Ripubblico qui un mio vecchio articolo. Era l’espressione della mia personale teoria che Giovanni Battista e Gesù fossero la stessa persona.
Tu sei il precursore di tè stesso; il tuo tempio sarà la dimora del tuo Io gigante
Kahlil Gibran.
Giovanni e i Mandei
La pelle dell’animale
Il biblista C.H. Dodds sosteneva che i Nazirei erano la setta a cui apparteneva Giovanni Battista o, più correttamente, la setta da lui guidata. Gesù, invece, veniva indicato come Nazira perché era stato un discepolo di Giovanni. Perché, quindi, questa venerazione per la figura di Giovanni, dato che negli stessi Vangeli, compresi gli apocrifi, la figura assiale risulta sempre Gesù? Il motivo risiede nel fatto che i due erano (o dovrebbero essere stati) la medesima persona. I punti a favore di questa tesi sono molteplici, e conviene esaminarli in sequenza. Ma, prima di farlo, è necessaria una precisazione: ritengo che Giovanni e gli Esseni, nel loro dualismo gnostico, fossero molto legati alla mistica Zoroastriana che, come è noto, contrapponeva la Luce (Ahura Mazda) alle Tenebre (Aryman). Che Giovanni fosse lo Zoroastro degli Esseni (il Gran Maestro Mago) può essere dimostrato dalla radice etimologica del termine “Zoroastro”, che nell’antica lingua iranica sta per zara (giallo) e hustra (cammello), cioè “colui dal giallo, o vecchio, cammello”. Ebbene, Matteo descrive Battista vestito di pelle di cammello (Matteo 3,4). Una reminiscenza dei culti astrali zoroastriani? È più che probabile, dato che gli antichi sacerdoti, un po’ ovunque, usavano indossare pelli di animali a testimonianza del dominio sulla natura animale e ferina dell’uomo e, quindi, della padronanza e del controllo di sé e dei propri istinti materiali. Nei misteri mitraici, il Maestro indossava una pelle di leone. In quelli Egizi, il sacerdote indossava una pelle di leopardo. La pelle di animale è sempre stato un simbolo di “transizione” e “rinascita”: il controllo e la vittoria sulla bestia interiore. In Egitto, terra madre di tutte le iniziazioni, la rinascita o reintegrazione avveniva con il rito del tekenu. Una prova della continuità di questa tradizione, dall’Egitto all’ebraismo, sta nel termine usato dai qabbalisti ebraici per indicare questa restaurazione, ovvero tiqqun, molto simile a tekenu. Del tiqqun parlò mirabilmente il qabbalista Isaac Luria. Egli lo descriveva come un processo di restaurazione macrocosmico relativo alle particelle di luce disperse nella materia. Il tekenu egizio riguardava il microcosmo (uomo) e, segretamente, il processo alchemico di solve et coagula, cioè di raccolta della luce nell’uomo e della conseguente restaurazione dell’ “Uomo di Luce”. Il rito egizio consisteva nel “passaggio attraverso la pelle” di un animale sgozzato, simbolo della rinascita a nuova vita (fine della nigredo e taglio della testa dell’Ego). A quel punto, l’iniziato si vestiva di quella pelle, prendendo la posizione del feto, chiamandosi Tekenu e si coricava sotto la pelle di trasformazione (Meshka), uscendone come un rinato dalla matrice universale. La pelle, come involucro, era detta ut, da cui “utero”, poiché si trattava di un simbolico regressus ad uterum. Ecco come recita il Libro dei Morti egizio: “Ecco, il tekenu sdraiato sotto di essa [la pelle] nella terra di trasformazione”. Nel Sarcofago del Cairo, catalogato con il numero 28033, è riportato che l’iniziato recitasse tali parole: “Io sono coricato nella pelle kenmet”. Il rito del passaggio attraverso la pelle fu poi modificato nella XIX dinastia, ma la pelle animale continuò a rappresentare il raggiunto dominio sulla propria natura terrena e la raggiunta “divinizzazione” del corpo. Non è casuale, quindi, che il Gran Sacerdote Giovanni Battista indossasse una pelle di cammello, in quanto animale analogo al cavallo e rappresentazione dei quattro elementi e degli istinti materiali. Occorre ricordare che Giovanni è noto come il Predicatore del Deserto, un iniziato alla “Via del Deserto”, e il cammello è chiamato proprio “la nave del deserto”.
Giovanni, il Principe
Colui che viene prima
Se tutta una serie di indizi simbolici, codificati negli scritti sacri, suggerisce che Giovanni e Gesù fossero la stessa persona, esistono tracce più evidenti nelle religioni e nei documenti successivi all’epoca in cui si svolsero i fatti in questione, che possono fornirci conferme? Non è solo nei Vangeli che tali indizi sono presenti. Il Cristianesimo originario si divise in diverse correnti e quella cattolica fu solo una di queste. È tra i Catari della Linguadoca, cristiani legati a un culto più vicino alle origini, che troviamo, non a caso, interessanti legami con la nostra ipotesi. I Catari in alcuni loro resoconti ci hanno lasciato tracce della vera identità di Gesù: Giovanni. In un testo cataro della regione di Foix, si narra che Dio chiede agli spiriti celesti chi avrebbe voluto essere suo figlio: “. Uno degli spiriti presenti che si chiamava Giovanni allora si alzò e disse che voleva esser lui il Figlio del Padre”. Che il nome del Messia fosse Giovanni si rileva anche nell’esposizione, da parte del cronista Guglielmo di Puylaurens, nel dibattito che a Verfeil, nel 1207, oppose al vescovo d’Osma e a San Domenico due predicatori catari. Il cronista ci informa: “Si capitò su quello che il Signore dice in San Giovanni 3.1: “Nessuno è salito al cielo…”. Il Vescovo d’Osma chiese che senso loro dessero a questo testo. Uno di loro rispose che Giovanni, che parlava, si definiva come “il Figlio dell’Uomo che è nei cieli”. Il cataro Belibasta, l’ultimo dei giustiziati dall’Inquisizione, diceva: “Non c’è che il Padre celeste che sia Dio. Il figlio di Dio, cioè Cristo, non è Dio per natura, ma è un angelo, un messaggero, poiché prima di venire in questo mondo si chiamava Giovanni”. Gli stessi Albigesi sostenevano che il Messia aveva un nome diverso da Gesù e che tale nome era Giovanni, fatto condiviso dai Catari Fiorentini. Nei loro scritti si legge: “Dictum Johannem missum a Deo lucis” cioè: “Detto Giovanni fu mandato da Dio sotto forma di luce”. I Catari conoscevano, ovviamente, molto bene l’Antica Tradizione del grande Oannes. Anche i cristiani copti dei primi secoli dopo Cristo, coloro che gravitavano nell’orbita di Alessandria d’Egitto, identificavano in Giovanni Battista il Dio caldeo Oannes (Joannes), associato, come detto più volte, a Melkitzedeq, il Re delle acque e del mondo, che i Sumeri chiamavano Ea (Signore delle acque). Origene, gnostico Alessandrino, dice (Origene, Vol. II): “Vi sono alcuni che hanno considerato Giovanni Battista come l’Unto (Cristo)”. Nel Codex Nazira II, è detto: “Johanan (Giovanni) il figlio di Abo Sabo Zacariah, dirà a sé stesso: ”. Parole che figurerebbero bene nella bocca di Gesù, quale Re di Giustizia e portatore del Battesimo di Fuoco, come espresso in Apocalisse.
Giovanni e il Corano
Se allora Giovanni era il Messia, essendo egli Gesù, bisognerebbe ricavare da qualche fonte un indizio che consenta di verificare se i genitori di Gesù fossero i medesimi di Giovanni, e questa fonte esiste ed è anche molto autorevole: il Corano.Risulta molto importante per la nostra analisi la descrizione che si fa nel libro sacro musulmano della famiglia di Gesù, in quanto essa corrisponde proprio alla famiglia di Giovanni Battista. Per il Corano, Gesù e Battista avevano lo stesso padre: Zacaria Josephus. Di qui il nome Giuseppe, nel Vangelo, per il padre di Gesù. La madre biologica era naturalmente Elisabetta, la “Maria-Iside” della comunità essena. La Sura III, 37 è esplicita al riguardo: “E Allah accettò Maria e la fece germogliare, di germoglio buono. E Zaccaria la prese sotto la sua tutela, e ogni volta che Zaccaria entrava da lei nel santuario, vi trovava del cibo e le diceva: . E lei rispondeva: . E là Zaccaria pregò il suo Signore, dicendo: . Allora gli angeli gli dissero: ”. Quindi, per il Corano, Maria era sposa di Zaccaria e, pertanto, corrisponde alla Elisabetta dei Vangeli, la Madre di Giovanni l’eletto, colui che in sé porta il germe cristico a cui Giovanni stesso darà testimonianza. Maria è il nome della madre mistica, il nome sacerdotale di Elisabetta, l’anima che virginalmente concepirà il Sole-Cristo. Che Elisabetta sia la madre biologica di Gesù-Giovanni, è indicato dalla sua sterilità e palese impossibilità di procreare (Luca 1,7). Ciò ricorda i parti virginali e miracolosi, il cui prototipo è quello di Melkitzedeq da parte della madre Sofonim, narrato nel Libro di Enoch.
Il Vecchio e il Nuovo
Nello scorso numero abbiamo detto che nella via iniziatica si insegna che, quando il Vecchio Uomo profano muore, il Nuovo Uomo divino sorge dalle acque. Genesi 1.2 ci svela che “lo spirito divino (santo) aleggia sulle acque”. Il Dio interiore, più precisamente, è immerso nelle acque, intese come anima o come corpo emozionale. Emergere dalle acque equivale a una rinascita. Di qui, si capirà meglio quanto riferito in Matteo 3.15: “Appena battezzato, Gesù (il nuovo uomo) uscì dall’acqua ed egli (chi? Giovanni o Gesù?) vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui”. La Colomba presenta la stessa valenza del Ba dell’esoterismo egizio. Il Ba-Colomba è l’anima purificata, è la Venere (di Botticelli) che emerge dalle acque. E’ questa la fase al bianco della trasmutazione, l’albedo, da cui la colomba (anima o corpo lunare purificato). Quello di Giovanni Battista era il Battesimo dell’acqua, la discesa della Grazia (la colomba) nell’individuo umano. È questa la “seconda nascita”. Ma v’è una terza nascita, quando alla colomba segue il falco o il Battesimo del Fuoco. Battista dice spesso che verrà uno dopo di lui (Cristo) che battezzerà col fuoco. In Egitto, il falco solare era Horus, quindi, in una prima fase, l’iniziato battezza il Cristo con l’acqua, in una seconda sarà il Cristo a battezzare col fuoco-luce al momento della morte del corpo. Questo battesimo porterà il Ka-Falco a unirsi col Ba-Colomba, e a originare il Mer-Ka-Ba o Corpo di Luce immortale. Il Ka assimila il Ba e crea il Corpo di luce, come espresso dalla transustanziazione di Gesù, divenuto l’Uomo Perfetto. E’ un caso che tra gli indù, Agni (assimilabile a Oannes-Giovanni-l’Agnello di Dio) nasca dall’acqua? Da sempre l’immersione in acqua equivale sul piano umano alla morte, e sul piano macrococosmico alla catastrofe. Disintegrando ogni forma, le acque possiedono questa virtù di dissoluzione e rigenerazione, cosicché colui che ne esce è simile a un bambino senza peccati e senza storia (Melkitzedeq-Cristo è senza genealogia, ci informa S. Paolo nella Lettera agli Ebrei). Simbolicamente, immergersi nelle acque equivale a una sepoltura, a un viaggio nell’Ade, negli Inferi della propria terra (Vitriolum). Riemergerne corrisponde alla purificazione, al rinnovamento, alla rinascita.
Il precursore
Come possiamo identificare nei Vangeli questo processo iniziatico-simbolico che porta Giovanni l’umano a ricevere l’energia cristica e divenire Gesù? Nel Vangelo di Luca è presente, sebbene in maniera velata, tale consacrazione. Il Benedictus è recitato durante la circoncisione di Giovanni proprio da Zaccaria, che il Corano indica come padre di Gesù: “Benedetto il Signore, Dio di Israele, perché ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo […]. E tu bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo, perché andrai innanzi al Signore preparandogli la strada, per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza […]” (Luca 1,67-81). Il passo di Luca ci illumina sul fatto che Giovanni era di stirpe davidica, cioè della linea di sangue del Santo Graal, destinato a istruire sulla salvezza dal Regno delle Tenebre. Per chi voglia intendere, risulta evidente che il vero concetto di Messia ( “venne un uomo mandato da Dio”) non è semplicemente l’uomo Giovanni-Gesù, ma il Verbo (l’energia cristica) fatto carne, che Giovanni, l’eletto, realizzerà in sé. Tanto più che Giovanni è detto “Voce (Verbo) che grida nel deserto”. Quindi, Giovanni è il precursore, il battistrada (battista), colui che si immerge (dal greco baptizo) nelle sue acque purificatrici interiori per rendersi degno del proprio Dio, per edificargli la dimora, la casa, il tempio nel suo corpo. In tal senso Giovanni realizza un concetto già conosciuto in Egitto. Il Faraone è la “Grande Casa di Dio” (in egizio Per-aa-on), il suo Tempio Vivente. In Egitto il “precursore” era detto Wapwaut o Upuaut, “Colui che apre la via” o “Apripista”, termine analogo alla parola inglese wipeout il cui significato è “spazzar via tutti gli ostacoli, fare pulizia, sgombrare la strada”. L’analogia simbolica tra le figure del Battista e di Upuaut è rilevabile nella lingua greca. Infatti, il greco bapto (battezzo) deriva palesemente dall’egizio Wpwt. Giovanni dice: “Preparate le Vie del Signore”, inducendo, in tal modo, tutti a fare ciò che lui sta facendo, cioè “aprire la via” allo Spirito di Luce. Lo Spirito di Luce, l’energia cristica, in senso Tradizionale, è associata al Sole, e l’annuncio di questa venuta in Giovanni la si ritrova in Apocalisse 22, in cui Gesù afferma di essere la “Stella del Mattino”, alludendo alla sua identità umana come Giovanni Battista, noto tra gli Esseni come la “Stella” (Kokba), e “Leone della Tribù di Giuda” (Apocalisse 5,5). Giovanni è la stella del Mattino, in quanto è il precursore, cioè anticipa, come fa la Stella del Mattino, la levata del Sole (simbolo dello Spirito Vivente). Giovanni, pertanto, rappresenta ciò che in alchimia è chiamata la “Pietra Grezza”, la materia allo stato grossolano che va lavorata e sgrossata per divenire “Pietra Angolare”. Gesù di sé dirà: “Io sono l’Alfa e l’Omega”, ed è proprio Giovanni a rappresentare l’Alfa e l’Omega. Questa unione di inizio e fine è stata codificata dagli antichi nella figura del Giano bifronte (Juana-Giovanni) e legata ai momenti astronomici dei due Solstizi, legati alle figure dei due Giovanni, il Battista e l’Evangelista. Ciò indica, ancora una volta, la commistione dell’identificazione umana di Gesù con Giovanni.
Sei tu Elia?
Il marchio di Caino
Vi sono anche delle contraddizioni nei Vangeli, sorte dalla separazione delle figure di Giovanni e Gesù. Nel Vangelo di Giovanni, il Battista, in risposta ai Giudei che lo interrogavano chiedendogli se egli fosse Elia, dice: “Non lo sono” (Giovanni 1,21). Eppure abbiamo visto che Matteo, senza esitazioni, afferma che Giovanni è la reincarnazione di Elia. Ciò può voler dire una sola cosa. Che Giovanni incarnava Elia, ma che egli non si reputava tale, in quanto, in quel momento, non aveva ancora ricevuto la colomba e, pertanto, non si sentiva ancora il Messia, il nuovo Elia. Un’altra contraddizione è riscontrabile nel seguente passo: “Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse. . E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: . Gli risposero: . Disse loro: ” (Giovanni 1,35). Questo passo è palesemente e volutamente ambiguo. In effetti, i due discepoli che seguirono Gesù non fecero altro che seguire Giovanni, entro il quale Cristo dimorava. Infatti, il brano dice che i due discepoli seguirono Gesù, ma successivamente dice anche: “Uno dei due discepoli che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito […]”. Allora la domanda è legittima: i discepoli seguirono Gesù o Giovanni? Dalla nostra analisi si evince che seguirono Giovanni-Gesù. Emblematica è anche l’espressione “fissando lo sguardo su Gesù che passava”, che rimanda a Giovanni 1,30: “Dopo di me, viene un uomo che mi è passato avanti”. In chiave iniziatica è sempre l’Uomo Nuovo, il Risorto che passa avanti al Vecchio Uomo, in virtù del sacrificio di quest’ultimo. Quindi, iniziaticamente, il paradigma del sacrificio viene capovolto: il sacrificatore è Cristo (Melkitzedeq-Caino), l’Uomo spirituale, l’Adam Kadmon dei qabalisti; il sacrificato è l’Agnello (Agni-Giovanni-Abele), l’uomo materiale, l’umano. Per questa ragione in Genesi 4,4, l’offerta dell’agnello di Abele è accettata dal Signore e, al contrario, è rifiutato il sacrificio di Caino. E’ l’agnello Abele che và sacrificato per far emergere il nuovo uomo Caino. Ciò è vero al punto che cohen in ebraico sta per “sacerdote”, e kainòs, in lingua greca, significa “nuovo”. L’analogo verbo greco kainumai vuol dire “splendere, eccellere, superare, vincere, prevalere, emergere”. S. Paolo, nella Lettera ai Romani 6,13, dice che occorre offrire sé stessi a Dio come vivi che tornano dai morti, vale a dire come uomini nuovi. È di pochissimi iniziati la giusta interpretazione della figura di Caino, storicamente e universalmente considerato come la manifestazione della brutalità umana. In realtà, la storia e la figura di Caino costituiscono un’allegoria iniziatica, sulla base della quale posso affermare, senza tema di smentite, che Gesù è iniziaticamente “il Caino, l’Essere Superiore autogenerato e autorinnovato, l’Uomo fatto da sé”. Caino è l’Uomo Divino creato dal Sacrificio e che dal Sacrificio trae la sua essenza e la sua origine. In molti miti primordiali è possibile riconoscere questa verità iniziatica, espressa in termini di eroi o déi che lottano contro mostri, draghi, serpenti, tori e altre forze selvagge, cioè di forze rappresentanti i differenti aspetti materiali che costituiscono la natura umana che, con questo simbolico processo, viene divinizzata. E’ il dominio degli istinti corporali, con il quale l’anima si lega sempre più al gemello celeste anziché a quello terrestre. Di qui la nascita di un Dio, che scaturisce dalla potenza del caos che reagisce contro sé medesima, che smembra sé medesima, elevandosi spiritualmente a un piano di coscienza vibrazionale superiore. Tale è il senso del “Sacrificio di sé”. Nel sacrificio, l’iniziato accende e rinnova sè stesso andando a ricostituire l’essenza di un Dio. Egli attrae e affronta forze ancora allo stato selvaggio, per esercitare su di esse l’atto dominatore e trasfiguratore. Questo è il vero senso della storia di Caino, altrimenti sarebbe davvero arduo comprendere il motivo dell’apposizione del sacro sigillo sulla sua fronte, il simbolo degli Eletti e dei toccati dalla Grazia.
La seconda morte
Il concetto di sacrificio è strettamente legato al concetto di nascita. Si muore per rinascere. L’iniziato, come lo era Giovanni, vive due tipi di nascite, due diversi concepimenti, uno biologico, che per Giovanni avviene grazie a Elisabetta, madre dell’uomo mortale e l’altro alchemico-iniziatico, cioè Gesù attraverso Maria-Iside-Hathor (Casa di Horus), la Madre Mistica, l’Anima, che concepisce perché ingravidata dallo Spirito Santo. Ecco perché nell’Apocalisse è scritto: “Beati e santi coloro che prendono parte alla prima resurrezione. Su di loro non ha potere la seconda morte”. La seconda nascita è la resurrezione successiva alla morte iniziatica (la prima morte), in cui colui che segue il cammino, cambia nome e assume gli attributi divini. La seconda morte è la morte fisica, chiaramente successiva a quella iniziatica.