IL NEO-SCIAMANESIMO

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Il ritorno dello Sciamanesimo

Una delle configurazioni più importanti che si possono scorgere nell’ambito del New Age è data dal ritorno dello sciamanesimo, che rappresenta in sé un fenomeno religioso e culturale appartenente ormai di diritto all’antropologia religiosa ed alla storia delle religioni, pur essendo differente la tipologia all’interno della quale esso si iscrive. Il ruolo di assoluto rilievo che assume la ripresa dello sciamanesimo nel contesto “sacro-terapeutico” delle forme della religiosità nella modernità non è legato tanto alla sua specifica struttura religiosa nel contesto delle sue origini storico-sociali, quanto piuttosto al fatto sconvolgente che esso evoca, e cioè la possibilità (terapeutica e salvifica) di un “viaggio in un altro mondo” (usando un’espressione tipica di Carlos Castaneda). Ciò che affascina la maggior parte dei new agers che si affidano a questa tradizione religiosa, in pratica, sono le varie tecniche estatiche e di “trance”, finalizzate al raggiungimento di quella necessaria alterazione della coscienza in grado di permettere il contatto con una dimensione trascendente la realtà umana, per ottenere o eventualmente offrire una cura lenitiva del male – e del limite – umano. A tal proposito, seguendo l’interpretazione della sociologa francese F. Champion, così come in altri “ritorni” di credenze in filosofie orientali, il neosciamanesimo new age non sarebbe altro che un brodo terapeutico di pratiche magiche aventi come scopo quello di trasformare il neosciamano in una sorta di variante di psicoterapeuta, in grado di viaggiare nella dimensione inconscia del malato per estirpare la causa del suo dolore – spirituale o fisico quale esso sia. Lo studioso italiano A. N. Terrin afferma: “È ciò che permette allo sciamano di entrare in contatto con il mondo dell’aldilà che attira ai nostri giorni; è lo stato alterato di coscienza di questi sciamani che affascina e sconvolge. Poi, alla fine, è il miracolo della guarigione delle malattie mentali o fisiche che stupisce; miracolo legato a fattori spirituali indecifrabili, in grado soltanto di dirci della dimestichezza dello sciamano con realtà che restano interdette al comune mortale”. (“New Age. La religiosità del postmoderno”). Proprio su questo genere di apettative l’onda mistico-esoterica del New Age sta costruendo una mitologia riplasmata basata anche e non solo sulla cultura dello sciamanesimo. Questo perche esso si adatta perfettamente alla filosofia New Age della spiritualità senza intermediazioni di sorta, ed in parte anche al voler sperimentare l’oltre in modo subitaneo: vedi esperienza sciamica ahyauaskera che di per sè soddisfa il criterio del fast-food spirituale della New Age. Lo stregone, in questo ambito, costituisce il principale interlocutore del mondo della trascendenza mostrando accuratissime “tecniche d’estasi”in grado di sconfiggere ogni sorta di malattia o di squilibrio psico-somatico, tramite l’impiego di precise simbologie e ritualità, che fanno della sofferenza umana una pura disarmonia dello spirito. Lo sciamano, attraverso l’impiego di appositi rituali e varie simbologie, funge principalmente da esperto “guaritore” dei mali e delle sofferenze che investono non solo la vita del singolo ma specialmente quella della comunità, in cui si considera la malattia come una semplice metafora dello spirito e la sofferenza corporale come una pura disarmonia spirituale. Il medecine-man viene visto come il primo visionario nella storia religiosa dell’umanità, che riesce finalmente a viaggiare quando desidera tra il mondo dei sensi è la realtà degli spiriti, mettendoli in un “olistico” contatto e impegnandosi a far visitare più da vicino il terreno dell’inconscio collettivo, spiritualizzando la malattia e materializzando il mondo delle anime in una fusione generale di tutti gli elementi religiosi, naturali e sovrannaturali. In questi casi sembra quasi che il metodo scientifico di causa-effetto e di razionalità analitica debba nuovamente venire superato e sostituito da una concezione globale della realtà che si esprime attraverso forze mistiche e magiche. Le conoscenze storico-religiose che riguardano lo sciamanesimo tradizionale appartengono soprattutto al nostro secolo, e si tratta di un materiale enorme a disposizione degli studiosi: si hanno infatti studi concernenti la figura dello sciamano nella comunità, il rapporto fra lo sciamanesimo e la psicologia scientifica novecentesca, l’iniziazione dei futuri medecine-men, le loro vocazioni, i rituali e le sedute, la trance e i voli dell’anima. Da una serie di lavori essenziali, cito in primo luogo il monumentale Lo Sciamanesimo di Mircea Eliade, ne emerge un quadro abbastanza preciso sia intorno al ruolo dello sciamano sia sulla tradizione religiosa dello sciamanesimo, pur nella difficoltà oggettiva di poter riuscire ad inquadrare in maniera adeguata il fenomeno intero, e specialmente offrire un’interpretazione che sia in consonanza con le esperienze “religiose” senza essere troppo condizionati dalla propria situazione sociale e culturale. Proprio per tale motivo  il discorso sul ritorno dello sciamanesimo nel contesto della cultura religiosa attuale risulta ovviamente assai complesso e delicato, ed è per questo che deve essere analizzato seguendo alcune specifiche linee direttive di percorso.

Le origini storiche del Neosciamanesimo

La figura fondamentale nel contesto new age che si trova alla radice della rinascita della tradizione sciamanica è sicuramente Carlos Castaneda (?-1998), autore di una serie di opere intorno agli anni settanta (periodo fondamentale per il diffondersi della nuova cultura religiosa del New Age) in grado di mettere in imbarazzo il mondo accademico tradizionale e riscuotere un autentico successo popolare specie al di fuori dell’ambito universitario. “Per decine di migliaia di lettori, giovani e vecchi, il primo incontro di Castaneda con Don Juan Matus…è un avvenimento letterario meglio conosciuto che l’incontro di Dante con Beatrice sulle rive dell’Arno”. Questo confronto, tracciato dall’articolo che la rivista americana “Time” dedicò all’opera di Carlos Castaneda appena uscita, fa cogliere l’importanza dell’impatto che Don Juan e le sue concezioni ebbero sul pubblico. E d’altra parte il viaggio nel mondo “magico” degli sciamani che offriva Carlos ai suoi lettori non poteva che trovare un’entusiastica accoglienza in un pubblico quanto mai aperto ed interessato ad approcci non-razionali della realtà. Ma ai libri di Castaneda non arrideva solo un successo popolare tra i giovani americani di fine anni sessanta, ma anche tra quegli antropologi che avevano concentrato l’attenzione sull’uso di allucinogeni in altre società e sul rapporto tra stati psicofisici prodotti da tali sostanze ed esperienze estatiche e mistiche. Le ricerche di Castaneda si inserirono infatti in una drug literature allora più che mai fiorente e in breve tempo diventarono un importante punto di riferimento sia per gli studiosi interessati a questi problemi, sia per i profani che erano solamente attratti dall’idea di un “ritorno” dello sciamanismo tradizionale visitato unicamente  attraverso l’utilizzo psichedelico di prodotti allucinogeni al fine di arrivare a stati non ordinari di consapevolezza, a quell’agognata espansione della coscienza prima radice della nuova mistica intramondana del New Age. È un fatto che il periodo iniziale del ritorno dello sciamanesimo nella cultura occidentale viene infatti a situarsi in concomitanza e in reciproca interazione con quello che è stato definito come “movimento psichedelico” sorto negli Stati Uniti nella seconda metà del ‘900. Il periodo iniziale del ritorno dello sciamanesimo nella cultura occidentale venne infatti a situarsi in concomitanza e in reciproca interazione con quello che è stato definito come “movimento psichedelico” sorto  negli Stati Uniti nella seconda metà di questo secolo. In tale contesto,  fu fondamentale l’importanza data dalla diffusione delle droghe allucinogene, che negli anni cinquanta e sessanta influirono sulla formazione di una “coscienza alternativa” e che portarono alla nascita appunto del già citato psychedelic movement. A parte il termine psichedelico, oggetto di un’annosa controversia tra vari studiosi del campo, il vero e proprio precursore dell’uso di sostanze allucinogene per arrivare a stati di coscienza definibili come alterati in senso religioso, fu senza dubbio Aldous Huxley (1894-1963), il primo, in una maniera quanto mai suggestiva ed a volte persino poetica, ad ipotizzare un uso della mescalina per aprire ciò che egli definiva come le porte della percezione. Per Huxley, la sostanza chimica era una specie di catalizzatore che per un attimo mandava in tilt quel complesso sistema di inibizioni sensoriali che permettono al nostro cervello di funzionare nella vita ordinaria: il risultato era un’apertura ad una esperienza percettiva che nelle forme più pure egli non esitava a definire mistica. Fu senza dubbio Timothy Leary (1920-1996), autore di “L’esperienza psichedelica” nel 1964,  a raccoglierne negli anni ’60 l’eredità, anche se il suo proselitismo a volte fanatico contribuì non poco a ghettizzare l’uso delle sostanze allucinogene negli ambienti culturali underground e conseguentemente a renderle ben presto illegali. A lui va comunque riconosciuto il merito di averne teorizzato l’impiego come equivalente occidentale delle pratiche orientali di meditazione  e soprattutto nell’avere individuato nel set e nel setting, cioè nell’atteggiamento psicologico e nell’ambiente fisico ove avviene l’esperienza, due importantissime variabili. Nei primi anni ’70 apparve un altro testo scritto dal giovane antropologo Castaneda che si stava laureando all’Università di Los Angeles, dall’affascinante titolo di “A scuola dallo stregone”.  Carlos Castaneda  si era proposto di indagare le classificazioni indigene delle piante allucinogene utilizzate dagli stregoni messicani, operando direttamente sul campo uno studio che durò all’incirca per dieci anni, dai primi anni sessanta agli inizi dei settanta. Ma l’incontro con un indio yaqui chiamato Don Juan disposto a rivelargli le sue conoscenze segrete sull’iniziazione all’arte dello sciamanizzare fece mutare rotta alla ricerca. Nei primi due libri, Castaneda descrive come la Via Yaqui per la conoscenza richieda l’uso di potenti piante indigene, come la mescalina (dal Peyote) e la Datura. Nel suo terzo libro, Viaggio ad Ixtlan, ribalta però la sua enfasi sul potere delle piante. Egli afferma che Don Juan le ha usate su di lui per dimostrare che le esperienze fuori dalla vita conosciuta e ordinaria sono reali e tangibili, ma non sarebbero state necessarie se la sua mente fosse stata più fluida. In seguito, negherà ogni utilizzo di droghe per i propri propositi, affermando che le sostanze psicotrope possono inalterabilmente danneggiare la sfera luminosa di emanazioni del corpo energetico, così come il corpo fisico. In “Viaggio ad Ixtlan” sono descritti alcuni precetti di un codice di tipo ascetico che predica un atteggiamento di distacco dalla realtà quotidiana: la cancellazione della “storia personale”, il non dare importanza all’Ego, il dovere di distruggere la ruota dell’abitudinarietà e addirittura cercare sempre (meglio in una profonda solitudine) e in ogni circostanza di avvicinarsi al proprio vissuto per attingere a piene mani dalla universale saggezza nascosta dentro di noi. Insomma, chi vuole accostarsi alla “sapienza” deve dunque innanzitutto cambiare il proprio modello di vita. Quindi, l’opera “neosciamanica” castanediana contiene altri e più complessi pensieri che esulano dal semplice “paradigma psichedelico” in voga in quegli anni. Questi sono messi a nudo proprio dal continuo scontro tra il razionalismo di Carlos e l’apparente irrazionalità del suo informatore che caratterizza gli ambigui dialoghi presenti nella sua prima opera. L’indio messicano cerca di distruggere l’immagine che l’uomo occidentale Castaneda ha del mondo, le sue concezioni di reale e di irreale, di vero e di falso, di possibile e di impossibile. Attraverso esperienze allucinanti, Carlos viene sottoposto ad un nuovo processo di socializzazione: la sua percezione viene modellata e riorganizzata secondo i criteri imposti e dettati dallo sciamanismo di Don Juan. Grazie a tali esperienze, su cui Castaneda si sofferma anche nei libri successivi, l’apprendista stregone acquisisce un “alleato”, una sorta di “spirito guardiano” che guida l’antropologo verso quella conoscenza esoterica che lo renderà un “sapiente” (man of Knowledge) o uno “stregone” (sorcerer). Così, percorrendo la medesima scia, nel secondo resoconto castanediano, “A Separate Reality. Further Conversations with Don Juan”, uscito nel 1971, si parla dell’idea che la realtà non sia qualcosa di assoluto ma dipenda dalla percezione soggettiva del singolo individuo, vi è un esplicito invito ad accettare contemporaneamente verità contraddittorie, il riconoscere la “via del guerriero” come unico mezzo per “conoscere” la vera essenza di sé e della natura, il tutto condito con una visione generale riguardo alle diverse possibilità e facoltà sensoriali e cognitive che ogni uomo possiede pur non sfruttandole a dovere. l’importanza di Castaneda non sta tanto nella veridicità di quanto racconta – problema che in questa sede comunque non interessa -, quanto da un lato nell’aver suscitato tra i primi un grosso interesse per lo sciamanesimo  nella cultura  moderna allontanandosi  dal paradigma psichedelico dominante all’epoca delle sue ricerche,  e dall’altro – ma a questo conseguente – nel tentativo di dimostrare comunque come l’uso delle tecniche, delle droghe o delle piante allucinogene debba trovare il suo impiego nel ristrutturarsi delle capacità percettive dell’ “apprendista stregone” ed essere soprattutto a questo solamente finalizzato e limitato. L’importanza di una simile affermazione risulta immediatamente quando analizziamo il lavoro di molti altri autori ove traspare come questi ultimi tendano, viceversa, ad assimilare la riuscita di particolari tecniche e l’uso di determinate piante psicoattive che possono indurre degli stati alterati di coscienza di natura religioso-sciamanica con quello stesso stato alterato di coscienza. Tale visione è comune non solo agli ex giovani ribelli americani, ma anche  ad alcuni moderni  “sciamani” new age per i quali la tecnica o la pianta allucinogena finiscono con l’essere più importanti del contesto, in senso lato, in cui le si assume. Sulla base di tale paradigma, le variabili individuali osservate nell’assunzione di certe sostanze o all’opera nelle varie tecniche finiscono con l’essere riconducibili a idiosincrasie psicologiche e considerate una specie di disturbo dell’esperienza stessa. Ciò che rende sciamanico invece l’uso di una tecnica specifica o di una determinata pianta è l’importanza attribuita a determinate forze, psicologiche e non, nel determinare se essa indurrà uno stato alterato di coscienza e quale sarà il suo contenuto. (La tecnica o la droga, in altre parole, possono sia rompere che modellare una determinata percezione del mondo: nel primo caso siamo davanti ad una natura ludica, che si basa su una interpretazione neurofisiologica, nel secondo ad un suo uso sciamanico vero e proprio).

Il Neosciamanesimo “olistico” e Michael Harner

Oltre a Castaneda, l’altra figura fondamentale per cogliere le modalità con cui lo sciamanesimo è stato percepito nel contesto culturale di questi anni è indubbiamente lo studioso amico del peruviano Michael Harner, un antropologo americano che, dopo aver passato due anni a bere l’Ayahuasca con gli indiani Jivaros dell’Ecuador, ha dedicato la sua vita ad elaborare una serie di metodiche per indurre le stesse esperienze “strutturanti” senza l’impiego di piante allucinogene. Lo sciamanesimo di Harner  si situa nello stesso contesto castanediano, come si nota nel suo famoso lavoro sullo sciamanismo, anche se egli non ha dubbi circa l’affinità esistente con le nuove forme sciamaniche che lui stesso cerca di favorire in occidente,  proponendo come leitmotiv il bisogno di cambiamento della coscienza, il tutto inserito in una visione generale della realtà che tranquillamente possiamo far rientrare in una concezione filosofica di tipo olistico. Egli confronta la coscienza ordinaria con lo stato di coscienza sciamanica considerata come uno stato di coscienza trascendentale affermando che la percezione della seconda realtà appartiene allo sciamanesimo e ha il suggello dell’esperienza che l’occidentale non sa fare, se non dopo lunga preparazione. Ma a differenza di Castaneda, si coglie soprattutto in Harner anche il motivo del rapporto con la natura (presente in molte parti comunque pure nell’opera dell’antropologo peruviano), come si evince dai suoi scritti: “Gli sciamani dicono che noi dobbiamo parlare con le piante e con gli alberi, con gli animali e con le pietre perché la nostra vita e il nostro spirito è connesso con queste realtà. Nelle culture sciamaniche tutte le cose vengono viste come intercomunicanti e reciprocamente dipendenti e non come singole forme di vita. Tutto ciò che esiste è vivente per la visione sciamanica. Ma come possiamo noi sperimentare che tutte le cose sono viventi? Attraverso la coscienza sciamanica e in modo particolare tramite il viaggio sciamanico”. Nel caso dell’autore di “The Way of the Shaman”, siamo in presenza di un neosciamanismo che interessa di nuovo le religioni vecchie e nuove e in particolare la sensibilità religiosa oggi in forte sviluppo. Di questo nuovo sciamanismo Harner negli Stati Uniti è forse il maggior rappresentante insieme con la scrittrice Lynn Andrews (autrice del famoso “Medecine Woman” in America addirittura alla trentanovesima riedizione, un’autrice che ripercorre comunque a suo modo la strada “neosciamanica” di Harner e di Castaneda). Per rispondere alla crescente richiesta di addestramento, nel 1979 Harner fonda il Center for Shamanic Studies con sede a Norwalk nel Connecticut. Negli anni successivi sempre più persone, sia negli Stati Uniti che in Europa, cominciano a partecipare ai corsi di addestramento condotti da Harner, che sarà in grado di sviluppare un programma completo di addestramento nel Core Shamanism, nominando un corpo insegnante internazionale (international Faculty), che lo affianchi nell’insegnamento. Il suo lavoro, inizialmente criticato da alcuni, sarà accettato dal pubblico, specialmente tra gli studenti che hanno sperimentato di persona la validità del suo approccio. Il Core Shamanism è la metodologia elaborata da Harner per adattare lo sciamanismo al pensiero e alla cultura moderni. Nel core shamanism si dà molta importanza al fatto che solamente la persona ha l’autorità per interpretare le proprie esperienze e capirne il significato In esso si ritiene che le persone che non sono potenti (powerful) – cioè, spiritualmente “colme del potere” (power- filled) – sono predisposte alle malattie, agli incidenti e alla sfortuna. Lo sciamano ristabilisce il legame della persona con il proprio potere spirituale. Questo è qualcosa di analogo a un sistema di difesa immunitaria spirituale. Il potere rende la persona resistente alle malattie. Se qualcuno si ammala ripetutamente, ha bisogno di essere ricollegato con il potere spirituale. Una persona generalmente sana e in buona salute può compiere la ricerca della visione per ottenere o rafforzare tale connessione, ma una delle funzioni dello sciamano è di aiutare quelli che non sono in condizioni di farlo da soli. Peraltro, da un punto di vista sciamanico, chiunque abbia subito un trauma può aver perso una parte dell’anima. Per “anima” intendiamo quell’essenza spirituale indispensabile alla vita, nel senso che diamo a questa parola nella nostra cultura, cioè dal concepimento o dalla nascita fino alla morte. Le tecniche per curare la perdita dell’anima sono tecniche per il recupero dell’anima, e uno dei classici metodi sciamanici è di andare a cercare la parte perduta e reintegrarla alla persona. Un’altra tecnica molto importante nella guarigione sciamanica di Heller è l’estrazione, che consiste nel rimuovere un’intrusione spirituale. Proprio come possono esserci infezioni nella realtà ordinaria, così possono esserci intrusioni spirituali. Non si intende con ciò che degli spiriti “malvagi” si siano introdotti nel corpo. È più come la presenza di termiti in una casa di legno. Se aveste delle termiti in casa, non direste che sono malvagie, ma cerchereste il modo per liberarvene. Allo stesso modo lo sciamano lavora per rimuovere le cose che interferiscono con la salute del corpo, come le intrusioni spirituali, ed estrarle. Questo non viene fatto mediante il viaggio, ma lavorando nel Mondo Intermedio in uno stato alterato di coscienza. Sebbene tardivo, il riconoscimento del lavoro di Harner da parte del mondo accademico ne ha messo in evidenza la rilevanza non solo per gli studi specialistici sullo sciamanismo, ma anche per l’antropologia e le scienze umane in generale

Il Neosciamanesimo “mistico” e “naturalistico”

È da sottolineare, criticando le riletture personali e gli abusi attuali del fenomeno sciamanico –visto nell’ottica di una ipotetica ricerca unicamente tesa allo stare bene, all’equilibrio col proprio corpo e la propria anima, alla salute in sé senza altro fine,- è il fatto che i lavori di Castaneda (principalmente), di Harner, della Andrews e in misura minore anche della più sconosciuta apprendista Donner e di Lamb, ci insegnano che lo sciamano sia molto più interessato a “salvare” tramite la “conoscenza”, ristrutturando il modo di percepire e di conoscere dell’adepto piuttosto che destrutturandolo, ed anzi la fase di destrutturazione è sempre considerata molto pericolosa. Quello che rende diversa l’esperienza di una nativa messicana rispetto a quella di un’impiegata newyorkese che ingerisca una certa quantità di funghi psichedelici nel suo appartamento, magari ascoltando le musiche dei Pink Floyd, non è solo il tipo di funghi o la qualità di principio attivo, né il modo in cui affrontano la destrutturazione del loro percepire il mondo, che al limite può essere simile, ma ciò che accade dopo. “Un indigeno non ingerisce mai l’Ayahuasca per vedere, ma per imparare”. E l’atto dell’imparare è infinitamente più complesso di quello del semplice vedere delle visioni, per il quale probabilmente basta una semplice disinibizione dei canali percettivi. È probabilmente questo ciò che sfugge a chi, leggendo ad esempio Castaneda stesso, reputa primario l’allargamento della coscienza, il “vedere”, la tecnica fine a se stessa, o la sostanza psicotropa o, peggio, il raggiungimento di una personale felicità con una perfetta salute e un sapiente controllo del proprio equilibrio: non è tanto questo al centro dei differenti culti sciamanici, quanto il modo di impiegarle. Ed è probabilmente per questo, purtroppo, che lo sciamanesimo nella cultura attuale (così come nel movimento psichedelico degli anni sessanta e settanta) è diventato forse solo un fenomeno culturale storpiato ed inserito a forza in una filosofia naturalistica ed olistica “facilona” tipica del New Age, in un “misticismo” del benessere individuale (dove salute e salvezza sono confuse in una relazione che si compenetra talvolta in maniera assai vaga), e non è mai riuscito ad essere un’autentica esperienza religiosa, mancando di quelle caratteristiche proprie dei contesti tradizionali degli aborigeni. Come afferma G. Filoramo, infatti, lo sciamanesimo attuale viene “inteso come pratica spirituale tradizionale e comune a tutte le culture di tipo arcaico, volta a ripristinare l’armonia tra individuo e cosmo. Ora, il tratto di fondo che accomuna questo ritorno di interesse dell’uomo occidentale per queste pratiche arcaiche è il fatto che lo sciamanesimo può essere riscoperto dall’uomo contemporaneo innanzitutto al fine di intervenire terapeuticamente, in modo “naturale”, su determinati scompensi patologici, ma anche, più in generale, per restituire all’individuo il benessere spirituale e l’equilibrio che la vita moderna avrebbe distrutto”. Il neosciamanesimo contemporaneo è divenuto cioè nient’altro che un’ideologia pseudo-mistica, terapeutica e pan-naturale, in cui le distanze dal “vero” sciamanesimo antico sono evidenti. Su questo punto, sono fondamentali le osservazioni critiche dello studioso delle religioni H. Zinser a proposito delle differenze esistenti tra il nuovo e il vecchio sciamanesimo. Una basilare differenza riguarda il fatto che lo sciamanesimo tradizionale ruotava intorno alla figura del medecine-man, un personaggio eletto che solo in rari casi riusciva a diventare sciamano di sua spontanea volontà, ed anzi, di solito, colui che veniva chiamato opponeva resistenza e cercava di sottrarsi alla responsabilità che gli si voleva affidare da parte degli spiriti e della comunità. Inoltre anticamente, dopo la chiamata, seguiva un periodo molto duro di formazione che avveniva tramite sciamani di grande esperienza (e almeno Castaneda, se i suoi resoconti sono attendibili, a differenza di molti falsi sciamani new age, qualcosa del genere dovrebbe averlo vissuto…), nel quale il neo – sciamano – qui inteso come “candidato” – era iniziato alle difficili tecniche estatiche ed al loro padroneggiamento. Nella realtà contemporanea, invece, sembra che tutti siano chiamati a diventare degli sciamani, pur essendo assente sia una vera e propria “vocazione” che soprattutto una lunga e faticosa preparazione iniziale. In secondo luogo, Zinser annota che in Siberia lo sciamanesimo serve a superare i momenti di eccezionalità e di incomprensione del reale. Da noi è utile solo nella misura in cui produce stati mistici di alterazione di coscienza, di anormalità e di “eccezionalità”: per il mistico contemporaneo della domenica, credere nelle verità dello sciamano va bene solamente quando si appresta a isolarsi in profonda meditazione col fine di “viaggiare” in un’altra dimensione sconosciuta ai sensi “normali”, come è dimostrato ampiamente dall’importanza del viaggio sciamanico così preponderante nei temi del New Age. Una terza critica da lui proposta, consiste nel fatto che il ritorno della visione sciamanica del cosmo significa una svalutazione della scienza, dell’arte, del lavoro e di ogni altra attività umana. Lo sciamanesimo riplasmato ci potrebbe potenzialmente catapultare “fuori” dalla realtà del nostro mondo. Esso si inserisce perfettamente (e rappresenta anche un potente fattore alla radice del mutamento) nella lotta al positivismo e al meccanicismo newtoniano della scienza grande bersaglio del pensiero new age. In questo contesto, immettendomi nel discorso di Zinser, si può dire che la concezione della realtà parte nel nuovo sciamanesimo dal presupposto che la nostra visione del mondo non è disgiungibile dal significato che noi diamo al mondo. L’interrelazione soggetto-oggetto non è un fenomeno allucinatorio, ma è essenziale per comprendere se stessi e il proprio linguaggio in rapporto alla natura. Lo sciamanesimo contemporaneo, riprendendo sostanzialmente Castaneda, vuole mettere in discussione il rapporto dicotomico fra la realtà e la percezione della realtà, fra soggettivo ed oggettivo, descrivendo l’esistenza di un altro ordine che viene sperimentato dall’adepto come un tutto omogeneo in sintonia con il mondo e la sua stessa percezione. La nuova coscienza sciamanica riesce ad integrare in maniera esemplare la realtà con la percezione della realtà, ove è il soggetto che si fa responsabile della creazione del suo particolare universo, ove tutto si traspone in un altro piano più “spirituale” e sacro. In tale ambito, il maggiore ostacolo per la visione del moderno sciamano non sono altro che i disturbi del percepire prodotti dal pensiero scientifico-analitico. Infine però, mi sembra che proprio lo sciamanesimo, che si dichiara contrario ad ogni dualismo in favore di una concezione marcatamente olistica, in concreto con la distinzione tra corpo, anima e spirito, perpetui ed esalti una visione di tipo dicotomico. L’antropologia e la cosmologia sciamanica sono in realtà dicotomiche e dualistiche, anche se si parla di continuo di un passaggio da un mondo all’altro. Che poi la visione sciamanica finisca in un pre-personale e non in un trans-personale, come si augurano i new agers, ciò rientrerebbe in particolari concezioni dell’individuo. La vicinanza alle forze della natura, che era determinante già nello yoga primitivo, tra gli sciamani degli indiani d’America e altri popoli primitivi, viene allora così sinteticamente contraddistinta dalla religiosità del New Age col nome di “sciamanesimo”. Tale concetto è stato in esso ampliato e modificato al di là dei suoi limiti etnologici, geografici e anche contenutistici, e indica ora una particolare forma di sacralità, o meglio, di “spiritualità”, in cui i singoli individui abbastanza dotati (da alcuni ritenuti dei semplici malati, come gli antichi sciamani), terapeuti, guaritori lanciano un ponte tra il mondo dell’uomo “normale” e il mondo pullulante di spiriti, di entità o di energie misteriose, della magia bianca (sanante, rigenerante, terapeutica) e nera (distruttiva, lesiva). I culti sciamanici vudù e le guarigioni miracolose inspiegabili operate dai neosciamani moderni rientrano in questo ambito, così come l’immersione in stati di trance, che dischiude nuovi settori della realtà, e l’uso di poteri, che risultano inspiegabili alla scienza moderna. La cosa sorprendente è che questo sciamanesimo-terapeutico guarisce là dove l’arte medica dell’occidente fallisce. Nel contesto del moderno individuo pseudo-mistico new age che si affida a questo network, non disdegnando di “viaggiare” anche in quelli di altro genere ma ad esso sempre collegati, vengono percepite realtà della natura e liberate forze, che nella lunga tradizione della tecnica e della civiltà contemporanea sono andate perdute. Secondo J. Sudbrack, importante studioso gesuita di Innsbruck specialista della mistica del passato e delle nuove forme della spiritualità di oggi che tentano in vario modo di legarsi ad essa, è proprio qui che deve essere ricercato il vero nucleo del neosciamanesimo: “In virtù delle loro qualità particolari, spesso affinate dall’esercizio e dall’iniziazione, determinati individui vivono ancora in una stretta vicinanza con forze della natura, che noi altri abbiamo dimenticato e perso da lungo tempo e che perciò ci appare come una magia e un inganno”. E continua citando anche un caso molto interessante: “Il fatto che l’uomo colto d’oggi vi subodori subito dietro un qualche inganno è non da ultimo la conseguenza di pubblicazioni come quella di Elmar Grube: secondo le notizie fornite dall’editore egli era assistente all’Institut fur Grenzgebiete der Psychologie und Pschohygiene del professor Hans Bender a Friburgo; secondo notizie fornite dal medesimo istituto egli non aveva mai ivi ottenuto neppure la licenza. Basandosi su questi eventi misteriosi fatti di sogni, estasi, guarigioni e incantesimi, egli fabbrica una moderna visione del mondo:  “Nessun ordine. Ma trance e la coscienza che dietro tutta la vita c’è qualcosa di più grande, che è  fons et origo delle attuali condizioni di vita: l’origine. Il ristabilimento della relazione con essa, che è seguito al tragico atto della separazione tra l’Io e l’Altro, della delimitazione originaria, ha creato il primo e più sacro degli uffici: la gilda non istituzionale dei retroconnettori, i quali nelle profondità dell’antro e dell’inconscio svolgono un lavoro da migliaia di anni e il cui scopo è quello di impedire ad ogni costo lo sviluppo della macchina della razionalità…Questo movimento geniale, che ci riporta inaspettatamente agli inizi e rende possibile la creatività e la creazione”. Gruber insegna un mito della creazione, il mito del peccato originale della presa di coscienza da parte degli uomini, dell’erezione della barriera soggetto-oggetto, aggiornandolo semplicemente alla vecchia maniera gnostica”. Sudbrack critica questo falso misticismo naturalistico constatando poi come molti seri ricercatori – quale ad esempio Mircea Eliade – sappiano che proprio i popoli dei territori esperienziali per pratiche sciamaniche oggi tanto prediletti (Messico, Siberia o anche addirittura il Turkestan, ma altri ancora) fanno risolvere le loro credenze negli spiriti e nella natura in quella di un Dio non misticizzato ma unico e solo Creatore. “Tale dato etnologicamente incontestato – afferma Sudbrack – è semplicemente taciuto da Elmar Gruber o anche dalla sua maestra Joan Halifax. E così riesce loro di trasformare un fenomeno, che per gli uomini, tra cui essi lo scoprono, è solo secondario, cioè inserito in un chiaro monoteismo, in religiosità primaria”. Si tratta dunque, nel caso del nuovo sciamanesimo, di una mistica assai ingenua, libera, che non si sa dove porterà e che si fa interprete di tutte le ingenuità spiritualistiche e sacralizzanti e di non senso al limite con l’immaginario, di cui è permeata la religiosità di oggi. Ancora una volta tocchiamo con mano un tratto specifico della nuova religiosità: vie socialmente, culturalmente e religiosamente situate, scoperte in seno a tali tessuti, vengono isolate e inquadrate nel modello totalitario della trascendenza mistica senza trascendente, del transpersonale, senza tener conto del loro contesto originario”

Riflessioni

Le opere di Castaneda e dei suoi seguaci, di Harner e della Andrews (ma in misura minore) hanno attualmente  originato quel nuovo e ambiguo interesse per lo sciamanesimo, letteralmente esploso in America nella West Coast alla fine degli anni ottanta. Oggi esiste una rivista specializzata in “sciamanesimo esperienziale”, Shaman’s Drum, che tira oltre ottantamila copie, innumerevoli agenzie e associazioni propongono viaggi e gruppi di incontro, magari con l’uso di piante psicoattive, mentre anche in Inghilterra e Nord Europa si va affermando un movimento che, partendo dall’interesse per lo sciamanesimo ed i culti matriarcali, sconfina nella psicologia transpersonale di Stanislav Grof, nelle teorie di Gaia di Jim Lovelock, nella Deep-Ecology di Joan Halifax e nella salvaguardia della biodiversità e dei diritti dei popoli indigeni. Un tale movimento si configura come radicalmente diverso da quello nato negli anni sessanta intorno al paradigma psichedelico. Allora il movimento psichedelico era nato nelle marce di protesta contro la guerra del Viet Nam come un movimento di radicale rifiuto dei valori dell’American Life Style, e forse per questo aveva enfatizzato i valori destrutturanti dell’esperienza sciamanica psichedelica. Oggi non esiste alcuna connotazione di protesta e le premesse ideologiche dei giovani che viaggiano nel Sud del mondo alla ricerca di nuove esperienze visionarie portano ad una generale accettazione dei valori culturali dominanti: lo sciamano affascina non come elemento di rottura, ma come figura sincretica che preserva una atavica saggezza pur convivendo con le contraddizioni del mondo moderno. In questo senso il paradigma psichedelico, con le sue utopie, è ormai defunto. Oggi nessuno pretende più di cambiare il mondo, nessuno è più in attesa di una paradisiaca “New Age”, e chi ingerisce una pianta allucinogena percuotendo il suo tamburo sciamanico, magari acquistato per corrispondenza, da un rivenditore specializzato del New Mexico, cerca più una risposta salvifica di “vera conoscenza” chiedendo in più di uscire da questo mondo in cui una realtà resa sempre più virtuale dal dilagare dei mass-media preclude qualsiasi spazio interiore. Che poi lo faccia nel caldo asfissiante della foresta amazzonica o in un raffinato e confortevole centro della “Nuova Era” californiano potrebbe a mio avviso essere solo questione di scelta o di temperamento.

Conclusioni

Per quano concerne il neosciamanesimo nell’attuale mondo editoriale americano, sembra che esso ponga l’accento soprattutto sulla figura dello stregone visto essenzialmente solo come quel misterioso terapeuta sacro in grado di guarire con efficacia non tanto i mali della collettività quanto gli squilibri che rendono ansiosa la vita del singolo individuo, andando a interrogare le anime o recuperando lo spirito nel regno del trascendente. Questo nuovo sciamanesimo risulta essere una sorta di riscoperta della correlazione olistica tra tutte le parti viventi del cosmo conosciuto e sconosciuto, le piante, gli animali, l’uomo, gli spiriti, il tutto condito dalla suggestione di un possibile contatto con l’aldilà e dalla concezione della guarigione come scoperta che la malattia non rappresenta nient’ altro che un semplice e momentaneo indebolimento dell’anima. Tale visione implica una concezione di salute totalmente diversa da quella che potremmo chiamare “occidentale”. In questo caso “la salute-salvezza è un fatto “totale”; è un benessere, uno star bene del corpo e dello spirito in un giusto equilibrio tra le forze della natura e le forze spirituali e questo equilibrio può essere soltanto il risultato di un mantenimento del rapporto stretto con gli ambiti interi della realtà: lo spirito, anzitutto, che deve armonizzarsi col corpo e con il mondo circostante, con la natura, con il mondo senziente e con il mondo degli spiriti. Se lo sciamano imita il canto degli uccelli e conosce il linguaggio segreto della natura, questo è soltanto un simbolo della capacità di vivere in unione con la natura: lo sciamanismo in tal modo comporta una visione della salute che oltrepassa di molto la concezione biologica e fisiologica propria dell’occidente. La salute parte da una dimensione spirituale di armonizzazione cosmica e di interrelazione con tutti gli elementi in cui la natura umana è integrata”. La malattia, il malessere e le varie sofferenze umane, risultano quindi logicamente essere l’effetto di una non-integrazione con la realtà circostante, un contrasto con il mondo e la natura, considerati dei nemici inospitali. Per il neosciamano occorre allora superare questa sensazione di esseri separati, isolati dal contesto ambientale in cui viviamo, interrogandoci anche sulla qualità della vita che stiamo conducendo e riconoscere che la mancanza di fiducia nelle nostre possibilità di inserimento e di speranza potrebbe rappresentare una radice ancor più profonda del male che ci attanaglia e che poi potrebbe somatizzarsi in forme differenti.

IL NEO-SCIAMANESIMOultima modifica: 2021-03-25T16:02:14+01:00da mikeplato
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