TIMOR DI DIO E AMOR DI DIO NELLO ZOHAR

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189 É scritto (Genesi I,1) “In principio creò D-o ”. Queste parole compendiano il primo comandamento che è chiamato “Il timore del Signore”. Il timore del Signore, infatti, è indicato nella Scrittura con il termine “Inizio”, così com’è scritto (Salmi CXI,10): “Il timore del Signore è l’inizio della Saggezza”. È chiamato “inizio” perché esso è la porta tramite la quale si accede alla fede, e perché è il fondamento su cui appoggia il mondo. 190 Vi sono tre generi di timore per il Signore, di cui due sono deplorevoli e uno solo meritorio. Esistono uomini il cui timore per il Signore è motivato dal desiderio di mantenere la vita ai propri figli e di preservarli da morte prematura, oppure motivata dalla paura delle sofferenze fisiche o dalla perdita dell’agiatezza. Il timore per il Signore giustificato da tali ragioni, non è assolutamente meritorio. Vi sono altri uomini che paventano il Santo, benedetto il suo, perché hanno paura delle punizioni di questo mondo e delle sofferenze dello sheol. Questi due tipi di timore per il Signore, non sono meritevoli. 191 Il solo corretto, è quello dell’uomo che teme il suo Signore perché esso è grande, onnipossente, radice di tutti i mondi e perché tutto ciò che esiste è vanità ai propri occhi, com’è riferito (Daniele IV,32 e Salmo XXXVIII,6): “Tutti gli abitanti della Terra sono nullità dinanzi a lui”. Quando il timore per il Signore è di questa caratura, accelera l’ora in cui la volontà di D-o sarà concertata nelle regioni inferiori chiamate “timore”. 192 Proferendo tali parole, Rabbi Shimon esclamò con rammarico: ho dubbi nel parlare ma anche angoscia a restare in silenzio. Parlando, i malvagi sapranno in quale maniera servire il loro Signore. Tacendo, depaupererò i miei compagni della conoscenza del fatto che, così come esiste nei siti superiori un timore di D-o , similmente è in basso un timore tristo. 193 L’uomo, il cui timore per il Signore è generato dalla paura per le sofferenze, cade in potere dei demoni che diverranno suoi carnefici. Un tale timore non è veritiero timore per il Signore, ma solo paura della sofferenza. 194 Per tale motivo la Scrittura precisa il genere di timore che è l’inizio della Saggezza: il “timore” per il Signore. Nel primo versetto del Genesi si trova condensata questa prescrizione la quale costituisce il fondamento e la base di tutte le altre. Considerato che il timore è la soglia d’accesso a tutti i comandamenti, chiunque si conforma a questa prescrizione osserva automaticamente anche tutte le altre; al contrario, chiunque la trascurerà, negligerà anche tutte le altre. 195 È per tale motivo che troviamo scritto “ Be – reschith”, vale a dire “Con l’inizio (che è il vero timore del Signore) creò D-o i cieli e la terra”. Chi viola la prima prescrizione (la legge del timore), trasgredisce anche tutti i comandamenti della Legge. La sua punizione è indicata dalle parole : “ E la terra era thohou e bohou; e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso, e lo spirito di D-o aleggiava sopra le acque”. In questo versetto sono riportati le quattro categorie di castighi capitali che s’infliggono ai colpevoli. 196 La parola “Thohou” sottintende la punizione dello strangolamento, così com’è riferito (Isaia XXXIV,11): “La corda di thohou”. La parola “Bohou” sottintende la pena della lapidazione, poiché le pietre si conficcano nel grande abisso per la punizione dei rei. Le parole “ E le tenebre” intuiscono il castigo tramite combustione, così com’è scritto (Deuteronomio V,23): “All’udire la voce in mezzo alle tenebre, mentre il monte era tutto in fiamme” e in seguito “Abbiamo ascoltato la sua voce provenire dalle fiamme”. Costatiamo, quindi, che la Scrittura considera analoghe queste due parole “fuoco” e “tenebre”. 197 La parafrasi “E lo spirito di D-o aleggiava sulle acque” indica la punizione della decapitazione tramite spada. Il vento della tempesta, infatti, è simile ad una fiammeggiante spada tagliente, così com’è detto (Genesi III,24): “E avendolo cacciato mise dinanzi il giardino dell’Eden, a protezione dell’accesso che conduce all’albero della vita, due Cherub; i quali facevano lampeggiare una spada di fuoco”. Questa spada di fuoco porta il nome di “Spirito”. Questo è il castigo per gli scellerati che hanno profanato i comandamenti della Legge. Dopo aver compendiato la prescrizione del timore per il Signore, chiamata “Principio”, comandamento che riassume tutti gli altri, la Scrittura prosegue con le altre.


198 Il secondo comandamento è intimamente connesso con quello del timore per il Signore e non ne è mai avulso; è l’amore perfetto per D-o di cui l’uomo deve essere compenetrato. E quale è l’amore perfetto? È l’amore della perfezione, chiamato il grande amore, così com’è citato (Genesi XVIII,1): “Camminate in mia presenza e siate perfetti nel vostro amore”. È questo il motivo per cui è scritto: “ E D-o disse, che la luce sia”. Con la parola “luce” la Scrittura indica, infatti, l’amore perfetto (Zohar II,254b), il quale consiste nell’amore della perfezione. Questa prescrizione è inerente, quindi, all’amore per il Signore di cui l’uomo deve essere permeato. 199 Interrompendo il dialogo di Rabbi Shimon, Rabbi Elèazar esclamò: Padre, ho elaborato una definizione dell’amore perfetto. Rabbi Shimon rispose: Figlio mio, menziona la tua definizione mentre Rabbi Pinhas è presente, giacché egli pratica l’amore perfetto. Rabbi Elèazar espose: L’amore perfetto è quello che si manifesta in due differenti condizioni, l’amore che non si manifesta in queste due circostanze [12a] non è assolutamente un amore che merita la caratterizzazione di perfetto. 200 È questo il motivo per cui è stato raccontato come l’amore del Santo, benedetto egli sia, si manifesta in due differenti circostanze. Vi sono uomini che amano D-o perché ha loro concesso ricchezza, longevità, discendenza maschile, egemonia sui nemici, successo nelle loro imprese. Questi stessi uomini, tuttavia, lo maledirebbero se la ruota del destino girasse e fossero oberati di mali. Un tale amore per D-o non è meritorio. 201 L’amore perfetto, è quello che si mostra nelle due differenti condizioni: nell’afflizione e nella gioia. Per questo la Tradizione ci raccomanda di amare D-o anche quando ci toglie la vita. Per lo stesso motivo la luce diffusa nel momento della creazione fu successivamente nascosta. Quando fu nascosta apparve il rigore; e i due contrari furono riuniti perché ci fu perfezione (amando D-o malgrado il suo rigore), è in questo che si palesa l’amore . 202 Ascoltate le parole di Rabbi Elèazar, Rabbi Shimon l’abbracciò; altrettanto fece Rabbi Pinhas e dopo averlo benedetto esclamò: in verità è stato il Santo, benedetto il suo nome, che mi ha condotto in questo luogo, dove ho appreso che un componente della mia famiglia possiede una perla preziosa, la cui luce giungerà, un giorno ad illuminare il mondo intero. Riprendendo il filo del suo discorso, Rabbi Elèazar concluse: è manifesto che il comandamento del timore per il Signore non può essere separato da nessun’altra prescrizione, e ancor meno da quella dell’amore perfetto. L’amore per il Signore deve infatti dimostrarsi, sia quando si è oppressi dai mali sia quando si è colmi d’opulenza, di una salute fiorente, di una discendenza maschile e d’ogni genere d’abbondanza. Per questo è scritto (Proverbi XXVIII,14): “Felice l’uomo che è sempre nel timore”, vale a dire, dove il timore per il Signore è compreso nell’amore. 203 Colui che è l’oggetto del rigore (infelice) deve essere compenetrato di timore e paventare il suo Sovrano ma non indurire il suo cuore. Ecco perché è scritto: chi indurisce il proprio cuore cadrà nell’infelicità, vale a dire, precipiterà nell’altra condizione chiamata infelicità. Così il timore è connesso alle due eventualità ed è incluso in loro; è questo l’amore perfetto. È per siffatto motivo che la Scrittura aggiunge: “Ma chi ha il cuore duro, cadrà nel male”.


204 Rabbi Shimon riprese la sua lezione nel modo seguente: il terzo comandamento consiste nel riconoscere che vi è un solo D-o onnipotente Signore dell’Universo. È necessario, quindi, proclamare ogni giorno la sua unità nelle sei direzioni celesti, riconducendole di nuovo all’uno, pronunciando le sei parole della Schéma (Deuteronomio VI,4). Tenete presente che nel proferirle, occorre pronunciarle con l’intenzione di compiere la volontà celeste. Declamando questi versetti occorre anche, indugiare sulla parola “uno”, prolungandone la dizione per un tempo pari a quello occorrente a pronunciare sei vocaboli . 205 È per tale motivo che la Scrittura afferma (Genesi I,9): “Che le acque di sotto il cielo si riuniscano in un unico luogo”. Vale a dire: le acque dei fiumi, le quali confluiscono tutte nell’oceano nonostante le disparate direzioni dei loro tragitti, servono da testimonianza all’unità delle sei direzioni celesti. È sulla lettera finale della parola “Ehad” che occorre porre attenzione, il segno “d” (d), il cui valore numerico è quattro, indica le quattro direzioni dei fiumi che testimoniano dell’unità dei sei orientamenti celesti. Questo è il motivo per cui la lettera “d” della parola “Ehad” è scritta, in questo passo, più grande delle altre. La Scrittura aggiunge: “E che la terra ferma appaia” vale a dire la lettera d (d) simbolo della terra emersa, testimoni l’unità delle sei direzioni celesti. 206 Il passo che segue si trova soltanto nelle edizioni di Cremona, Sulzbach e Przemysl, nelle edizioni di Amsterdam e Vilna, si trova collocato al foglio 257a del primo volume. Le antinomie, infatti, che presenta l’affermazione dell’unità delle sei direzioni, si riducono in realtà a tre: l’orientamento sud come prolungamento di quella del nord, l’ovest quale estensione di quella dell’est, e quella del basso come continuazione della direzione dell’alto. Rimangono, quindi, tre direzioni in apparenza opposte: quella del nord antistante al sud, dell’est all’ovest e dell’alto al basso. Ora, secondo i suoi requisiti, la lettera d (d) rappresenta queste tre direzioni e tuttavia essa non configura che un’unità. 206 Dopo aver affermato l’unità delle sei direzioni celesti, l’uomo deve anche proclamare l’unicità di quelle in basso, recitando un altro versetto ugualmente composto di sei parole “Benedetto sia il nome glorioso del suo regno in tutta l’eternità ”. Riconoscendo l’unità delle tre direzioni rappresentate dalla lettera d (d) l’uomo camminerà sulla “terra ferma” feconda in frutti e in alberi. 207 Ecco perché è scritto: “ D-o chiamò il continente, terra”. L’unità in basso è confermata dalla terra, tanto è vero che per ben due volte è scritto, a proposito della terra: “ D-o vide che era buona”, una prima per l’unità in alto e un’altra per quella in basso. Così costituita, la terra poté produrre frutti e fiori; come fece.

TIMOR DI DIO E AMOR DI DIO NELLO ZOHARultima modifica: 2010-08-19T14:02:00+02:00da mikeplato
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