GURDJEFF, PENSIERO e OPERE

George-Gurdjieff

di Mike Plato

E’ il 1919 allorchè l’esoterista, filosofo e mistico armeno George Ivanovic Gurdjieff fonda l’Istituto per lo Sviluppo armonioso dell’uomo (Francia) ovvero La Quarta Via. Già nel 1895, con un gruppo di amici, G. aveva fondato l’associazione “cercatori della verità”. Nel 1915, G. aveva accettato Piotr Demianovič Ouspensky (autore del Tertium Organum, un trattato sulla natura dell’universo) come allievo a Mosca. Ouspensky, uomo di cultura e scrittore, fu il tramite per il pensiero di Gurdjieff in Occidente, e avrebbe in seguito testimoniato nel libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto (1923, pubblicato postumo nel 1949) l’esperienza dell’insegnamento di Gurdjieff, il quale ha ammesso di utilizzare gli insegnamenti mutuati da una vasta gamma di gruppi esoterico-iniziatici che aveva incontrato viaggiando. Nel 1924, Ouspensky romperà definitivamente con Gurdjieff. L’insegnamento di Gurdjieff sfugge a ogni tentativo di ricostruzione. Gurdjieff combinerebbe sufismo (sufi Bektashi e Naqshbandi), scuola mistica dell’Islam (in particolare studi sulle danze sacre dei dervisci), e altre tradizioni religiose (cristianesimo orientale, sikhismo, buddhismo, induismo, Yezidi), esoterismo e filosofia, cosmologia e un modello complesso della persona umana, in un sistema sincretico di tecniche psicofisiche e meditative che cerca di favorire il superamento degli automatismi psicologici ed esistenziali che condizionano l’essere umano. Lo studio approfondito dell’opera di Gurdjieff dimostra che egli sperimentava le proprie idee su come utilizzare i frammenti da questi diversi insegnamenti per creare un sistema che permettesse alle persone di superare radicati “difetti cognitivi”, diventare più consapevoli e ridestare la coscienza superiore: “per distruggere senza pietà e senza compromessi, nel pensiero e nei sentimenti del lettore, tutte le credenze e le opinioni che i secoli hanno radicato a proposito di tutto ciò che esiste nel mondo”. Paracelso affermava che noi mangiamo pane e stelle. G. dice lo stesso ma, per nutrirci di Vega, Sirio o Giove e Venere, l’uomo deve pagare; deve, con uno sforzo cosciente, “essere” in ogni secondo, vivere la propria vita come se la morte fosse dietro l’angolo, senza staccarsi dal mondo ma, al contrario, vivendo pienamente nel mondo, senza accontentarsi di respirare, accumulare beni e riprodursi mentre passano gli anni. La Natura quale esiste sulla Terra è una specie di divinità inferiore, che ha il potere di prevedere e di costruire l’avvenire entro un certo limite, e che tratta l’umanità attuale come gli uomini trattano i maiali: li ingrassa, li uccide e li mangia. La Natura controlla il livello di sviluppo delle masse umane. L’uomo si evolve finchè questo rientra negli interessi della Natura. Dal momento che la specie umana soddisfa i bisogni della Natura, è impensabile che essa superi un certo limite evolutivo spirituale liberandosi dal giogo naturale. È compito di singoli pochi individui superare i limiti imposti dalla Natura e vincerne la resistenza, cosa negata alle masse. L’universo di Gurdjieff ha una dipendenza ontologica dal Creatore, e una gerarchia di livelli subordinati; l’universo della scienza invece è privo di valore. Probabilmente la prima eresia scientifica di Gurdjieff è la sua attribuzione alla luna di un effetto vibrazionale sulla Terra e sulla sua fauna e flora. La “Luna” di Gurdjieff appare come un corpo simbioticamente accoppiato con la biosfera, attivante l’intera vita organica sulla terra (come il pendolo di un orologio sostiene il suo meccanismo), e nutrita dall’energia liberata dalla morte di tutte le forme di vita terrestri. Per Gurdjieff, non a torto, è impossibile un’evoluzione della coscienza spontanea e incosciente, meccanica e inconsapevole, in breve “naturale”. Gurdjieff dichiarava che ci sono tre vie ordinarie per la reale evoluzione spirituale, e Ouspensky fece riferimento al suo metodo chiamandolo “Quarta Via”. Le tre vie sono: la Via del Fachiro. Il fachiro lotta con il proprio corpo fisico e lo domina attraverso difficili esercizi fisici e attraverso l’uso di posture particolari. Il fachiro lavora prevalentemente con il centro istintivo motorio per il raggiungimento della volontà; la Via del Monaco. Si riferisce al raggiungimento di stati superiori di coscienza attraverso la fede mediata dal centro emozionale; la via dello Yogi. L’approccio dello Yogi è di carattere intellettuale, attraverso la conoscenza egli giunge alla padronanza di sé. Gurdjieff formulava una critica alle tre vie in quanto ponendo una grande attenzione solamente in una parte della natura umana, non permettono lo sviluppo delle altre parti dell’uomo. Così una persona che abbia raggiunto qualcosa attraverso una delle tre vie, deve ricominciare un lavoro difficile e doloroso di rifusione del proprio essere e lavoro sugli altri centri. Gurdjieff ha detto che la Quarta Via è una scorciatoia rispetto alle prime tre perché combina simultaneamente il lavoro sui tre centri piuttosto che focalizzarsi su di uno di essi come nelle tre vie precedenti, può essere seguita dagli uomini ordinari nelle loro vite di tutti i giorni senza bisogno di ritirarsi in luoghi isolati; anzi per ottenere veramente dei risultati è necessario lavorare con quello che abbiamo e che siamo per non creare un’illusione rispetto a qualcosa che in realtà non esiste in noi. L’obiettivo è generare il Quarto Uomo, l’uomo buono, perfetto e risvegliato. Esso è libero e immortale, si è costruito un’essenza, una vera anima, frutto della cristallizzazione di una coscienza di sé unificata. Da impotente, questo uomo diviene potente sul mondo circostante. Può fare le cose anzichè lasciare che lecose facciano lui. A differenza dell’uomo comune, che ha solo un corpo fisico, il Quarto uomo è colui che ha costruito anche gli altre tre corpi sottili: corpo astrale, corpo mentale, corpo divino. Gurdjieff presentò il sistema non come una sua invenzione ma come una tradizione antica. Non era un miscuglio esotico che aveva accumulato durante i suoi viaggi in oriente. Già esisteva nella sua forma completa prima che lui lo trovasse – anzi da migliaia di anni prima che lo incontrasse – e veniva tramandato da un’epoca all’altra tramite persone che ne avevano messo in atto i principi. La Quarta via coinvolge la completa accettazione di certe condizioni imposte dal maestro, richiede lo sforzo di concentrarsi completamente sul lavoro interiore, anche quando il ruolo esteriore non può cambiare significativamente. In connessione a questo, il lavoro senza un maestro che possa dirigere gli sforzi di uno studente non è possibile, ciononostante Gurdjieff dava molta importanza alla responsabilità individuale. Il “lavoro” di Gurdjieff è rivolto all’evoluzione personale, alla trasformazione sociale, e infine a una trasformazione su scala cosmica. L’espressione “lavoro” si riferisce allo sforzo che è necessario perché l’allievo si “risvegli” al significato dell’esistenza umana. I frutti del “lavoro”, che inizia come opera interiore su se stessi, devono ultimamente trasformare la vita quotidiana. Il “lavoro” è una forma di tradizione orale; richiede una “scuola” e la disponibilità degli “allievi” o “studenti” a porsi sotto la tutela di un maestro, senza il quale la trasformazione interiore è giudicata impossibile. Qui Gurdjieff si rivela molto vicino al buddhismo, in quanto è interessato al risveglio della coscienza, e non agli aspetti teologici o sacri. Non gli interessa il rapporto con Dio, non è interessato al messianismo. L’unica cosa che conta e che lui insegna è il risveglio delle potenzialità animiche dell’uomo. Egli dice: “La quarta via non richiede che ci si ritiri dal mondo, non esige la rinuncia a tutto ciò che formava la nostra vita. Essa comincia molto più lontano che non la via dello yogi. Ciò significa che bisogna essere preparati per impegnarsi nella quarta via, e che questa preparazione deve essere acquisita nella vita ordinaria, essere molto seria e abbracciare parecchi aspetti differenti”. La condizione umana, così come si presenta oggi, è lontana dalla sua verità originaria e dal suo potenziale. Nel mondo moderno, in ogni persona coesistono molti “io” contraddittori, in competizione fra loro; questo conflitto rende ultimāmente impossibili il pensiero e l’azione in forma unitaria. Inoltre, in ogni persona coesistono due nature che non sono capaci di riconoscersi a vicenda: l’essenza e la personalità. La libertà, l’azione consapevole e un’autentica volontà non possono esistere in questo stato di frammentazione. Quella che chiamiamo “azione” è soltanto un fenomeno meccanico e inconscio. Questo stato comune e quotidiano è chiamato da Gurdjieff “sonno”. Alleato del sonno è l’identificazione. Un uomo perde il senso di se stesso e della sua esistenza in un singolo pensiero, movimento o sentimento. Egli fluisce con tutto se stesso in tutto ciò che cattura la sua attenzione in un preciso momento, cosicché cessa di essere consapevole di se stesso e di esistere come persona. In tali momenti, il campo di consapevolezza si restringe. L’uomo passa da una identificazione all’altra senza soluzione di continuità. L’evoluzione personale è quindi il risveglio dallo stato di sonno, e il passaggio dalla frammentazione all’unità. Lo stato di “sonno” non priva soltanto la persona della libertà e della responsabilità; turba anche la sua relazione con il cosmo. Lo scopo del lavoro in Quarta Via è rafforzare la volontà dell’adepto il quale abbandonerà le smanie del proprio ego per concepire che abbandonarsi ad una volontà Sovrannaturale, che sia vista come la volontà di Dio, o come la volontà e l’intelligenza che governa il creato, o vista come l’Etica Universale, è necessario e poco importa quale essa sia. È necessario riprendersi la propria posizione e senso di appartenenza in un universo organico e vivente, dove non si vive semplicemente per un senso di casualità ma perché si è parte di una progettualità. Il risveglio della consapevolezza implica proprio la scoperta del proprio progetto personale. L’uomo è dormiente, e compie gesti abitudinari, a lavoro, a casa, per strada e non è quasi mai presente a se stesso. Il pensiero si auto-alimenta e ruba energia. Il pensiero per poter sopravvivere è costretto a farlo. Gurdjieff chiede – talora brutalmente – di prendere atto dello squilibrio, delle abitudini meccaniche e delle illusioni che impediscono di vedere la realtà della presente condizione umana. Il “lavoro” lentamente rivela come l’entità che la persona considerava unitaria, coerente e libera è in realtà un insieme contraddittorio di pensieri, reazioni emotive, e meccanismi ripetitivi di auto-protezione. La consapevolezza di questo stato di confusione è il primo passo in direzione del risveglio. Come secondo passo, è necessario accettare quanto si è visto. Le prime fasi del “lavoro” propongono l’osservazione, la verifica e l’accettazione della verità della condizione umana attraverso lo studio, la partecipazione a un lavoro di gruppo ed esercizi di attenzione (“ricordo di sé”). L’insegnamento di Gurdjieff non è organizzato intorno a un sistema dottrinale, ma piuttosto intorno a un metodo, una via. Insiste che tutto deve essere messo in discussione. Vivendo in questo modo perpetuamente critico, le capacità di osservazione e di attenzione si affinano, e le idee sono verificate nella vita. Gurdjieff insegna che le sue dottrine non possono essere trasmesse in modo univoco perché ogni persona ha un itinerario di crescita indipendente e unico, di cui si deve tenere conto. Tuttavia, è anche vero che, di fronte al rischio dell’auto-illusione, un lavoro di gruppo, con altri, è indispensabile per la trasformazione. Lavorando in gruppo, l’osservazione di se stessi può essere più obiettiva; alcuni esercizi sono inoltre possibili soltanto in gruppo. I gruppi – nel “lavoro” – dovrebbero anche sviluppare sincerità, forza interiore e nuove capacità. In concreto il “lavoro”, nei gruppi, si concentra su metodi di auto-osservazione che hanno, tra l’altro, lo scopo di imparare a “ricordare se stessi”. Osservare come si pensa, si agisce, si provano emozioni, rivela come i tre centri della persona umana – mentale, emozionale e motorio – operano a diverse velocità, e sono spesso in contraddizione tra loro. Gli esercizi del “lavoro” rendono consapevoli delle relazioni fra i tre centri, e permettono l’emergere di momenti in cui la natura meccanica dell’uomo non è più dominante. Questi momenti in cui si emerge dallo stato di “sonno” sono effimeri, ma gradualmente si legano gli uni agli altri e offrono nuove possibilità di integrazione. Al servizio del “Lavoro” si pongono anche la musica e i movimenti del corpo. Gurdjieff e Thomas de Hartmann hanno lasciato un ampio corpus musicale, il cui scopo è trasmettere un insegnamento pratico sulle relazioni fra la vibrazione, l’esperienza del suono, e la consapevolezza. Jeanne de Salzmann ha trasmesso a sua volta un gran numero di “danze sacre” o “movimenti” creati da Grudjieff sulla base di diverse tradizioni osservate nei suoi viaggi. La musica e i movimenti offrono la possibilità di studiare e “ricordare” se stessi, creando condizioni in cui è più facile osservare la relazione fra il corpo e la qualità della nostra attenzione. Attraverso il corpo, si sperimentano anche diversi livelli e qualità di energia. Gurdjieff descrive gli stati superiori dell’evoluzione personale come difficili, ma non impossibili. A differenza di altri sistemi esoterici che svalutano il ruolo del corpo, l’insegnamento di Gurdjieff insegna a integrare quelle che definisce le due nature dell’esistenza umana, l’evolutiva e l’involutiva, in modo da accedere a un luogo ideale collocato in una posizione intermedia fra queste due nature. Solo a questo punto è possibile riscoprire e alimentare l’essenza, quella parte della persona che rivela lo scopo della vita. Continuando nello sviluppo, cresce anche la consapevolezza delle responsabilità: la persona può mettersi al servizio di altri e del grande processo cosmico dell’evoluzione. Gurdjieff inserisce il “lavoro” in una complessa cosmologia. Lo scopo della vita è consapevolmente trasformare energia, e partecipare responsabilmente a un processo e a un dramma cosmico, in cui l’umanità ha il suo posto nella grande catena dell’essere. Le persone che non raggiungono la consapevolezza contribuiscono anche loro – ma involontariamente e passivamente – a liberare energia e a nutrire i processi cosmici, diventando – secondo l’espressione del maestro – “cibo per la Luna”. Ad un certo punto, sembra che Gurdjieff si sia reso conto di aver intrapreso un compito impossibile, dal momento che quasi tutti i suoi studenti “sentivano” solo quello che volevano sentire. Chiude la sua scuola nel 1933, e si impegnerà poi nell’esporre le sue idee in un’allegoria nel suo libro I racconti di Belzebù a suo nipote (1950), che ha anche accolto e sviluppato ulteriori temi esoterici delle sue idee. Sebbene prenda la forma di un pionieristico romanzo di fantascienza, I racconti di Belzebù è in realtà un veicolo di grandi idee e rivelazioni filosofiche, religiose e psicologiche. Viaggiando attraverso l’universo sulla nave interspaziale Karnak con il proprio nipote Hassein, Belzebù si impegna ad accrescere l’istruzione del ragazzo. Hassein è un dodicenne sensibile, intelligente e curioso. Nel corso del loro lungo viaggio, Hassein pone molte domande a Belzebù a proposito degli strani esseri tricerebrali che abitano un piccolo pianeta nel remoto sistema solare nel quale Belzebù fu bandito per effetto del suo ribellismo giovanile. Hassein si sforza di comprendere perché gli esseri tricerebrali del pianeta prendano “l’effimero per Reale.” Poiché Belzebù esiste su un piano di tempo che si estende a migliaia di anni terrestri, ed era stato bandito su Marte da eoni, il suo esilio gli offre l’occasione di osservare da vicino gli abitanti del nostro pianeta. Belzebù racconta le sue storie ed impiega queste osservazioni della Terra dal suo osservatorio su Marte e da ben sei discese sulla Terra, apparentemente per istruire Hassein, ma, di fatto, per offrirci una critica imparziale della nostra vita. Verso la fine, Gurdjieff fa finalmente riferimento (e quindi, nel suo modo caratteristico, solo di passaggio) alla nostra diminuita capacità di concentrare “l’attenzione attiva” ed alla nostra dipendenza dal flusso di “associazioni automatiche.” Egli indica che il flusso di “associazioni automatiche” dentro di noi prende il posto di ciò che egli chiama “processo mentale di un essere attivo,” e che l’attenta lettura del suo libro possa aiutarci a sviluppare quest’ultima funzione latente. Gurdjieff muore nel 1949 all’Ospedale Americano di Neuilly, dopo avere trasmesso le sue ultime istruzioni a Jeanne de Salzmann. È lei, a partire dal 1950, seguendo le istruzioni del Maestro, a organizzare i tanti gruppi di allievi nella Scuola diffusa in tutto il mondo e nota ancora oggi sotto il nome Gurdjieff Foundation, i cui centri principali sono Parigi (“Institut Gurdjieff”), New York (“Gurdjieff Foundation”), Londra (“The Gurdjieff Society”) e Caracas (“Fundaciòn Gurdjieff Caracas”), e che è presente anche in Italia con il nome di “Associazione o Centro Italiano Studi sull’Uomo G.I. Gurdjieff”. Le teorie di Gurdjieff saranno trattate anche dal famoso mistico e guru indiano Osho Rajneesh (in particolare l’uso del corpo e del movimento, la necessità di creare meditazioni adatte all’uomo moderno e occidentale e alcuni comportamenti appositamente provocatori), che tuttavia giudicherà il sistema del filosofo armeno incompleto. I Sufi hanno disconosciuto Gurdjieff come proveniente dalla loro corrente esoterica. Egli non era un Malamati (cercatore del biasimo), come si credeva. Egli non impartiva reali insegnamenti tipici dei Dervisci, come ritenuto da Ounspensky. JG Bennett credeva erroneamente che i maestri Sufi Khwajagan dell’Asia centrale, i precursori della tradizione rigorosamente islamica Sufi Naqshbandi, fossero strettamente legati con la misteriosa fonte di insegnamenti di Gurdjieff, la Fratellanza Sarmoung. Idries Shah, che ha scritto numerosi libri sul Sufismo, è stato un altro autore che ha contribuito a questa confusione, suggerendo in molti dei suoi libri che gli insegnamenti di Gurdjieff abbiano avuto origine negli insegnamenti sufi. Un importante esercizio insegnato da Gurdjieff si chiama “ricordo di sé.” Questo esercizio è stato ritenuto derivazione dalla pratica sufi del Zikr (Rammentazione del nome di Dio). Ma c’è una grande differenza tra il metodo di auto-sviluppo di Gurdjieff tramite “il ricordo di sé”, che respinge il valore della preghiera, e la pratica sufi islamica di abnegazione tramite la pratica del “ricordo di Allah Dio” (zikru ‘llah). La dottrina di Gurdjieff è: “non c’è vera divinità tranne l’uomo”. Al contrario, la tradizione del misticismo religioso (quello delle religioni abramitiche radicate nel monoteismo e nelle rivelazioni date attraverso i profeti autentici di Dio) sottolinea la nullità del devoto davanti a Dio onnipotente e la sottomissione alla Onnipotente Divina Volontà del Creatore. In altre parole, la dottrina di questo tipo di misticismo è “non c’è vera divinità all’infuori di Dio”. Secondo il sufi Omar Ali Shah, il fratello di Idris Shah, Gurdjieff non era un vero maestro sufi, non avendo avuto il mandato da nessuno Shaik (Maestro) e da nessuna Tarika (Scuola). Era passato attraverso diversi insegnanti e imparato cose diverse che aveva poi unificato con la sua forte personalità in un corpus di insegnamenti comunque rispettabile, ma “a metà”, il che poteva risultare molto pericoloso per gli apprendisti e la loro anima. Il suo pubblico non aveva la necessaria preparazione per capire la qualità e la provenienza dei suoi insegnamenti, nonostante questo risulti un problema che investe il rapporto tra gli apprendisti e qualsiasi maestro che eserciti una certa qual fascinazione su di loro. Gurdjieff avrebbe usato e insegnato tecniche da lui stesso non padroneggiate.

GURDJEFF, PENSIERO e OPEREultima modifica: 2019-02-19T13:08:44+01:00da mikeplato
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