Il blog di XPublishing -Mike Plato

GIOVANNI BATTISTA E GESU’. DUE NOMI PER UN SOLO RE

Ripubblico qui un mio vecchio articolo. Era l’espressione della mia personale teoria che Giovanni Battista e Gesù fossero la stessa persona.

Tu sei il precursore di tè stesso; il tuo tempio sarà la dimora del tuo Io gigante
Kahlil Gibran.

Giovanni disse a Gesù: “Che tu sia il benvenuto. Adesso io posso andarmene. Il giorno di YHWH è in cammino, arriva. Sono io che ho visto per primo, ho lanciato un appello, ho afferrato l’ascia di Dio e l’ho appoggiata ai piedi del mondo. Chiamavo, chiamavo, era te che chiamavo: sei arrivato e io me ne vado, il mio compito termina qui. Prendi il mio posto”. Così lo scrittore Nikos Kazantzakis descrive, in L’Ultima Tentazione di Cristo, il passaggio di testimone tra Giovanni Battista e Gesù. Questo passo cela uno dei segreti meglio conservati dagli antichi ordini iniziatici, l’identificazione di Gesù il Cristo (l’Unto) con Giovanni il Battista. Due figure che, sebbene distinte nella Bibbia, potrebbero, invece, essere la medesima persona. La corrispondenza tra Giovanni e Gesù farà meglio capire, a molti, taluni meccanismi iniziatici tuttora oscuri. Il primo sospetto che ci ha condotto a far coincidere queste due figure nacque affrontando le motivazioni per cui apparentemente, per alcuni ordini iniziatici, la figura di Giovanni Battista sembrava oscurare quella di Gesù. A titolo di esempio, riportiamo un brano tratto da La Rivelazione dei Templari di Picknett e Prince, che al riguardo di questa “strana coppia” scrivevano: “Questo santo, il presunto precursore di Gesù, che disse al mondo di guardare “l’agnello di Dio” cui egli non era degno di allacciare i sandali, fu estremamente importante per Leonardo, a giudicare dalla sua onnipresenza nelle opere dell’artista […] Giovanni domina la vita di Leonardo: per esempio, la città di Firenze è dedicata a quel santo, come lo è la cattedrale di Torino in cui è conservata la Sindone. Il suo ultimo dipinto, che con La Gioconda era presente nella sua camera mentre si avvicinava l’ora della morte, raffigurava Giovanni Battista, e anche la sua unica scultura rimasta raffigura questo santo. Quel dito indice eretto, che noi definiamo il “Gesto di Giovanni”, si ritrova nella Scuola di Atene di Raffaello […]. Questo ci ha sconcertato, spingendoci a ulteriori ricerche per capire se l’ossessione di Leonardo a proposito del personaggio di Giovanni Battista potesse avere un significato più profondo. Il Gran Maestro del Priorato di Sion (carica rivestita da Leonardo secondo le ricerche di Baigent, Leigh e Lincoln pubblicate ne Il Santo Graal, N.d.R.) si dice venga chiamato nell’organizzazione “Nautonnier”, ma prende anche il nome di “Giovanni” oppure, se donna, di “Giovanna”. Per esempio, Leonardo appare nell’elenco come Giovanni IX. In terrasanta, Goffredo di Buglione aveva conosciuto un’organizzazione chiamata “Chiesa di Giovanni” e, in seguito, aveva formulato un grande progetto. Egli mise la sua spada al servizio della Chiesa di Giovanni, quell’organizzazione esoterica e iniziatica che rappresentava la Tradizione e basava la sua supremazia sullo spirito. Da questo grande progetto deriverebbero sia il Priorato di Sion, sia l’Ordine dei Templari. Ma è possibile che il Priorato valutasse la figura di Gesù come inferiore a quella di Giovanni? Perché si parla di Tradizione Giovannita? Perché l’interesse ossessivo di Leonardo per questo personaggio? Perché i Gran Maestri assumono il nome di Giovanni?”. Picknett e Prince non sapevano (e non sanno), che questa occulta “Tradizione Joannita”, in realtà, non è altro che la Tradizione di Melkitzedeq, legata all’Ordine e al Sacerdozio che porta il suo nome . I tre studiosi ignorano che Giovanni non portava questo nome per caso, tanto più che egli ricevette le chiavi del Sacerdozio Eterno dai Sacerdoti Melkiti Esseni. Egli, cioè, doveva divenire lo “Joannes”, il “Nasi ah-eddah”, il Messia della Comunità dei Fratelli della Luce. Non solo nell’ambito del Priorato di Sion i Gran Maestri divenivano i “Giovanni”, ma da sempre il Gran Maestro di una Scuola o di un Ordine, incarnando Oannes, colui che unisce Cielo e Terra, diviene il Giovanni o Prete Gianni. È un nomen mysticum talmente importante che appare come il più frequente tra i pontefici: ben 25 volte. In effetti, secondo la Tradizione occidentale, il Pontefice Supremo è Melqitzedeq, la cui figura si lega ai più antichi miti sumero-babilonesi, in cui veniva chiamato Oannes. A Sumer, l’Oannes era un saggio, o guida, di un gruppo di sacerdoti. A Micene, il Maestro-Fabbro, Capo della Corporazione dei fabbri-alchimisti, riceveva il titolo di wanax ossia “re”, che soltanto molto tempo dopo divenne basileus. Anax in greco significava esattamente “re, signore, capo”, e il suo plurale, anakes, è confluito nell’immagine dei Dioscuri (Castore e Polluce). Come vedremo più avanti, la storia mitica di Castore e Polluce si ripropone, con varianti, anche nella storia di Giovanni e Cristo, l’uno mortale, l’altro immortale. Ci viene in mente anche la famosa coppia sumera, rappresentata da Gilgamesh il divino, (unione di gilga, “eroe” e mesh, “messia”) ed Enkidu, l’eroe mortale che si sacrifica per l’amico. Il nome Joannes lo si ritrova anche nell’antico Egitto, come riportato nel Libro dei Morti, dove gli Jaani cinocefali erano gli spiriti serventi di Toth.

Giovanni e i Mandei
Circa la commistione tra la figure di Gesù e Giovanni quale unico “Maestro di Giustizia”, si espresse profeticamente Geremia: “Ecco, verranno giorni nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero Re e sarà saggio, ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra […]. Questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore di Giustizia” (Geremia 23,5). Signore di Giustizia o Re di Giustizia è proprio il significato di Joannes/Melkitzedeq (da melk-Re e zadiq-Giustizia). Ma chi era veramente Giovanni? Sarebbe interessante, in primo luogo, vedere cosa ci è stato tramandato dalla setta dei Mandei. Definiti “Cristiani di San Giovanni” o “Cristiani Giovanniti” (Mendayye Yahya o Seguaci di Giovanni), vivono tuttora nell’odierno Iraq meridionale e nell’Iran sudoccidentale e hanno strette affinità con i Nazira, di cui si parla nella Bibbia, in Numeri 6:1. Questo elemento è di profondo interesse poiché Gesù era il Nazira per eccellenza. Nonostante questo, i Mandei adorano la figura di Giovanni Battista e non certo quella di Gesù. C’è da chiedersi il perché, vista l’imponenza della figura di Gesù. Forse per i Mandei Yeoshua non è mai esistito? È da considerarsi una figura simbolica? I Mandei oggi sono rinomati lavoratori dei metalli, in particolare l’oro. La lavorazione dei metalli è un’attività molto praticata dagli iniziati alchimisti, i quali lavorano contemporaneamente anche, e soprattutto, i loro metalli interiori, motivo per cui da tempi immemori vengono chiamati Fabbri o Wanax. Il termine Wanax, come detto, rimanda palesemente a Oannes, l’archetipo dei sacri fabbri/alchimisti (chiamati così in riferimento alla lavorazione dei “metalli interiori”). I Mandei parlano una lingua derivata dall’aramaico, la stessa lingua di Gesù e dei suoi discepoli. Il loro credo è prettamente gnostico, a tal punto che oggi la loro è la sola religione gnostica sopravvissuta nel mondo. Essi considerano il Battista come uno dei più importanti leader della loro setta, ma dichiarano anche di esistere da molto tempo prima di lui. È molto probabile che, provenendo dalla Palestina, che dicono di aver abbandonato nel I secolo, siano una diretta emanazione dei Nazira. Potrebbero aver avuto contatti con gli Esseni, se non essere considerati a loro volta come gli ultimi Esseni. Sta di fatto che considerano Giovanni come una grande autorità mandea dei suoi tempi, presentato come Guaritore (Terapeuta), Buon Pastore e Pescatore di anime, titoli attribuito anche a Gesù. Una delle caratteristiche peculiari del loro culto iniziatico è certamente il Battesimo in acqua, che, come risaputo, il Battista praticava nel Giordano. Tale rito consiste nell’introduzione in acqua di fiume dell’adepto che cerca la purificazione. Egli riceve così l’imposizione sulla testa da parte di un sacerdote battezzatore.

La pelle dell’animale
Il biblista C.H. Dodds sosteneva che i Nazirei erano la setta a cui apparteneva Giovanni Battista o, più correttamente, la setta da lui guidata. Gesù, invece, veniva indicato come Nazira perché era stato un discepolo di Giovanni. Perché, quindi, questa venerazione per la figura di Giovanni, dato che negli stessi Vangeli, compresi gli apocrifi, la figura assiale risulta sempre Gesù? Il motivo risiede nel fatto che i due erano (o dovrebbero essere stati) la medesima persona. I punti a favore di questa tesi sono molteplici, e conviene esaminarli in sequenza. Ma, prima di farlo, è necessaria una precisazione: ritengo che Giovanni e gli Esseni, nel loro dualismo gnostico, fossero molto legati alla mistica Zoroastriana che, come è noto, contrapponeva la Luce (Ahura Mazda) alle Tenebre (Aryman). Che Giovanni fosse lo Zoroastro degli Esseni (il Gran Maestro Mago) può essere dimostrato dalla radice etimologica del termine “Zoroastro”, che nell’antica lingua iranica sta per zara (giallo) e hustra (cammello), cioè “colui dal giallo, o vecchio, cammello”. Ebbene, Matteo descrive Battista vestito di pelle di cammello (Matteo 3,4). Una reminiscenza dei culti astrali zoroastriani? È più che probabile, dato che gli antichi sacerdoti, un po’ ovunque, usavano indossare pelli di animali a testimonianza del dominio sulla natura animale e ferina dell’uomo e, quindi, della padronanza e del controllo di sé e dei propri istinti materiali. Nei misteri mitraici, il Maestro indossava una pelle di leone. In quelli Egizi, il sacerdote indossava una pelle di leopardo. La pelle di animale è sempre stato un simbolo di “transizione” e “rinascita”: il controllo e la vittoria sulla bestia interiore. In Egitto, terra madre di tutte le iniziazioni, la rinascita o reintegrazione avveniva con il rito del tekenu. Una prova della continuità di questa tradizione, dall’Egitto all’ebraismo, sta nel termine usato dai qabbalisti ebraici per indicare questa restaurazione, ovvero tiqqun, molto simile a tekenu. Del tiqqun parlò mirabilmente il qabbalista Isaac Luria. Egli lo descriveva come un processo di restaurazione macrocosmico relativo alle particelle di luce disperse nella materia. Il tekenu egizio riguardava il microcosmo (uomo) e, segretamente, il processo alchemico di solve et coagula, cioè di raccolta della luce nell’uomo e della conseguente restaurazione dell’ “Uomo di Luce”. Il rito egizio consisteva nel “passaggio attraverso la pelle” di un animale sgozzato, simbolo della rinascita a nuova vita (fine della nigredo e taglio della testa dell’Ego). A quel punto, l’iniziato si vestiva di quella pelle, prendendo la posizione del feto, chiamandosi Tekenu e si coricava sotto la pelle di trasformazione (Meshka), uscendone come un rinato dalla matrice universale. La pelle, come involucro, era detta ut, da cui “utero”, poiché si trattava di un simbolico regressus ad uterum. Ecco come recita il Libro dei Morti egizio: “Ecco, il tekenu sdraiato sotto di essa [la pelle] nella terra di trasformazione”. Nel Sarcofago del Cairo, catalogato con il numero 28033, è riportato che l’iniziato recitasse tali parole: “Io sono coricato nella pelle kenmet”. Il rito del passaggio attraverso la pelle fu poi modificato nella XIX dinastia, ma la pelle animale continuò a rappresentare il raggiunto dominio sulla propria natura terrena e la raggiunta “divinizzazione” del corpo. Non è casuale, quindi, che il Gran Sacerdote Giovanni Battista indossasse una pelle di cammello, in quanto animale analogo al cavallo e rappresentazione dei quattro elementi e degli istinti materiali. Occorre ricordare che Giovanni è noto come il Predicatore del Deserto, un iniziato alla “Via del Deserto”, e il cammello è chiamato proprio “la nave del deserto”.

Giovanni, il Principe
Finora abbiamo trattato dell’importanza, nelle antiche culture iniziatiche, della carica del Giovanni-Oannes. Su quali basi, però, possiamo confermare la stretta identificazione di Gesù con Giovanni? Nuove interpretazioni, anche in ambito canonico, iniziano ad associare Gesù agli Esseni. Sebbene non esistano prove documentarie a favore di questa tesi, Gesù aveva realizzato la profezia dell’arrivo del nasi, il Re Sacerdote o Maestro di Giustizia (zadoq) degli Esseni, rivestendone pertanto la carica. Dagli scritti qumranici veniamo a conoscenza del fatto che il Nasi (ebr. Principe), il Messia esseno, veniva chiamato anche “Stirpe di David” e “Stella”, e Gesù nella Bibbia è chiamato proprio “Stirpe di David” e “Stella Brillante” (Apocalisse 22,16). Inoltre, è noto l’episodio della poderosa contestazione che Gesù attuò nel tempio, riferendosi ai sacerdoti di Gerusalemme quali “mercanti di anime”, ed è risaputo che gli Esseni si rifugiarono a Qumran in quanto deploravano la comunità di sacerdoti leviti di Gerusalemme, ritenendola corrotta. Lo stesso Paolo, nelle Lettere agli Ebrei, pone apertamente il Sacerdozio di Melkitzedeq (quello Esseno) in posizione superiore rispetto a quello levitico (Ebrei 7,11). Questi esempi (ma ve ne sono numerosi), dovrebbero bastare a confermare la relazione tra Gesù e il Nasi degli Esseni. Da loro egli fu istruito e preparato, dai 12 ai 30 anni, per divenire il campione dei “pesci”. I sacerdoti Esseni, come avveniva a Eliopoli, in Egitto, avevano il ruolo istituzionale di preparare i futuri sovrani, i Re-Sacerdoti e Maestri di Giustizia del ramo di Jesse, cui Gesù apparteneva. Gli Esseni, nei loro scritti, parlano però solo del “nasi, il Principe Messianico”, che dovrà un giorno guidare le forze della Luce alla vittoria finale contro le Tenebre. Nasi, come detto precedentemente, è un termine che significa letteralmente Oannes, il Re Pescatore, il Portatore di Conoscenza. Peraltro, Oannes sta per Joannes, cosicché Gesù era l’Oannes-nasi della comunità essena, lo zadoq Oannita, il Giovanni o Prete Gianni, un re del Graal di stirpe davidica, nonché “sacerdote in Eterno alla maniera di Melkitzedeq” (Ebrei 7,17), avendo realizzato il Cristo in sé. Gesù doveva essere un nome puramente iniziatico-cabalistico. Nei Misteri è d’obbligo che l’adepto cambi il nome durante la sua evoluzione spirituale, a suggello della trasmutazione della sua coscienza e della nascita dell’uomo nuovo. Questo rito è rintracciabile anche nella Bibbia, con Simone, figlio di Giovanni, che Gesù chiamerà Cefa o Pietro (Giovanni 1,42), e con Saul, poi Paolo di Tarso. Il nuovo nome è definito nomen mysticum, ed è una costante tra gli iniziati. Questo è il vero e profondo motivo per cui si parla del “nome d’arte”, ove per arte si intende Arte Reale o Grande Opera Alchemica. Portare il nome iniziatico equivale a dire: “Io è un altro”. Ottenere il nome, essere nominato, significa “venire all’esistenza”. Del Nome Eterno si parla in diversi testi sacri: “Darò loro un nome eterno che non sarà mai cancellato” (Isaia 56,5), oppure: “Per questo Dio ha esaltato Gesù e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Filippesi 2,9), e ancora: “Questo nome non si trova tra i vocaboli, né il suo nome compare tra gli appellativi. Esso è invisibile. Egli ha dato un nome a se stesso […]. Quale nome può essere dato a colui che non esiste? Invece, chi esiste, esiste pure il suo nome e conosce se stesso. Quando, dunque, gli piacque che il suo Figlio Diletto divenisse il suo nome, Egli gli diede il suo nome” (Vangelo di Verità 37-38)

Colui che viene prima
Anche la Qabala ci fornisce indizio che Gesù era Giovanni, proprio attraverso l’analisi del nome. Gesù nasce quale Giovanni-YHWH e rinasce iniziaticamente come Gesù-YHSWH dopo il battesimo nel Giordano. Che Giovanni sia figura critica è dimostrato dal fatto che i quattro Vangeli si aprano sempre con lui e lo menzionino come il precursore di Cristo: “E venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni” (Giovanni 1,6). “Tra i nati da donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista” (Matteo 11,11). Il Battista nei vangeli dice: “Verrà uno dopo di me al quale non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo” (Giovanni 1,26). Giovanni 1,30 è ancor più esplicito: “Ecco colui del quale io dissi “Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma dopo il battesimo, quando lo spirito si è posato su di Lui, ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”. L’espressione “passare avanti” è tipicamente iniziatica, la si ritrova anche in Esodo 33, dove YHWH “passa avanti” a Mosé, che gli chiede di mostrargli tutta la sua Gloria: “Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome […] ma non potrai vedere il mio volto […] vedrai solo le mie spalle”. Ciò significa che Mosé non era pronto per la piena e totale rivelazione a sè stesso, solo Gesù era destinato a realizzare lo stato cristico, inaugurando una nuova era. Tutti coloro che negli ultimi anni hanno evidenziato un rapporto conflittuale tra Gesù e Giovanni, evidentemente privi di cultura iniziatica, non hanno compreso che, quando un iniziato si battezza nella Fonte, inizia a realizzare il Cristo in lui. Nella fattispecie, Giovanni-Yahwé, il Vecchio Uomo, diventa Gesù-Yashwé, il Nuovo Uomo, il Cristo. Il Figlio diventa il Padre e il Padre il Figlio. Questo è il senso di “dopo di me viene un uomo” e “mi è passato avanti, perché era prima di me”. Cristo rappresenta lo Spirito Divino in Giovanni (come per ogni uomo), cosicché è preesistente all’uomo-Giovanni. Ma è detto che “viene dopo” poiché l’uomo Giovanni deve realizzarlo, deve concepirlo in sé e lasciargli il posto una volta completata l’opera iniziatica. Il vero Figlio di Dio, di cui Giovanni parla, non è lo stesso Giovanni, ma il Cristo interiore, lo Spirito Divino, per la cui nascita l’iniziato deve lavorare, sacrificando se stesso con la morte iniziatica sulla croce della materia, simboleggiata dall’alchemico taglio della testa del Battista, che doveva morire in vita e lasciare il posto alla sua Coscienza Superiore. Questi è il Figlio dell’Uomo che dovrà, con il sacrificio, perdere la natura mortale, esaltando nella natura umana la coscienza del divino. Un antico detto latino recita: ubi maior, minor cessat, cioè, “quando appare il maggiore, il minore cessa di esistere”. Perfino Paolo ha trattato questo tema fondamentale in più occasioni: “Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici, e dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente, e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità” (Efesini 4,22). Cristo è noto agli iniziati come l’Adam Kadmon, l’uomo primordiale, l’essere perfetto. I Sufi identificavano nel kadmon (qdm o kdm) l’eterno, l’antico, “colui che viene prima e dopo”. Anche nel Vangelo apocrifo di Tommaso è presente lo stesso concetto: “[…] vedrete immagini vostre che sono venute in essere prima di voi, che non muoiono e che non sono rese manifeste […]”. Questo discorso è coerente con la “staffetta” Giovanni-Gesù. In Atti degli Apostoli 13,25 si conferma quanto detto: “Diceva Giovanni sul finire della missione: “Io non sono ciò che voi pensiate che io sia”. Ciò equivale a dire: “Giovanni è solo la mia identità apparente, Cristo è quella reale e spirituale che dovrà sbocciare”. Senso perfettamente applicabile alle parole presenti in Giovanni 1,20: “Io non sono il Messia; il Messia deve ancora venire”, e di Giovanni 3,28: “Non sono Io il Cristo, ma sono stato mandato innanzi a lui. Egli deve crescere ed io diminuire”. Il Battista non aveva probabilmente ancora realizzato Cristo dentro di sé, ma per farlo doveva “divorare” la propria componente umana, per far emergere quella divina. In tal senso l’uomo Giovanni diminuisce e il Dio-Cristo interiore aumenta. La stessa data di morte del Battista, il 29 della nostra era, è la medesima in cui Gesù inizia la sua missione. Sembra proprio che dietro la storia biblica, narrata in forma volontariamente confusa, si celi un simbolismo che riunifica in Uno le due personalità. Pochissimi avranno fatto caso al significato nascosto dell’esclamazione: “verrà dopo di me Uno”. L’Uno che viene dopo Giovanni, che lo sostituirà, è proprio l’Essere Uno o Unitario (e trino), l’Unigenito Figlio di Dio che, fate bene attenzione, non significa “Unico Figlio” bensì “Fatto Uno”, cioè Unificato e non più doppio, come ogni altro essere umano, in sostanza è l’Uomo Perfetto, il Figlio dell’Uomo, quello in cui le due nature maschio-femmina si sono unificate. Sembra che qui venga riproposto il mito greco dei Dioscuri, ove Castore è come Giovanni e Polluce, l’immortale è come il Cristo.

Se tutta una serie di indizi simbolici, codificati negli scritti sacri, suggerisce che Giovanni e Gesù fossero la stessa persona, esistono tracce più evidenti nelle religioni e nei documenti successivi all’epoca in cui si svolsero i fatti in questione, che possono fornirci conferme? Non è solo nei Vangeli che tali indizi sono presenti. Il Cristianesimo originario si divise in diverse correnti e quella cattolica fu solo una di queste. È tra i Catari della Linguadoca, cristiani legati a un culto più vicino alle origini, che troviamo, non a caso, interessanti legami con la nostra ipotesi. I Catari in alcuni loro resoconti ci hanno lasciato tracce della vera identità di Gesù: Giovanni. In un testo cataro della regione di Foix, si narra che Dio chiede agli spiriti celesti chi avrebbe voluto essere suo figlio: “. Uno degli spiriti presenti che si chiamava Giovanni allora si alzò e disse che voleva esser lui il Figlio del Padre”. Che il nome del Messia fosse Giovanni si rileva anche nell’esposizione, da parte del cronista Guglielmo di Puylaurens, nel dibattito che a Verfeil, nel 1207, oppose al vescovo d’Osma e a San Domenico due predicatori catari. Il cronista ci informa: “Si capitò su quello che il Signore dice in San Giovanni 3.1: “Nessuno è salito al cielo…”. Il Vescovo d’Osma chiese che senso loro dessero a questo testo. Uno di loro rispose che Giovanni, che parlava, si definiva come “il Figlio dell’Uomo che è nei cieli”. Il cataro Belibasta, l’ultimo dei giustiziati dall’Inquisizione, diceva: “Non c’è che il Padre celeste che sia Dio. Il figlio di Dio, cioè Cristo, non è Dio per natura, ma è un angelo, un messaggero, poiché prima di venire in questo mondo si chiamava Giovanni”. Gli stessi Albigesi sostenevano che il Messia aveva un nome diverso da Gesù e che tale nome era Giovanni, fatto condiviso dai Catari Fiorentini. Nei loro scritti si legge: “Dictum Johannem missum a Deo lucis” cioè: “Detto Giovanni fu mandato da Dio sotto forma di luce”. I Catari conoscevano, ovviamente, molto bene l’Antica Tradizione del grande Oannes. Anche i cristiani copti dei primi secoli dopo Cristo, coloro che gravitavano nell’orbita di Alessandria d’Egitto, identificavano in Giovanni Battista il Dio caldeo Oannes (Joannes), associato, come detto più volte, a Melkitzedeq, il Re delle acque e del mondo, che i Sumeri chiamavano Ea (Signore delle acque). Origene, gnostico Alessandrino, dice (Origene, Vol. II): “Vi sono alcuni che hanno considerato Giovanni Battista come l’Unto (Cristo)”. Nel Codex Nazira II, è detto: “Johanan (Giovanni) il figlio di Abo Sabo Zacariah, dirà a sé stesso: ”. Parole che figurerebbero bene nella bocca di Gesù, quale Re di Giustizia e portatore del Battesimo di Fuoco, come espresso in Apocalisse.

Giovanni e il Corano

Se allora Giovanni era il Messia, essendo egli Gesù, bisognerebbe ricavare da qualche fonte un indizio che consenta di verificare se i genitori di Gesù fossero i medesimi di Giovanni, e questa fonte esiste ed è anche molto autorevole: il Corano.Risulta molto importante per la nostra analisi la descrizione che si fa nel libro sacro musulmano della famiglia di Gesù, in quanto essa corrisponde proprio alla famiglia di Giovanni Battista. Per il Corano, Gesù e Battista avevano lo stesso padre: Zacaria Josephus. Di qui il nome Giuseppe, nel Vangelo, per il padre di Gesù. La madre biologica era naturalmente Elisabetta, la “Maria-Iside” della comunità essena. La Sura III, 37 è esplicita al riguardo: “E Allah accettò Maria e la fece germogliare, di germoglio buono. E Zaccaria la prese sotto la sua tutela, e ogni volta che Zaccaria entrava da lei nel santuario, vi trovava del cibo e le diceva: . E lei rispondeva: . E là Zaccaria pregò il suo Signore, dicendo: . Allora gli angeli gli dissero: ”. Quindi, per il Corano, Maria era sposa di Zaccaria e, pertanto, corrisponde alla Elisabetta dei Vangeli, la Madre di Giovanni l’eletto, colui che in sé porta il germe cristico a cui Giovanni stesso darà testimonianza. Maria è il nome della madre mistica, il nome sacerdotale di Elisabetta, l’anima che virginalmente concepirà il Sole-Cristo. Che Elisabetta sia la madre biologica di Gesù-Giovanni, è indicato dalla sua sterilità e palese impossibilità di procreare (Luca 1,7). Ciò ricorda i parti virginali e miracolosi, il cui prototipo è quello di Melkitzedeq da parte della madre Sofonim, narrato nel Libro di Enoch.

Il Vecchio e il Nuovo
Nello scorso numero abbiamo detto che nella via iniziatica si insegna che, quando il Vecchio Uomo profano muore, il Nuovo Uomo divino sorge dalle acque. Genesi 1.2 ci svela che “lo spirito divino (santo) aleggia sulle acque”. Il Dio interiore, più precisamente, è immerso nelle acque, intese come anima o come corpo emozionale. Emergere dalle acque equivale a una rinascita. Di qui, si capirà meglio quanto riferito in Matteo 3.15: “Appena battezzato, Gesù (il nuovo uomo) uscì dall’acqua ed egli (chi? Giovanni o Gesù?) vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui”. La Colomba presenta la stessa valenza del Ba dell’esoterismo egizio. Il Ba-Colomba è l’anima purificata, è la Venere (di Botticelli) che emerge dalle acque. E’ questa la fase al bianco della trasmutazione, l’albedo, da cui la colomba (anima o corpo lunare purificato). Quello di Giovanni Battista era il Battesimo dell’acqua, la discesa della Grazia (la colomba) nell’individuo umano. È questa la “seconda nascita”. Ma v’è una terza nascita, quando alla colomba segue il falco o il Battesimo del Fuoco. Battista dice spesso che verrà uno dopo di lui (Cristo) che battezzerà col fuoco. In Egitto, il falco solare era Horus, quindi, in una prima fase, l’iniziato battezza il Cristo con l’acqua, in una seconda sarà il Cristo a battezzare col fuoco-luce al momento della morte del corpo. Questo battesimo porterà il Ka-Falco a unirsi col Ba-Colomba, e a originare il Mer-Ka-Ba o Corpo di Luce immortale. Il Ka assimila il Ba e crea il Corpo di luce, come espresso dalla transustanziazione di Gesù, divenuto l’Uomo Perfetto. E’ un caso che tra gli indù, Agni (assimilabile a Oannes-Giovanni-l’Agnello di Dio) nasca dall’acqua? Da sempre l’immersione in acqua equivale sul piano umano alla morte, e sul piano macrococosmico alla catastrofe. Disintegrando ogni forma, le acque possiedono questa virtù di dissoluzione e rigenerazione, cosicché colui che ne esce è simile a un bambino senza peccati e senza storia (Melkitzedeq-Cristo è senza genealogia, ci informa S. Paolo nella Lettera agli Ebrei). Simbolicamente, immergersi nelle acque equivale a una sepoltura, a un viaggio nell’Ade, negli Inferi della propria terra (Vitriolum). Riemergerne corrisponde alla purificazione, al rinnovamento, alla rinascita.

Il precursore

Come possiamo identificare nei Vangeli questo processo iniziatico-simbolico che porta Giovanni l’umano a ricevere l’energia cristica e divenire Gesù? Nel Vangelo di Luca è presente, sebbene in maniera velata, tale consacrazione. Il Benedictus è recitato durante la circoncisione di Giovanni proprio da Zaccaria, che il Corano indica come padre di Gesù: “Benedetto il Signore, Dio di Israele, perché ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo […]. E tu bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzi al Signore preparandogli la strada, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza […]” (Luca 1,67-81). Il passo di Luca ci illumina sul fatto che Giovanni era di stirpe davidica, cioè della linea di sangue del Santo Graal, destinato a istruire sulla salvezza dal Regno delle Tenebre. Per chi voglia intendere, risulta evidente che il vero concetto di Messia ( “venne un uomo mandato da Dio”) non è semplicemente l’uomo Giovanni-Gesù, ma il Verbo (l’energia cristica) fatto carne, che Giovanni, l’eletto, realizzerà in sé. Tanto più che Giovanni è detto “Voce (Verbo) che grida nel deserto”. Quindi, Giovanni è il precursore, il battistrada (battista), colui che si immerge (dal greco baptizo) nelle sue acque purificatrici interiori per rendersi degno del proprio Dio, per edificargli la dimora, la casa, il tempio nel suo corpo. In tal senso Giovanni realizza un concetto già conosciuto in Egitto. Il Faraone è la “Grande Casa di Dio” (in egizio Per-aa-on), il suo Tempio Vivente. In Egitto il “precursore” era detto Wapwaut o Upuaut, “Colui che apre la via” o “Apripista”, termine analogo alla parola inglese wipeout il cui significato è “spazzar via tutti gli ostacoli, fare pulizia, sgombrare la strada”. L’analogia simbolica tra le figure del Battista e di Upuaut è rilevabile nella lingua greca. Infatti, il greco bapto (battezzo) deriva palesemente dall’egizio Wpwt. Giovanni dice: “Preparate le Vie del Signore”, inducendo, in tal modo, tutti a fare ciò che lui sta facendo, cioè “aprire la via” allo Spirito di Luce. Lo Spirito di Luce, l’energia cristica, in senso Tradizionale, è associata al Sole, e l’annuncio di questa venuta in Giovanni la si ritrova in Apocalisse 22, in cui Gesù afferma di essere la “Stella del Mattino”, alludendo alla sua identità umana come Giovanni Battista, noto tra gli Esseni come la “Stella” (Kokba), e “Leone della Tribù di Giuda” (Apocalisse 5,5). Giovanni è la stella del Mattino, in quanto è il precursore, cioè anticipa, come fa la Stella del Mattino, la levata del Sole (simbolo dello Spirito Vivente). Giovanni, pertanto, rappresenta ciò che in alchimia è chiamata la “Pietra Grezza”, la materia allo stato grossolano che va lavorata e sgrossata per divenire “Pietra Angolare”. Gesù di sé dirà: “Io sono l’Alfa e l’Omega”, ed è proprio Giovanni a rappresentare l’Alfa e l’Omega. Questa unione di inizio e fine è stata codificata dagli antichi nella figura del Giano bifronte (Juana-Giovanni) e legata ai momenti astronomici dei due Solstizi, legati alle figure dei due Giovanni, il Battista e l’Evangelista. Ciò indica, ancora una volta, la commistione dell’identificazione umana di Gesù con Giovanni.

Sei tu Elia?
L’Evangelista Matteo non ammette discussioni sull’importanza di Giovanni. Nel suo Vangelo Gesù dice: “Egli (Giovanni) è più di un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: ” (Matteo 11.10). Questo passo afferma che Giovanni è il precursore, colui che reca in sé il germe cristico, l’Elia. Quindi, Gesù-Giovanni dichiara che i profeti, come Isaia, che parlavano di un nuovo messia, alludevano alla persona di Giovanni poiché egli è la reincarnazione di Elia (l’Elia, o colui che deve venire, il Cristo). Anche il profeta Malachia profetizzò: “Ecco Io (YHWH) invierò il profeta Elia prima che giunga il grande e terribile giorno del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e dei figli verso i padri” (Malachia 3:23). La profezia riguarda l’arrivo di un uomo che incarnerà nuovamente Elia, e quell’uomo è il Battista, che praparerà il terreno al grande e temuto giorno di YHWH. Quindi, Giovanni è il messia annunciato dai profeti, poiché lo spirito cristico, già presente in Elia, prototipo del Messia, è in lui. Che Elia sia l’anima di Giovanni-Gesù è dimostrato anche dall’invocazione sulla croce da parte di Giovanni-Gesù allorché invoca Elia: “Eli, Eli, lama sabactani”. Un’altra plausibile teoria è che quel Eli che Gesù invoca sia il Padre, l’Altissimo, noto come El Elyion. Il profeta Malachia (3.1 e 3.23) riceve questo vaticinio dal Signore (Cristo) che allude all’arrivo di un grande essere che lo incarnerà e lo realizzerà: “Ecco io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio (corpo) il Signore, che voi cercate. L’Angelo dell’Alleanza che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli Eserciti […]. Ecco, invierò il profeta Elia prima che giunga il Grande e Terribile Giorno di YHWH”. Quell’Elia che torna, o meglio quell’anima che fu Elia, è proprio il messia promesso, cioè Giovanni, come Matteo afferma, che infatti preparerà la Via davanti a lui, cioè fungerà da precursore del Cristo, di quell’energia divina che in lui si incarnerà.

Il marchio di Caino
Vi sono anche delle contraddizioni nei Vangeli, sorte dalla separazione delle figure di Giovanni e Gesù. Nel Vangelo di Giovanni, il Battista, in risposta ai Giudei che lo interrogavano chiedendogli se egli fosse Elia, dice: “Non lo sono” (Giovanni 1,21). Eppure abbiamo visto che Matteo, senza esitazioni, afferma che Giovanni è la reincarnazione di Elia. Ciò può voler dire una sola cosa. Che Giovanni incarnava Elia, ma che egli non si reputava tale, in quanto, in quel momento, non aveva ancora ricevuto la colomba e, pertanto, non si sentiva ancora il Messia, il nuovo Elia. Un’altra contraddizione è riscontrabile nel seguente passo: “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse. . E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: . Gli risposero: . Disse loro: ” (Giovanni 1,35). Questo passo è palesemente e volutamente ambiguo. In effetti, i due discepoli che seguirono Gesù non fecero altro che seguire Giovanni, entro il quale Cristo dimorava. Infatti, il brano dice che i due discepoli seguirono Gesù, ma successivamente dice anche: “Uno dei due discepoli che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito […]”. Allora la domanda è legittima: i discepoli seguirono Gesù o Giovanni? Dalla nostra analisi si evince che seguirono Giovanni-Gesù. Emblematica è anche l’espressione “fissando lo sguardo su Gesù che passava”, che rimanda a Giovanni 1,30: “Dopo di me, viene un uomo che mi è passato avanti”. In chiave iniziatica è sempre l’Uomo Nuovo, il Risorto che passa avanti al Vecchio Uomo, in virtù del sacrificio di quest’ultimo. Quindi, iniziaticamente, il paradigma del sacrificio viene capovolto: il sacrificatore è Cristo (Melkitzedeq-Caino), l’Uomo spirituale, l’Adam Kadmon dei qabalisti; il sacrificato è l’Agnello (Agni-Giovanni-Abele), l’uomo materiale, l’umano. Per questa ragione in Genesi 4,4, l’offerta dell’agnello di Abele è accettata dal Signore e, al contrario, è rifiutato il sacrificio di Caino. E’ l’agnello Abele che và sacrificato per far emergere il nuovo uomo Caino. Ciò è vero al punto che cohen in ebraico sta per “sacerdote”, e kainòs, in lingua greca, significa “nuovo”. L’analogo verbo greco kainumai vuol dire “splendere, eccellere, superare, vincere, prevalere, emergere”. S. Paolo, nella Lettera ai Romani 6,13, dice che occorre offrire sé stessi a Dio come vivi che tornano dai morti, vale a dire come uomini nuovi. È di pochissimi iniziati la giusta interpretazione della figura di Caino, storicamente e universalmente considerato come la manifestazione della brutalità umana. In realtà, la storia e la figura di Caino costituiscono un’allegoria iniziatica, sulla base della quale posso affermare, senza tema di smentite, che Gesù è iniziaticamente “il Caino, l’Essere Superiore autogenerato e autorinnovato, l’Uomo fatto da sé”. Caino è l’Uomo Divino creato dal Sacrificio e che dal Sacrificio trae la sua essenza e la sua origine. In molti miti primordiali è possibile riconoscere questa verità iniziatica, espressa in termini di eroi o déi che lottano contro mostri, draghi, serpenti, tori e altre forze selvagge, cioè di forze rappresentanti i differenti aspetti materiali che costituiscono la natura umana che, con questo simbolico processo, viene divinizzata. E’ il dominio degli istinti corporali, con il quale l’anima si lega sempre più al gemello celeste anziché a quello terrestre. Di qui la nascita di un Dio, che scaturisce dalla potenza del caos che reagisce contro sé medesima, che smembra sé medesima, elevandosi spiritualmente a un piano di coscienza vibrazionale superiore. Tale è il senso del “Sacrificio di sé”. Nel sacrificio, l’iniziato accende e rinnova sè stesso andando a ricostituire l’essenza di un Dio. Egli attrae e affronta forze ancora allo stato selvaggio, per esercitare su di esse l’atto dominatore e trasfiguratore. Questo è il vero senso della storia di Caino, altrimenti sarebbe davvero arduo comprendere il motivo dell’apposizione del sacro sigillo sulla sua fronte, il simbolo degli Eletti e dei toccati dalla Grazia.

La seconda morte
Il concetto di sacrificio è strettamente legato al concetto di nascita. Si muore per rinascere. L’iniziato, come lo era Giovanni, vive due tipi di nascite, due diversi concepimenti, uno biologico, che per Giovanni avviene grazie a Elisabetta, madre dell’uomo mortale e l’altro alchemico-iniziatico, cioè Gesù attraverso Maria-Iside-Hathor (Casa di Horus), la Madre Mistica, l’Anima, che concepisce perché ingravidata dallo Spirito Santo. Ecco perché nell’Apocalisse è scritto: “Beati e santi coloro che prendono parte alla prima resurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte”. La seconda nascita è la resurrezione successiva alla morte iniziatica (la prima morte), in cui colui che segue il cammino, cambia nome e assume gli attributi divini. La seconda morte è la morte fisica, chiaramente successiva a quella iniziatica.

GIOVANNI BATTISTA E GESU’. DUE NOMI PER UN SOLO REultima modifica: 2009-02-02T15:38:00+01:00da
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