povera, gretta e meschina! L’Alighieri ci ha chiesto, e continua a farlo, non soltanto di “sentirlo”, ma di “ascoltarlo”, non soltanto di “leggerlo”, ma di “capirlo”! Nel mio libro scrivo: “dal Polo Poetico si passa al Polo Fisico”!».

S.L.: Lei afferma anche che Dante ci consente di entrare a conoscenza delle sue nozioni. Di quali nozioni si parla? Possono essere legate sia all’Astronomia che all’Esoterismo?

C.D.:«L’Astronomia è una scienza molto presente all’interno della Divina Commedia: i passi a carattere astronomico, attraverso le tre Cantiche, si presentano in successione ordinata e, fondamentalmente, sono tutti volti a dimostrare che il Poeta conosceva molto bene la precessione equinoziale. L’Alighieri indica una via, in alcuni punti ancora da comprendere ma visibile, che ci indirizza su un percorso per arrivare a capire un tragitto ben delineato di conoscenze matematico-astronomiche. In tal modo, nel corso del mio studio, ho scoperto i rapporti matematico-astronomici tra la Terra e la Luna, nell’Inferno, tra la Terra e le costellazioni nel Purgatorio, fino al Paradiso, nel quale vengono presi in considerazione i pianeti del Sistema Solare e le loro influenze sul sapere, prendendo l’assetto aristotelico-tolemaico esclusivamente come una giustificazione per ordinare le varie discipline e dottrine. Per quanto riguarda ciò che qui vogliamo intendere come “Esoterismo”, non possiamo assolutamente inserire tale argomento ingabbiandolo in “nozioni”. L’opera di René Guénon, L’Esoterismo di Dante, di cui scrivo nella parte conclusiva del mio libro, ha come fine di presentare la “Comedìa” ad un livello di lettura “mistico”, che non indugia sull’aspetto della sola parola scritta, ma predispone ad una più alta forma di pensiero. Lo studio di Guénon è un breve saggio, uscito nel 1925, nel quale l’autore indica, in modo esplicito, che nella Divina Commedia appare “un senso nascosto, propriamente dottrinale, di cui il senso esteriore e apparente è solamente un velo” e che tale intima essenza “deve essere ricercata da coloro i quali sono capaci di penetrarla”. Non mi sento assolutamente di affermare che l’esoterismo si possa incanalare in determinate nozioni; questa una lettura metafisica dell’Opera Massima dell’Alighieri!».

S.L.: Se la sua risposta fosse che si parla di nozioni legate all’Astronomia, a quale scopo riportare eventi di personaggi deceduti? Dov’è il nesso?

C.D.: «L’intero impianto della Divina Commedia si basa sulle storie e gli eventi di personaggi, dai più importanti della storia, o della mitologia, fino a coloro che fanno parte delle cronache del tempo (e non solo cronache fiorentine), agli affetti più stretti del Poeta stesso (basti pensare all’episodio di Cacciaguida o a quello riguardante Brunetto Latini). In alcuni casi, e questo avviene maggiormente nella Cantica dell’Inferno, gli stessi protagonisti dei canti e i loro racconti ci introducono alle conoscenze astronomiche del Poeta, come nella straziante narrazione del Conte Ugolino nella descrizione della sua morte e dei suoi figlioletti; oppure nell’episodio di Farinata degli Uberti, attraverso le cui parole Dante profetizza il suo proprio esilio, mostrandoci la sua totale competenza del movimento lunare e luni-solare. Quindi il rapporto risulta essere molto stretto!».

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S.L.: Qual era il rapporto di Dante con la cultura araba?

C.D.: «L’Alighieri provava nei confronti della cultura araba un atteggiamento di rispetto a e al contempo di serio dibattito scientifico. È indicativo che alcuni importanti filosofi, quali Avicenna e Averroè siano posti dal Sommo Poeta nel primo cerchio infernale, cioè il Limbo, precisamente nel Castello degli Spiriti Magni, insieme a Seneca, Euclide e a Tolomeo. Tale luogo simboleggia la filosofia e la sapienza umana, quindi è indubbio che Dante portasse rispetto nei confronti dei due filosofi e matematici di origine musulmana, che avevano apportato molto alla conoscenza e all’erudizione! Al contempo, però, sia all’Interno della “Comedìa”, che del “Convivio” è il Sommo Poeta per primo a confutare determinate teorie a livello fisico-astronomico riguardanti il nostro satellite, di Averroè (Ibn-Roshd). Tali ipotesi del filosofo arabo, dimostrate da Dante come fallaci, riguardano il fenomeno delle cosiddette “macchie lunari”, spiegato, con l’ausilio dell’illustrazione delle eclissi di Sole e di Luna, in maniera chiara ed esaustiva dalle labbra di Beatrice nel II canto del Paradiso e direttamente dall’Alighieri nel II capitolo, paragrafo XIII del “Convivio”. A questo punto, mi sento di esprimere che il rapporto sussistente tra Dante e la cultura araba raggiungeva un alto livello di scambio intellettuale».

S.L.: Ci sono differenze tra lo studio astronomico dantesco e quello arabo? Se è così, quali? Ma soprattutto, come venne Dante a conoscenza del sapere astronomico arabo?

C.D.: «Gli albori dell’astronomia araba affondano le proprie radici attraverso due arterie: dal V sec. a.C., dai tempi della dinastia persiana degli Achemenidi, dominante nell’area iranica, che aveva esteso la sua sovranità anche nel nord-ovest dell’India, erano filtrate alcune teorie astronomiche babilonesi, invece durante il periodo della stirpe ellenistica dei Seleucidi (IV e III sec. a.C., che aveva governato la parte orientale dei domini di Alessandro Magno, dopo la sua morte, tra cui la zona corrispondente oggi all’attuale Pakistan), erano giunte altre conoscenze astronomiche di origine greca frammischiate alle tecniche babilonesi. Il risultato di queste trasmissioni culturali si ripercosse nell’espansione islamica dei secoli VI e VII, durante i quali vi fu il contatto diretto con la scienza astronomica ellenica e l’immediata traduzione delle opere greche, a partire dalla conquista islamica del nord Africa, specificamente con la caduta di Alessandria. Tolomeo d’Alessandria quindi, risulta sempre essere il tramite fondamentale per la scienza astronomica, sia ad Occidente che ad Oriente. Molti storici, comunque, collocano la nascita dell’astronomia araba all’epoca in cui alcuni sapienti di origine indiana, recatisi a Baghdad nel 744, portarono con loro un trattato di astronomia pratica che fu subito tradotto in arabo col titolo di “Tavole astronomiche indiane”. Fu la religione islamica a porre nell’astronomia uno svariato numero di questioni. In ogni caso, l’astronomia araba alto medievale fu in grado di apportare a quella di origine ellenica-alessandrina molte scoperte importanti che successivamente furono riprese nel nostro occidente cristiano, addirittura fino alla teoria della “trepidazione”, una tesi che poneva calcoli errati della precessione equinoziale, che però negli scritti dell’Alighieri non è assolutamente presa in considerazione! Fu sempre tramite le traduzioni in greco e latino, che arrivavano dal mondo arabo, che l’Alighieri fu a conoscenza delle scoperte musulmane, fino a confutarle, come poco detto sopra».

S.L.: Ci spieghi per quale motivo Dante inserì Maometto nel XXVIII Canto dell’Inferno.

C.D.: «Il XVIII Canto dell’Inferno ci introduce ad visione turpe e violenta: siamo nella Nona Bolgia, dove sono puniti i seminatori di scandali e scismi. Per la pena del contrappasso, come in vita i protagonisti di tali versi hanno inferto profonde ferite all’interno della società e delle comunità, nell’oltretomba sono puniti nelle loro stesse carni, feriti e dilaniati in varie parti del corpo, ridotto a brandelli di sangue. Maometto, essendo il fondatore dell’Islam, creò una profonda scissione. Musa di tale canto è l’orrore, che affonda le proprie radici nella coscienza cristiana, che vede sconvolta l’idea di integrale unità politica e religiosa, per cui Dante vagheggia con l’animo proteso ad inseguire la sua idea di pace e giustizia sicura. Da questo punto nasce la vena polemica e inquieta della rappresentazione. Maometto nell’Inferno divarica il proprio corpo, mostrando le interiora: si dischiude di fronte a Dante e Virgilio, mostra la propria colpa, il suo essere peccatore di fronte a Dio e al Cristianesimo. L’Alighieri era sicuro di doverlo condannare in questa bolgia, proprio per il fatto che con il suo operato, con la sua vita politica e religiosa, aveva creato una frattura cruenta nella società, un ostacolo grave al compimento di unità religiosa di tutti gli uomini. Se Maometto è dilaniato dal mento al bacino, dal mento alla fronte è spaccato suo genero, Alì, colui che ne sposò la figlia, Fatima, considerato il fondatore dell’Islam sciita; un’ulteriore scisma addirittura all’interno della fede musulmana. L’Alighieri, mostrando prima la figura di Maometto e successivamente quella di Alì, crea un vero e proprio passaggio di testimone tra i due protagonisti della fede musulmana! Non a caso un noto “hadith” recita: “Io (Maometto) sono la città della conoscenza e Alì ne è la porta”. I versi nei quali Dante descrive le figura di Maometto e Alì sono appena una ventina, eppure ancora oggi sono scontro di controversie e dibattiti. Solo all’inizio del XXI secolo, all’Università del Cairo viene finalmente presentata una versione completa della “Comedìa”, nella quale compaiono tali versi oggi tanto messi in discussione! L’attualità recente ha risollevato il problema: oggi si chiede di evitare lo studio della “Divina Commedia” nelle nostre scuole italiane a causa di questo passo! Sono solo venti versi del Padre della nostra Letteratura! Rispettiamo le culture di tutti, non creiamo altri scismi e scandali!».

S.L.: Dante nella Divina Commedia parla di astri e pianeti. Ciò può indurci a pensare che abbia scoperto anche il fantomatico Pianeta X, oppure no?

C.D.: «Ho analizzato molti versi a carattere astronomico durante la mia ricerca, alcuni non li ho inseriti in quanto sono ancora oggetto di studio e analisi! Nel mio approfondimento non ho trovato alcun riferimento al Pianeta X, ma alcuni passi molto interessanti, che potrebbero riferirsi a stelle giganti rosse, quali Thuban, l’astro principale della costellazione del Drago».

S.L.: A pagina 68 del suo libro riporta la struttura dell’oltretomba dantesco, dove possiamo ammirare i vari cieli che sono, se così si può dire, sotto l’influenza dei pianeti e dove c’è lo schema che dal mondo arriva fino alla candida rosa e infine a Dio. Quindi la domanda che le voglio porre è questa: Dante può aver considerato che Dio si trova in un punto determinato dello spazio con questa rappresentazione?

C.D.: «Per Dante non c’è un preciso punto dell’Universo nel quale dimorerebbe Dio stesso: per il Sommo Poeta Dio è ovunque e soprattutto in ognuno di noi! Questo si rileva dal XXXIII Canto del Paradiso, precisamente nei versi 110-136, nei quali agli occhi dell’Alighieri si presenta l’ineffabile mistero dello Trinità e della Reincarnazione: e proprio in quest’ultimo Dante vede se stesso nella figura del Figlio. Tale è l’aspetto che gli si presenta nell’inesprimibile, nel quale il Verbo divino diventa vero Uomo, pur rimanendo allo stesso tempo vero Dio».

S.L.: Pensa che il segreto di Dante sia più di natura scientifica che esoterica? Cosa vuole dire ai nostri lettori?

C.D.: «Ciò che vorrei trasmettere ai lettori è che Dante fu molto di più del Padre della nostra Letteratura Italiana! Dante Alighieri rappresenta la “summa”, non soltanto del Medioevo, ma di tutto ciò che può essere compreso nello scibile umano, quindi anche dal punto di vista scientifico ed esoterico della dottrina. Se la nostra società vuole riscoprire le proprie origini è proprio tramite lo stesso Sommo Poeta che deve passare, per attraversare un “ponte” che ci lega a lui, ancora dopo settecento anni! Oltre alla Divina Commedia, egli scrisse il Convivio, invitandoci alla “tavola” del sapere, un sapere che affonda le radici in ogni aspetto in cui ognuno di noi legge il Sommo Poeta: letterario, filosofico, teologico, spirituale, scientifico, esoterico… Ascoltiamolo!».

IL CODICE ASTRONOMICO DI DANTEultima modifica: 2018-12-03T12:45:37+01:00da mikeplato
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