Ascesa e caduta dell’uomo da Gilgamesh a Death Note. Appunti per uno studio comparato della cultura del limite

_uBXj_Ms3_HMvArtwsI7bXf3zgPwrJf6KAxTrWdKjlUgFvz3-fJRWRqTtggg4Yb6imiuNKRgO-68TaknV0cnewtrIQMm3Nrt00um3tEB8MJISTWGd96SzrG_vA

di Fabio Bartoli

Fabio Bartoli (03/06/1980) si è laureato in Scienze della comunicazione con una tesi sull’animazione giapponese. È stato regista e co-autore della trasmissione radiofonica “Il Velo di Maia”. Ha lavorato per l’emittente televisiva Current TV e attualmente collabora con la rivista MicroMega. Nel  2010 è uscito il suo libro Mito, scienza, manga per l’editore Tunué. Poi Mangascienza, nonchè Vado, Tokio e torno.

Abstract. Scopo dell’articolo è di tracciare un excursus volto a dimostrare, in accordo con le teorie di Marvin Harris, come culture diverse nel tempo e nello spazio abbiano elaborato costrutti culturali simili per rispondere a bisogni analoghi. Nello specifico si prendono in esame i miti dell’ascesa e caduta dell’uomo, fondamentali per tracciare i limiti entro cui circoscrivere il nostro essere ed agire nel mondo. Uno dei più antichi, Gilgamesh, ci pone infatti dinnanzi il limite ultimo e invalicabile, la morte. Successivamente i greci hanno delineato i limiti del nostro operare alla luce dell’acquisizione della techné. Con la cristianità la caduta assume le sembianze del diavolo, col quale l’uomo moderno stipula un patto al fine di trasformare il mondo lasciandosi sciaguratamente alle spalle le Colonne d’Ercole in precedenza innalzate. Il processo culmina nella bomba atomica, violazione suprema di ogni ragionevole confine, il cui impiego ha segnato indelebilmente la coscienza e la memoria collettiva del Giappone. Proprio per questo è stato il paese del Sol Levante a sviluppare una serie di nuovi miti al fine di ristabilire i limiti infranti, veicolandoli tramite i propri prodotti culturali più tipici e diffusi nel mondo, manga e anime. Per offrire spunti iniziali di riflessione vengono introdotti al lettore manga come Devilman di Go Nagai, rielaborazione della figura del demonio occidentale, e anime come Galaxy Express 999 e Danguard di Leiji Matsumoto, autore che ha saputo esprimere diversi concetti fondamentali della propria cultura d’appartenenza. Per finire, si passa al case history Death Note di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata, il manga più famoso degli anni 2000, in cui convergono tutti i temi in precedenza trattati.

1. Universalità della cultura del limite

“Anziché produrre all’infinito una varietà di culture divergenti”, scrive Marvin Harris, “l’evoluzione culturale si è risolta in orientamenti strettamente paralleli e convergenti. E anche quando ha dato vita a differenze l’ha fatto seguendo uno sviluppo ordinato, in risposta a comprensibili limitazioni imposte da uno specifico habitat sui modelli di produzione e riproduzione di una determinata popolazione. (…) Poiché le culture rispondono sempre allo stesso tipo di bisogni, desideri e impulsi caratteristici del genere umano, le popolazioni di tutto il mondo tendono a fare scelte simili in condizioni simili”. (Harris 2002, 361) Secondo l’antropologo statunitense, principale esponente della corrente del materialismo culturale, i modelli delle culture umane tendono a ripetersi poiché, nonostante le diverse forme con cui essi si presentano, rispondono sostanzialmente a bisogni universali. Uno dei tanti che l’essere umano ha dimostrato di dover soddisfare è quello di dover mediare tra la propria caducità, conseguenza della propria limitatezza biologica, e l’infinita portata delle proprie aspirazioni, dovuta alla capacità di produrre cultura. La facoltà di investire di senso il proprio ambiente, ponendosi domande sul significato ultimo del proprio essere al mondo, costituisce la fonte di grandezza da cui l’uomo attinge per irrorare l’elevato concetto che ha di sé ma anche la sorgente del proprio tragico destino. La consapevolezza di dover morire getta l’essere umano in un abisso dal quale cerca di uscire oggettivandosi nel mondo che lo circonda, che viene trasformato dalle sue proiezioni mentali e dalle sue estensioni corporee le quali devono però sottostare all’ordine inalterabile dell’universo tangibile. Diviene dunque fondamentale sviluppare una serie di panacee che forniscano all’uomo una cornice entro la quale circoscrivere i termini del proprio essere ed agire nel mondo, necessità che ha portato all’elaborazione di una cultura del limite comune a molte civiltà capace di assumere forme via via diverse in seguito alla loro collocazione nel tempo e nello spazio.

eefewgfewg

1.1. Gilgamesh: limite ultimo e invalicabile – discesa dell’uomo nel mondo
Non è certo un caso se uno dei miti più noti ed antichi del mondo, quello sumero di Gilgamesh, si risolva in una riflessione sul limite supremo, l’ineluttabilità della morte, in cui dovrà incorrere anche un sovrano per due terzi divino ma pur sempre umano per il terzo restante (la limitatezza biologica che annulla i vantaggi derivati dal possedimento della cultura). Ecco le parole con cui Utnapishtim, grande saggio scampato al diluvio universale (evento che ricorre anche nel mito greco di Deucalione e Pirra e in quello biblico di Noè), accoglie il grande eroe dopo che egli ha sperimentato la perdita dell’amato Enkidu: “Perché le tue guance sono così emaciate e la tua faccia stanca? Perché il tuo cuore è così confuso e il tuo sguardo assente? Perché regna angoscia nel profondo del tuo essere?  Perché la tua faccia è simile a quella di uno che ha viaggiato per lunghe distanze? Perché la tua faccia porta i segni del caldo e del freddo, e indossando soltanto una pelle di leone, tu vaghi nella steppa?” (Tav X, vv. 40-5). Gilgamesh, il semi-divino Gilgamesh, è così annichilito dall’esperienza della morte, che annulla in un solo colpo tutti i prodigi dovuti alla sua possente natura. La maestosità dei sogni originari è inevitabilmente portata ad affievolirsi sotto il peso delle amare parole ancora di Utnapishtim: “Perché ti sei agitato tanto? Che cosa hai ottenuto? Ti sei indebolito con tutti i tuoi affanni; hai soltanto riempito il tuo cuore di angoscia. Hai soltanto avvicinato il giorno lontano della verità. L’umanità è recisa come canne in un canneto. Sia il giovane nobile, come la giovane nobile sono preda della morte. Eppure nessuno vede la morte, nessuno vede la faccia della morte, nessuno sente la voce della morte. La morte malefica recide l’umanità”. (Ibid., vv. 299-308). Il segreto dell’immortalità anelata da Gilgamesh si trova nella pianta dell’irrequietezza (simbolo della ricerca incessante delle verità ultime che ci riguardano), mangiata però da un serpente che muta subito la sua pelle dopo averlo fatto (il trascorrere del tempo che trascina con sé ogni cosa). Il grande eroe è così destinato a scoprirsi uomo al termine di un percorso di formazione in cui i patimenti provati si rivelano necessari al fine di giungere alla matura consapevolezza.

icarus-falling

1.2 Dedalo e Icaro: nascita della ragione – techné – ascesa e caduta dell’uomo
Nessuno vede la faccia della morte e non la vede nemmeno Icaro, col padre Dedalo protagonista di un mito stavolta presente nella civiltà greca, che attraverso il concetto di hybris (la tracotanza dell’uomo che sfida gli dèi e per questo viene inevitabilmente punito) ha saputo elaborare un’efficace e compiuta cultura del limite. La techné che permette a Dedalo di costruire il labirinto entro cui imprigiona il Minotauro celebra la vittoria della ragione sull’istinto e l’elevazione dell’uomo su un piano superiore della realtà (anche Gilgamesh lotta col selvaggio Enkidu prima di diventarne il compagno inseparabile), ponendo però anche le basi della sua possibile caduta qualora si abusi del potere acquisito: Dedalo costruisce infatti anche le ali con cui fuggire dal labirinto insieme a suo figlio, il quale vola troppo vicino al sole facendo sciogliere la cera che dava saldava le loro piume. La ragione che in Gilgamesh dischiude all’uomo le porte della verità sul mondo nella cultura greca diviene il fondamento per la sua trasformazione attraverso l’applicazione tecnica delle conoscenze apprese. Il suo ordine è però regolato da una ferrea necessità che presiede allo svolgimento di ogni fenomeno e non va in alcun modo alterato; la caduta di Icaro è dunque determinata dalla volontà dell’uomo di ergersi al di sopra dei limiti che esso impone. Come insegna l’epopea sumera, è nell’accettarli che risiede il segreto della saggezza: l’immaturo Icaro rappresenta allora il naufragio delle speranze di un’umanità mentalmente non ancora adulta. Questo è solo uno dei tanti possibili esempi di come la cultura greca abbia fissato i limiti dell’agire umano nel solco della demarcazione già imposta a quelli del nostro essere (Gilgamesh); il celeberrimo coro dell’Antigone di Sofocle, qui riportato nella traduzione di Filippo Maria Pontani, costituisce l’ammonimento supremo a restare al di qua della soglia partendo dall’orgogliosa consapevolezza che solo l’uomo può valicarla: “Molti i prodigi, e nulla più prodigioso dell’uomo v’è: oltre il pelago candido, con scirocchi d’inverno, va nel gonfio d’acqua che avvalla abissi, e la suprema dea, la terra infaticata inestinguibile, spossa, col volgere, anno per anno, d’aratri, e col genere dei cavalli la sconvolge. Razze d’uccelli d’agile cuore, fiere selvatiche egli cinge, predandole, e la fauna del pelago, con un intrico di reti, quest’uomo saggio. Piega a sé, coi suoi espedienti, agresti fiere mondane, il cavallo dall’ispida folta criniera, e l’alpestre, l’indomito toro sotto il giogo doma. E poi la parola trovò, l’aereo pensiero, le vie scoprì degl’impulsi sociali, e i dardi inospiti, gelidi, i turbini, li schivò. Tutto sa; né verso eventi futuri va improvvido. L’Ade no, non potrà fuggirlo mai: da morbi irreparabili sa lo scampo. E con la sapienza che ha di genio inventivo, di là dall’attesa, ora al male ora al bene volge. Se venera leggi, ed è devoto al dio cui giurò, alta, sì, la sua città; ma non ha città chi osa e ha colpe in sé. Oh non viva accanto a me né mai con me concorde sia chi fa questo”. (Pontani 1997, 31-2) Tenuto conto che nel mondo greco la città, la polis, costituiva la totalità che abbracciava l’esistenza di ogni individuo, si può facilmente comprendere cosa significasse l’esserne estromessi per i destinatari di questi versi: chi “osa”, e cioè si macchia dell’hybris, si auto-esclude dalla comunità umana.

d722d71ce59a75b0508de8bde6c7d3fd

2. Cristianità e cultura del limite
2.1 Adamo ed Eva: caduta ontologica dell’uomo
Nel mito biblico di Adamo ed Eva la caduta è dovuta all’assunzione del frutto dell’albero del bene e del male (ancora una pianta, quindi), che causa la cacciata dall’Eden dei progenitori dell’umanità. Come nell’epopea di Gilgamesh, è il conseguimento della conoscenza a gettare l’uomo nell’abisso scacciandolo dal paradiso dell’indeterminatezza, che viene dissipato dall’individuazione di una coscienza in grado di comprendere il posto spettante all’uomo nel mondo. È bene però fare distinzioni: se nella versione kabbalistica del mito ciò assume una valenza positiva, poiché in seguito alla caduta sulla Terra di Adam Kadmon, l’Adamo primordiale, l’essere umano diviene in grado di ricongiungersi con la dimensione originaria forte della consapevolezza acquisita completando le dieci sephirot dell’albero della vita, in quella cristiana la caduta si configura come sconfitta ontologica dell’essere umano. Vi è ancora un serpente a mettere l’uomo di fronte alla realtà delle cose, con l’invito a cogliere e mangiare il frutto proibito per diventare sapienti come Dio. Dopo averlo fatto, l’essere umano si ritrova nudo e quindi consapevole del suo destino. La coscienza che diviene la forza di Gilgamesh qui si fa però debolezza e nella dannazione perpetua inflitta al serpente vi è in fondo una sostanziosa attribuzione di disvalore all’essere umano. Quest’ultimo non può infatti affrontare con le proprie forze lo sgomento già sopportato dall’eroe sumero ed ecco che vi è un ribaltamento nella risoluzione del conflitto esposto in apertura: mentre Gilgamesh rinuncia alla propria natura divina scoprendosi definitivamente uomo con tutti i limiti che questo comporta, nel cristianesimo il credente cerca di riappropriarsene mediante la figura del Cristo (colui che nel deserto ha saputo resistere alle tentazioni del demonio). La ragione abdica e lascia il posto al mistero della fede, affidandosi alla grazia cessando di cercare in se stessa la forza necessaria per risalire. Non è più Dedalo a tenersi al di qua del limite grazie all’esperienza accumulata; all’uomo, essere macchiato dalla colpa, è impossibile tracciare coscienziosamente la via da seguire se non rispettando l’autorità della Scrittura. Vi è quindi un passaggio di consegne e soprattutto di responsabilità, delegata all’autorità della Chiesa, la quale si assume il compito di guidare il genere umano verso la retta via. La diminuzione del raggio d’azione della libertà individuale, limitata inoltre dall’ottica comunitarista del medioevo cristiano, frena lo sviluppo della scienza e della
techné e pone l’essere umano ben lontano dalla prossimità del limite valicato da Icaro.

fr-tunue-novita-2021-01

2.2 Lucifero: caduta della ragione e ascesa della fede
La rielaborazione dei miti biblici operata dalla Chiesa, forte di un monopolio sui testi sacri inaccessibili alla maggioranza della popolazione, fu di certo funzionale al suo programma di controllo e aggregazione pressoché totale di un’Europa frammentatasi dopo il crollo dell’impero romano. Non è certo un caso se anche il male supremo scaturisce da una ribellione che comporta la caduta e la conseguente dannazione: Satana è infatti raffigurato come Lucifero, angelo che volle sfidare Dio. Similmente al protagonista di un altro mito greco, Prometeo, che dona il fuoco agli uomini (e quindi la techné padroneggiata da Dedalo), egli è letteralmente “colui che porta la luce”. Prometeo fu punito da Zeus “perché”, come racconta Eschilo, “amò i mortali ogni oltre misura” (Mandruzzato 1997, 110), spingendoli quindi oltre il limite che non deve essere valicato. Egli viene sì condannato ma i greci rimangono ben consapevoli della riconoscenza di cui gli sono debitori, dovuta alla sofferenza che patisce per loro; Lucifero invece diviene incarnazione stessa del maligno, che l’uomo deve temere in eterno poiché in eterno lo perseguiterà se si sarà dimostrato un peccatore (all’inferno, dove l’angelo è – appunto – caduto). La declinazione cristiana del mito luciferino costituisce una sorta di doppio rafforzativo della parabola di Adamo ed Eva, confermando l’hybris quale colpa suprema svuotandola però del suo contenuto tragico in seguito alla deresponsabilizzazione dell’individuo, che potrà in ogni modo ottenere la salvezza sottoponendosi al magistero della Chiesa. Questo spiega la longevità in Europa dell’epoca medioevale e la sua solidità dovuta alla coesione delle diverse componenti sociali raggruppate intorno un’unica autorità. La differenza con il mondo greco è lampante e si può dedurre benissimo confrontando la figura dell’Ulisse omerico con quello dantesco: nell’Odissea la hybris del re di Itaca, che ritiene di poter rivaleggiare in ingegno con gli dèi, dà inizio al suo viaggio destinato a concludersi con l’incivilimento del mondo greco alla base della democrazia ateniese (il patto tra Atena, dea della giustizia, e Zeus evita di risolvere le controversie un altro spargimento di sangue nel XXIV canto); nella Divina Commedia del pio Dante, invece, il suo errare si risolve col naufragio oltre le Colonne d’Ercole proprio a causa dell’uso improprio fatto in precedenza della ragione, volta al male a causa della mancata sottomissione di “virtute e canoscenza” (Inf. XXVI, v. 120) ad una luce divina che solo secoli dopo sarebbe arrivata al suo fulgore.

71AioCzUuXL

3. Modernità e patto col diavolo
3.1: Faust: scienza, alchimia e magia nera– la techné valica il limite del creato
L’uomo però era destinato a lasciarsi ben presto alle spalle le Colonne d’Ercole che Dante riteneva il confine estremo del mondo. Nel 1492 la scoperta dell’America disintegrò la cornice del mondo medioevale e la Chiesa si vide sfuggire le redini con cui aveva tenuto a freno gli slanci dei suoi figli. La Riforma protestante diede una spallata decisiva alla pretesa universalistica della curia papale, privata inoltre del monopolio della Parola in seguito alla riproducibilità tecnica dei testi sacri resa possibile dall’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg. La gabbia entro cui l’ingegno era stato rinchiuso era stata spezzata e così la sapienza umana e le applicazioni pratiche da essa dedotte iniziarono a camminare parallelamente con un passo sempre più spedito. Lo sviluppo delle scienze  pratiche nel ‘500 culminato nella rivoluzione scientifica del secolo successivo mise le ali di Dedalo al frutto proibito ormai decisamente alla portata dell’uomo. L’hybris diviene la norma e l’uomo e Lucifero divengono intimi: nasce infatti il mito del patto col diavolo, che ripropone ancora una volta l’idea dello stretto rapporto tra conoscenza e dannazione. Diffusosi già nel Medioevo in seguito alla leggenda di Teofilo, che contrae l’accordo usando un ebreo come mediatore (1), tale costrutto culturale assurge alla sua dimensione più compiuta e celebre grazie al personaggio del Dr. Faust, la cui biografia si nutre di un probabile barlume di realtà storica corroborato dalla viva fiamma della leggenda. Di certo non è un caso se egli venga dipinto come un’alchimista: la trasformazione tecnica del mondo che prendeva allora le sue mosse, percepita con apprensione dalle élite religiose per i motivi espressi in apertura di paragrafo, era addebitata a questa sorta di stregoni, le cui competenze pratiche erano imputate anche alla dimestichezza con la magia nera. La sapienza che si discosta da quella contenuta nella Bibbia non può che essere demoniaca, e lo è più che mai quella in grado di determinare la manipolazione del creato, perfetto (e per questo inviolabile) al pari del suo artefice. L’uomo che la persegue è quindi destinato a finire tra le braccia del diavolo, perdendo la possibilità di godere della vita eterna (venendo estromesso, quindi, dalla polis ultraterrena).

3.2: Marlowe: dominio degli elementi naturali – dannazione eterna di Faust
Il mito di Faust ha visto la sua fortuna amplificarsi grazie a celebri trasposizioni letterarie. La prima, quella di Christopher Marlowe, presenta lo scienziato insoddisfatto della sapienza fin lì accumulata, che contrae il patto con Mefistofele al fine di dominare gli elementi della natura (ripudia la teologia e le conoscenze sottoposte al suo magistero per intraprendere la moderna avventura scientifica). L’angelo buono (2) e quello cattivo (3) che cercano di volgerlo ognuno verso la propria parte, in cui si collocano anche le epoche storiche che la soglia dell’hybris in questo caso delimita (l’accorto medioevo e lo spavaldo, incombente mondo moderno), simboleggiano la doppia possibilità data all’essere umano. Faust decide per il male e, dopo una serie di prodigi rivelatisi in fondo solo altrettanti trucchi da baraccone, (4) arriva il momento di finire tra le braccia di Lucifero; come per Adamo ed Eva si presenta per lui il momento di fare i conti con la propria “nudità”: “È nudo all’inferno chi in terra ebbe tanta ricchezza”. (Sc. XVIII) La somma conoscenza si risolve ancora una volta in somma disperazione.

3.3 Goethe: discesa di Faust tra gli uomini – redenzione di Faust
La versione più famosa del mito è però sicuramente quella di Goethe, nel cui poema lo scienziato subito afferma di avere due anime: una legata al mondo sensibile mentre l’altra protesa verso l’infinito (si ripropone la polarità dell’essere umano già enucleata in avvio); il terreno è quindi fertile per la scommessa di a Dio proprio un’anima così in bilico tra dannazione e salvezza. Qui lo slancio dell’essere umano a spingersi oltre i propri limiti e a dominare gli elementi naturali, inclinazione demoniaca, porta nella prima parte della tragedia alla morte dell’innocente Margherita, metafora del sacrificio della virtù sull’altare della concupiscenza. Per Goethe però l’anelito all’infinito dell’uomo possiede in ogni caso una radice positiva che ha bisogno di svilupparsi per essere volta al bene, sperimentando a tale fine anche i suoi possibili esiti nefasti: proprio per questo la caduta, come nella lettura kabbalistica del mito di Adamo ed Eva, è necessaria, propedeutica all’ascesa celebrata nel finale dell’opera. Il Faust del poeta tedesco, a differenza di quello di Marlowe, ottiene la salvezza perché rinuncia all’aspirazione di un’infinita sapienza individuale per scendere nel mondo e cooperare con gli altri esseri umani: la vita contemplativa cede il posto a quella attiva e la natura non si domina più con la magia nera ma con l’aratro cantato da Sofocle. Nel moderno Goethe il tema della grazia si fonde con quello della fiducia nell’essere umano, che porta la sua grandezza celebrata nel mondo greco a librarsi oltre il sole in virtù dell’unione tra mondo classico ed epoca romantica (Faust torna nell’antica Grecia dove può
ulteriormente perfezionare la sua crescita spirituale).

Schermata 2021-02-24 alle 17.12.56

3.4 Mann: caduta di Faust e ascesa di Lucifero
Nonostante la buona sorte toccata all’anima di Faust, strappata alle grinfie di Mefistofele, è pur sempre il caso di ricordare cosa quest’ultimo dice a Dio nel primo atto: “Il piccolo dio del mondo è sempre uguale, stupefacente come il primo giorno. Vivrebbe un poco meglio, se non gli avessi dato il lume della tua luce celeste; lui la chiama ragione e se ne serve solo per essere più bestia di ogni bestia”. (Prologo in Cielo) Nella rielaborazione del mito operata da Thomas Mann dopo la catastrofe del nazismo la fiducia nell’essere umano espressa dall’autore del Werther non può più trovare asilo. Il vortice creativo del protagonista Adrian Leverkühn, compositore che vende l’anima al diavolo in a volontà di andare oltre i limiti perdendo per questo la propria umanità, anteponendo la gloria individuale agli affetti. Egli rimane il Faust intento a scalare le cime dell’intelletto in una titanica solitudine che sfocia nella follia, non compiendo il passo decisivo della discesa/ ascesa tra gli uomini del suo predecessore goethiano. Metafora dell’abisso in cui è sprofondata la nazione tedesca e la sua nobile cultura, scivolata inesorabilmente verso la barbarie nazista, il Doktor Faustus di Mann costringe a fare i conti con l’inimmaginabile, mostruoso esito dell’attuazione delle potenzialità umane. Convinto di non dover più incorrere nella punizione divina una volta macchiatosi di hybris, l’uomo moderno ha usato la “luce celeste (…) per essere più bestia di ogni bestia”. Alla fine la grande ascesa è stata proprio quella compiuta da Lucifero, capace di ribaltare addirittura il verdetto divino.

Devilman

4. Manga e cultura del limite
4.1 Devilman – vittoria di Lucifero
Satana riesce infatti ad averla vinta nel manga di Go Nagai Devilman (1972), in cui porta la razza umana all’estinzione. Ciononostante resta una scintilla dell’antica luce rubata a Dio per gli uomini che brilla nel suo amore per Akira Fudo, da cui sono destinati a generarsi i devilmen, demoni con cuore e coscienza umani. Della presenza tangibile di Dio non vi è traccia, la guerra è tra razza umana e demoni che si contendono il possesso del pianeta Terra ora dominato dalla prima ma un tempo appartenuto ai secondi. Opera straordinaria le cui riflessioni spaziano dalle vette del cosmo agli abissi dell’istinto, Devilman dimostra le possibili conseguenze della scelta operata dall’uomo di lasciar prevalere la propria parte istintuale e demoniaca su quella razionale che dovrebbe elevarlo al di sopra delle bestie (Akira ed Amon si fondono generando Devilman durante un’orgiastica serata in discoteca). Rielaborando i testi sacri giudaico-cristiani (la caduta di Lucifero e l’Apocalisse di Giovanni), la storia e la letteratura europee (la caccia alle streghe (5) e la Divina Commedia) (6), Nagai riflette sulla possibilità della coesistenza tra l’enorme potenziale distruttivo accumulato dall’uomo e la permanenza dei suoi impulsi bestiali (il maligno non è partorito dalla ragione ma dal rifiuto di esercitarla costantemente). Crollate le mura del labirinto, Dedalo e il Minotauro si ritrovano minacciosamente a cooperare. Quando i demoni si impadroniscono dei burocrati del Cremlino si percepisce dunque perfettamente il pericolo cui va incontro l’umanità: dall’orrore nazista si è passati all’incommensurabile assurdità dell’atomica, strumento del possibile annichilimento dell’essere umano capace di causare la propria stessa estinzione, che si consuma inesorabilmente in un crescendo di “matta bestialitate”. (Inf. XXXIII, vv. 82-3)

4.2 Il Giappone e l’hybris suprema
Dunque: dopo aver tracciato un breve excursus sullo sviluppo e l’accantonamento di una cultura del limite nel mondo occidentale che, come sottolineato in avvio tramite la menzione del mito di Gilgamesh, trova le sue radici in un’universale esigenza dell’uomo, è giunta l’ora di volgere lo sguardo al Giappone. Nel discorso appena affrontato riguardo Devilman si è accennato alla convergenza tra il diavolo e l’atomica nell’immaginario fantastico creato da Nagai. Lo sviluppo della techné occidentale orfana della vigile saggezza di Dedalo ha portato infatti l’uomo ad incappare nell’hybris suprema: la conoscenza gli ha permesso di costruire l’arma definitiva in grado di scacciarlo anche dalla Terra dopo l’esilio dal Giardino dell’Eden, stavolta però spingendolo non nel divenire storico bensì nell’oblio eterno. Unico paese ad aver fatto i conti coi demoni dell’apocalisse nucleare, il Giappone ha dato vita ad una mole enorme di nuovi miti allo scopo di ridefinire una soglia del limite per porre un freno alla cavalcata faustiana dell’uomo. Naturalmente il maggior numero di essi è veicolato dai prodotti più tipici dell’industria culturale nipponica, ovvero manga (fumetti) e anime (cartoni animati), ormai ampiamente penetrati anche nel tessuto occidentale. Il discorso naturalmente non rimane circoscritto al solo tema della bomba e alla tragica memoria ereditata da Hiroshima e Nagasaki rinvenibile nella onnipresente e catartica riproposizione del fungo atomico – per esempio – nelle serie robotiche (7). Per dimostrare ciò, prima di un’analisi approfondita del caso Death Note, si prenderanno in esame due opere del mangaka Leiji Matsumoto, gli anime Galaxy Express 999 (1978) e Danguard (1976), mettendole in relazione con la prima e l’ultima delle grandi narrazioni fin qui riassunte, Gilgamesh e il Doktor Faustus di Thomas Mann.

47276

4.3 Galaxy Express 999 e Gilgamesh: accettazione definitiva dei limiti umani
Galaxy Express 999 racconta la storia dell’adolescente Masai, il quale vuole conseguire l’immortalità una volta subita l’atroce perdita della madre. La vita eterna in questo caso non risiede in una pianta ma nel corpo meccanico che il ragazzo potrà concedersi alla fine del suo viaggio sul Galaxy Express. Le lusinghe della scienza che permette di potenziare il proprio corpo biologico dapprima lo attirano ma, una volta compiuto il viaggio esistenziale ed iniziatico a bordo del treno interstellare, saprà rifiutarle per accettare, proprio come Gilgamesh, i limiti dell’essere umano compiendo una scelta matura seppur dolorosa: “Durante il viaggio”, scrive Cristina Mulinacci, “il protagonista vivrà mille avventure e conoscerà personaggi incredibili dai corpi di metallo, di vetro o addirittura invisibili come il guidatore del treno spaziale: tutte queste creature il più delle volte rimpiangono i loro corpi biologici. Il racconto, struggente e suggestivo, vede un’umanità disperata, disgustata dalla sua stessa natura che rigetta la propria identità, arrivando a desiderare la trasformazione del corpo, invertire il corso del tempo diventando immortale. Ma Matsumoto ci mostra come l’uomo possa essere felice solo accettando la sua natura, così fragile e precaria ma proprio per questo così preziosa”. (Mulinacci 1998, 31-2) Nel porgere all’umanità questa soluzione, il mangaka giapponese si rivela un vero figlio della propria cultura, la quale “ha saputo esprimere in maniera profonda il senso della caducità del mondo, l’essere effimero di ogni elemento della realtà, e tuttavia sa considerare il mondo degno di amore, di un trasporto emotivo irresistibile (…)”. (Ghilardi 2003, 68) Refrattaria all’idea di immortalità che, come affermato nel primo paragrafo, nasce dall’ansia di oggettivazione dell’uomo scopertosi finito, la cultura giapponese ha elevato a suo simbolo assoluto il fiore di ciliegio, che fiorisce e dopo tre giorni cade ma proprio per questo risplende di una struggente bellezza. Quale migliore invito all’accettazione delle leggi dell’esistenza?

Schermata 2021-02-24 alle 17.29.54

4.4 Danguard e il Faust di Mann: caduta di Doppler – discesa tra gli uomini di Arken
Ciononostante c’è sempre chi è disposto a captare nell’aria sinistri echi mefistofelici, come fa il Cancelliere Doppler in Danguard. In questa serie l’unica speranza del genere umano, spacciato in una Terra ormai devastata dall’inquinamento, consuma una scissione tra i due scienziati che dirigono il piano della sua colonizzazione, Cosmos e appunto Doppler, il quale intraprende un folle piano per crearvi un insediamento di superuomini sacrificando il resto dell’umanità. Nell’anime vengono riproposti alcuni miti antichi: innanzitutto il progetto per la colonizzazione del decimo pianeta si chiama “Prometeo” (riferimento costante nelle opere di Matsumoto), dal momento che l’impresa della salvezza dell’umanità affidata alla scienza è di una portata tale da essere paragonata all’acquisizione stessa della capacità di produrre cultura. Il “Progetto Prometeo” viene inoltre definito «l’odierna Arca di Noè», che mise una volta in salvezza l’umanità minacciata da un diluvio che oggi si ripropone sottoforma di catastrofe ambientale. I riferimenti al Faust di Mann, invece, si propongono nel richiamo esplicito al nazismo e alla sua dottrina della superiorità razziale del popolo ariano. L’intenzione di Doppler di utilizzare l’ultima ancora di salvezza del genere umano a beneficio di pochi richiama il titanismo solipsistico del Faust di Marlowe e quello di Mann, quest’ultimo portatore di una cultura priva di ogni forma di umanità e passione civile seppur formalmente elevata. Pur non facendone la propria vita come Adrian Leverkühn, anch’egli si diletta nel suonare uno strumento (l’organo anziché il piano) con un estetismo decadente che lascia presagire però è destinata a non consumarsi poiché uno dei fedelissimi di Doppler, Fritz Arken, superuomo in cui il Cancelliere aveva riposto enormi speranze, prenderà coscienza della follia del piano in cui si trova coinvolto. Inequivocabilmente biondo come tutti i personaggi occidentali dell’iconografia fumettistica giapponese e dal nome tedesco (particolare importante), Arken ristabilisce il limite ignorato da Doppler, quello che pone tutti gli esseri umani sotto un unico destino. Affinché lo scenario raccapricciante preconizzato in Devilman non si realizzi, sembra allora che l’unica prospettiva saggia da assumere sia quella suggerita dal filosofo Karl Jaspers: “Non rimane che guardare lo splendore del mondo e, amando, essere uniti agli uomini finché questo è permesso. Non rimane che, nella storicità del nostro amore, renderci conto della origine e della eternità. Su questa base rimane il senso del vivere nel nostro mondo movendo dalla ragione, – non tanto dall’intelletto finito, ma piuttosto dalla grande ragione, aperta su ogni orizzonte, e con essa rivolgere i nostri pensieri, impulsi, sforzi, cominciando dal proprio agire quotidiano, verso il superamento della minaccia della catastrofe  finale”. (Jaspers 1960, 563). Quello di  Goethe rimane l’unico Faust possibile da tradurre in realtà (8).

Death-Note-2020

5. Cultura del limite in Death Note
5.1 Il nuovo patto col diavolo
Tutti i temi fin qui analizzati convergono nel manga più famoso degli anni 2000: Death Note (2004) di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata. Il tiolo viene dal quaderno che in fin dei conti ne è il vero protagonista, grazie al quale si possono uccidere le persone semplicemente scrivendovene il nome e pensandone il volto. Esso giunge ovviamente da un mondo soprannaturale, quello degli shinigami, dèi della morte il cui compito è quello di decretare il decesso degli esseri umani nel modo appena indicato. L’esemplare che cade sulla Terra è gettato da uno di loro, Ryuk, non per contendersi un’anima come Mefistofele ma semplicemente per fuggire la noia del tedioso mondo in cui vive offrendo la possibilità agli “interessanti” umani (così li appella nel corso di tutto il manga) di disporre dello stesso enorme potere dei mietitori (altro epiteto degli dèi della morte). Gli uomini agiscono infatti servendosi delle categorie di bene e male di cui questi ultimi, a-valutativi e meccanici esecutori del loro compito, sono privi. Naturalmente il quaderno, vettore di facoltà incommensurabili, conferisce al suo possessore umano una condizione di esclusività suggellata proprio con un patto che lo lega in maniera simbiotica al proprio shinigami, il quale può essere visto solo dal nuovo possessore terrestre del Death Note.

che-light-yagami-segreti-finale-death-note-v3-494134-1280x960

5.2 Ascesa e caduta di Light Yagami
Patto col “diavolo”, poteri soprannaturali…manca solamente un individuo ambizioso e dotato di qualità eccezionali. A trovare il quaderno fatale è allora il diciassettenne Light Yagami: bello e intelligente, ammirato dalle ragazze, idolatrato dalla madre e dalla sorella, atteso da una brillante carriera nella polizia (dove presumibilmente ricalcherà le orme dell’integerrimo padre Soichiro) e studente modello classificatosi primo nel test scolastico nazionale. Tutte queste virtù lo rendono straordinariamente sicuro di sé, tanto da arrogarsi il diritto non di sfidare Dio come Lucifero né di disubbidirgli come Adamo ed Eva ma addirittura di proclamarsi tale: decide infatti di usare il Death Note per uccidere tutti i criminali e creare un mondo perfetto di cui sarà il riconosciuto Signore. Egli si sente investito di una missione divina che però – si badi bene – è frutto semplicemente dei propri deliri di onnipotenza: Ryuk è infatti chiaro fin dall’inizio quando confuta ogni velleità di elezione del protagonista affermando che le istruzioni del quaderno sono scritte in inglese proprio perché è la lingua più comune del mondo. L’essenza “demoniaca” del quaderno e del potere che ne consegue ha però man mano il sopravvento anche sui propositi in parte benevoli di Light, il quale si dimostra sempre più determinato non a realizzare il suo piano per creare il suo nuovo mondo ma per ottenere la conferma della sopraffina intelligenza con cui lo orchestra. Interessato solamente a vincere la sua personale partita con l’antagonista L, detective che si mette sulle sue tracce, non esita a servirsi dei suoi talenti per manovrare le persone della sua vita, soprattutto Misa Amane, della quale sfrutta l’ardente e non ricambiato amore (succede lo stesso, seppur in gradi diversi, con ogni donna con cui entra in contatto) (9). Perfino la famiglia non sfugge alle manipolazioni di Light, che non mostra alcuna titubanza nel permettere a suo padre di cambiare gli occhi con uno shinigami dopo che Misa lo aveva già fatto per ben due volte (10). Anche qui dunque è il solipsismo, l’incapacità di agire con e per gli altri esseri umani a lasciar prevalere gli aspetti peggiori sedimentati nei meandri della coscienza. Nonostante Light si avvicini verso la meta alimentando sempre più il suo sconfinato ego, alla fine è destinato a fallire proprio in virtù dei limiti cui devono soggiacere tutti gli uomini, cui egli di certo non sfugge nonostante si sia eletto loro Dio: il suo nome è infatti scritto nel Death Note da Ryuk, imparziale come la ferrea necessità che regola ogni fenomeno, il quale gli rammenta di come fin dall’inizio avesse anticipato questo epilogo. Yagami si è sentito in diritto di giudicare gli altri ergendosi sopra di loro e in questo è costituita la sua hybris: la morte, afferma lo shinigami, rende tutti uguali, non solo perché è la sorte riservata ad ogni essere umano ma perché dopo di essa non c’è né Inferno né Paradiso; il Mu, il nulla, è ciò che attende ognuno. Gilgamesh dopo millenni ha di nuovo fatto esperienza del limite assoluto che circoscrive ogni esistenza. Il cerchio può dirsi definitivamente chiuso.

5.3 Lucifero oggi: hybris quale regola di vita

Di certo Light Yagami, individuo fuori dal comune, è un personaggio incline a porsi al di sopra dei parametri della normalità: egli è quindi il prototipo perfetto del contraente del patto col diavolo. Ma l’autore/autrice (11) invita a riflettere più in profondità sulla sua essenza: nel capitolo 22 Soichiro afferma infatti di aver inizialmente pensato che Kira fosse l’incarnazione stessa del male, giungendo in seguito alla conclusione che esso vada cercato non nella persona che contestualmente lo esercita bensì nella possibilità intrinseca di compierlo. In ogni (immaturo) uomo c’è un potenziale Kira ed è per questo che il valore dei messaggi di Death Note assume una portata universale. Ovviamente contestualizzata nella propria epoca: quando sempre nel capitolo 22 Light, una volta cooptato da L all’interno del team d’indagine, ipotizza l’identità del grande ricercato quale teenager di buona famiglia, liceale idealista ma ignorante incapace di esercitare la propria libertà poiché dedito solo all’utilizzo di computer e TV, ci suggerisce in fondo che il tipico adolescente dei nostri tempi è una facile preda per il demonio. Ma quale forma assume oggi quest’ultimo? Nonostante il patto, di certo esso non è Ryuk, esemplare della noetica un’altra creatura della religiosità giapponese, priva di categorizzazioni assolute come sottolineato dallo stesso mietitore (12). No, il diavolo è una presenza forse meno spaventosa per gli occhi di un essere caprino dotato del forcone ma più pericolosa ed inquietante per l’“anima”: se all’inizio dell’era moderna esso prendeva le sembianze della trasformazione tecnica del mondo che ne avrebbe radicalmente mutato il volto, oggi si annida nell’ambizione illimitata di trust come la Yotsuba o emittenti televisive come la Sakura TV. Quando Light decide di rinunciare momentaneamente al Death Note questo finisce in mano proprio ad un membro del gruppo finanziario, Higuci, il quale decide di servirsene esclusivamente per tentare la scalata all’interno della holding senza adottare alcun parametro morale a differenza del possessore precedente, che – nonostante tutte le condanne possibili della sua condotta arbitraria – almeno esternava un senso di umanità seppur deviata nel disporne. Lo stesso dicasi per Demegawa, direttore della Sakura TV, interessato al caso Kira non per i suoi risvolti etici e sociali ma semplicemente per il picco d’audience che gli garantisce (non a caso il capitolo dedicato al consumo televisivo, il 17, si chiama Trash, “Spazzatura”) (13). In un mondo in cui l’hybris è divenuta non la causa dell’estromissione dell’individuo dalla comunità ma il motore primo ed ultimo del suo agire, si può forse condannare totalmente un giovane idealista che abusa del potere di cui è dotato? Forse no, ma si può comunque elogiare il normale, mediocre Matsuda, che in virtù dell’affetto provato per il capo di un  tempo Soichiro lo ferma prima che Ryuk inferisca il colpo di grazia.

Note
1. La stigmatizzazione dell’ebreo affarista era piuttosto diffusa durante l’età di mezzo. Il mercanteggiare e soprattutto il lucrare col denaro erano ritenute attività indegne durante il Medioevo; proprio per questo gli ebrei, secondo l’idea comune macchiatisi della condanna a morte del Cristo e quindi interdetti da innumerevoli altri ruoli sociali e professioni, avevano accesso a tali attività. Il passo che portò a considerare i figli di Davide naturalmente predisposti ad esse fu abbastanza breve. Per una storia del denaro e per la sua considerazione nelle diverse epoche, anche tenuto conto dell’impostazione del presente articolo, cfr. Fini M. 1998. Il denaro «Sterco del demonio». Storia di un’affascinante scommessa sul nulla. Edizioni Marsilio, Venezia.
2. “Faust, getta via quel libro maledetto, non guardarlo, tenterà la tua anima, attirerà sul tuo capo il castigo di Dio. Leggi la Bibbia. Quello è un sacrilegio”. (Sc. I)
3. “Avanti, Faust, in quest’arte famosa che racchiude i tesori della natura. Sii sulla terra come Giove è in cielo, signore e padrone degli elementi”. (Ibid.)
4. Grazie ad uno di essi riesce a liberare il principe Bruno, detenuto in Vaticano, e portarlo all’imperatore di Germania: una metafora perfetta dello scisma protestante.
5. Il fatto che i demoni possano fondersi con gli uomini porta ognuno a dubitare del proprio simile. Quando allora si scopre che Devilman alloggia dalla famiglia Makimura, i loro vicini di casa si convincono che anche Miki e Taro, i due figli dei coniugi Makimura, siano demoni e quindi li decapitano brutalmente. La caccia alle streghe che, come nell’Europa del medioevo e dell’Inquisizione, porta alla morte degli innocenti a causa della bestialità umana, costituisce uno degli eventi cardine del manga: la morte di Miki sancisce sì, al pari di quella di Margherita nel Faust di Goethe, la perdita definitiva dell’innocenza del mondo ma assume anche un significato di portata decisamente più vasta e decisiva. Ormai del tutto consapevole della spregevole crudeltà dell’essere umano, Devilman decide di smettere di difenderlo non cercando più di invertire il corso del processo che lo porta all’estinzione.
6. Il Lucifero disegnato da Nagai è modellato su quello dantesco del XXXIII canto dell’Inferno.
7. Cfr. Pellitteri M. 2006. Arrivano i robot, e sono giapponesi. Animismo e simbiosi uomo-macchina. Diogene – Filosofare oggi, vol. 4, n. 4, giugno-agosto, 26-32.
8. David P. Barash chiama infatti “Ned Ludd controi tre volti di Faust” l’ultimo capitolo del suo libro La lepre e la tartaruga, in cui riflette sulle sorti dell’umanità futura terminando la sua speculazione proprio con questo auspicio. Cfr. Barash D.P. 1988. La lepre e la tartaruga, ed. Longanesi & C., Milano, 266-273.
9. A differenza del Faust di Goethe egli si perde anche perché predilige sempre il freddo calcolo alla soddisfazione delle pulsioni naturali, affatto stigmatizzate dalla cultura giapponese, per niente sessuofoba come quella cattolica.
10. Si possono infatti scambiare i propri occhi con quelli di uno shinigami, avendo così accesso alla conoscenza del nome di ogni individuo e della sua aspettativa di vita. Il prezzo da pagare però è salatissimo, ovvero la cessione di metà dell’esistenza che resta da vivere. Misa arriva a fare lo scambio per ben due volte, condannandosi ad una morte prematura per ottenere il favore – mai concesso – di Light.
11. Tsugumi Ohba è uno pseudonimo che cela un’identità misteriosa di cui si conosce solo la nascita a Tokyo, l’hobby di collezionare tazzine da tè e l’attitudine di creare intrecci narrativi sedendosi con le ginocchia contratte sulla sedia proprio come il suo personaggio L. Al di là di chi effettivamente sia, non si può certo non rivelare un’analogia tra la sua scelta artistica e professionale e due tra le regole principali dell’uso del Death Note. Se nel manga si può morire in seguito alla notorietà del proprio volto e del proprio nome, ecco allora che la scelta di Ohba sembra derivare da una volontà di preservazione e difesa nei confronti del mondo esterno e appare dunque remota la possibilità di conoscerne in futuro la vera identità. Per adesso, ci si accontenti di sapere che sta lavorando ad un altro manga, Bakuman, sempre in compagnia del disegnatore di Death Note Takeshi Obata.
12 Basti prendere in esame le due “religioni” più tipiche del Giappone (il fatto che non ve ne sia una sola è già piuttosto esplicativo), lo Shintoismo e il Buddhismo: la prima è un culto animista che attribuisce un quid di divinità (kami) ad ogni elemento della natura, grande madre di tutti i viventi; la seconda non prevede nemmeno l’esistenza di un Dio, ma è una dottrina salvifica che mira al conseguimento del nulla liberandosi di ogni desiderio causa di affanno e dolore.
13. In questo capitolo Light, venuto a sapere delle telecamere di sorveglianza installate in camera sua, apprende i nomi dei criminali da uccidere attraverso una mini-televisione nascosta in u pacchetto di patatine. Una volta usata, la getta nel cestino insieme alla confezione, evidenziando quindi un parallelismo tra consumo (TVpatatine) e spazzatura.

Bibliografia
Barash D.P. 1986. The hare and the tortoise. Ed. italiana 1988. La lepre e la tartaruga. Edizioni Longanesi & C., Milano.
Dante, Inferno.
Eschilo, Prometeo incatenato. In Tutte le tragedie. 1997. Edizioni Newton & Compton, Roma. (trad. it. Enzo Mandruzzato).
Fini M. 1998. Il denaro «Sterco del demonio». Storia di un’affascinante scommessa sul nulla. Edizioni Marsilio, Venezia.
Ghilardi M. 2003. Cuore e acciaio. Estetica dell’animazione giapponese. Edizioni Esedra, Padova.
Goethe Johann W. Faust. Eine Tragödie. Ed. italiana. 2002. Faust e Urfaust. Testo originale a fronte. Vol. 1. Edizioni Feltrinelli, Milano. (a cura di Amoretti G.V.). Disponibile anche on-line all’indirizzo: http://www.rodoni.ch/busoni/bibliotechina/ goethe/faust.html. (trad. it. Andrea Casalegno).
Harris M. 1989. Our kind. New York. Ed. italiana 2002. La nostra specie. Natura e cultura nell’evoluzione umana. Edizioni Rizzoli, Milano.
Jaspers K. Die Atombombe und die Zukunft des Menschen. Ed. Italiana 1960

La bomba atomica e il destino dell’uomo. Edizioni Il Saggiatore, Milano.
Mann. T. 1947. Doktor Faustus. Das Leben des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkühn, erzählt von einem Freunde. Ed. italiana. 2001. Doctor Faustus. Edizioni Mondadori, Milano.
Marlowe C. The Tragical History of Doctor Faustus. Ed. italiana 2004. Il dottor Faust. Edizioni Mondadori, Milano. Disponibile anche nella versione ebook all’indirizzo: http://www.readme.it/libri/3/3010020.shtml.
Matsumoto L. 1978. Ginga Testudo 999. Regia di Rintaro. Toei Doga, 113 episodi. Trad. it. Galaxy Express 999.
Matsumoto L. 1977. Wakusei Robo Danguard Ace. Toei Doga, 56 episodi. Trad. it. Danguard.
Mulinacci C. 1998. Storia del fumetto giapponese volume secondo. Edizioni Musa, Mestre.
Nagai Go. 1972 Debiruman. Ed. italiana.
Devilman. Edizione D/Visual Italia. Disponibile on-line in inglese sul sito: http://www.onemanga. com/Devilman/.
Ohba Tsugumi – Obata Takeshi. 2004. Desu Noto. Edizione italiana. Death Note, Edizione Planet Manga. Disponibile on-line in inglese sul sito:
http://www.onemanga.com/Death_Note/.
Omero. Odissea. 1997. Edizione Newton & Compton, Roma. (trad. it. Mario Giammarco)
Pellitteri M. 2006. Arrivano i robot, e sono giapponesi. Animismo e simbiosi uomo-macchina.
Diogene – Filosofare oggi, vol. 4, n. 4, giugnoagosto,
26-32.

Pettinato G. 1992. La saga di Gilgamesh. Edizioni Rusconi. Disponibile on-line (con integrazioni da Saporetti C. 2001. Il Ghilgames. Edizioni
Simonetti, Milano e George A. 1999. The Epic of Gilgamesh – a new translation, Penguin Press) a cura di T. Porzano sul sito: http://www.homolaicus. com/storia/antica/gilgamesh/.
Sofocle. Antigone. In Tutte le tragedie. 1997. Edizione Newton & Compton, Roma. (trad. it. Filippo Maria Pontani).

Ascesa e caduta dell’uomo da Gilgamesh a Death Note. Appunti per uno studio comparato della cultura del limiteultima modifica: 2021-02-24T16:17:47+01:00da mikeplato
Reposta per primo quest’articolo