IL SIMBOLISMO DELLA CAVERNA

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In tutte le culture e in quasi tutte le epoche la caverna è stata il simbolo della creazione, il luogo di origine di corpi celesti, di gruppi etnici e di individui. Essa è il grande ventre della terra e del cielo, simbolo della vita ma anche della morte. È un luogo sacro che costituisce una rottura nella omogeneità dello spazio, un’apertura che è un passaggio da una regione cosmica all’altra, dal cielo alla terra o, viceversa, dalla terra agli Inferi (Eliade, 1967, p. 37). Tutte le caverne sono sacre ma alcune, alla stregua delle montagne cosmiche o di santuari importanti, sono considerate il centro dell’universo: là dove il sacro si manifesta il mondo viene all’esistenza (Eliade, 1967, p. 57). Ogni uomo religioso situa se stesso al centro del mondo, «il più vicino possibile all’apertura che gli permette di comunicare con gli dei» (Ibid., p. 58). Le divinità della terra vivono nelle caverne, che sono spesso chiamate «l’ombelico della terra». In quanto centro del mondo, axis mundi, la caverna si fonde, a volte, nel simbolismo religioso con la montagna. Nella geomanzia asiatica le montagne sono considerate l’elemento più importante per determinare la qualità di un luogo ai fini di un insediamento, di un’abitazione, di una tomba. Le montagne ricevono il nome di «drago» in virtù della loro energia vitale. Questa energia magica fluisce nella caverna, la quale non è sempre una vera e propria apertura, ma rappresenta un sito propizio. Le caverne geomantiche sono quelle circondate da montagne, che immagazzinano il vento e si trovano in prossimità dell’acqua, la quale mantiene l’energia spirituale. Si crede che le montagne siano state create al fine di formare delle caverne geomantiche (Yoon, 1976, pp. 28-34). La tradizione che associa montagna, caverna, acqua ed energia è simile all’antica credenza mexica che l’acqua fosse contenuta all’interno delle montagne, il ventre della dea dell’acqua Chalchiuhtlicue, e che da queste fluisse in forma di fiumi e laghi necessari agli insediamenti umani.

LA CAVERNA COME AXIS MUNDI

La caverna come punto sacro che individua il sito di una struttura religiosa di maggiori proporzioni o anche di una grande città, che funge da axis mundi del suo tempo, è ben illustrata a Teotihuacán, in Messico. In tale città (fondata nel 100 a.C. circa e distrutta nel 750 d.C. circa) il monumento più imponente è la Piramide del Sole, eretta poco prima dell’inizio dell’era cristiana su di un tempio primitivo, il quale era a sua volta costruito al di sopra di una caverna sotterranea. Questa caverna ha la forma di un fiore a quattro petali, uno dei motivi decorativi più diffusi a Teotihuacán, che probabilmente simboleggia le quattro direzioni del mondo. La grande Piramide del Sole fu costruita in modo tale che il suo centro si trovasse quasi esattamente al di sopra della caverna a quattro petali. Sebbene la caverna sia stata saccheggiata nell’antichità, i pochi resti al suo interno suggeriscono la sua probabile funzione come centro di un culto delle divinità dell’acqua. Oppure, dal momento che un documento del XVI secolo etichetta il luogo di fronte alla piramide come «l’oracolo di Moctezuma», potrebbe essere stata la dimora di un oracolo. Quale che sia la risposta, la sacralità di questa caverna era tale che essa dovette essere conservata costruendovi un tempio al di sopra e in seguito erigendo una immensa piramide su quest’ultimo. Lo spazio sacro fu così preservato per tutto il tempo.

NASCITA E CREAZIONE

A causa della sua origine vulcanica l’America centrale è ricca di caverne, tutte oggetto di venerazione, molte delle quali sono associate a miti di origine. Chicomoztoc («le sette caverne») era il luogo della creazione di molti gruppi etnici, in particolare degli Aztechi. Le sue sette caverne sono raffigurate in antichi manoscritti illustrati e compaiono nella tradizione orale. Ma ancor prima della creazione degli uomini il sole e la luna furono creati in una grotta. A proposito del mito della creazione del Quinto Sole (il nome dato alla presente era dagli Aztechi), alcune cronache affermano che, dopo che una divinità si fu gettata nel fuoco trasformandosi nel sole, una seconda divinità entrò in una grotta e ne uscì come luna. In una leggenda di Española (Hispaniola) tutti gli uomini venivano creati in una caverna e tutte le donne in un’altra (Fra Ramon Pané, in Heyden, 1975). Secondo la credenza popolare anche il nutrimento ebbe origine nelle caverne: in alcune di esse, chiamate cincalco, «casa del mais», gli dei conservavano il granturco. Una cronaca messicana del XVI secolo, la Historia de México, narra che Centeotl, una divinità del mais, nacque in una caverna e che dalle diverse parti del suo corpo crebbero il cotone e molte altre piante commestibili. Secondo un altro dei primi scrittori di cronache, Fra Geronimo de Mendieta, un coltello di silice cadde dal cielo atterrando a Chicomoztoc, dove si infranse in milleseicento pezzi dai quali vennero create altrettante divinità. La caverna dunque è il simbolo dell’utero: la Historia general de las cosas de la Nueva España (il cosiddetto Codex florentinus) di Fra Bernardino de Sahagún attribuisce alle donne azteche del XVI secolo il seguente detto: «Dentro di noi c’è una caverna, una gola… la cui unica funzione è ricevere».

IL LUOGO DELLE ORIGINI

La caverna in quanto centro del mondo e luogo delle origini è presente in molte tradizioni. La mitologia degli Hopi dell’America settentronale narra di tre mondi sotterranei dove gli Hopi vivevano insieme al Popolo delle Formiche prima di emergere nel quarto mondo, ovvero quello attuale. Gli Zuni, che hanno le stesse tradizioni degli Hopi, chiamano il luogo delle origini hepatina («il luogo di mezzo») e chiamano «quarto ventre» l’ultimo mondo, che essi considerano ancora come sotterraneo. Le moderne kiva di questi e di altri gruppi di Indiani Pueblo è una caverna artificiale, che costituisce il centro rituale del villaggio, all’interno della quale si trova una piccola buca nel terreno che simboleggia il luogo delle origini. Il rituale della kiva accompagna l’uomo dalla nascita alla morte. Non appena un maschio viene alla luce, viene iniziato simbolicamente alla vita rituale e promesso al kiva paterno. La società degli Zuni ha sei divisioni, associate alle quattro direzioni dello spazio, allo zenith e al nadir, ognuna delle quali ha la propria kiva, attorno al quale ruota la vita religiosa (Leighton e Adair, 1966). È evidente che per molti secoli la kiva è stato fondamentale per il rituale. Durante il periodo classico dei Pueblo (1050-1300) i kiva sotterranei erano di notevoli dimensioni, come si può ben vedere dalle rovine della Mesa Verde e del Chaco Canyon. Si trattava di caverne nelle caverne, in parte grotte naturali, in parte scavate nella roccia. In Arizona il disegno del labirinto inciso nella roccia – del tutto simile al labirinto minoico – rappresenta il mito delle origini. Il labirinto, simbolo della Terra Madre secondo gli Hopi moderni, rappresenta i sentieri che l’individuo percorrerà sulla via della vita (Grant, 1967, p. 65).

ARTE RUPESTRE RELIGIOSA

I dipinti sulle pareti di antiche caverne o le sculture scavate nella roccia al loro interno sono stati definiti «arte invisibile» e paragonati a «musica del silenzio» (Carpenter, 1978, pp. 90-99), nel senso che tale arte fu creata per pochi iniziati e che non necessitava di un pubblico esterno. Si tratta di una forma d’arte esoterica che si credeva dotata di magia simpatica: dipingere, ad esempio, un cervo trafitto da una lancia avrebbe assicurato il successo nella caccia. Questo è senza dubbio uno dei significati possibili, ma non di certo l’unico. Infatti alcune immagini raffigurate nelle caverne possono costituire un modo di conservare una testimonianza dei riti; esse possono anche riferirsi al doppio animale che ciascun individuo possiede. Presso gli Indiani dell’America settentrionale, un giovane, sovente, come parte integrante della ricerca di uno spirito, ringraziava il proprio spirito guardiano dipingendo o scolpendo alcune figure sulle pareti di un dirupo o in una caverna oscura.  Queste immagini erano riservate allo spirito guardiano e non dovevano essere viste da occhio umano: il fatto di essere esposte alla vista ne avrebbe diminuito il potere. Carpenter suggerisce che molte delle figure antropomorfiche rappresentate, a volte nell’atto del coito, sulle pareti di caverne oppure scolpite nella terra sulle cime delle montagne o sulle distese desertiche rappresentino probabilmente gli antenati che originarono la tribù e, per estensione, l’inizio del mondo. I dipinti rupestri che si trovano in Europa, ad esempio ad Altamira, in Spagna, e a Lascaux, Cap Blanc, Les Troix Frères, Cougnac e Rouffignac, in Francia, e che risalgono al Paleolitico Superiore (da 35.000 a 19.000 anni fa circa), raffigurano prevalentemente animali. Sebbene Henri Breuil abbia interpretato queste raffigurazioni nel quadro della magia pertinente alla caccia e alla raccolta, studi recenti ipotizzano che tale arte sia parte della cosmologia del Paleolitico. André Leroi-Gourhan (1965) vi vede una concezione del mondo basata sulla divisione tra maschile e femminile, che comporta la divisione in base al sesso sia delle sezioni delle caverne che degli animali e dei simboli. Alexander Marshack interpreta alcune forme di arte rupestre come relative al calendario e le incisioni su ossa e corna come un sistema di notazioni; egli inoltre ipotizza che alcune raffigurazioni abbiano un significato ecologico e stagionale, reso simbolicamente, ad esempio, dalla presenza di fauna e flora appartenente a determinate stagioni o regioni (citato in Conkey, 1981, p. 23). L’arte rituale, dunque, è spesso una chiave di accesso sia all’economia e alla vita quotidiana di un popolo che alla sua religione. A El Castillo, nella Spagna cantabrica, all’incirca cinquanta impronte di mani furono dipinte in negativo su di una parete, soffiando dell’ocra rossa intorno alla mano premuta sulla roccia. Sebbene tale simbolo non sia stato ancora interpretato con chiarezza dagli studiosi che si occupano di questo periodo, esso ci ricorda le impronte di mani rosse “trovate sulle mura nella regione maya del Messico, impronte che, secondo la tradizione popolare, erano lasciate dagli schiavi destinati al sacrificio. Tuttavia potrebbe trattarsi di una interpretazione fantastica, poiché nella credenza dei Pueblo (che presenta spesso un’influenza messicana) l’impronta della mano è una «firma» che attira benedizioni soprannaturali o segna il compimento di un rito. Alcune raffigurazioni animali, che con ogni evidenza dipingono uomini abbigliati con pelli e corna di animali, sono state interpretate come rappresentazioni di stregoni. I branchi di bisonti sulla volta ad Altamira potrebbero indicare simbolicamente i diversi gruppi umani che si recarono nella caverna per vari motivi e per celebrarvi dei riti, e così essa può aver costituito un sito di aggregazione stagionale per individui che si trovavano dispersi in tutta la regione (Conkey, 1981, p. 24). Ci si potrebbe chiedere se Altamira non fosse un centro di pellegrinaggio dell’antico periodo magdaleniano. René Huyghe, discutendo l’arte rupestre del Paleolitico, sottolinea come il facsimile sia ritenuto efficace dai popoli che creano queste immagini magiche. Egli esplora ulteriormente la funzioni del facsimile, citando i dipinti sulle pareti delle tombe egizie, nelle quali le rappresentazioni dei cibi e delle suppellettili talvolta sostituivano gli oggetti veri e propri necessari per la vita nell’oltretomba. Huyghe ha affermato che la raffinata tecnica di esecuzione dei dipinti rupestri indica un probabile insegnamento da parte di stregoni-sacerdoti (1962, pp. 16, 18). Con la transizione dal Paleolitico al Mesolitico e al Neolitico l’arte rupestre diventa più realistica e raffigura gli esseri umani impegnati in attività comunitarie. Dipinti di questo tipo si trovano all’ingresso delle caverne, accessibile a grandi gruppi, piuttosto che negli antri oscuri, nei quali dovevano tenersi precedentemente i riti esoterici. Questa arte di diverso contenuto religioso e sociale è tipica della costa iberica che fronteggia l’Africa e la sua tradizione è sopravvissuta fino ai tempi presenti presso i San africani. I dipinti trasmettono un grande movimento, che si esprime in pochi tratti, quasi astratti (i guerrieri in corsa a Teruel, per esempio), in parallelo agli albori dell’architettura (il menhir, probabilmente inteso come un ricettacolo per l’anima del defunto. Entrambe le espressioni riflettono la attività più sedentarie dei popoli del Neolitico, pastorizia e agricoltura, che stimolavano nuove idee e nuovi costumi (Huyghe, 1962, pp. 21-24). Le Americhe presentano una grande quantità di caverne e un’arte rupestre molto varia, dall’Alaska all’America meridionale. La maggior parte delle sue manifestazioni risale al periodo dall’XI alla fine del XIX secolo d.C.; i suoi soggetti sono animali, esseri umani, esseri soprannaturali e disegni astratti. Questa arte ha un carattere principalmente religioso, per quanto presenti alcune scene di tipo storico o narrativo (raffiguranti, per esempio, cavalieri spagnoli). La magia per propiziare la caccia è rappresentata da una linea del cuore tracciata all’interno dell’animale e a volte trafitta da una freccia. Il mitico Uccello del Tuono, che aveva la funzione di controllare i temporali ma che era anche un simbolo del clan e un antenato sacro con il ruolo di guardiano presso gli Hopi, è un soggetto che ricorre di frequente. Il serpente piumato, noto nell’antico Messico come il dio Quetzalcoatl, era nelle regioni del Sud-Ovest il guardiano delle sorgenti e dei ruscelli e compare nei dipinti murali dei kiva e in rilievi rupestri. Sulle San Francisco Mountains in Baja California un serpente piumato lungo sedici piedi è al centro di una cerimonia che coinvolge uomini rossi e neri e cervi. Maria Teresa Uriarte, peraltro, vede in questa grande figura un serpente-cervo, che unisce la naturale forza di entrambe le creature (1981, p. 151). Gli uomini che lo circondano indossano acconciature da serpente-cervo e pertanto devono appartenere a un gruppo cultuale. La Uriarte suggerisce inoltre che l’animale bipartito possa rappresentare un mito relativo alla creazione dei due sessi. Le centinaia di impronte di mani scoperte in Arizona, Utah e California settentrionale devono avere un significato rituale. I Chumash della California dipingevano in remote aree montuose figure soprannaturali che credevano legate ai sogni e alle visioni. Gli stessi Chumash e altri gruppi consumavano ritualmente un liquore ottenuto da una pianta allucinogena, il jimsonweed, che potrebbe aver stimolato questo tipo di arte rituale. I dipinti eseguiti sulla roccia dai Navajo segnalavano i luoghi sacri che erano stati teatro di eventi mitici; essi raffiguravano spesso lo yei, equivalente al kachina dei Pueblo, un personaggio divino di solito associato alla coltivazione del mais. Campbell Grant (1967) suggerisce una funzione importante di alcuni simboli dell’arte rupestre: essi costituirebbero sistemi mnemonici per i riti e per la registrazione di determinati eventi. Gli Ojibwa contemporanei depositano tabacco, bastoni da preghiera e vestiti ai piedi dei dipinti rupestri come offerte per gli esseri soprannaturali che vi sono raffigurati. Gli Ojibwa credono che lo sciamano possa penetrare nella roccia e barattare con lo spirito in questione del tabacco in cambio di una speciale medicina (Grant, 1967, pp. 32, 147). Nella Baja California centrale, la Uriarte (1981) segnala settantadue caverne dipinte con quattrocentottantotto figure o gruppi figurativi, molte delle quali avevano il corpo ornato di pitture di vari colori. Colori simili sono caratteristici anche dei dipinti che si trovano nelle caverne dell’Australia nordoccidentale, dove, presso i Kulin, Bunjil, il mitico Essere supremo, si trasformò con tutto il suo popolo in stelle ed ebbe come figlio l’arcobaleno. Il luogo preferito da Bunjil era la Caverna dell’Angelo, da lui creata quando egli parlò alle rocce e in seguito le aprì (Massola, 1968, pp. 59, 106).

LE CAVERNE ARTIFICIALI

Alcune delle più famose caverne dipinte si trovano in India. Ad Ajantā lo stile Gupta del V e VI secolo rappresenta il culmine dell’epoca classica, sebbene le caverne in sé esistessero dal II secolo a.C. e l’attività pittorica continuasse fino all’VIII secolo d.C. Sulle pareti sono raffigurate scene dalle vite di Gautama Buddha, dei bodhisattva e di altri esseri divini, concepiti secondo lo stile della vita di corte del tempo; sono illustrati i racconti tratti dai Jātaka, che narrano le precedenti esperienze terrene del Buddha. Che alcuni personaggi siano impegnati in conversazioni di argomento religioso è evidente dalla rappresentazione occasionale di mudra (posizioni delle mani). Tuttavia la caratteristica più straordinaria di queste caverne, come di quelle che si trovano a Ellora e di altre ancora, è il fatto che siano state scavate nell’arenaria: intere montagne furono trasformate in santuari e monasteri ad opera di devoti quanto anonimi architetti e scultori. Le trenta grotte di Ajantā, scavate nella parete semicircolare di una montagna dell’altopiano del Deccan, nei pressi di Aurangabad, hanno la funzione di caitya (cappella) o di vihāra (monastero). Il caitya è costituito da un’abside, due navate laterali e una navata centrale nella quale si trova uno stūpa, tutto scavato nella roccia viva. Nel vihāra si trovano una sala di riunione e le celle dei monaci. Nelle grotte più antiche, il Buddha non è rappresentato da una figura antropomorfica, ma da simboli quali l’albero dell’illuminazione o le impronte dei piedi. Più tardi le grotte si riempirono al loro interno e al loro ingresso di sculture in rilievo o a tutto tondo che raffiguravano in proporzioni maestose il Buddha e i bodhisattva e una esuberante varietà di altri soggetti, quali elefanti, bufali, personaggi maschili e femminili in diversi atteggiamenti, medaglioni a forma di loto e altri motivi floreali. Ad Ajantā la felice sintesi di architettura, pittura e scultura ha prodotto un monumento insuperabile della fede buddhista. Sempre scavate nella montagna, tra il IV e il IX secolo d.C., le grotte di Ellora sono un capolavoro scultoreo. Diversamente dalle grotte di Ajantā, dedicate al Buddhismo, queste riguardano tre fedi religiose: le grotte più antiche, che risalgono al periodo antecedente l’800 d.C., sono buddhiste mentre quelle giainiste coprono il periodo dall’800 al 1000 d.C. e quelle induiste si distribuiscono dal 600 al 900 d.C. Ad Ellora, il grande tempio induista dedicato a Śiva, detto il Kailāśa, rappresenta appunto il monte Kailāśa, sul quale dimorano gli dei. Nelle grotte buddhiste più antiche, il grande numero di Buddha, bodhisattva e śakti si ispira alla filosofia del Vajrayāna, secondo la quale lo stato di Buddha si ottiene attraverso l’autodisciplina e la meditazione. Le grotte induiste sono dedicate a Śiva, il quale riceve culto nel simbolo fallico chiamato liṅga, che si trova all’interno di tutti i suoi templi. Śiva è inoltre il soggetto di molte rappresentazioni scultoree, incentrate sulle sue diverse manifestazioni: egli è raffigurato come personificazione della morte e del tempo, come creatore e distruttore dell’universo, come amante divino e come signore della danza. La consorte di Śiva, Pārvatī, dea dell’amore e della bellezza, e il figlio della coppia divina, Gaṇeśa dalla testa di elefante, dio della saggezza, affiancano il dio. Quest’ultimo è talvolta rappresentato nella sua forma per metà maschile e per metà femminile e anche Brahmā e Viṣṇu sono raffigurati in varie forme. Lo stile dei dipinti di Ajantā rievoca la struttura del maṇḍala, il diagramma cosmico, mentre la scultura giainista di Ellora attinge liberamente ai temi dell’Induismo e raffigura le divinità induiste. Tra le numerose grotte scavate nella roccia che si trovano in Cina, le più spettacolari sono, senza dubbio, quelle note come le Grotte di Longmen, a Luoyang, nella provincia dello Henan. Si tratta di un complesso la cui costruzione fu avviata nel V secolo d.C. e proseguì nell’arco dei quattro secoli seguenti; esso si compone di duemilacento tra grotte e nicchie e di oltre quaranta pagode, che contengono più di centomila statue, la “più grande delle quali è alta diciassette metri e quaranta centimetri mentre la più piccola misura soltanto dodici centimetri. Le statue contenute nelle grotte ritraggono per lo più il Buddha, ma sono anche raffigurati attendenti, guerrieri, i discepoli del Buddha, i bodhisattva e, sulla volta, un loto gigante, simbolo della nascita divina, della purezza, della forza creativa e delle impronte dei piedi del Buddha. Le pareti della Grotta dei Diecimila Buddha sono coperte da una miriade di figurine in rilievo che raffigurano il Buddha, creando una visione d’effetto che incute all’osservatore un reverenziale senso del sacro.

TEMPLI RUPESTRI E TOMBE

Le tombe sotterranee e scavate nella roccia dell’antico Egitto attestano l’uso di materiali da costruzione naturali e reperibili in loco. La pietra, disponibile in abbondanza in Egitto, era usata per la costruzione di grandi monumenti. A partire dal Medio Regno, le tombe per gli ufficiali dell’Alto Egitto venivano scavate nelle pareti rocciose che fiancheggiavano le rive del Nilo e, durante il Nuovo Regno, la Valle dei Re, sulla riva occidentale del Nilo, di fronte a Luxor, era ormai la necropoli dei faraoni, sepolti nei templi scavati nella roccia dei due versanti della valle. Il tempio funebre della regina Hatshepsut, a Deir al-Bahri, fu scavato nella montagna su più livelli e, durante il regno di Ramsete II, appartenente alla diciannovesima dinastia, da una montagna dell’Alto Egitto fu scavato il tempio spettacolare di Abu Simbel. In Persia, le tombe reali scavate nella roccia a Naksh-i-Rustam, presso Persepoli, risalgono al periodo tra il VI e il IV secolo a.C. Il re vi è rappresentato davanti a un altare del fuoco, al di sopra del quale è raffigurato il dio Ahura Mazdā, il cui volto è circondato da un alone circolare, simbolo di eternità. A Petra, nella moderna Giordania, i Nabatei, più di duemila anni fa, scavarono nella roccia la loro capitale. Non solo i templi e gli edifici ad uso civile, ma anche le tombe dei re si trovano in grotte artificiali.
In Messico, le tombe a pozzo – dove il pozzo, scavato nel terreno, terminava in una camera laterale che ospitava il defunto – erano senza dubbio rappresentazioni di caverne, nelle quali il trapassato tornava alla terra che gli aveva dato la vita. Il temazcal, il bagno di sudore purificante, usato per millenni in questa regione, era, nel periodo precolombiano, «la casa dei fiori», dove il fiore è il simbolo dell’utero e della caverna.
Un esempio significativo di caverne funerarie, sebbene, in questo caso, artificiali, è quello delle catacombe di Roma. Si tratta di cimiteri costruiti dai cristiani nel I secolo d.C. Essi furono confiscati due volte, durante il III secolo e al principio del IV. Quando, dopo la persecuzione sanguinosa ordinata da Diocleziano, i cristiani ottennero, grazie a Costantino, nel 313, di vivere in pace, le catacombe furono ingrandite, abbellite con affreschi e iscrizioni relative ai martiri cristiani e infine divennero meta di pellegrinaggio.
Nella regione subsahariana del Mali, le popolazioni dei Tellem, che fiorirono dall’XI al XVI secolo, seppellivano i morti, insieme a suppellettili funerarie e vesti per l’oltretomba, in speciali caverne. Gli oggetti venivano ritualmente distrutti al fine di liberare lo spirito del defunto. In una di queste caverne sono stati rinvenuti tremila scheletri. Tra le offerte lasciate in alcune caverne, situate in alte pareti rocciose, vi erano i resti delle ossa di una gru coronata e di una tartaruga, animali che compaiono nella mitologia dei Dogon, sopravvenuti nella regione dopo i Tellem (Bedaux, 1982, pp. 28-34). Nella regione pianeggiante del Messico appartenuta ai Maya e nell’America centrale, il terreno, di natura calcarea, è ricchissimo di cenotes. Forse poiché essi costituiscono le uniche riserve d’acqua nella penisola dello Yucatán, povera di corsi d’acqua, i cenotes furono venerati come luoghi sacri e una delle loro funzioni era di fare da camera funeraria. Il grande cenote di Chichén Itzá è ben noto, come anche le storie sulle belle fanciulle gettate nelle acque di questo pozzo-caverna. In realtà esso era un luogo in cui si offrivano in sacrificio alle divinità delle acque adolescenti di entrambi i sessi. Un resoconto del XVI secolo, stilato da Fra Diego de Landa, parla di fanciulli ai quali veniva estratto il cuore e i cui corpi erano poi deposti nel cenote. Propiziare le divinità delle acque tramite il sacrificio di bambini era un rito comune: le vittime erano accompagnate da incenso, gioielli d’oro e di giada, ancor più costosa dell’oro e simbolo dell’acqua e di tutto ciò che è prezioso. Questi riti sacrificali erano legati alla coltivazione del mais, ma avevano anche finalità profetiche e divinatorie. I sacrifici di fanciulli si intensificavano in attesa della stagione delle piogge o durante la siccità. Alcuni resoconti riferiscono che le vittime erano calate vive nel pozzo-caverna affinché comunicassero con la divinità e poi lasciate annegare. Dal tempio principale partiva una processione che raggiungeva il tempio vicino al cenote; là i sacerdoti istruivano la vittima circa il messaggio da trasmettere alla divinità e quindi veniva eseguito il sacrificio. Le pareti della spettacolare caverna di Naj Tunich, in Guatemala, sono coperte da dipinti dell’VIII secolo, che rappresentano scene del gioco della pelota (un gioco rituale dal simbolismo legato al cielo e al rapporto tra vita e morte) scene di salasso rituale, nani (associati sia con il cielo che con gli Inferi), conchiglie (simbolo di nascita e di morte) e lunghe colonne di geroglifici, per lo più attinenti al calendario. George Stuart (1981, pp. 220-35) fa notare che i Maya del periodo classico consideravano i numeri e i giorni del loro calendario come una processione di figure divine che marciavano lungo un percorso eterno e infinito. I Maya credevano che le caverne, come le radici dell’albero sacro di ceiba che tiene uniti il cielo e la terra, raggiungessero le profondità dell’oltretomba. Le caverne costituivano l’ingresso di questo mondo, chiamato Xibalba, nel quale abitavano le divinità degli Inferi. Stuart avanza l’ipotesi che la grande caverna di Naj Tunich fosse la rappresentazione tangibile di Xibalba, il luogo della morte.

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BIBLIOGRAFIA
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IL SIMBOLISMO DELLA CAVERNAultima modifica: 2024-02-23T18:24:19+01:00da mikeplato
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