COMPENDIO DI TEOLOGIA ASCETICA E MISTICA parte 1

di Adolfo Tanquerey

Note del redattore di quest’edizione digitale

La copia cartacea del Compendio di Teologia Ascetica e Mistica di cui questa è un’accurata transcrizione, provviene dalla biblioteca abbandonata del sacerdote catanese Francesco Minuta. Scritto da, ed indirizzato specialmente a, chi si propone di dirigere le anime altrui verso la santità, contiene nondimeno dei tratti interessanti sulle precise dinamiche e le forme del peccato nell’anima umana, e sulle tecniche provate per la purificazione della propria anima. Pubblicato nel 1927, contiene alcuni dei primi frutti dell’incontro fra il dogma cattolica e la psicanalisi. (Segnalo in particolare Appendice 2 su “Lo studio dei caratteri“.) Chi, invece, ha il gusto del sensazionale potrà trovare diletto nelle descrizioni dei sbalorditivi fenomeni soprannaturali sperimentati dai mistici di tutti i tempi.

PREFAZIONE ALLA QUINTA EDIZIONE.

Questo libro, come è indicato dal titolo, più che un trattato completo è un compendio che può servire di buon avviamento a studi più particolareggiati e più profondi. Ad evitare l’aridità d’un compendio, abbiamo di proposito sviluppato, con riflessioni atte a fomentare la pietà, i punti più essenziali della vita interiore, come l’abitazione dello Spirito Santo nell’anima, la nostra incorporazione a Cristo, l’ufficio di Maria nella nostra santificazione, la natura della perfezione e la necessità di tendervi. Così pure, trattando delle tre vie, insistiamo su ciò che può indurre le anime alla confidenza, all’amore e alla pratica delle virtù.

Convinti che il Domma è il fondamento della Teologia ascetica e che l’esposizione di quanto Dio ha fatto e continua a fare per noi è lo stimolo più efficace della vera divozione, abbiamo procurato di richiamar brevemente quelle verità di fede su cui si fonda la vita interiore. Quindi il nostro trattato è innanzi tutto dottrinale, inteso a dimostrare che la perfezione cristiana deriva logicamente dai nostri dommi, e sopratutto dall’Incarnazione che ne è il centro. Ma è nello stesso tempo pratico, perchè nulla è più efficace di una fede viva e illuminata per animarci agli sforzi energici e costanti, richiesti dalla riforma di sè e dalla pratica delle virtù. Onde ci studiamo fin dalla prima parte di trarre dai nostri dommi le conclusioni pratiche che spontaneamente ne derivano, di dedurne i mezzi generali di perfezione e di stimolare i lettori a mettere in pratica ciò che attentamente hanno letto: «Estote factores verbi et non auditores tantum»  (Epistola di S. Giacomo, I, 22.)

Nella seconda parte, che è eminentemente pratica, continuiamo ad appoggiare le nostre conclusioni sui dommi esposti nella prima parte, specialmente sulla nostra incorporazione a Cristo e sull’abitazione dello Spirito Santo in noi. La purificazione dell’anima non si fa perfettamente se non incorporandoci a Colui che è la sorgente d’ogni purità: la pratica positiva delle virtù cristiane non riesce mai così facile come quando attiriamo in noi Colui che tutte le possiede nella loro pienezza e ardentemente brama di comunicarcele; l’unione intima e abituale con Dio non si attua pienamente se non vivendo alla presenza e sotto la guida della SS. Trinità che abita in noi. Così il nostro progresso nelle tre grandi tappe della vita spirituale procede via via colla progressiva nostra incorporazione a Cristo Gesù e colla nostra sempre più intiera dipendenza dallo Spirito santificatore.

Questa adesione al Verbo Incarnato e al divino suo Spirito non solo non esclude ma suppone anzi un’ascesi attivissima. S. Paolo, che illustrò così bene la nostra incorporazione a Cristo e l’unione nostra con Dio, insiste con pari forza sulla necessità della lotta contro le tendenze dell’uomo vecchio, contro il mondo e gli spiriti delle tenebre. Onde anche noi nell’esposizione delle tre vie parliamo sovente di combattimento spirituale, di sforzi energici, di mortificazione, di tentazioni, di cadute e di risorgimenti, non solo per gl’incipienti ma anche per le anime progredite. Si deve tener molto conto della realtà, e, pur descrivendo l’unione intima con Dio e la pace che l’accompagna, bisogna ricordare, come fa S. Teresa, che la lotta spirituale finisce solo con la morte.

Ma queste lotte incessanti, queste alternative di prove e di consolazioni nulla hanno di terribile per le anime generose, sempre unite a Dio nella calma come nella tempesta.

Scriviamo principalmente per i seminaristi e per i sacerdoti, ma speriamo che questo libro sarà pure utile alle comunità religiose e anche a quei numerosi laici che oggi coltivano la vita interiore onde più efficacemente esercitare l’apostolato.

Esporremmo anzitutto le dottrine certe o comunemente accettate, lasciando alle questioni controverse un posto molto ristretto. Vi sono, è vero, molte scuole di spiritualità, ma gli uomini assennati di queste diverse scuole consentono su ciò che è veramente importante per la direzione delle anime. Questa dottrina comune noi esporremo, studiandoci di mettervi il miglior ordine logico e psicologico possibile. Se talora mostriamo una certa preferenza per la spiritualità della Scuola francese del secolo XVII°, fondata sugli insegnamenti di S. Paolo e di S. Giovanni e pienamente cònsona alla classica dottrina di S. Tommaso, sinceramente dichiariamo che abbiamo ogni stima per le altre scuole, alle quali largamente attingeremo, mirando piuttosto a far risaltare ciò in cui convengono che quello in cui differiscono.

Questo modesto lavoro umilmente dedichiamo al Verbo Incarnato e alla SS. Vergine, sede della divina sapienza, lieti se, sotto la loro protezione, contribuirà alcun poco alla gloria della Santissima e Adorabilissima Trinità.

Ut in omnibus honorificetur Deus per Jesum Christum! (I Pietro, IV, 11)

I pochi cambiamenti introdotti in questa quinta edizione, dovuti a benevole osservazioni fatteci, non ne hanno punto modificato il fondo; e ringraziamo qui di gran cuore i cortesi che ce le favorirono.

Issy, (Seine), l’otto dicembre 1924, festa dell’Immacolata Concezione della SS. Vergine.

AD. TANQUEREY.

INTRODUZIONE 1-1.

L’oggetto proprio della Teologia ascetica e mistica è la perfezione della vita cristiana.

1.   Oltre la vita naturale dell’anima, piacque alla divina bontà di comunicarci una vita soprannaturale, la vita della grazia, che è una partecipazione della vita stessa di Dio, come abbiamo dimostrato nel nostro Tr. De gratia 1-2. Essendoci questa vita data per i meriti infiniti di N. S. G. Cristo ed essendone egli la causa esemplare più perfetta, a ragione viene chiamata vita cristiana.

Ogni vita ha bisogno di perfezionarsi e si perfeziona avvicinandosi sempre meglio al suo fine. La perfezione assoluta consiste nel conseguimento di questo fine, e non si avrà che in cielo: là noi possederemo Dio per mezzo della visione beatifica e dell’amor puro e la nostra vita avrà il suo pieno sviluppo; allora saremo veramente simili a Dio, perchè lo vedremo quale egli è, similes ei erimus quoniam videbimus cum sicuti est 1-3. Sulla terra non possiamo acquistare se non una perfezione relativa, avvicinandoci continuamente a quell’unione intima con Dio che ci prepara alla visione beatifica. Di questa perfezione relativa noi intendiamo trattare. Dopo avere esposto i principii generali sulla natura della vita cristiana, sulla sua perfezione, sull’obbligo di tendervi e sui mezzi generali per raggiungerla, descriveremo successivamente le tre vie, purgativa, illuminativa e unitiva, per cui passano le anime generose, avide di progresso spirituale.

Ma dobbiamo prima, in una breve Introduzione risolvere alcune questioni preliminari.

2.   In questa Introduzione tratteremo cinque questioni:

▪   I. La natura della Teologia ascetica;

▪   II. Le fonti;

▪   III. Il metodo;

▪   IV. L’eccellenza e la necessità;

▪   V. La divisione.

§ I. Natura della Teologia ascetica.

A meglio spiegare la natura della Teologia ascetica, esporremo per ordine:

▪   1° nomi principali che le vennero dati;

▪   2° il suo posto tra le scienze teologiche;

▪   3° le sue relazioni con la Dommatica e la Morale;

▪   4° la distinzione tra l’Ascetica e la Mistica.

I. I VARI NOMI.

3.   La teologia ascetica prende vari nomi.

a) Si chiama la scienza dei santi, e con ragione; perchè ci viene dai santi, che l’hanno vissuta più ancora di quello che l’abbiano insegnata, e perchè è destinata a fare dei santi, spiegandoci che cos’è la santità e quali sono i mezzi per acquistarla.

b) Altri la chiamano scienza spirituale, perchè forma degli spirituali, cioè uomini interiori, animati dallo spirito di Dio.

c) Essendo però una scienza pratica, si chiama anche l’arte della perfezione, giacchè il suo fine è di condurre le anime alla perfezione cristiana; o anche l’arte delle arti, perchè non v’è arte più eccellente di quella di perfezionare un’anima nella più nobile delle vite, la vita soprannaturale.

d) Nondimeno il nome che più comunemente oggi le si dà è quello di teologia ascetica e mistica.

1) Il vocabolo ascetica viene dal greco ασχησις (esercizio, sforzo) e indica ogni esercizio faticoso che si riferisca all’educazione fisica o morale dell’uomo. Ora la perfezione cristiana suppone sforzi che S. Paolo paragona volentieri a quegli esercizi d’allenamento a cui si assoggettavano gli atleti per riportar la vittoria. Era dunque naturale di indicare col nome d’ascesi gli sforzi dell’anima cristiana che lotta per acquistare la perfezione. E questo fecero Clemente Alessandrino 3-1 e Origene 3-2, e dietro loro un gran numero di Padri. Non è dunque meraviglia che si sia dato il nome d’ascetica alla scienza che tratta degli sforzi necessari per acquistare la perfezione cristiana.

2) Tuttavia, per lunghi secoli, a designare questa scienza prevalse il nome di Teologia mistica (μυστης, misterioso, segreto e particolarmente segreto religioso) perchè esponeva i segreti della perfezione. In seguito queste due parole furono usate nello stesso senso; ma presto prevalse l’uso di riservare il nome d’ascetica a quella parte della scienza spirituale che tratta dei primi gradi della perfezione fino alla soglia della contemplazione, e il nome di mistica a quella che s’occupa della contemplazione e della via unitiva.

e) Checchè ne sia, da tutte queste nozioni risulta che la scienza di cui ci occupiamo è veramente la scienza della perfezione cristiana; onde potremo assegnarle il posto conveniente nel disegno generale della Teologia.

II. SUO POSTO NELLA TEOLOGIA.

4.   Nessuno meglio di S. Tommaso dimostrò l’unità organica che regna nella scienza teologica. Egli divide la sua Somma in tre parti: nella prima, tratta di Dio primo principio e lo studia in sè stesso, nell’unità della natura e nella trinità delle persone; e nelle opere della creazione, che conserva e governa con la sua provvidenza. Nella seconda, s’occupa di Dio fine ultimo, a cui devono tendere tutti gli uomini, orientando verso di lui le loro azioni, sotto la guida della legge e l’impulso della grazia, praticando le virtù teologali e morali e osservando i doveri del proprio stato. La terza ci mostra il Verbo Incarnato, che si fa nostra via per andare a Dio e che istituisce i sacramenti per comunicarci la grazia e così condurci alla vita eterna.

In questo disegno, la teologia ascetica e mistica si connette alla seconda parte della Somma, appoggiandosi anche alle altre due.

5.   A partir da S. Tommaso, la Teologia, pur rispettandone l’unità organica, fu divisa in tre parti: la Dommatica, la Morale e l’Ascetica.

a) La Dommatica c’insegna ciò che bisogna credere su Dio, sulla vita divina, sulla comunicazione che volle farne alle creature ragionevoli e particolarmente all’uomo, sulla perdita di questa vita col peccato originale, sulla sua restaurazione per mezzo del Verbo Incarnato, sulla sua azione nell’anima rigenerata, sulla sua diffusione per mezzo dei sacramenti, sulla sua ultima perfezione nella gloria.

bLa Morale ci mostra come dobbiamo corrispondere a questo amor di Dio coltivando in noi la vita divina che si degnò di parteciparci, come dobbiamo evitare il peccato e praticare le virtù e i doveri del proprio stato che sono di precetto.

c) Ma quando si vuole perfezionare questa vita, andare oltre ciò che è stretto precetto e progredire in modo metodico nella pratica delle virtù, allora interviene l’Ascetica la quale ci traccia le regole della perfezione.

III. LE SUE RELAZIONI COLLA DOGMATICA E COLLA MORALE.

6.   L’Ascetica è dunque una parte della morale cristiana, ma la parte più nobile, quella che mira a fare di noi dei cristiani perfetti. Pur essendo divenuta un ramo speciale della Teologia, essa serba colla Dommatica e colla morale intime relazioni.

1° L’Ascetica si fonda sulla Dommatica. Quando l’Ascetica vuole esporre la nature della vita cristiana, chiede lumi alla Dommatica. Questa vita è infatti una partecipazione della vita stessa di Dio, e conviene quindi risalire fino alla SS. Trinità per trovarvi il principio e l’origine di questa vita, seguirne le vicende, vedere come, conferita ai nostri progenitori, fu perduta per loro colpa e poi restaurata per mezzo del Cristo redentore; per conoscere qual è il suo organismo e il suo modo di operare nell’anima nostra, per quali canali misteriosi ci è data ed aumentata, e come si trasforma in visione beatifica nel cielo. Ora tutti questi argomenti sono trattati nella Teologia dommatica; nè si dica che si possono presupporre; se non si richiamano in una breve e viva sintesi, l’Ascetica sembrerà senza fondamenti, e si chiederanno alle anime sacrifici durissimi senza poterli giusitificare con l’esposizione di ciò che Dio fece per noi. È dunque vero che la Dommatica è, secondo la bella espressione del Cardinale Manning, la sorgente della devozione.

7.   2° L’Ascetica s’appoggia pure sulla Morale e la compie. La Morale spiega i precetti che dobbiamo praticare per acquistare e conservare la vita divina. Ora l’Ascetica, che ci fornisce i mezzi per perfezionarla, suppone evidentemente la conoscenza e la pratica dei comandamenti; sarebbe una pericolosa illusione il trascurare i precetti sotto pretesto di seguire i consigli e pretendere di praticare le più alte virtù prima di sapere resistere alle tentazioni ed evitare il peccato.

8.   3° Nondimeno l’Ascetica è un ramo distinto della Teologia dommatica e morale. Ha infatti un oggetto proprio: sceglie nella dottrina di N. Signore tutto ciò che si riferisce alla perfezione della vita cristiana, alla sua natura, al suo obbligo, ai suoi mezzi, e tutti questi elementi coordina in guisa da formarne una vera scienza. 1) Si distingue dalla Dommatica, la quale direttamente non ci propone che le verità da credere, perchè, pur appoggiandosi su queste verità, essa le volge alla pratica e se ne serve per farci comprendere, gustare e attuare la perfezione cristiana. 2) Si distingue dalla morale, perchè, pur richiamando i precetti di Dio e della Chiesa, fondamento di ogni vita spirituale, essa ci propone i consigli evangelici, e, per ogni virtù, un grado più elevato di quello che è strettamente obbligatorio. L’Ascetica è dunque la scienza della perfezione cristiana.

9.   Di qui deriva il suo doppio carattere di scienza speculativa insieme e pratica. Contiene certamente una dottrina speculativa, poichè risale alla Dommatica per spiegare la natura della vita cristiana; ma è soprattutto pratica, perchè ricerca i mezzi da prendere per coltivare questa vita.

L’Ascetica, in mano d’un savio direttore, è anche una vera arte, che consiste nell’applicare con delicatezza e premura i principii generali a ciascuna anima in particolare; arte tra tutte la più eccellente e difficile, ars artium regimen animarum. I principii e le regole che daremo mireranno a formare buoni direttori.

IV. DIFFERENZA FRA L’ASCETICA E LA MISTICA.

Quello che abbiamo detto s’applica tanto all’una quanto all’altra.

10.   A) Per distingerle, si può definire la teologia ascetica quella parte della scienza spirituale che ha per oggetto proprio la teoria e la pratica della perfezione cristiana, a partire dai suoi principii sino alla soglia della contemplazione infusa. Noi facciamo cominciare la perfezione col desiderio sincero di progredire nella vita spirituale, e l’ascetica conduce l’anima, per le vie purgativa e illuminativa, sino alla contemplazione acquisita.

11.   BLa mistica è quella parte della scienza spirituale che ha per oggetto proprio la teoria e la pratica della vita contemplativa, a partire dalla prima notte dei sensi e dalla quiete fino al matrimonio spirituale.

a) Evitiamo quindi, nella nostra definizione, di fare dell’Ascetica lo studio delle vie ordinarie della perfezione, e della Mistica lo studio delle vie straordinarie; oggi infatti si riserva questa parola di straordinario piuttosto a una categoria speciale di fenomeni mistici, a quelli che sono grazie date gratuitamente e che vengono ad aggiungersi alla contemplazione, come le estasi e le rivelazioni.

b) La contemplazione è uno sguardo semplice ed affettuoso di Dio e delle cose divine: si dice acquisita quando è frutto della nostra attività aiutata dalla grazia; infusa quando, oltrepassando questa attività, è operata da Dio col nostro consenso (n. 1299).

c) Di proposito riuniamo in un unico volume la teologia ascetica e la mistica. 1) Tra l’una e l’altra vi sono certamente differenze profonde, che a suo tempo additeremo accuratamente; ma vi è pure tra i due stati, l’ascetico e il mistico, una certa continuità, la quale fa sì che l’uno sia una specie di preparazione all’altro, e che Dio si giovi, quando lo giudica conveniente, delle disposizioni generose dell’asceta per elevarlo agli stati mistici. 2) In ogni caso, lo studio della mistica getta molta luce sull’ascetica e viceversa; perchè le vie di Dio sono piene di armonia e l’azione così potente ch’egli esercita sulle anime mistiche, fa meglio cogliere, col rilievo con cui si mostra, la sua azione meno forte sui principianti; così le prove passive descritte da S. Giovanni della Croce fanno meglio intendere le aridità ordinarie che si provano negli stati inferiori, e parimenti si intendono meglio le vie mistiche quando si vede a quale docilità, a quale pieghevolezza arriva un’anima che per lunghi anni si è esercitata nelle rudi fatiche dell’ascesi. Queste due parti d’una medesima scienza s’illuminano dunque vicendevolmente e ci guadagnano a non essere separate.

§ II. Le fonti della Teologia ascetica e mistica.

12.   Essendo la scienza spirituale un ramo della Teologia, è evidente che le loro fonti sono le stesse: anzitutto le fonti che contengono o spiegano il dato rivelato, la Scrittura e la Tradizione; poi le fonti secondarie, ossia tutte le conoscenze che ci vengono della ragione illuminata dalla fede e dall’esperienza. Non ci rimane dunque qui se non indicare l’uso che se ne può fare nella Teologia ascetica.

I. DELLA SACRA SCRITTURA.

Non vi troviamo certamente una sintesi della dottrina spirituale, ma ricchi documenti sparsi qua e là nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, sotto forma di dottrine, di precetti, di consigli, di preghiere e d’esempi.

13.   1° Dottrine speculative su Dio, sulla sua natura, sui suoi attributi, sulla sua immensità che penetra tutto, sulla infinita sua sapienza, sulla sua bontà, sulla sua giustizia, sulla sua misericordia, sulla provvidenziale sua azione che si esercita su tutte le creature, ma specialmente sugli uomini per salvarli; sulla sua vita intima, sulla generazione misteriosa dell’Eterna Sapienza o del Verbo, sulla processione dello Spirito Santo, vincolo naturale tra il Padre e il Figlio; sulle sue opere; in particolare su ciò che fece per l’uomo, per comunicargli una partecipazione della sua vita divina, per restaurarla dopo la caduta per mezzo dell’Incarnazione del Verbo e della Redenzione, per santificarla con i sacramenti e per preparargli in cielo le eterne delizie della visione beatifica e dell’amor puro. È evidente che questo insegnamento così nobile e così elevato è un potente stimolo per aumentare in noi l’amor di Dio e il desiderio della perfezione.

14.   2° Un insegnamento morale composto di precetti e di consigli: il Decalogo, che si compendia tutto nell’amor di Dio e nell’amor del prossimo e quindi nel culto divino e nel rispetto dei diritti altrui; il così nobile insegnamento dei Profeti, che, ricordando continuamente la bontà, la giustizia e l’amor di Dio pel suo popolo, lo allontana dal peccato e specialmente dalle pratiche idolatriche, gli inculca il rispetto e l’amor di Dio, la giustizia, l’equità, la bontà verso tutti, ma specialmente verso i deboli e gli oppressi; i saggi consigli del libri sapienziali, che già contengono un’intiera esposizione delle virtù cristiane; sopra tutto poi l’ammirabile dottrina di Gesù, la sintesi ascetica condensata nel discorso del Monte; e la dottrina più alta ancora che troviamo nei discorsi riferiti da S. Giovanni e che egli commenta nelle sue Epistole; la teologia spirituale di S. Paolo, così ricca di idee dommatiche e d’applicazioni pratiche. Il pallido compendio che tosto ne daremo ci mostrerà che il Nuovo Testamento è già un codice di perfezione.

15.   3° Preghiere per nutrire la nostra pietà e la nostra vita interiore. Ve ne sono forse delle più belle di quelle che troviamo nei Salmi e che la Chiesa giudicò così atte a glorificar Dio e a santificarci, che le trasportò nella sua liturgia, nel Messale e nel Breviario? Altre pur ve ne sono che si trovano sparse qua e là nei libri storici o sapienziali; e c’è soprattutto il Pater, la preghiera più bella, più semplice, più compita nella sua brevità, che si possa trovare; e poi la preghiera sacerdotale di N. Signore, senza parlare delle dossologie che si trovano già nelle Epistole di S. Paolo e nell’Apocalisse.

16.   4° Esempi che ci conducono alla pratica della virtù. a) Il Vecchio Testamento ci fa sfilare dinanzi una serie di patriarchi, di profeti e d’altri personaggi illustri, che non sono stati certo senza debolezze, ma le cui virtù furono celebrate da S. Paolo 16-1 e ampiamente descritte dai Padri, che li propongono alla nostra imitazione. Chi infatti non ammira la pietà di Abele e di Enoch, la soda virtù di Noè che pratica il bene in mezzo ad una generazione corrotta, la fede e la confidenza d’Abramo, la castità e la prudenza di Giuseppe, il coraggio, la saviezza, la costanza di Mosè, l’intrepidezza, la pietà, la saggezza di Davide, la vita austera dei Profeti, il valore dei Maccabei, e tanti altri esempi che sarebbe troppo lungo il ricordare? b) Nel Nuovo Testamento, ecco innanzi tutto Gesù che ci appare come il tipo ideale della santità, e poi Maria e Giuseppe, suoi fedeli imitatori, poi gli apostoli che, prima imperfetti, si consacrano poi corpo e anima alla predicazione del Vangelo e alla pratica delle virtù cristiane ed apostoliche, cosicchè assai più eloquentemente con l’esempio che con le parole ci dicono “Imitatores mei estote sicut et ego Christi“. Se molti di questi santi personaggi ebbero delle debolezze, il come le hanno poi riparate dà anche maggior valore ai loro esempi, mostrandoci il modo di riparare le proprie colpe con la penitenza.

Per dare un’idea dei tesori ascetici che si trovano nella Sacra Scrittura, faremo nell’Appendice un compendio sintetico della spiritualità dei Sinottici, di S. Paolo e di S. Giovanni.

II. LA TRADIZIONE.

17.   La Tradizione compie la Sacra Scrittura, trasmettendoci delle verità che in questa non sono contenute, e inoltre la interpreta in modo autentico. Si manifesta col magistero solenne e col magistero ordinario.

1° Il magistero solenne, che consiste propriamente nelle definizioni dei Concilii e dei Sommi Pontefici, non s’è occupato che raramente di questioni ascetiche e mistiche strettamente dette; ma dovette spesso intervenire per chiarire e determinare le verità che costituiscono il fondamento della spiritualità: come la vita divina considerata nella sua sorgente, l’elevazione dell’uomo allo stato soprannaturale, il peccato originale e le sue conseguenze, la redenzione, la grazia comunicata all’uomo rigenerato, il merito che accresce in noi la vita divina, i sacramenti che conferiscono la grazia, il santo sacrifizio della Messa in cui sono applicati i frutti della redenzione. Nel corso dell’opera dovremo giovarci di tutte queste definizioni.

18.   2° Il magistero ordinario s’esercita in due modi, in modo teorico e in modo pratico.

A) L’insegnamento teorico ci è dato per via negativa con la condanna delle proposizioni dei falsi mistici, e per via positiva con la dottrina comune dei Padri e dei Teologi o con le conclusioni che scaturiscono dalle vite dei santi.

a) Sorsero in diversi tempi dei falsi mistici che alterarono la vera nozione della perfezione cristiana, come gli Encratiti e i Montanisti dei primi secoli, i Fraticelli e certi mistici tedeschi del Medio Evo, Molinos e i Quietisti nei tempi moderni; la Chiesa, condannandoli, ci additò gli scogli da evitare e insieme la via da seguire.

19.   b) E d’altra parte si formò gradatamente una dottrina comune su tutte le grandi questioni di spiritualità, che è come il commentario vivente degli insegnamenti biblici, e che si trova presso i Padri, i teologi e gli autori spirituali; quando si leggono, si è colpiti dell’unanimità che manifestano su tutti i punti vitali che si riferiscono alla natura della perfezione, ai mezzi necessari per acquistarla, alle principali tappe da percorrere. Rimane certamente qualche punto controverso, ma su questioni accessorie, e queste discussioni fanno anche meglio risaltare l’unanimità morale che esiste sul resto. La tacita approvazione che la Chiesa dà a questo insegnamento comune è per noi una sicura garanzia di verità.

20.   BL’insegnamento pratico si trova principalmente nella canonizzazione dei Santi che hanno insegnato e praticato tutto questo complesso di dottrine spirituali. Si sa con quale minuziosa cura si procede alla revisione dei loro scritti e all’esame delle loro virtù; dallo studio di questo documenti è facile dedurre dei principii di spiritualità sulla natura e sui mezzi di perfezione, che saranno l’espressione del pensiero della Chiesa. Per convincersene, basta leggere l’opera così bene documentata di Benedetto XIV: De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione, o qualcuno dei processi di Canonizzazione, oppure biografie di Santi scritte secondo le regole d’una saggia critica.

III. LA RAGIONE ILLUMINATA DALLA FEDE E DALL’ESPERIENZA.

21.   La ragione naturale, essendo un dono di Dio assolutamente necessario all’uomo per conoscere la verità sia naturale che soprannaturale, ha una parte larghissima nello studio della spiritualità, come di tutti gli altri rami della scienza ecclesiastica. Trattandosi però di verità rivelate, ha bisogno d’essere guidata e perfezionata dai lumi della fede; e, per applicare i principi generali alle anime, deve appoggiarsi sull’esperienza psicologica.

22.   1° Il primo suo ufficio è di raccogliere e coordinare i dati della Scrittura e della Tradizione; perchè, essendo essi sparsi in vari libri, hanno bisogno d’essere riuniti per formare un tutto. Inoltre quei sacri detti furono pronunziati in quella data circostanza, in occasione di quella data questione, in quel dato ambiente; e così pure i testi della Tradizione furono spesso motivati da circostanze varie di tempi e di persone. a) Per coglierne quindi il valore, bisogna collocarli nel loro ambiente, confrontarli con insegnamenti analoghi, poi aggrupparli e interpretarli alla luce del complesso delle verità cristiane. b) Fatto questo primo lavoro, si può da questi principi trarre delle conclusioni, mostrarne la saldezza e le molteplici applicazioni alle mille particolarità della vita umana nelle più svariate circostanze. c) Principi e conclusioni saranno in fine coordinati in una vasta sintesi e formeranno una vera scienza. d) A lei pure spetta il difendere la dottrina ascetica dai suoi detrattori. Vi sono molti che l’assaltano in nome della ragione e della scienza e non vedono che illusione là dove sono invece sublimi realtà. Rispondere a questi critici, appoggiandosi alla filosofia e alla scienza, ecco il preciso ufficio della ragione.

23.   2° Essendo la spiritualità una scienza vissuta, bisogna mostrare storicamente come è stata praticata; è quindi necessario leggere biografie di Santi antichi e moderni, di varie condizioni e di diversi paesi, per rilevare in qual modo le regole ascetiche sono state interpretate e adattate ai diversi tempi, alle varie nazioni, e ai doveri particolari del proprio stato. E poichè nella Chiesa non ci sono solo dei santi, bisogna rendersi ben conto degli ostacoli che si oppongono alla pratica della perfezione e dei mezzi usati per trionfarne. Occorrono quindi studi psicologici e alla lettura bisogna aggiungere l’osservazione.

24.   3° Spetta pure alla ragione, illuminata dalla fede, applicare i principi e le regole generali a ogni persona in particolare tenendo conto del temperamento, del carattere, dell’età e del sesso, della posizione sociale, dei doveri del suo stato, come anche delle attrattive soprannaturali della grazia, badando pure alle regole sul discernimento degli spiriti.

Per adempiere questo triplice ufficio, occorre non solo un’acuta intelligenza, ma anche un giudizio retto, molta prudenza e discernimento. Vi si deve aggiungere lo studio della psicologia pratica, dei temperamenti, delle malattie nervose e degli stati morbosi che hanno tanta influenza sulla mente e sulla volontà, ecc. Trattandosi poi d’una scienza soprannaturale, non si deve dimenticare che al lume della fede spetta una parte preponderante, e che i doni dello Spirito Santo mirabilmente la compiono; specialmente il dono della scienza, che dalle cose umane ci eleva fino a Dio, il dono dell’intelletto che ci fa meglio approfondire le verità rivelate, il dono della sapienza che ce le fa discernere e gustare, il dono del consiglio che ci aiuta ad applicarle a ciascuno in particolare.

Ecco perchè i Santi, che si lasciano condurre dallo Spirito di Dio, sono pure i più atti a meglio intendere e meglio applicare i principi della vita soprannaturale; hanno una certa connaturalità con le cose divine, che le fa loro meglio intendere e gustare: “Abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti en parvulis” 24-1.

§ III. Il metodo da seguire 25-1.

Per trarre maggior profitto dalle fonti che abbiamo descritte, quale metodo si dovrà seguire? Il metodo sperimentale e descrittivo, o il metodo deduttivo, oppure l’unione dei due? Quale spirito deve presiedere all’uso di questi metodi?

25.   1° Il metodo sperimentale, descrittivo o psicologico, consiste nell’osservare in sè o negli altri i fatti ascetici o mistici, nel classificarli e coordinarli, per dedurne i segni o le note caratteristiche di ciascuno stato, le virtù o le disposizioni che convengono a ognun di loro, e ciò senza darsi pensiero della natura o della causa di questi fenomeni, senza chiedere se procedono dalle virtù, dai doni dello Spirito Santo o da grazie miracolose. Questo metodo nella parte positiva ha molti vantaggi, perchè bisogna pure ben conoscere i fatti prima di spiegarne la natura e la causa.

26.   Se però venga adoperato in modo esclusivo:

a) Questo metodo non può costituire una vera scienza; ne somministra certamente i fondamenti, cioè i fatti e le induzioni immediate che se ne possono trarre, può anche accertare quali sono i mezzi pratici che generalmente riescono meglio. Tuttavia, finchè non si risalga alla natura intima e alla causa di questi fatti, si fa piuttosto della psicologia che della teologia; o se si descrivono minutamente i mezzi per praticare questa o quell’altra virtù, non si mostra abbastanza il movente e lo stimolo che aiuta a praticarla.

b) Si è quindi esposti a cadere in opinioni mal fondate. Se nella contemplazione non si distingue ciò che è miracoloso, come l’estasi e la levitazione, da ciò che ne costituisce l’elemento essenziale, cioè lo sguardo prolungato e affettuoso su Dio sotto l’influsso d’una grazia speciale, se ne potrà troppo facilmente concludere che ogni contemplazione è miracolosa, il che è contrario alla dottrina comune.

c) Molte controversie sugli stati mistici s’attenuerebbero se alle descrizioni di questi stati s’aggiungessero le distinzioni e le esattezze fornite dallo studio teologico. Così la distinzione tra contemplazione acquisita e infusa fa meglio intendere certi stati d’animo molto reali e conciliare certe opinioni che, a prima vista, sembrano contradittorie. Parimenti, nella contemplazione passiva vi sono molti gradi: ve ne sono di quelli in cui basta l’uso perfezionato dei doni, ve ne sono altri in cui Dio deve intervenire per disporre le nostre idee e aiutarci a trarne delle conclusioni che colpiscono, ve ne sono infine di quelli che non si possono bene spiegare che con conoscenze infuse. Tutte queste distinzioni sono il risultato di lunghe e pazienti ricerche speculative insieme e pratiche; facendole, si ridurrebbe il numero dei disparari che separano le varie scuole.

27.   2° Il metodo dottrinale o deduttivo consiste nello studiare accuratamente ciò che insegnano sulla vita spirituale la Scrittura, la Tradizione, la Teologia, in particolare la Somma di S. Tommaso, e dedurne conclusioni sulla natura della vita cristiana, sulla sua perfezione, sul suo obbligo e sui mezzi di raggiungerla, senza darsi abbastanza pensiero dei fatti psicologici, del temperamento e del carattere delle persone dirette, delle loro inclinazioni, dei risultati prodotti su questa o su quell’altra anima dai diversi mezzi; senza studiare in particolare i fenomeni mistici descritti dai Santi che li provarono, come S. Teresa, S. Giovanni della Croce, S. Francesco di Sales, ecc. ecc.; o almeno senza tenerne abbastanza conto. Essendo noi facilmente soggetti ad ingannarci nelle nostre deduzioni, particolarmente quando le moltiplichiamo, è cosa prudente il verificarle confrontando i fatti. Se, per esempio, si viene a conoscere che la contemplazione infusa è abbastanza rara, si metterà qualche restrizione alla tesi sostenuta da alcune scuole, che tutti sono chiamati ai più alti gradi di contemplazione 27-1.

28.   3° Unione dei due metodi. A) Bisogna dunque saper combinare insieme i due metodi.

È quello veramente che fanno in generale gli autori, con questa differenza però che gli uni s’appoggiano di più sui fatti e gli altri sui principi 28-1. Noi cercheremo di tenere la via di mezzo, senza la pretensione di riuscirvi. a) I principi di teologia mistica che i grandi maestri dedussero dalle vertà rivelate ci aiuteranno a meglio osservare i fatti, ad analizzarli in modo più compìto, a ordinarli in modo più metodico, a interpretarli più saviamente; non dimenticheremo infatti che i mistici descrivono le loro impressioni, senza volerne, almeno il più delle volte, interpretare la natura. I principi ci aiuteranno pure a ricercare la causa dei fatti, tenendo conto delle verità già conosciute, e a coordinarli in modo da farne una vera scienza.

b) D’altra parte lo studio dei fatti ascetici e mistici correggerà ciò che vi sarebbe di troppo rigido e di troppo assoluto nelle conclusioni puramente dialettiche; non vi può infatto essere opposizione assoluta tra i principii e i fatti; se dunque l’esperienza mostra che il numero dei mistici è ristretto, non bisogna affrettarsi a conchiudere che ciò dipende unicamente dalla resistenza alla grazia. Ed è pure utile il chiedersi perchè nelle cause di canonizzazione si giudica della santità molto più dalla pratica delle virtù eroiche che dal genere d’orazione o di contemplazione; questi fatti potranno di fatto dimostrare che il grado di santità non è sempre e necessariamente in relazione col genere e col grado d’orazione.

29.   BCome fondere insieme i due metodi? a) Bisogna anzitutto studiare il dato rivelato quale ci è somministrato dalla Scrittura e dalla Tradizione, compresovi il magistero ordinario della Chiesa; e, con l’aiuto di questo dato, determinare, col metodo deduttivo, che cos’è la vita e la perfezione cristiana, quali i suoi vari gradi, quale il cammino progressivo generalmente tenuto per arrivare alla contemplazione, passando per la mortificazione e la pratica delle virtù morali e teologali; in che consiste questa contemplazione, sia nei suoi elementi essenziali, sia nei fenomeni straodinari che qualche volta l’accompagnano.

30.   b) A questo studio dottrinale bisogna aggiungere il metodo d’osservazione: 1) esaminare con cura le anime, le loro qualità e i loro difetti, la loro fisionomia speciale, le loro inclinazioni e le loro ripugnanze, i movimenti della natura e della grazia che in loro si producono; queste conoscenze psicologiche daranno modo di determinar meglio i mezzi di perfezione che meglio loro convengono, le virtù di cui hanno maggior bisogno e verso le quali la grazia le inclina, la loro corrispondenza a questa grazia, gli ostacoli che incontrano e i mezzi che riescono meglio per trionfarne. 2) Per allargare il campo della propria esperienza, si leggeranno attentamente le vite dei Santi, quelle specialmente che, senza dissimularne i difetti, mostrano il modo progressivo con cui li combatterono, come e con quali mezzi praticarono le virtù, se e come passarono dalla vita ascetica alla vita mistica e sotto quali influenze. 3) Nella vita dei contemplativi si dovranno pure studiare i vari fenomeni della contemplazione, dai primi incerti bagliori fino alle più alte vette, gli effetti di santità prodotti da queste grazie, le prove a cui furono sottoposti, le virtù che praticarono. Tutto ciò servirà a compiere e talora a rettificare le conoscenza teoriche che si erano acquistate.

31.   c) Con l’aiuto dei principii teologici e dei fenomeni mistici ben studiati e ben classificati, si potrà più facilmente risalire alla natura della contemplazione, alle sue cause, alle sue specie, e distinguere ciò che v’è in essa di normale e di straordinario. 1) Si cercherà in quale misura i doni dello Spirito Santo sono i principii formali della contemplazione e come bisogna coltivarli per mettersi nelle disposizioni interiori favorevoli alla contemplazione. 2) Si esaminerà se i fenomeni debitamente accertati si spiegano tutti coi doni dello Spirito Santo, se qualcuno non suppone specie infuse, e come esse operino nell’anima; oppure se è l’amore che produce questi stati spirituali senza nuove cognizioni. 3) Si potrà allora veder meglio in che consiste lo stato passivo, in quale misura l’anima vi resta attiva, la parte di Dio e quella dell’anima nella contemplazione infusa; ciò che in questo stato è ordinario e ciò che diviene straordinario e preternaturale. Così si potrà studiar meglio il problema della vocazione allo stato mistico e del numero più o meno grande dei veri contemplativi.

Procedendo così, avremo maggior probabilità d’arrivare alla verità e a conclusioni pratiche per la direzione delle anime; e uno studio di questo genere diventerà non meno attraente che santificante.

32.   4° Con quale spirito si deve seguir questo metodo? Qualunque sia il metodo usato, è necessario studiare questi difficili problemi con molta calma e ponderazione, allo scopo di conoscere la verità, e non di far trionfare ad ogni costo il sistema da noi preferito.

a) Bisogna quindi rilevare e mettere in luce ciò che è certo o comunemente ammesso, e riporre in un secondo piano ciò che è controverso. La direzione da dare alle anime non dipende dalle questioni controverse, ma dalle dottrine comunemente ricevute. Vi è unanimità in tutte le scuole nel riconoscere che la rinunzia e la carità, il sacrifizio e l’amore sono necessari a tutte le anime e in tutte le vie, e che l’armonica combinazione di questo doppio elemento dipende molto dal carattere delle persone dirette. Tutti ammettono che bisogna sempre praticare lo spirito di penitenza, benchè prenda forme diverse, secondo i diversi gradi di perfezione; che bisogna praticare le virtù morali e teologali in modo sempre più perfetto per giungere alla via unitiva; e che i doni dello Spirito Santo, coltivati con cura, danno all’anima nostra una pieghevolezza che la rende più docile alle ispirazioni della grazia e la preparono, se Dio ve la chiama, alla contemplazione. Si è anche d’accordo su questo punto importante che la contemplazione infusa è essenzialmente gratuita e che Dio la dà a chi vuole e quando vuole; e che quindi nessuno può mettersi da sè stesso nello stato passivo e che i segni d’una vocazione prossima a questo stato sono quello così ben descritti da S. Giovanni della Croce. E quando le anime giungono alla contemplazione, devono, per comun consenso, progredire nella perfetta conformità alla volontà di Dio, nel santo abbandono e soprattutto nell’umiltà, virtù costantemente raccomandata da S. Teresa.

Si possono dunque dirigere prudentemente le anima, anche quelle chiamate alla contemplazione, senza aver sciolto tutte le questioni controverse che gli autori contemporanei stanno ancora discutendo.

33.   b) Ci sembra così che, se si affrontano questi problemi con spirito conciliativo, cercando ciò che ci avvicina anzichè ciò che ci divide, si arriverà, se non a sopprimerle, certo ad addolcire queste controversie, ad attenuarle, a vedere l’anima di verità che ogni sistema contiene. Ecco ciò che si può fare quaggiù: bisogna sapere attendere i lumi della visione beatifica per risolvere un certo numero di problemi difficili.

§ IV. Eccellenza e necessità della Teologia ascetica.

Il poco che abbiamo detto sulla natura, sulle fonti e sul metodo della Teologia ascetica, ce ne lascia già intravedere l’eccellenza e la necessità.

I. ECCELLENZA DELLA TEOLOGIA ASCETICA.

34.   L’eccellenza deriva dal suo oggetto che è uno dei più nobili che si possano studiare. Egli è infatto una partecipazione della vita divina comunicata all’anima e da lei coltivata con infaticabile ardore. Se analizziamo questo concetto, vedremo quanto questo ramo della teologia sia degno della nostra attenzione.

1° Vi studiamo prima di tutto Dio nelle sue più intime relazioni con l’anima: la SS. Trinità che abita e vive in noi e ci comunica una partecipazione della sua vita, che collabora alle nostre opere buone, aiutandoci così ad aumentare continuamente in noi questa vita soprannaturale, a purificare l’anima nostra, ad abbellirla con la pratica delle virtù, a trasformarla finchè sia matura per la visione beatifica. Si può forse immaginare cosa più grande e più eccellente di questa azione di Dio che trasforma le anime per unirle a sè e assimilarsele in modo così perfetto?

2° Vi studiamo poi l’anima stessa che, nella sua collaborazione con Dio, si viene a poco a poco liberando dai difetti e dalle imperfezioni, che coltiva le virtù cristiane, che si sforza d’imitare le virtù del suo divino Modello non ostante gli ostacoli interni ed esterni, che coltiva i doni dello Spirito Santo e acquista una mirabile pieghevolezza per obbedire ai minimi tocchi della grazia e che s’avvicina così ogni giorno più al Padre celeste. Se oggi le questioni che hanno relazione con la vita si considerano come le più degne d’attirare la nostra attenzione, che dobbiamo dire di una scienza che tratta della vita soprannaturale, della partecipazione alla vita stessa di Dio, che ne descrive le origini, i progressi e la piena espansione nel cielo? Vi è forse oggetto più nobile per i nostri studi? Ve n’è forse di più necessario?

II. NECESSITÀ DELLA TEOLOGIA ASCETICA.

Per essere più precisi in materia così delicata, ne esporremo:

▪   1° la necessità pel sacerdote;

▪   2° la grandissima utilità per i laici;

▪   3° la maniera pratica di studiarla.

1° Necessità pel Sacerdote.

35.   Il sacerdote deve santificare se stesso e santificare i suoi fratelli, e per questo doppio rispetto è obbligato a studiare la scienza dei santi.

A) Il sacerdote, come dimostreremo più innanzi con S. Tommaso, è obbligato non solamente a tendere alla perfezione ma a possederla in un grado più elevato del semplice religioso. Ora la conoscenza della vita cristiana e dei mezzi che contribuiscono a perfezionarla, è normalmente necessaria per giungere alla perfezione: nil volitum quin præcognitum.

a) La conoscenza accende e stimola il desiderio. Sapere che cos’è la santità, la sua eccellenza, l’obbligo di tendervi, i suoi mirabili effetti nell’anima, la sua fecondità, è già un desiderarla. La conoscenza d’un bene tende a farcelo desiderare; non si può lungamente e attentamente contemplare un frutto delizioso senza che nasca il desiderio di gustarlo. Ora il desiderio, principalmente quando è ardente e prolungato, è già un principio d’azione: mette in moto la volontà e la spinge verso il conseguimento del bene percepito dall’intelligenza, le dà slancio ed energia per raggiungerlo, e ne sostiene gli sforzi per conquistarlo; il che è tanto più necessario in quanto che molti ostacoli s’oppongono al nostro progresso spirituale.

b) La considerazione particolare delle numerose tappe da percorrere per giungere alla perfezione, gli sforzi perseveranti fatti dai santi per trionfare delle difficoltà e avanzare continuamente verso il fine desiderato, infiamma i cuori, sostiene l’ardore in mezzo alla lotta, impedisce il rilassamento e la tiepidezza, tanto più se si considerano nello stesso tempo gli aiuti e le consolazioni che Dio tiene preparate alle anime di buona volontà.

c) Questo studio è tanto più necessario ai nostri giorni: “Viviamo infatti in un’atmosfera di dissipazione, di razionalismo, di naturalismo, di sensualismo che si insinua, anche a loro insaputa, in una moltitudine di anime cristiane, e che invade financo il santuario 35-1”. I due o tre anni passati in caserma inducono i giovani chierici, specialmente quelli che non ricevettero in famiglia una educazione profondamente cristiana, a partecipare a questo tristo spirito. Ora qual è il mezzo migliore per reagire contro queste funeste tendenze del nostro tempo, se non il vivere in compagnia di Nostro Signore e dei Santi con lo studio metodico e continuato dei principii di spiritualità, che sono in opposizione diretta con la triplice concupiscenza?

36.   BPer la santificazione delle anime che gli sono affidate. a) Anche quando si tratta di peccatori, il sacerdote ha bisogno di conoscere l’Ascetica per insegnar loro il modo di evitare le occasioni di peccato, combattere le passioni, resistere alle tentazioni, praticare le virtù contrarie ai vizi che si debbono fuggire. È vero che la teologia morale suggerisce già brevemente queste cose, ma l’Ascetica le sintetizza e le sviluppa.

b) E poi vi sono in quasi tutte le parocchie delle anime elette che Dio chiama alla perfezione, e che, se sono ben dirette, aiuteranno il sacerdote nell’esercizio dell’apostolato con le loro preghiere, con i loro esempi, e con mille piccole industrie. In ogni caso se ne possono formare alcune tra i giovinetti del catechismo e del patronato. Ora per riuscire in quest’opera così importante, è necessario che il sacerdote sia un buon direttore, che possegga le regole tracciate dai santi e contenute nei libri di spiritualità; altrimenti non si ha nè il gusto nè la capacità richiesta per l’arte così difficile di formare le anime.

37.   c) A più forte ragione lo studio delle vie spirituali è necessario per la direzione delle anime ferventi chiamate alla santità, e che talora s’incontrano anche nei più piccoli villaggi. Per guidarle sino all’orazione di semplicità e alla contemplazione ordinaria, bisogna conoscere non solamente l’Ascetica ma anche la Mistica sotto pena di smarrirsi e di ostacolare il progresso di queste persone. L’osservava già S. Teresa: “Per questo è necessarissimo un direttore, ma è a desiderare che abbia esperienza… La mia opinione è e sarà sempre che ogni cristiano deve, potendolo, conferire con uomini dotti; e quanto più dotti saranno, tanto meglio. Coloro che camminano per le vie dell’orazione ne hanno più bisogno degli altri; e ciò tanto più quanto più saranno spirituali… Ciò di cui io sono persuasissima è che il demonio non riuscirà mai con i suoi artifizi a sedurre una persona d’orazione che consulta i teologi, tranne che non voglia ingannarsi da sè stessa. Secondo me, il demonio paventa grandemente la scienza umile e virtuosa, perchè sa che ne sarà smascherato e che dovrà ritirarsi sconfitto” 37-1. Lo stesso linguaggio tiene S. Giovanni della Croce: “Siffatti maestri spirituali (che ignorano le vie mistiche) non comprendono le anime avviate in questa contemplazione quieta e solitaria… le costringono a riprendere il cammino della meditazione e del lavoro della memoria, a fare atti interni in cui queste anime non trovano che aridità e distrazione… Che si sappia bene: colui che s’inganna per la sua ignoranza, quando il suo ministero gli impone il dovere d’acquistare le cognizioni necessarie, non sfuggirà al castigo, che sarà proporzionato al male prodotto” 37-2.

Nè si dica: Se io incontrerò di queste anime, le abbandonerò allo Spirito Santo perchè le guidi Lui. — Lo Spirito Santo vi risponderebbe che egli le ha affidate a voi e che voi dovete lavorare con Lui alla loro direzione. Egli può certamente dirigerle da sè; ma per evitare ogni pericolo d’illusione, vuole che questa direzione sia sottoposta all’approvazione d’un direttore visibile.

2° Utilità per i laici.

38.   Diciamo utilità e non necessità; perchè i laici possono lasciarsi guidare da un direttore istruito e sperimentato, e non sono quindi assolutamente obbligati a studiare la Teologia ascetica. Tuttavia questo studio sarà loro utilissimo per tre ragioni principali:– a) Per stimolare e tener vivo il desiderio della perfezione, come anche per dar loro una certa conoscenza della natura della vita cristiana e dei mezzi che ci aiutano a perfezionarla. Non si desidera ciò che non si conosce, ignoti nulla cupido, mentre che la lettura dei libri spirituali eccita o aumenta il desiderio sincero di praticare ciò che si è letto. Quante anime, per esempio, si sono slanciate con ardore verso la perfezione, leggendo l’Imitazione, il Combattimento spirituale, l’Introduzione alla vita devota, la Pratica di amar Gesù Cristo?

b) E anche quando si abbia una guida spirituale, la lettura d’una buona Teologia ascetica facilità e compie la direzione. Si sa meglio ciò che bisogna dire nella confessione o nella direzione; si capiscono e si ritengono meglio i consigli del direttore, quando si ritrovano in un libro che si può rileggere. Il direttore, dal canto suo, si vede dispensato dall’entrare in numerosi particolari, e si contenta, dopo alcuni avvisi sostanziali, di far leggere qualche trattato ove il diretto troverà gli schiarimenti e i compimenti necessari. Così la direzione potrà diventar più breve senza nulla perdere dei suoi vantaggi, perchè il libro continuerà e compirà l’azione del direttore.

c) Finalmente la lettura d’un trattato di vita spirituale potrà supplire, fino a un certo punto, la direzione che non si potesse ricevere per mancanza di guida spirituale o che si ricevesse raramente. La direzione, come diremo appresso, è certamente il mezzo normale per formarsi alla perfezione; quando però, per una ragione o per un’altra, non si può trovare un buon direttore, il Signore vi supplisce, e uno dei mezzi di cui si serve è appunto qualcuno di quei libri che, in modo preciso e metodico, tracciano la via da tenere per diventar perfetti.

3° Modo di studiare questa scienza.

39.   Per acquistare la scienza necessaria alla direzione delle anime si richiedono tre condizioni: un Manuale, la lettura dei grandi maestri, la pratica.

ALo studio d’un Manuale. Le letture spirituali che si fanno in un seminario, la pratica della direzione, e specialmente l’acquisto progressivo delle virtù aiutano certamente molto il seminarista a formarsi alla direzione delle anime. Ma pure ci vuole anche lo studio d’un buon Manuale. 1) Le letture spirituali sono anzitutto un esercizio di pietà, una serie d’istruzioni, di consigli e d’esortazioni sulla vita spirituale, ed è ben raro che vi si trattino in modo metodico e completo tutte le questioni di spiritualità. 2) In ogni caso, se i seminaristi non hanno un Manuale, a cui possano logicamente riferire i vari consigli che lor si danno, e che possano rileggere di quando in quando, presto dimenticheranno ciò che hanno inteso e mancheranno della competente scienza. Ora questa scienza è una di quelle che il giovane clero deve acquistare in Seminario, come ben disse Pio X: “Scientiam pietatis et officiorum quam asceticam vocant“. 39-1

40.   BLo studio approfondito dei Maestri spirituali, specialmente degli autori canonizzati, o di quelli, che senza essere tali, sono vissuti da santi. a) Al loro contatto, infatti, il cuore si riscalda, l’intelligenza, illuminata dalla fede, percepisce più chiaramente e gusta meglio che in un libro didattico i grandi principii della vita spirituale, e la volontà, sorretta dalla grazia, è stimolata alla pratica delle virtù così vivamente descritte da coloro che vi si sono valorosamente esercitati. Aggiungendovi la lettura delle vite dei santi, si capirà anche meglio perchè e come si devono imitare, e l’irresistibile efficacia dei loro esempi darà nuova forza ai loro insegnamenti: “Verba movent, exempla trahunt“.

b) Questo studio, cominciato in Seminario, dovrà continuare e perfezionarsi nel ministero: la direzione delle anime lo renderà più pratico; come un buon medico non cessa di perfezionare i suoi studi con la pratica dell’arte e l’arte con nuovi studi, così un savio direttore darà compimento alle sue cognizioni teoriche con la direzione delle anime, e all’arte della direzione con nuovi studi riguardanti i bisogni speciali delle anime a lui affidate.

41.   CLa pratica delle virtù cristiane e sacerdotali sono sotto il savio stimolo d’un direttore. Per ben capire la varie tappe della perfezione, non c’è mezzo più efficace che percorrerle da sè stesso; infatti, la miglior guida attraverso le montagne non è forse colui che le ha percorse egli stesso in tutti i sensi? E quando si è stati ben diretti, si è, a parità di condizioni, più atti a dirigere gli altri, perchè si è visto per esperienza come si applicano le regole nei casi particolari.

Combinando queste tre condizioni, si studierà la Teologia ascetica con molto profitto per sè e per gli altri.

42.   Soluzione di alcune difficoltà. A) Si rimprovera talvolta all’Ascetica di falsare le coscienze, mostrandosi molto più esigente della Morale e chiedendo alle anime una perfezione inattuabile. Questo rimprovero sarebbe fondato se essa non distinguesse tra precetto e consiglio, tra le anime chiamate ad un’alta perfezione e quelle che non lo sono. Ora non è così: pur spingendo le anime elette verso altezze inaccessibili ai cristiani ordinari, non dimentica la differenza che passa tra precetto e consiglio, tra le condizioni essenziali per salvarsi e quelle che sono richieste per la perfezione; ma sa pure che, per osservar bene i comandamenti, bisogna osservare pure alcuni consigli.

43.   B) Viene accusata di favorire l’egoismo, a tutto anteponendo la propria santificazione. — Ma Nostro Signore stesso c’insegna che la salvezza dell’anima nostra dev’essere il nostro primo pensiero: Quid enim prodest homini si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? 43-1 Nulla v’è d’egoistico in questo; perchè una delle condizioni essenziali per salvarsi è la carità verso il prossimo, la quale si manifesta tanto con le opere corporali quanto con le spirituali; e la perfezione vuole che si ami il prossimo al punto da sacrificarsi per lui, come fece Gesù per noi. Se questo è egoismo, è un egoismo poco temibile.

C) Si insiste: l’Ascetica spinge le anime alla contemplazione e quindi le distoglie dalla vita attiva. — Bisogna assolutamente ignorare la storia, per affermare che la contemplazione nuoce all’azione: “I veri mistici, dice il signor De Montmorand 43-2, sono persone di pratica e di azione, non di ragionamento e di teoria. Hanno il senso dell’organizzazione, il dono del comando, e si palesano pieni di ottime doti per gli affari. Le opere che essi fondano sono vitali e durevoli; nella concezione e nella direzione delle loro imprese, danno prova di prudenza e di arditezza, e di quella giusta stima delle possibilità che costituisce il buon senso. Difatti sembra appunto che il buon senso sia la loro dote principale: un buon senso che non è turbato da alcuna esaltazione morbosa nè da alcuna immaginazione disordinata, al quale s’aggiunge anzi una rara potenza di discernimento.” Non abbiamo forse visto, leggendo la storia della Chiesa, che la maggior parte dei santi che hanno scritto intorno alla vita spirituale erano nello stesso tempo uomini di scienza e d’azione? Ne sono prova: Clemente Alessandrino, S. Basilio, S. Grisostomo, [sic] S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio, S. Anselmo, S. Bernardo, il B. Alberto Magno, San Tommaso, S. Bonaventura, Gersone, S. Teresa, S. Francesco di Sales, S. Vincenzo de Paoli, il Card. di Bérulle, la Signora Acarie, e tanti altri che sarebbe troppo lungo enumerare. La contemplazione non soltanto non è di ostacolo all’azione, ma la illumina anzi e la dirige.

Nulla dunque è più nobile, più importante, più utile della Teologia ascetica ben compresa.

§ V. Divisione della Teologia ascetica e mistica

I. DISEGNI VARI SEGUITI DAGLI AUTORI.

Dopo di avere indicati i vari disegni da altri adottati, proporremo quello che ci sembra il più adatto al nostro scopo. Vi sono vari aspetti secondo cui si può tracciare una divisione logica della scienza spirituale.

44.   1° Gli uni, considerandola come scienza pratica, lasciano da parte tutte le verità speculative su cui si fonda, restringendosi a coordinare, quanto più metodicamente è possibile, le regole della perfezione cristiana; tali furono tra i Padri, G. Cassiano nelle sue Conferenze, S. Giovanni Climaco nella sua Scala Mistica; e, nei tempi moderni, il Rodriguez nella “Pratica della Perfezione cristiana“. Il vantaggio di questo metodo è d’entrare immediatamente nello studio dei mezzi pratici che conducono alla perfezione. L’inconveniente è di non proporre alle anime gli stimoli che ci dà la considerazione di ciò che hanno fatto e fanno per noi Dio e Gesù Cristo, e di non fondare la pratica delle virtù su quelle convinzioni profonde e generali che si trovano nella meditazione delle verità dogmatiche.

45.   2° Quindi è che i più illustri Padri greci e latini, come S. Atanasio e S. Cirillo, S. Agostino e S. Ilario, i grandi teologi del Medio-Evo, come Riccardo da S. Vittore, il B. Alberto Magno, San Tommaso e S. Bonaventura, badano a fondare la loro dottrina spirituale sui dommi di fede e di riferirvi le virtù di cui espongono la natura e i gradi. Questo fece specialmente la Scuola francese del secolo XVII, con Bérulle, Condren, Olier, G. Eudes 45-1. Il suo merito sta nell’illuminare la mente e fortificare le convinzioni per far meglio praticare le austere virtù che ci propone. Le si rimprovera talora di allargarsi un poco troppo nella speculativa e badare troppo poco alla pratica; la perfezione quindi starebbe nell’unire queste due cose, ciò che molti hanno già tentato con buon esito 45-2.

46.   3° Tra quelli che si studiano di conciliare questi due elementi essenziali, alcuni seguono l’ordine ontologico delle virtù, mentre altri seguono l’ordine psicologico dello sviluppo delle stesse virtù per le tre vie, purgativa, illuminativa e unitiva.

A) Tra i primi sta S. Tommaso che, nella Somma, tratta per ordine delle virtù teologali e morali e dei doni dello Spirito Santo da lui collegati con ciascuna virtù. Fu seguito dai principali autori della Scuola francese del secolo XVII e da altri scrittori 46-1.

B) Tra i secondi stanno tutti coloro che, volendo formare dei direttori spirituali, ordinatamente descrissero le ascensioni dell’anima per le tre vie, mettendo solamente, in capo ai loro trattati, una breve introduzione sulla natura della vita spirituale; tali sono Tommaso da Vallgornera, O. P. Mystica Theologia Divi Thomae, Filippo della SS. Trinità, C. D. Summa Theologiæ, Scaramelli, S. I. Direttorio Ascetico, e ai nostri giorni A. Sandreau, Les degrés de la vie spirituelle.

47.   4° Altri infine, come il P. Alvarez de Paz S. I. e il P. Le Gaudier S. I. conciliano insieme i due metodi; pur esponendo in disteso e dommaticamente ciò che concerne la natura della vita spirituale e i principali mezzi di perfezione, vengono poi ad applicare questi principii generali alle tre vie. A noi pare che, per raggiungere il fine propostoci, che è di formare dei direttori di anime, questa sia la divisione migliore. È vero che, seguendo un tal disegno, si cade in qualche ripetizione e si è costretti a spezzettar la materia, ma sono inconvenienti inevitabili in qualsiasi divisione e ai quali del resto si può rimediare con rinvii agli argomenti già trattati o da trattare.

II. IL NOSTRO DISEGNO.

48.   Divideremo la nostra teologia ascetica in due parti.

Nella prima, che sarà principalmente dottrinale e che intitoleremo I PRINCIPII, esporremo l’origine e la natura della vita cristiana, la perfezione di questa vita, l’obbligo di tendere a questa perfezione e i mezzi generali per arrivarvi.

Nella seconda, che sarà l’APPLICAZIONE DEI PRINCIPII alle varie categorie di anime, seguiremo le ascensioni progressive di un’anima che, animata dal desiderio della perfezione, percorre ordinatamente le tre vie, purgativa, illuminativa e unitiva. Questa seconda parte, pur appoggiandosi sulla dottrina, sarà principalmente psicologica.

La prima parte illuminerà il nostro cammino mostrandoci il divino disegno della nostra santificazione, stimolerà i nostri sforzi, ricordandoci la generosità di Dio verso di noi, e ci traccerà le grandi linee da seguire per corrispondere a questa generosità col dono totale di noi stessi. La seconda guiderà i nostri passi esponendo in particolare le tappe progressive da percorrere, con l’aiuto di Dio, per arrivare al fine. Così, a nostro avviso, si troveranno riuniti e conciliati i vantaggi delle altre divisioni.

PRIMA PARTE I Principii

SCOPO E DIVISIONE DELLA PRIMA PARTE.

49.   Questa prima parte ha lo scopo di richiamare brevemente i dommi principali su cui poggia la nostra vita soprannaturale, di esporre la natura e la perfezione di questa vita e i mezzi generali che conducono alla perfezione.

In questa seguiamo l’ordine ontologico, riserbando di indicare nella seconda parte l’ordine psicologico tenuto ordinariamente dalle anime nell’uso di questi vari mezzi.

▪   Cap. I. Le origini della vita soprannaturale: elevazione dell’uomo allo stato soprannaturale, caduta e redenzione.

▪   Cap. II. Natura della vita cristiana: la parte di Dio e la parte dell’anima.

▪   Cap. III. Perfezione di questa vita: l’amore di Dio e del prossimo spinto fino al sacrifizio.

▪   Cap. IV. Obbligo di tendere a questa perfezione pei laici, pei religiosi, pei sacerdoti.

▪   Cap. V. Mezzi generali, interni ed esterni, per conseguire questa perfezione.

50.   Abbastanza chiara è la ragione di questa divisione. Il primo capitolo, richiamando le origini della vita soprannaturale, ci aiuta a meglio intenderne la natura e l’eccellenza.

Il secondo espone la natura della vita cristiana nell’uomo rigenerato; la parte che vi ha Dio col darsi a noi in se stesso sia per mezzo del suo Figlio; e coll’assisterci per mezzo della SS. Vergine e dei Santi; e la parte che vi ha l’uomo col darsi a Dio per mezzo di una generosa e costante cooperazione alla grazia.

Il terzo mostra che la perfezione di questa vita consiste essenzialmente nell’amor di Dio e del prossimo per Dio; ma che questo amore non può sulla terra praticarsi senza generosi sacrifizi.

Nel quarto si determina l’obbligo di tendere a questa perfezione, e ciò a cui sono tenuti i laici, i religiosi e i sacerdoti.

Non resta quindi altro se non fissare in un quinto capitolo i mezzi generali che ci aiutano ad avvicinarci alla perfezione; mezzi comuni a tutti, ma in gradi diversi che verranno indicati dalla seconda parte trattando delle tre vie.

CAPITOLO I.

Le origini della vita soprannaturale.

51.   Questo capitolo ha per iscopo di farci meglio conoscere ciò che vi è di gratuito e d’eccellente nella vita soprannaturale, come pure le grandezze e le debolezze dell’uomo a cui questa vita è conferita. Per meglio intenderlo, vediamo:

▪   I. Che cosa è la vita naturale dell’uomo;

▪   II. La sua elevazione allo stato soprannaturale;

▪   III. La sua caduta;

▪   IV. La sua restaurazione per opera del divin Redentore.

ART. I. DELLA VITA NATURALE DELL’UOMO.

52.   Si tratta qui di descrivere l’uomo quale sarebbe stato nello stato di semplice natura e quale viene dipinto dai filosofi.

Poichè la nostra vita soprannaturale s’innesta sulla nostra vita naturale e la conserva perfezionandola, è necessario richiamare brevemente ciò che su questo punto la retta ragione c’insegna.

1° L’uomo è un composto misterioso di corpo e di anima, di materia e di spirito che in lui intimamente s’uniscono per formare un’unica natura e un’unica persona. L’uomo dunque è, per così dire, il punto di congiunzione, il vincolo che unisce gli spiriti e i corpi; un compendio delle meraviglie della creazione, un piccolo mondo che concentra tutti i mondi, μιχρóχοσμος, e che manifesta la sapienza divina, la quale ha saputo riunire due esseri così disparati.

53.   È un mondo pieno di vita: secondo l’osservazione di S. Gregorio Magno, vi si distinguono tre vite, la vita vegetativa, la vita animale e la vita intellettiva: “Homo habet vivere cum plantis, sentire cum animantibus, intelligere cum angelis.” 53-1 Come la pianta, l’uomo si nutrisce, cresce e si riproduce; come l’animale, conosce gli oggetti sensibili e tende ad essi col suo appetito sensitivo, con le sue emozioni e le sue passioni, e si muove di moto spontaneo; come l’angelo, ma in grado minore e in modo diverso, conosce intellettualmente l’essere soprasensibile, il vero, e la sua volontà tende liberamente al bene razionale.

54.   2° Queste tre vite non si sovrappongono, ma si compenetrano, si coordinano e si subordinano, per concorrere ad un medesimo fine: la perfezione di tutto l’essere. È legge razionale insieme e biologica che, in ogni essere composto, la vita non può conservarsi e svilupparsi se non a patto di coordinare e quindi di subordinare i suoi vari elementi all’elemento principale e di asservirli per servirsene. Nell’uomo quindi le facoltà inferiori, vegetative e sensitive, devono essere sottomesse alla ragione e alla volontà. Questa condizione è assoluta: nella misura che manca, la vita s’affievolisce e scompare; infatti quando cessa la subordinazione, la dissociazione degli elementi incomincia, e si ha l’indebolimento del sistema e finalmente la morte. 54-1

55.   3° La vita è dunque una lotta; perchè le facoltà inferiori tendono con ardore al piacere, mentre le facoltà superiori tendono al bene onesto. Ora tra queste facoltà vi è spesso conflitto: ciò che ci piace, ciò che ci è o almeno ci sembra utile, non è sempre moralmente buono; è necessario quindi che la ragione, per far regnare l’ordine, combatta le tendenze contrarie e ne trionfi; ed ecco la lotta dello spirito contro la carne, della volontà contro la passione. Questa lotta è talora penosa; come in primavera sale la linfa negli alberi, così vi sono talora nella parte sensitiva dell’anima spinte violente verso il piacere sensibile.

56.   Ma non sono irresistibili; la volontà, aiutata dall’intelletto, esercita su questi movimenti passionali un quadruplice potere: 1) potere di previdenza, che consiste nel prevedere e nel prevenire, con una saggia e costante vigilanza, molte immaginazioni, impressioni ed emozioni pericolose; 2) un potere d’inibizione e di moderazione, col quale noi infreniamo o almeno moderiamo i moti violenti che ci si sollevano nell’anima; così io posso impedire ai miei occhi di fissarsi su un oggetto pericoloso, alla mia immaginazione di trattenere immagini cattive; e se sorge in me moto di collera, io posso moderarlo; 3) un potere di stimolo, che eccita o intensifica per mezzo della volontà i movimenti passionali; 4) un potere di direzione, che ci rende capaci di dirigere questi movimenti verso il bene e quindi di distoglierli anche dal male.

57.   Oltre a queste lotte intestine, ce ne possono essere altre tra l’anima e il suo Creatore. Vediamo certamente con la retta ragione che siamo obbligati a pienamente assoggettarci a Colui che è nostro supremo Padrone. Ma questa obbedienza ci costa; c’è in noi una certa sete d’indipendenza e d’autonomia che ci inclina a sottrarci all’autorità divina; è l’orgoglio, di cui non si trionfa che con l’umile confessione della propria indegnità e della propria impotenza, riconoscendo i diritti imprescrittibili del Creatore sulla sua creatura.

Così dunque, nello stato di natura, noi avremmo dovuto lottare contro la triplice concupiscenza.

58.   4° Quando l’uomo, invece di cedere alle cattive tendenze, fa il suo dovere, può a buon diritto aspettarsi una ricompensa, che sarà per la sua anima immortale una conoscenza più ampia e più profonda della verità e di Dio, sempre però conforme alla sua natura, cioè a dire analitica o discorsiva, e un amore più puro e più durevole. Se invece viola liberamente la legge in materia grave e non si pente prima di morire, non consegue il suo fine e merita un castigo, che sarà la privazione di Dio accompagnata da tormenti, proporzionati alla gravità delle sue colpe.

Tale sarebbe stato l’uomo nel cosidetto stato di natura pura, che del resto non è mai esistito; essendo stato l’uomo elevato allo stato soprannaturale, o al momento della sua creazione, come dice S. Tommaso, o immediatamente dopo, come dice S. Bonaventura.

Dio, nella infinita sua bontà, non si contentò di conferire all’uomo i doni naturali; ma volle elevarlo ad uno stato superiore, conferendogli doni preternaturali e soprannaturali.

ART. II. ELEVAZIONE DELL’UOMO ALLO STATO SOPRANNATURALE. 59-1

I. Nozione del soprannaturale.

59.   Richiamiamo che in teologia si distinguono due specie di soprannaturale: il soprannaturale assoluto, per essenza, quoad substantiam, e il soprannaturale relativo, quanto al modo, quoad modum.

1° Il soprannaturale per essenza è un dono divino fatto alla creatura intelligente, e che supera assolutamente tutta la sua natura, in questo senso che non può essere da lei prodotto e neppur da lei postulato, richiesto, meritato, cosicchè non solo supera ogni sua capacità attiva ma anche tutti i suoi diritti e tutte le sue esigenze. È qualche cosa di finito, perchè è un dono fatto alla creatura; ma è nello stesso tempo qualche cosa di divino, perchè solo il divino può superare le esigenze di ogni creatura. È però un divino comunicato e partecipato in modo finito e così evitiamo il panteismo. Non ci sono veramente che due sole forme di soprannaturale per essenza: l’Incarnazione e la grazia santificante.

A) Nel primo caso, Dio si unisce all’umanità nella persona del Verbo, in modo che la natura umana di Gesù ha per soggetto personale la seconda persona della SS. Trinità, senza alcuna alterazione come natura umana; cosicchè Gesù, uomo per la sua natura umana, è anche veramente Dio quanto alla sua persona. Abbiamo qui un’unione sostanziale, che non fonde due nature in una sola, ma le unisce, conservandone l’integrità, in una sola persona, la persona del Verbo; è quindi un’unione personale o ipostatica. È questo il più alto grado del soprannaturale quoad substantiam.

B) La grazia santificante è un grado minore di questo stesso soprannaturale. Con lei infatti l’uomo serba la personalità ma viene divinamente, benchè accidentalmente, modificato nella natura e nella capacità operativa; non diventa Dio, ma deiforme, cioè simile a Dio, divinæ consors naturæ, capace di afferrar direttamente Dio nella visione beatifica, quando la grazia sarà trasformata in gloria, e di vederlo faccia a faccia, come Dio vede se stesso; privilegio che supera evidentemente le esigenze delle creature anche più perfette, poichè ci fa partecipare alla vita intellettuale di Dio e alla sua natura.

60.   2° Il soprannaturale relativo, quanto al modo, è in sè qualche cosa che non supera la capacità o le esigenze di ogni creatura, ma solamente di qualche natura particolare. Tale è la scienza infusa, che supera la capacità dell’uomo ma non quella dell’angelo.

Dio comunicò all’uomo queste due forme di soprannaturale: conferì infatti ai nostri progenitori il dono di integrità, (soprannaturale quoad modum) che, perfezionandone la natura, la disponeva a ricevere la grazia, e nello stesso tempo conferì loro la grazia stessa, dono soprannaturale quoad substantiam: il complesso di questi due doni costituisce quella che si chiama giustizia originale.

II. Doni preternaturali conferiti ad Adamo.

61.   Il dono di integrità perfeziona la natura dell’uomo senza elevarla all’ordine divino; è certamente un dono gratuito e preternaturale che supera le sue esigenze e le sue forze; ma non è ancora il soprannaturale per essenza. Comprende tre grandi privilegi, i quali, senza cangiare il fondo della natura umana, le danno una perfezione a cui non avea alcun diritto: la scienza infusa, il dominio delle passioni o l’esenzione dalla concupiscenza, l’immortalità del corpo.

62.   ALa scienza infusa. Per natura noi non vi abbiamo diritto, perchè è privilegio degli angeli; solo progressivamente e con difficoltà noi, secondo le leggi psicologiche, possiamo arrivare alla conquista della scienza. Ora, per facilitare al primo uomo il suo ufficio di capo e di educatore del genere umano, Dio gli diede gratuitamente la scienza infusa di tutte le verità che gli erano necessarie, ed una certa facilità d’acquistare la scienza sperimentale; s’avvicinava così agli angeli.

63.   BIl dominio delle passioni ossia l’esenzione da quella tirannica concupiscenza che rende la virtù così difficile. Abbiamo detto che, per la costituzione stessa dell’uomo, vi è in lui una lotta terribile tra il desiderio sincero del bene e l’appetito disordinato dei piaceri e dei beni sensibili, ed una spiccata tendenza all’orgoglio: tutto quello insomma che noi chiamiamo la triplice concupiscenza. Per rimediare a questo naturale difetto, Dio conferì ai nostri progenitori un certo dominio sulle passioni che, senza renderli impeccabili, agevolava loro la virtù. In Adamo non v’era quella tirannia della concupiscenza che inclina violentemente al male, ma solamente una certa tendenza al piacere, subordinata alla ragione. Essendo la sua volontà sottomessa a Dio, le facoltà inferiori erano sottomesse alla ragione e il corpo all’anima: ordine quindi e rettitudine perfetta.

64.   CL’immortalità corporea. L’uomo è per natura soggetto alla malattia e alla morte; per una provvidenza speciale, fu preservato da questa doppia debolezza, affinchè l’anima potesse così più liberamente attendere all’adempimento dei suoi doveri superiori.

Ma questi privilegi erano destinate a rendere l’uomo più atto a ricevere e trafficare un dono molto più prezioso, intieramente e assolutamente soprannaturale, quello della grazia santificante.

III. I privilegi soprannaturali.

65.   A) Per natura l’uomo è servo di Dio, cosa sua e sua proprietà. Ma per un’insigne bontà, di cui non potremo mai ringraziarlo abbastanza, Dio volle farlo entrare nella sua famiglia, adottarlo per figlio, farne il suo erede presuntivo, riserbandogli un posto nel suo regno; e perchè questa adozione non fosse una semplice formalità, gli conferì una partecipazione della sua vita divina, una qualità creata, è vero, ma reale, che gli fa godere sulla terra i lumi della fede, molto superiori a quelli della ragione, e possedere un giorno Dio nel cielo con la visione beatifica e un amore proporzionato alla chiarezza di questa visione.

66.   B) A questa grazia abituale, che perfezionava e divinizzava, a così dire, la sostanza stessa dell’anima, s’aggiungevano delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo che divinizzavano le sue facoltà, e una grazia attuale che, mettendo in moto tutto quest’organismo soprannaturale, lo rendeva capace di fare atti soprannaturali, deiformi e meritori di vita eterna.

Questa grazia è sostanzialmente la stessa di quella che ci viene concessa per mezzo della giustificazione; per ora quindi non la descriviamo in particolare, perchè ci riserbiamo di farlo più tardi parlando dell’uomo rigenerato.

Tutti questi privilegi, eccettuata la scienza infusa, erano stati dati ad Adamo, non come un bene personale ma come un patrimonio di famiglia che doveva essere trasmesso a tutta la sua discendenza, a patto che egli rimanesse fedele a Dio.

ART. III. LA CADUTA E IL CASTIGO. 67-1

I. La caduta.

67.   Non ostante tutti questi privilegi, l’uomo restava libero, e fu perciò sottoposto ad una prova, per potere, con l’aiuto della grazia, meritare il cielo. Questa prova consisteva nell’osservanza delle leggi divine e in particolare d’un precetto positivo aggiunto alla legge naturale, espresso dal Genesi sotto la forma di proibizione di mangiare il frutto dell’albero della scienza del bene e del male. La Scrittura narra come il demonio, sotto forma di serpente, venne a tentare i nostri progenitori, sollevando nell’anima loro un dubbio sulla legittimità di quella proibizione. Egli tenta di persuaderli che, mangiando di quel frutto, non solo non morranno, ma diventeranno come dei, e conosceranno da loro stessi il bene e il male senza aver bisogno di ricorrere alla legge divina: “eritis sicut dii, scientes bonum et malum” 67-2. Era una tentazione d’orgoglio, e di ribellione a Dio. L’uomo soccombe e commette formalmente un peccato di disobbedienza, come nota S. Paolo 67-3, ma ispirato dall’orgoglio e presto seguito da altre debolezze. Fu una colpa grave, perchè fu il rifiuto di sottomettersi all’autorità di Dio, una specie di negazione del suo sovrano dominio e della sua sapienza, essendo quel precetto un mezzo per provare la fedeltà del primo uomo; colpa tanto più grave in quanto che i nostri progenitori conoscevano l’infinita liberalità di Dio verso di loro, i suoi imprescrittibili diritti, la gravità del precetto manifestata dalla gravità della sanzione che vi era annessa, e perchè, non essendo trascinati dall’impetuosità delle passioni, avevano il tempo di riflettere sulle formidabili conseguenze del loro atto.

68.   Si fece pur questione come mai poterono essi peccare, non essendo soggetti agli allettamenti della concupiscenza. Per intenderlo, bisogna ricordarsi che nessuna creatura libera è impeccabile; ella può infatti deviar lo sguardo dal vero bene per volgerlo al bene apparente, attaccarsi a quest’ultimo e preferirlo al primo; questa preferenza costituisce appunto il peccato. Solo colui, come fa notare S. Tommaso, è impeccabile, la cui volontà si confonde con la legge morale: il che è privilegio di Dio.

II. Il castigo.

69.   Il castigo non si fece aspettare, castigo loro e castigo della posterità.

A) Il castigo dei nostri progenitori viene descritto nel Genesi; ma anche qui si palesa la bontà di Dio: Dio avrebbe potuto applicare immediatamente la pena di morte ai nostri progenitori e per misericordia non lo fece. Si contentò di privarli dei privilegi speciali che avea loro conferiti, cioè del dono d’integrità e della grazia abituale; conservando quindi la loro natura e i loro privilegi naturali. La loro volontà è certamente indebolita se si paragona a quello che era col dono dell’integrità; ma non è provato che sia ora più debole di quel che sarebbe stata nello stato di natura; in ogni caso resta pur sempre libera e può scegliere tra il bene e il male. Dio volle anzi lasciar loro anche la fede e la speranza e fece subito risplendere ai disanimati loro sguardi la promessa di un liberatore, nato dalla stirpe umana, che un giorno avrebbe trionfato del demonio e restaurato l’uomo decaduto. Nello stesso tempo con la grazie attuale sollecitava i loro cuori al pentimento, e venne il momento in cui il loro peccato fu perdonato.

70.   B) Ma che cosa diverrà l’umana stirpe che nascerà dalla loro unione? Sarà lei pure, nascendo, privata della giustizia originale, cioè della grazia santificante e del dono dell’integrità. Questi doni intieramente gratuiti, che erano, per così dire, un bene di famiglia, non dovevano trasmettersi alla posterità d’Adamo se egli non rimaneva fedele a Dio; ora questa condizione non essendo stata osservata, l’uomo nasce privo della giustizia originale. Quando Adamo, fatta penitenza, ebbe ricuperato la grazia, la ricuperò come persona privata e per conto suo particolare; e non potè quindi trasmetterla alla posterità. Era riserbato al Messia, al novello Adamo, divenuto ormai capo della schiatta umana, l’espiare le nostre colpe e l’istituire il sacramento della rigenerazione per trasmettere ad ogni battezzato la grazia perduta da Adamo.

71.   I figli d’Adamo nascono dunque privi della giustizia originale, cioè della grazia santificante e del dono dell’integrità. La privazione di questa grazia costituisce ciò che si chiama peccato originale, peccato in un senso largo che non include alcun atto colpevole da parte nostra, ma uno stato di decadenza, e, tenendo conto del fine soprannatrale a cio restiamo destinati, una privazione, la mancanza d’una qualità essenziale che dovremmo possedere e quindi una macchia, una sozzura morale che ci esclude dal regno dei cieli.

72.   E poichè il dono dell’integrità è anch’esso perduto, la concupiscenza infierisce in noi, e se non vi resistiamo coraggiosamente, ci trascina verso il peccato attuale. Noi siamo dunque, rispetto allo stato primitivo, diminuiti e feriti, soggetti all’ignoranza, inclinati al male, deboli per resistere alle tentazioni.

L’esperienza mostra che la concupiscenza non è uguale in tutti gli uomini; infatti non tutti hanno lo stesso temperamento e lo stesso carattere nè quindi le passioni ugualmente ardenti; scomparso il freno della giustizia originale che le signoreggiava, le passioni, riprendendo la loro libertà, sono diventate più violente negli uni, più temperate negli altri, come spiega S. Tommaso 72-1.

73.   Si deve andare più oltre e ammettere, con la scuola Agostiniana, una certa diminuzione intrinseca delle nostre facoltà e delle nostre naturali energie? Non è necessario e niente lo prova.

Si deve ammettere, con certo Tomisti, una diminuzione estrinseca delle nostre energie, nel senso che abbiamo ora più ostacoli da vincere, in particolare la tirannia esercitata dal demonio su noi suoi vinti, e la sottrazione di certi soccorsi naturali che Dio ci avrebbe largiti nello stato di natura pura? È cosa possibile, anzi molto probabile; ma per essere giusti, bisogna aggiungere che questi ostacoli sono abbondantemente compensati dalle grazie attuali che il Signore ci dà per i meriti del suo Figlio, e dalla protezione degli angeli buoni, specialmente dei nostri angeli custodi.

74.   Conclusione. Ciò che si può dire è che, per il peccato originale, l’uomo perdette il bell’equilibrio datogli da Dio, e che egli è, rispetto allo stato primitivo, un ferito ed uno squilibrato, come appare dallo stato attuale delle nostre facoltà.

A) Appare innanzi tutto nelle nostre facoltà sensitive: a) I nostri sensi esterni, i nostri sguardi, per esempio, si volgono con avidità verso ciò che lusinga la curiosità, le orecchie ascoltano con premura tutto ciò che soddisfa il nostro desiderio di conoscere novità, il nostro tatto tende alle sensazioni piacevoli, senza curarsi delle regole della morale. b) Lo stesso avviene dei nostri sensi interni: l’immaginazione ci rappresenta ogni sorta di scene più o meno sensuali, le nostre passioni ci trasportano con ardore, ed anche con violenza, verso il bene sensibile o sensuale senza darsi pensiero del suo lato morale, e tentano di trar seco il consenso della volontà. Queste tendenze non sono certamente irresistibili, perchè tali facoltà restano, fino a un certo punto, sottomesse al dominio della volontà; ma quale tattica e quanti sforzi per tenere a posto questi sudditi ribelli?

75.   B) Le facoltà intellettuali, che costituiscono l’uomo propriamente detto, l’intelletto e la volontà, furono anch’esse colpite dal peccato originale. a) È vero che la nostra intelligenza resta capace di conoscere la verità, e col paziente lavoro acquista, anche senza il soccorso della rivelazione, la cognizione d’un certo numero di verità fondamentali d’ordine naturale. Ma quante debolezze umilianti! 1) Invece di tendere spontaneamente verso Dio e le cose divine; invece di elevarsi dalle creature al Creatore, come avrebbe fatto nello stato primitivo, essa tende ad assorbirsi nello studio delle cose create senza risalire alla loro causa; a concentrare la sua attenzione su ciò che soddisfa la sua curiosità ed a trascurare ciò che si riferisce al suo fine; la premura delle cose temporali le impedisce spesso di pensare all’eternità. 2) E quanta facilità a cadere nell’errore! I numerosi pregiudizi a cui siamo inclinati, le passioni che ci agitano l’anima e gettano un velo tra lei e la verità, ci traviano ahimè! troppo spesso anche nelle questioni più vitali, da cui dipende la direzione della nostra vita morale. b) La nostra stessa volontà, in cambio di assoggettarsi a Dio, ha delle pretese d’indipendenza; sente difficoltà a sottomettersi a Dio e specialmente ai suoi rappresentanti sulla terra. Quando si tratta di vincere le difficoltà che s’oppongono alla pratica del bene, quanta debolezza e quanta incostanza nello sforzo! E quante volte si lascia trascinare dal sentimento e dalla passione! S. Paolo descrisse con efficaci accenti questa deplorevole debolezza: “Io non faccio il bene che voglio e faccio il male che non voglio… Poichè mi diletto nella legge di Dio secondo l’uomo interiore; ma veggo nelle mie membra un’altra legge che si oppone alla legge della mia mente e mi fa schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Me infelice! chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie a Dio per Gesù Cristo Signor nostro” 75-1. Dunque, per dichiarazione dell’Apostolo, il rimedio a questo stato miserando sta nella grazia della redenzione, della quale ci resta ora a trattare.

ART. IV. LA REDENZIONE E I SUOI EFFETTI.76-1

76.   La redenzione è un’opera meravigliosa, è il capolavoro di Dio, che rifà l’uomo sfigurato dal peccato e lo rimette, in un certo senso, in uno stato migliore di quello che precedette la sua caduta, tanto che la Chiesa non teme, nella sua liturgia, di benedire la colpa che ci meritò un Redentore quale l’Uomo-Dio: “O felix culpa quæ talem ac tantum meruit habere Redemptorem!

I. Sua natura.

77.   Dio, che da tutta l’eternità aveva previsto la caduta dell’uomo, volle anche da tutta l’eternità preparare agli uomini un Redentore nella persona del suo Figlio; il quale risolvette di farsi uomo, per potere, divenuto capo dell’umanità, espiare in modo perfetto il nostro peccato e restituirci, con la grazia, tutti i nostri diritti al cielo. Dio seppe così cavare il bene dal male e conciliare i diritti della sua giustizia con quelli della sua bontà.

Egli non era certamente obbligato ad esercitar pienamente tutti i diritti della sua giustizia e avrebbe potuto perdonare l’uomo, contentandosi della riparazione imperfetta che questi gli avrebbe potuto offrire. Ma giudicò cosa più degna della sua gloria e più utile all’uomo il por lui in istato di riparare interamente la sua colpa.

78.   A) La giustizia perfetta chiedeva una riparazione adeguata, uguale all’offesa, offerta da un rappresentante legittimo dell’umanità. E questo fece Dio perfettamente con l’Incarnazione e con la Redenzione.

a) Dio incarna il suo Figlio e ne fa con ciò stesso il capo dell’umanità, la testa d’un corpo mistico di cui noi siamo le membra; questo Figlio ha quindi il diritto d’agire in nome dei suoi membri e di riparare in nome loro.

b) Questa riparazione non è solamente uguale all’offesa ma la supera di molto; ha infatti un valore morale infinito; perchè, provenendo il valore morale d’un’azione anzitutto dalla dignità della persona, tutte le azioni dell’Uomo-Dio hanno un valore infinito. Un solo quindi dei suoi atti sarebbe bastato a riparare in modo adeguato tutti i peccati degli uomini. Ora Gesù fece atti innumerevoli di riparazione ispirati dal più puro amore; e li coronò coll’atto più sublime e più eroico, l’immolazione totale di se stesso nella dolorosa sua passione e sul Calvario; egli ha dunque soddisfatto abbondantemente e sovrabbondantemente: “Ubi abundavit delictum, superabundavit gratia” 78-1.

c) Questa riparazione è dello stesso genere della colpa: Adamo aveva peccato per disobbedienza e per orgoglio; Gesù espia con l’umile obbedienza ispirata dall’amore, che giunge fino alla morte e morte di croce, “factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis” 78-2. E come una donna era intervenuta nella caduta per trarre al male Adamo, così una donna interviene nella redenzione col suo potere d’intercessione e coi suoi meriti 78-3; è Maria, la Vergine Immacolata, la madre del Salvatore, che coopera con lui, sebbene in modo secondario, all’opera riparatrice.

Così resta pienamente soddisfatta la giustizia, e anche più lo sarà la bontà.

79.   B) Infatti la S. Scrittura attribuisce la redenzione all’infinita misericordia di Dio e all’amore eccessivo che ci porta: “Dio, dice S. Paolo, che è ricco in misericordia, per la eccessiva carità con cui ci amò… ci convivificò in Cristo: Deus qui dives est in misericordia propter nimiam caritatem qua dilexit nos… convivificavit nos in Christo” 79-1.

Le tre persone divine vi concorrono a gara e ognuna con un amore che sembra veramente andare all’eccesso.

a) Il Padre ha un sol Figlio, a lui uguale, che ama come un altro se stesso e da cui è infinitamente riamato; or questo figlio unico egli lo dà, lo sacrifica per noi, per renderci la vita perduta col peccato: “Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret, ut omnis qui credit in eum non pereat, sed habeat vitam æternam 79-2. Poteva essere più generoso e darci più di suo Figlio? Con Lui, del resto, non ci ha forse dato tutto? “Qui etiam proprio Filio non pepercit, sed pro nobis tradidit illum, quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit”? 79-3

80.   b) Il Figlio lietamente e generosamente accetta la missione affidatagli; fin dal primo istante dell’Incarnazione, si offre al Padre come vittima per sostituire tutti i sacrifizi dell’antica legge, e l’intiera sua vita non sarà che un lungo sacrifizio coronato dall’Immolazione del Calvario; sacrifizio ispirato dall’amore che ha per noi: “(Christus) dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis oblationem et hostiam Deo” 80-1; “Cristo ci amò e diede per noi se stesso a Dio, oblazione e ostia di soave odore”.

81.   c) A perfezionare l’opera sua, egli ci manda lo Spirito Santo, amore sostanziale del Padre e del Figlio, che, non contento di infondere nelle anime nostre la grazia e le virtù infuse, specialmente la divina carità, dà se stesso a noi, perchè possiamo godere non solo della sua presenza e dei suoi doni, ma anche della sua persona: “La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci fu dato: Caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis” 81-1.

La redenzione è dunque davvero l’opera d’amore per eccellenza, il che ce ne fà già presagire gli effetti.

II. Gli effetti della Redenzione.

82.   Non pago di riparare, con la sua soddisfazione, l’offesa fatta a Dio e di riconciliarci con lui, Gesù ci merita tutte le grazie che avevamo perduto col peccato ed altre ancora.

Ci restituisce anzitutto i beni soprannaturali perduti col peccato: ala grazia abituale col corteggio delle virtù infuse e dei doni dello Spirito Santo; e, per meglio adattarsi alla natura umana, istituisce i sacramenti, segni sensibili che ci conferiscono la grazia in tutte le circostanze importanti della vita e ci danno così maggior sicurezza e confidenza; bgrazie attuali copiosissime, che abbiamo diritto di pensare anche più abbondanti che nello stato d’innocenza, fondandoci sulla parola di S. Paolo: “ubi autem abundavit delictum, superabundavit gratia” 82-1.

83.   c) È però vero che il dono dell’integrità non ci è restituito immediatamente ma progressivamente. La grazia della rigenerazione ci lascia alle prese con la triplice concupiscenza e con tutte le miserie della vita, ma ci dà la forza necessaria per trionfarne, ci rende più umili, più vigilanti e più attivi per prevenire e vincere le tentazioni, ci rassoda quindi nella virtù e ci dà occasione d’acquistare maggiori meriti. Mettendoci sott’occhio gli esempi di Gesù, che portò così valorosamente la croce sua e la nostra, stimola il nostro ardore e sostiene la nostra costanza nello sforzo; e le grazie attuali che egli ci meritò e ci largisce con una santa prodigalità, facilitano mirabilmente i nostri sforzi e le nostre vittorie. A mano a mano che lottiamo, sotto la guida e con l’aiuto del Maestro, la concupiscenza diminuisce, la nostra forza di resistenza aumenta, e viene il momento in cui certe anime privilegiate sono talmente rassodate nella virtù che, pur rimanendo libere di peccare, non commettono più alcun peccato veniale deliberato. La vittoria definitiva non si ha che con la nostra entrata nel cielo; ma sarà tanto più gloriosa quanto maggiori saranno stati gli sforzi al cui prezzo essa venne comprata. Non possiamo dunque dire: O felix culpa?

84.   d) A questi aiuti interni Nostro Signore ne aggiunge degli esterni, specialmente quella Chiesa visibile da lui fondata e ordinata a illuminare le nostre menti con la sua autorità dottrinale, reggere le nostre volontà col suo potere legislativo e giudiziario, e santificare le nostre anime coi sacramenti, coi sacramentali e colle indulgenza. Or non è questo un aiuto immenso di cui dobbiamo ringraziare Dio? O felix culpa!

85.   e) Finalmente non è certo che il Verbo si sarebbe incarnato senza il peccato originale. Ora l’Incarnazione è un bene così prezioso, che basta da solo a giustificare e spiegare il canto della Chiesa: “O felix culpa!

In cambio d’un capo ornato certamente di belle doti, ma debole e peccabile, noi abbiamo per nostro capo il Figlio eterno di Dio, il quale, essendoso rivestito della nostra natura, è tanto vero uomo come è vero Dio. Egli è il mediatore ideale, mediatore così di religione come di redenzione, che adora il Padre non solo a nome suo, ma anche a nome dell’intiera umanità, anzi a nome pure degli Angeli che sono lieti di glorificare Dio per mezzo di Lui “per quem laudant Angeli” 85-1. Egli è il sacerdote perfetto, che per la sua natura divina ha libero accesso presso Dio e che si china con compassione verso gli uomini, divenuti suoi fratelli, e li tratta con indulgenza, essendo egli stesso circondato di debolezza: “qui condolere possit iis qui ignorant et errant, quoniam et ipse circumdatus est infirmitate” 85-2.

Con lui e per lui noi possiamo rendere a Dio gli omaggi infiniti a cui ha diritto; con lui e per lui noi possiamo ottenere tutte le grazie che sono necessarie a noi e ai nostri fratelli: quando noi adoriamo, è lui che adora in noi e per noi; quando noi domandiamo soccorsi, è lui che appoggia le nostre suppliche; ecco perchè tutti ciò che chiediamo al Padre in nome suo ci viene liberalmente concesso.

Dobbiamo dunque rallegrarci d’avere un tal redentore e un tal mediatore, e riporre in lui una illimitata confidenza.

CONCLUSIONE.

86.   Questo sguardo storico fa mirabilmente risaltare l’eccellenza della sua vita spirituale come pure la grandezza e la debolezza di colui che la riceve.

1° Eccellente è davvero questa vita perchè:

a) Procede da un pensiero affettuoso di Dio, che da tutta l’eternità ci amò e ci volle unire a sè nella più dolce intimità: “In caritate perpetuâ dilexi te; ideo attraxi te miserans” 86-1: “Io t’ho amato d’amore costante e perciò ti trassi a me”.

b) È una partecipazione reale, benchè finita, della natura e della vita di Dio, “divinæ consortes naturæ”. (Vedi il n. 106).

c) È così altamente stimata da Dio che, per restituircela, il Padre sacrificò l’unico suo Figlio e Questi intieramente s’immola e lo Spirito Santo viene nell’anima nostra per comunicarcela.

È quindi il bene più prezioso di tutti “maxima et pretiosa nobis promissa donavit” 86-2, che noi dobbiamo stimare sopra ogni altra cosa, custodire e coltivare con gelosissima cura: tanti valet quanti Deus!

87.   2° Eppure portiamo questo tesoro in un vaso fragile. Se i nostri progenitori, dotati del dono dell’integrità e circondati da ogni sorta di privilegi, sventuratamente lo perdettero per sè e per i loro discendenti, che cosa non abbiamo da temere noi che, non ostante la nostra rigenerazione spirituale, portiamo dentro la triplice concupiscenza? Vi sono certo in noi nobili e generose tendenze, che provengono da ciò che vi è di buono nella nostra natura e principalmente dalla nostra incorporazione a Cristo; energie soprannaturali che ci sono date per i suoi meriti; ma pure rimaniamo deboli ed incostanti, 87-1 se cessiamo d’appoggiarci su colui che è il nostro braccio destro e insieme il nostro capo; il segreto della nostra forza non sta in noi ma in Dio e in Gesù Cristo. La storia dei nostri progenitori e della lacrimevole loro caduta ci mostra che il più gran male, il solo male su questa terra, è il peccato; che dobbiamo quindi stare assiduamente vigilanti per respingere immediatamente ed energicamente i primi assalti del nemico, da qualunque parte egli venga, dal di dentro o dal di fuori. Del resto noi siamo ben armati contro di lui, come verrà dimostrato nel secondo capitolo sulla natura della vita cristiana.

CAPITOLO II.

Natura della vita cristiana

88.   Essendo la vita soprannaturale una partecipazione della vita di Dio per i meriti di Gesù Cristo, viene talora definita la vita di Dio in noi o la vita di Gesù in noi. Queste espressioni sono giuste, se si bada a spiegarle bene in modo da evitare ogni cenno di panteismo. Noi infatti non abbiamo una vita identica a quella di Dio o di Nostro Signore, ma una somiglianza di questa vita, una partecipazione finita, benchè reale, di questa vita.

Possiamo dunque definirla: una partecipazione della vita divina, conferita dallo Spirito Santo che abita in noi, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, e che noi dobbiamo coltivare contro le tendenza che le si oppongono.

89.   È chiaro quindi che la vita soprannaturale è una vita in cui Dio ha la parte principale e noi la parte secondaria. Dio, la terza persona della SS. Trinità (che si chiama anche Spirito Santo), viene personalmente a conferirci questa vita, perchè egli solo può farci partecipare alla sua stessa vita. Ce la comunica per i meriti di Gesù Cristo (n. 78), che è causa meritoria, esemplare e vitale della nostra santificazione. È quindi vero che Dio vive in noi, che Gesù vive in noi; ma la nostra vita spirituale non è identica a quella di Dio o a quella di Nostro Signore; ne è distinta ed è solo simile all’una e all’altra. La vita nostra consiste nell’utilizzare i doni divini per vivere in Dio e per Dio, per vivere in unione con Gesù e imitarlo; e poichè resta in noi la triplice concupiscenza, noi non possiamo vivere che a patto di accanitamente combatterla; e avendoci inoltre Dio dotati d’un organismo soprannaturale, noi dobbiamo farlo crescere con gli atti meritorii e con la fervorosa frequenza dei sacramenti.

È questo il senso della definizione che abbiamo data; l’intiero capitolo non ne sarà che la spiegazione e lo svolgimento e ci darà modo di trarre delle conclusioni pratiche sulla devozione alla SS. Trinità, sulla devozione e sull’unione al Verbo Incarnato, ed anche sulla devozione alla S. Vergine ed ai Santi che discende dalle loro relazioni col Verbo Incarnato.

Benchè l’azione di Dio e l’azione dell’anima si svolgano parallelamente nella vita cristiana, noi, per maggior chiarezza, tratteremo in due distinti articoli della parte di Dio e della parte dell’uomo.

ART. I. DELLA PARTE DI DIO NELLA VITA CRISTIANA.

Dio opera in noi sia per se stesso, sia per mezzo della SS. Vergine, degli Angeli e dei Santi.

§ I. Della parte della SS. Trinità.

90.   Il primo principio, la causa efficiente principale e la causa esemplare della vita soprannaturale in noi è la SS. Trinità, o, per appropriazione, lo Spirito Santo. Perchè la vita della grazia, benchè sia opera comune delle tre divine persone, essendo opera ad extra, si attribuisce specialmente allo Spirito Santo, come opera d’amore.

Ora questa adorabile Trinità contribuisce alla nostra santificazione in due modi: col venire ad abitare nell’anima nostra e col produrre un organismo soprannaturale che, soprannaturalizzando l’anima, la abilita a fare atti deiformi.

I. L’abitazione dello Spirito Santo nell’anima 90-1

91.   Essendo la vita cristiana una partecipazione della vita stessa di Dio, è evidente che egli solo la può conferire. E la conferisce venendo ad abitare nelle anime nostre e dandosi intieramente a noi, affinchè possiamo rendergli i nostri ossequi, godere della sua presenza e lasciarci da lui docilmente guidare a praticare le disposizioni e le virtù di Gesù Cristo 90-2: è ciò che i teologi chiamano grazia increata. Vedremo:

▪   1° in che modo le tre divine persone vivono in noi;

▪   2° come dobbiamo diportarci verso di loro.

1° IN CHE MODO LE DIVINE PERSONE ABITANO IN NOI.

92.   Dio, come dice S. Tommaso 92-1, abita naturalmente nelle creature in tre modi diversi: con la sua potenza, nel senso che tutte le creature stanno soggette al suo dominio; come la sua presenza, in quanto che vede tutto, anche i più segreti pensieri del nostro cuore “omnia nuda et aperta sunt oculis eius”; con la sua essenza, perchè opera dappertutto ed è dovunque la pienezza dell’essere e la causa prima di tutto ciò che è di reale nelle creature, comunicando loro continuamente non solo il moto e la vita ma lo stesso essere: “in ipso vivimus, movemur et sumus” 92-2.

Ma la sua presenza in noi per mezzo della grazia è di ordine molto superiore e più intimo. Non è soltanto la presenza del Creatore e del Conservatore che regge gli esseri da lui creati ma è la presenza della Santissima e Adorabilissima Trinità quale ci è rivelata dalla fede: il Padre viene in noi e vi continua a generare il Verbo; con lui riceviamo il Figlio, perfettamente uguale al Padre, sua immagine vivente e sostanziale, che non cessa di infinitamente amare il Padre come infinitamente ne è riamato; dal qual mutuo amore procede lo Spirito Santo, persona uguale al Padre e al Figlio, vincolo reciproco fra i due eppur distinto dall’uno e dall’altro. Quante meraviglie in un’anima in stato di grazia!

La particolarità di questa presenza è che Dio non solo è in noi, ma si dà a noi, perchè noi possiamo godere di lui. Secondo il linguaggio dei nostri Libri Sacri, possiamo dire che, per mezzo della grazia, Dio si dà a noi come padre, come amico, come collaboratore, come santificatore, e che così egli diviene veramente il principio stesso della nostra vita interiore, la sua causa efficiente ed esemplare.

93.   A) Nell’ordine della natura Dio è in noi come creatore e sovrano padrone e noi non siamo che suoi servi, sua proprietà, cosa sua. Ma nell’ordine della grazia egli si dà a noi come nostro Padre, e noi siamo i suoi figli adottivi; mirabile privilegio che è il fondamento della nostra vita soprannaturale. Questo continuamente ripetono S. Paolo e S. Giovanni: “Non enim accepistis spiritum servitutis iterum in timore, sed accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus Abba (Pater). Ipse enim Spiritus testimonium reddit spiritui nostro quod sumus filii Dei 93-1″. Dio dunque ci adotta per figli, ma in modo assai più perfetto che non facciano gli uomini con l’adozione legale. Questi possono bene trasmettere ai figli adottivi il nome e le sostanze, ma non il sangue e la vita. “L’adozione legale, dice con ragione il Cardinal Mercier, 93-2 è una finzione. Il figlio adottato viene considerato dai genitori adottivi come se fosse loro figlio e riceve da essi quell’eredità a cui avrebbe avuto diritto il frutto della loro unione; la società riconosce questa finzione e ne sancisce gli effetti; tuttavia l’oggetto della finzione non si trasforma in realtà… Ma la grazia dell’adozione divina non è una finzione… è una realtà. Dio largisce a coloro che credono nel suo Verbo la divina filiazione, dice S. Giovanni: “Dedit eis potestatem filios Dei fieri, his qui credunt in nomine eius” 93-3. E questa filiazione non è nominale ma effettiva: “Ut filii Dei nominemur et simus“. Noi entriamo in possesso della natura divina, “divinæ consortes naturæ“.

94.   Questa vita divina è certamente in noi soltanto una partecipazione, “consortes”, una somiglianza, un’assimilazione che fa di noi, non già degli dèi, ma degli esseri deiformi. Non è però men vero che essa non è una finzione ma una realtà, una vita nuova, non uguale ma simile a quella di Dio, e che, a detta della Sacra Scrittura, suppone una nuova generazione o rigenerazione: “Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto… per lavacrum regenerationis et renovationis Spiritus Sancti… regeneravit nos in spem vivam… voluntarie enim genuit nos verbo veritatis” 94-1. Tutte queste espressioni ci mostrano che la nostra adozione non è puramente nominale ma vera e reale, benchè molto bene distinta dalla filiazione del Verbo Incarnato. Ed è per questo che noi diventiamo di pieno diritto eredi del regno celeste, coeredi di Colui che è nostro fratello maggiore: “hæredes quidem Dei, cohæredes autem Christi… ut sit ipse primogenitus in multis fratribus” 94-2. O non è dunque il caso di ripetere le così soavi parole di S. Giovanni: “Videte qualem caritatem dedit nobis Pater, ut filii Dei nominemur et simus?” 94-3.

Dio quindi avrà per noi la premura, la tenerezza d’un padre. Egli stesso si paragona a una madre che non potrà mai dimenticare il figlio: “Numquid oblivisci potest mulier infantem suum, ut non misereatur filio uteri sui? Et si illa oblita fuerit, ego tamen non obliviscar tui 94-4″. E l’ha ben dimostrato davvero, poichè, per salvare i figli decaduti, non esitò a dare e a sacrificare l’unico suo Figlio: “Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret, ut omnis qui credit in eum non pereat, sed habeat vitam æternam 94-5″. Ed è questo stesso amore che lo spinge a darsi intieramente, fin d’ora e in modo abituale, ai figli adottivi, abitando nei loro cuori: “Si quis diligit me, sermonem meum servabit, et Pater meus diliget eum, et ad eum veniemus, et mansionem apud eum faciemus 94-6″. Egli abita dunque in noi come Padre amantissimo e premurosissimo.

95.   B) Dio si dà pure a noi come amico. L’amicizia aggiunge alle relazioni di padre e di figlio una certa uguaglianza, “amicitia æquales accipit aut facit”, una certa intimità, una scambievolezza d’affetto che porta seco le più dolci comunicazioni. Relazioni appunto di questo genere la grazia pone tra Dio e noi; è vero che quando si tratta di Dio e dell’uomo non si può parlare d’uguaglianza vera, ma solo d’una certa somiglianza che però basta a stabilire una vera intimità. Dio infatti ci apre i suoi secreti; ci parla non solo per mezzo della Chiesa, ma anche interiormente per mezzo del suo Spirito: “Ille vos docebit omnia et suggeret vobis omnia quæcumque dixero vobis 95-1″. Quindi è che nell’ultima cena Gesù dichiara agli Apostoli che ormai non saranno più servi ma amici, perchè egli non avrà più segreti per loro: “Iam non dicam vos servos, quia servus nescit quid faciat dominus eius; vos autem dixi amicos, quia omnia quæcumque audivi a Patre meo, nota feci vobis 95-2″. Sarà quindi una dolce familiarità quella che governerà ormai le loro relazioni, la familiarità che corre tra amici che siedono alla stessa mensa: Ecco che io sto alla porta e picchio; se alcuno udirà la mia voce e mi aprirà la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me: “Ecce sto ad ostium et pulso; si quis audierit vocem meam et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum et cœnabo cum illo, et ipse mecum 95-3″. Mirabile intimità a cui noi non avremmo mai osato aspirare se l’Amico divino non si fosse fatto avanti lui per il primo. Eppure una tale intimità si è avverata e si avvera ogni giorno, non soltanto presso i santi, ma anche in quelle anime interiori che acconsentono ad aprire le porte dell’anima all’ospite divino. È ciò che ci attesta l’autore dell’Imitazione, quando descrive le frequenti visite dello Spirito Santo alle anime interiori, le sue dolci conversazioni con loro, le consolazioni e le carezze di cui le colma, la pace che fa regnare in loro, la stupenda familiarità con cui le tratta: “Frequens illi visitatio cum homine interno, dulcis sermocinatio, grata consolatio, multa pax, familiaritas stupenda nimis 95-4″. Del resto la vita dei mistici contemporanei, di Santa Teresa del Bambin Gesù, di Suor Elisabetta della Trinità, di Gemma Galgani e di tanti altri, ci prova che le parole dell’Imitazione si avverano tutti i giorni. È dunque vero che Dio vive in noi come un intimo amico.

96.   C) Nè vi resta ozioso ma vi opera come il più potente dei collaboratori. Sapendo bene che non possiamo coltivare da noi quella vita soprannaturale che pone in noi, egli supplisce alla nostra impotenza, collaborando con noi per mezzo della grazia attuale. Abbiamo bisogno di luce per afferrare le verità della fede che dovranno ormai guidare i nostri passi? Verrà lui, che è il Padre dei lumi, a illuminare il nostro intelletto sul nostro ultimo fine e sui mezzi per conseguirlo, e ci suggerirà buoni pensieri ispiratori di buone opere. Abbiamo bisogno di forza onde voler sinceramente dirigere la nostra vita verso il nostro fine, volerlo energicamente e costantemente? Ed egli ci darà quel concorso soprannaturale che ci abilita a volere e ad eseguire le nostre risoluzioni, “operatur in vobis et velle et perficere 96-1″. Se si tratta di combattere le nostre passioni o di disciplinarle, di vincere le tentazioni che talora ci assediano, egli pure ci darà la forza di resistervi e di trarne profitto per rassodarci nella virtù: “Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum 96-2″. Quando, stanchi di fare il bene, ci sentiremo tratti allo scoraggiamento e alla fiacchezza, egli ci si avvicinerà per sorreggerci e assicurare la nostra perseveranza; Colui che in voi cominciò l’opera della vostra santificazione, la perfezionerà fino al giorno di Cristo Gesù; “qui cœpit in vobis opus bonum, ipse perficiet usque in diem Christi Jesu 96-3″. Insomma, noi non saremo mai soli, anche quando, privi di consolazione, ci crederemo abbandonati; la grazia di Dio sarà sempre con noi a patto che noi acconsentiamo a lavorar con lei: “Gratia eius in me vacua non fuit, sed abundantius illis omnibus laboravi: non ego autem, sed gratia Dei mecum 96-4…” Appoggiato su questo onnipotente collaboratore, saremo invincibili, perchè tutto noi possiamo in colui che ci conforta: “Omnia possum in eo qui me confortat 96-5″.

97.   D) Questo collaboratore è nello stesso tempo un santificatore: venendo ad abitare nell’anima nostra, la trasforma in un tempio santo ornato di tutte le virtù: “Templum Dei sanctum est: quod estis vos 97-1″. Il Dio infatti che viene in noi colla grazia, non è il Dio della natura, ma il Dio vivente, la SS. Trinità, sorgente infinita di vita divina, e che altro non chiede che farci partecipare alla sua santità; è vero che talora questa abitazione è attribuita, per appropriazione, allo Spirito Santo, perchè è opera d’amore; ma, essendo operazione ad extra, è comune alle tre persone divine. Ecco perchè S. Paolo ci chiama indifferentemente tempii di Dio e tempii dello Spirito Santo: “Nescitis quia templum Dei estis et Spiritus Dei habitat in vobis? 97-2″.

L’anima nostra diviene dunque tempio del Dio vivente, un sacro recinto riservato a Dio, un trono di misericordia donde si compiace di distribuire i suoi favori celesti e che egli adorna di tutte le virtù. Descriveremo presto l’organismo soprannaturale di cui ci dota. Ma è evidente che la presenza in noi del Dio tre volte santo, quale abbiamo descritta, non può essere che santificante, e che l’Adorabile Trinità che vive e opera in noi diviene veramente il principio della nostra santificazione, la sorgente della nostra vita interiore. E ne è pure la causa esemplare, poichè, essendo figli di Dio per adozione, dobbiamo imitare il Padre. Il che del resto intenderemo meglio spiegando come dobbiamo diportarci verso le tre divine persone che abitano in noi.

2° I NOSTRI DOVERI VERSO LA SS. TRINITÀ CHE VIVE IN NOI.

98.   Possedendo un tesoro così prezioso come la SS. Trinità, bisogna pensarvi spesso “ambulare cum Deo intus”. Or questo pensiero fa nascere tre principali sentimenti: l’adorazione, l’amore, l’imitazione 98-1.

99.   A) Il primo sentimento che scaturisce come spontaneamente dal cuore è quello dell’adorazione: “Glorificate et portate Deum in corpore vestro 99-1″. Come, infatti, non benedire, glorificare, ringraziare quest’ospite divino che trasforma l’anima nostra in un vero santuario? Dopochè Maria ebbe ricevuto nel casto suo seno il Verbo Incarnato, la sua vita non fu più che un perpetuo atto d’adorazione e di riconoscenza: “Magnificat anima mea Dominum… fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus”; e tali pure sono i sentimenti, benchè in grado minore, di un’anima che prende coscienza dell’abitazione dello Spirito Santo in lei: capisce che, essendo tempio di Dio, deve incessantemente offrirsi come ostia di lode alla gloria delle tre divine persone. a) Al principio delle proprie azioni, facendo il segno di croce in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, consacra loro ogni sua opera; terminandole, riconosce che tutto il bene da lei fatto si deve ad esse attribuire: Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto. b) Ama ripetere quelle preghiere liturgiche che ne celebrano le lodi: il Gloria in excelsis Deo, che esprime così bene tutti i sentimenti di religione verso le divine persone e specialmente verso il Verbo Incarnato; il Sanctus, che proclama la santità divina; il Te Deum, che è l’inno della riconoscenza. c) Alla presenza di quest’ospite divino, molto amorevole senza dubbio ma che non cessa d’essere Dio, riconosce umilmente l’intiera sua dipendenza da Colui che è il suo primo principio e il suo ultimo fine; la sua incapacità a lodarlo come egli si merita, e in questo sentimento si unisce allo Spirito di Gesù che solo può rendere a Dio quella gloria a cui ha diritto: “Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perchè noi non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere nelle nostre preghiere, secondo i nostri bisogni; ma lo Spirito prega egli stesso per noi con gemiti inenarrabili; “Spiritus adiuvat infirmitatem nostram; nam quid oremus sicut oportet, nescimus; sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus 99-2″.

100.   B) Dopo avere adorato Dio e proclamato il proprio nulla, l’anima si abbandona ai sentimenti del più confidente amore. Per quanto sia infinito pur Dio si abbassa a noi, come il padre più amoroso verso il proprio figlio, e c’invita ad amarlo e a dargli il cuore: “Præbe, fili, cor tuum mihi 100-1″; questo amore egli potrebbe esigerlo imperiosamente ma preferisce chiederlo dolcemente, affettuosamente, perchè vi sia, a così dire, più spontaneità nella nostra risposta, più abbandono filiale nel nostro ricorso a lui. E come non rispondere con confidente amore a tanti e sì delicati riguardi, a tante così materne sollecitudini? Sarà un amore penitente, per espiare le nostre troppo numerose infedeltà passate e presenti; un amore riconoscente, per ringraziare quest’insigne benefattore, questo collaboratore premuroso che lavora l’anima nostra con tanta assiduità; ma principalmente un amore d’amicizia, che ci farà conversare dolcemente col più fedele e più generoso degli amici, ci farà caldeggiare tutti i suoi interessi, procurarne la gloria e farne benedire il santo nome. Non sarà quindi un semplice sentimento affettuoso, ma un amore generoso, che va fino al sacrifizio, all’oblio di sè, alla rinunzia della propria volontà, per sottomettersi ai precetti e ai consigli divini.

101.   C) Quest’amore ci condurrà dunque all’imitazione dell’adorabile Trinità in quel grado che è compatibile con l’umana debolezza. Figli adottivi d’un Padre tre volte santo, tempii viventi dello Spirito Santo, intendiamo meglio la necessità di rispettare il nostro corpo e la nostra anima. Tale era la conclusione che l’Apostolo inculcava ai discepoli: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno violerà il tempio di Dio, Dio lo sperderà; poichè santo è il tempio di Dio che siete voi; Nescitis quia templum Dei estis, et Spiritus Dei habitat in vobis? Si quis autem templum Dei violaverit, disperdet illum Deus. Templum enim Dei sanctum est quod estis vos 101-1″. L’esperienza prova che per le anime generose non v’è motivo più potente di questo per allontanarle dal peccato ed eccitarle alla pratica delle virtù; infatti, non si deve forse purificare e ornare continuamente un tempio ove risiede il Dio tre volte santo? Del resto quando Nostro Signore volle proporci un ideale di perfezione, non andò a cercarlo fuori della SS. Trinità: “Siate perfetti, egli dice, come è perfetto il vostro Padre celeste: “Estote ergo perfecti, sicut et Pater vester cælestis perfectus est 101-2″. A prima vista, quest’ideale sembra troppo elevato; ma quando ci ricordiamo che siamo figli adottivi del Padre, e che egli vive in noi per imprimervi la sua immagine e collaborare alla nostra santificazione, capiamo bene che nobiltà obbliga e che abbiamo il dovere d’avvicinarci sempre più alle perfezioni divine. Specialmente per praticare la carità fraterna Gesù ci chiede di avere dinanzi agli occhi quel perfetto modello che è l’indivisibile unità delle tre divine persone: “Che siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, e io in te, che siano anch’essi una cosa sola in noi; Ut omnes unum sint, sicut tu, Pater, in me et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint 101-3″. Tenera preghiera, di cui san Paolo si faceva eco quando supplicava i cari discepoli di non dimenticare che, essendo un solo corpo e un solo spirito, non avendo che un solo ed unico Padre che abita in tutti i giusti, dovevano conservare l’unità dello spirito col vincolo della pace 101-4.

Riepilogando possiamo conchiudere che la vita cristiana consiste prima di tutto in una unione intima, affettuosa e santificante colle tre divine persone, che ci conserva nello spirito di religione, d’amore e di sacrifizio.

II. Dell’organismo della vita cristiana 102-1.

102.   Le tre divine persone che abitano nel santuario dell’anima nostra si dilettano di arricchirla di doni soprannaturali e ci comunicano una vita simile alla loro che si chiama la vita della grazia o vita deiforme.

Ora in ogni vita vi è un triplice elemento: un principio vitale che è, per così dire, la sorgente della vita; delle facoltà che fanno produrre operazioni vitali; e in fine degli atti, che ne sono l’espansione e contribuiscono al suo accrescimento. Nell’ordine soprannaturale, Dio, che vive in noi, produce nelle anime nostre questi tre elementi. a) Ci comunica dapprima la grazia abituale, che fa in noi l’ufficio di principio vitale soprannaturale102-2 e divinizza, a così dire, la sostanza stessa dell’anima nostra, rendendola atta, benchè remotamente, alla visione beatifica e agli atti che la preparano.

103.   b) Da questa grazia sgorgano le virtù infuse103-1 e i doni dello Spirito Santo, che perfezionano le nostre facoltà e ci danno il potere immediato di fare atti deiformi, soprannaturali e meritorii.

c) Per mettere in moto queste facoltà, Dio ci concede le grazie attuali, che illuminano la nostra intelligenza, fortificano la nostra volontà, ci aiutano ad operare soprannaturalmente e ad aumentare così il capitale di grazia abituale che ci ha compartito.

104.   Questa vita della grazia, benchè distinta dalla vita naturale, non è semplicemente a lei sovrapposta ma la compenetra tutta quanta, la trasforma e la divinizza. Si assimila tutto ciò che vi è di buono nella natura, nell’educazione e nelle abitudini acquisite; perfeziona e soprannaturalizza tutti questi elementi volgendoli verso l’ultimo fine, che è il possesso di Dio per mezzo della visione beatifica e dell’amore che l’accompagna.

Spetta a questa vita soprannaturale il dirigere la vita naturale, in virtù del principio generale già esposto al n. 54, che gli esseri inferiori sono subordinati agli esseri superiori 104-1. Non può durare nè svilupparsi se non a patto di dominare e serbare sotto la sua influenza gli atti dell’intelligenza, della volontà e delle altre facoltà; con ciò non distrugge nè diminuisce la natura, ma anzi la esalta e la perfeziona. Il che dimostreremo, studiandone per ordine i tre elementi.

1° DELLA GRAZIA ABITUALE. 105-1

105.   Dio, volendo nell’infinita sua bontà elevarci a lui per quanto è permesso alla debole nostra natura, ci dà un principio vitale, soprannaturale deiforme: la grazia abituale, grazia che si chiama creata 105-2 per opposizione alla grazia increata che consiste nell’abitazione dello Spirito Santo in noi. Questa grazia ci rende simili a Dio e ci unisce strettissimamente a lui: “Est autem hæc deificatio, Deo quædem, quoad fieri potest, assimilatio unioque 105-3″. Sono questi i due aspetti della grazia che esporremo, dandone la definizione tradizionale e determinando l’unione prodotta dalla grazia tra l’anima e Dio.

A) Definizione.

106.   La grazia ordinariamente si definisce una qualità soprannaturale, inerente all’anima nostra, che ci fa partecipare in modo reale, formale, ma accidentale, alla vita divina.

a) È dunque una realtà di ordine soprannaturale ma non una sostanza, perchè nessuna sostanza creata può essere soprannaturale; è un modo d’essere, uno stato dell’anima, una qualità inerente alla sostanza dell’anima nostra, che la trasforma, la eleva sopra tutti gli esseri anche più perfetti; qualità permanente di sua natura, che sta in noi finchè non la scacciamo dall’anima nostra commettendo volontariamente un peccato mortale. “La grazie, dice il Card. Mercier106-1 appoggiandosi su Bossuet, è quella qualità spirituale che Gesù diffonde nelle anime nostre, che penetra nel più intimo della nostra sostanza, che s’imprime nel più secreto delle anime nostre, e che si spande (per mezzo delle virtù) in tutte le potenze e le facoltà dell’anima, che possiede interiormente l’anima e la rende pura e grata agli occhi di questo divin Salvatore, la fa suo Santuario, suo tempio, suo tabernacolo, insomma suo luogo di delizie.”

107.   b) Questa qualità ci rende, secondo l’energica espressione di S. Pietro, partecipi della natura divina, divinæ consortes naturæ; ci fa entrare, come dice S. Paolo, in comunione con lo Spirito Santo “communicatio Sancti Spiritus 107-1″, in società col Padre e col Figlio, come aggiunge S. Giovanni 107-2. Non ci fa certamente uguali a Dio, ma esseri deiformi simili a lui; e ci dà, non la vita stessa di Dio che è essenzialmente incomunicabile, ma una vita simile alla sua. Il che ora spiegheremo, per quanto l’umana intelligenza vi può arrivare.

108.   1) La vita propria di Dio è di contemplare direttamente sè stesso e di infinitamente amarsi. Nessuna creatura, per quanto sia perfetta, può contemplare da se stessa l’essenza divina “che abita una luce inaccessibile, lucem inhabitat inaccessibilem” 108-1. Ma Dio, per un privilegio intieramente gratuito, chiama l’uomo a contemplare questa essenza divina nel cielo; ed essendone l’uomo incapace, ne eleva, ne dilata, ne fortifica l’intelligenza col lume della gloria. Allora, dice S. Giovanni, saremo simili a Dio, perchè lo vedremo come egli vede se stesso, o, che è lo stesso, come egli è in se: “Similes ei erimus, quoniam videbimus eum sicuti est 108-2″. Lo vedremo, aggiunge S. Paolo, non più attraverso lo specchio delle creature, ma faccia a faccia, senza intermedio, senza nubi, con una fulgida chiarezza: “Nunc per speculum et in ænigmate, tunc autem facie ad faciem 108-3″. Così parteciperemo, benchè in modo finito, alla vita stessa di Dio, poichè lo conosceremo come egli conosce se stesso e lo ameremo come egli ama se stesso. Il che spiegano i teologi dicendo che l’essenza divina verrà ad unirsi alla parte più intima dell’anima nostra e ci servirà di specie impressa, per renderci capaci di vederla senza alcuno intermedio creato, senza immagine alcuna.

109.   2) Ora la grazia abituale è già una preparazione alla visione beatifica e quasi un saggio di questo favore, prælibatio visionis beatificæ; è la gemma che già contiene il fiore, benchè questo non debba sbocciare che più tardi; è quindi dello stesso genere della visione beatifica e partecipa della sua natura.

Cerchiamo di spiegarci con un paragone, per quanto possa riuscire imperfetto. Io posso conoscere un artista in tre modi: dallo studio delle sue opere, — dal ritratto che me ne fa un suo intimo amico — o finalmente dalle relazioni dirette che io ho con lui. La prima di queste conoscenze di Dio, è quella che abbiamo dalla vista delle sue opere, conoscenza induttiva molto imperfetta, perchè le sue opere, pur manifestandoci la sua sapienza e la sua potenza, nulla ci dicono della sua vita interiore. La seconda risponde assai bene alla conoscenza che ce ne dà la fede: sulla testimonianza degli scrittori sacri e principalmente del Figlio di Dio, io credo tutto ciò che Dio si degnò di rivelarmi non solamente sulle sue opere e sui suoi attributi, ma anche sulla sua vita intima; io credo che da tutta l’eternità egli genera un Verbo che è suo Figlio, che ama e dal quale è riamato, e che da questo mutuo amore procede lo Spirito Santo. Certo io non capisco, e sopratutto io non vedo, ma io credo con incrollabile certezza, e questa fede mi fa partecipare in modo velato, oscuro, ma reale, alla conoscenza che Dio ha di sè stesso. Solo più tardi, per mezzo della visione beatifica, si avvererà il terzo modo di conoscenza; ma, com’è chiaro, il secondo è in sostanza della stessa natura di quest’ultimo, e certamente molto superiore alla conoscenza razionale.

110.   c) Questa partecipazione della vita divina non è semplicemente virtuale ma formale. La partecipazione virtuale non ci fa possedere una data qualità che in un modo diverso da quello in cui si trova nella causa principale; così la ragione è una partecipazione solo virtuale dell’intelletto divino, perchè ci fa conoscere la verità, ma in un modo assai diverso dalla conoscenza che ne ha Dio. Non è così della visione beatifica, e, salve le proporzioni, della fede; queste ci fanno conoscere Dio some egli conosce se stesso, non certo nello stesso grado ma nello stesso modo.

111.   d) Questa partecipazione non è sostanziale ma accidentale. Così essa si distingue dalla generazione del Verbo, che riceve tutta la sostanza del Padre; e dalla unione ipostatica, che è un’unione sostanziale della natura umana con la natura divina nell’unica persona del Verbo; noi conserviamo infatti la nostra personalità e la nostra unione con Dio non è sostanziale. Tale è la dottrina di S. Tommaso: 111-1 “Essendo la grazia molto superiore alla natura umana, non può essere nè una sostanza, nè la forma sostanziale dell’anima; non può esserne che la forma accidentale”. E, per spiegare il suo pensiero, aggiunge che tutto ciò che è sostanzialmente in Dio ci vien dato accidentalmente e ci fa partecipare alla divina bontà: “Id enim quod substantialiter est in Deo, accidentaliter fit in anima participante divinam bonitatem, ut de scientia patet”.

Con queste restrizioni si evita di cadere nel panteismo, e si ha nondimeno un’idea altissima della grazia, che ci apparisce come una divina somiglianza impressa da Dio nell’anima nostra: “faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram 111-2″.

112.   Per farci intendere questa divina somiglianza, i Padri usano diversi paragoni. 1) L’anima nostra, essi dicono, è una immagine vivente della Trinità, una specie di ritratto in miniatura, poichè lo Spirito Santo stesso viene ad imprimersi in noi come il sigillo sulla molle cera e vi lascia così la sua divina somiglianza 112-1. Ne concludono che l’anima in stato di grazia è d’una meravigliosa bellezza, poichè l’artista che vi dipinge questa immagine è infinitamente perfetto, non essendo altri che Dio stesso: “Pictus es ergo, o homo, et pictus es a Domino Deo tuo. Bonum habes artificem atque pictorem 112-2″. E ne conchiudono pure con ragione che noi non solo non dobbiamo distruggere od offuscare questa immagine, ma anzi renderla ogni giorno più rassomigliante. — Paragonano anche l’anima nostra a quei corpi trasparenti che, ricevendo la luce del sole, ne sono come penetrati e acquistano un incomparabile fulgore che diffondono poi tutto intorno a loro 112-3; così l’anima nostra, simile a un globo di cristallo illuminato dal sole, riceve la luce divina, risplende di vivo fulgore e lo riflette sugli oggetti circostanti.

113.   2) Per dimostrare che questa rassomiglianza non è cosa superficiale ma penetra nel più intimo dell’anima nostra, ricorrono al paragone del ferro e del fuoco. Come, dicono essi, una verga di ferro, immersa in un ardente braciere, acquista subito lo splendore, il calore e la pieghevolezza del fuoco, così l’anima nostra, immersa nella fornace del divino amore, si libera dalle scorie e diviene brillante, ardente e docile alle ispirazioni divine.

114.   3) Un autore contemporaneo, volendo esprimere l’idea che la grazia è una vita nuova, la paragona a un innesto divino fatto sul ramo salvatico della nostra natura e che si fonde coll’anima nostra per costituire un nuovo principio vitale e quindi una vita assai superiore. Però, come l’innesto non conferisce al ramo salvatico tutta la vita di quella natura onde è stato tolto ma soltanto questa o quella delle sue proprietà vitali, così la grazia santificante non ci dà tutta la natura di Dio ma qualche cosa della sua vita che costituisce per noi una nuova vita; noi quindi partecipiamo alla vita divina ma non la possediamo nella sua pienezza 114-1.

È chiaro che questa divina somiglianza prepara l’anima nostra ad una intimissima unione con l’adorabile Trinità che abita in lei.

B) Unione tra l’anima nostra e Dio.

115.   Da ciò che abbiamo detto sull’abitazione della SS. Trinità nell’anima nostra (n. 92), risulta che tra noi e l’ospite divino corre un’unione morale intimissima e santificantissima.

Ma non c’è forse qualche cosa di più, qualche cosa di fisico 115-1 in quest’unione?

116.   a) I paragoni usati dai Padri sembrerebbero indicarlo.

1) Un gran numero di essi ci dicono che l’unione di Dio coll’anima è simile a quella dell’anima col corpo: “In noi vi sono, dice S. Agostino, due vite, la vita del corpo e la vita dell’anima; la vita del corpo è l’anima, la vita dell’anima è Dio “sicut vita corporis anima, sic vita animæ Deus 116-1.” È chiaro che si tratta solo di analogie; ma studiamoci di cavarne la verità che contengono. L’unione tra il corpo e l’anima è sostanziale, così che non formano più che una sola e medesima natura, una sola e medesima persona. Non è così dell’unione dell’anima con Dio: noi conserviamo sempre la nostra natura e la nostra personalità e restiamo quindi essenzialmente distinti dalla divinità. Ma, come l’anima dà al corpo la vita di cui gode, così Dio, senza essere forma dell’anima, le dà la vita soprannaturale, vita non uguale ma veramente e formalmente simile alla sua; e questa vita costituisce un’unione realissima tra l’anima e Dio. Suppone una realtà concreta che Dio ci comunica e che serve di vincolo unitivo tra lui e noi; questa nuova relazione non aggiunge certamente nulla a Dio, ma perfeziona l’anima nostra e la rende deiforme; lo Spirito Santo quindi diviene non causa formale, ma causa efficiente ed esemplare della nostra santificazione.

117.   2) Questa stessa verità si deduce dal paragone che alcuni autori 117-1 fanno tra l’unione ipostatica e l’unione dell’anima nostra con Dio. Vi è certamente tra le due una differenza essenziale: l’unione ipostatica è sostanziale e personale, perchè la natura divina e la natura umana, sebbene perfettamente distinte, non formano più in Gesù Cristo che una sola e medesima persona, mentre che l’unione dell’anima con Dio per mezzo della grazia, ci lascia la nostra personalità, essenzialmente distinta dalla personalità divina, e non ci unisce a Dio se non in modo accidentale: “Si compie infatti per mezzo della grazia santificante, che è un accidente aggiunto alla sostanza dell’anima; ora, in linguaggio scolastico, l’unione d’un accidente e d’una sostanza si chiama unione accidentale 117-2″.

Ma rimane pur sempre vero che l’unione dell’anima con Dio è un’unione di sostanza a sostanza, 117-3 e che l’uomo e Dio vengono in contatto così intimo come il ferro e il fuoco che l’avvolge e lo penetra, come il cristallo e la luce. Per dir tutto in una parola, l’unione ipostatica fa un uomo-Dio, l’unione della grazia fa degli uomini divinizzati; e come le azioni di Cristo sono divino-umane o teandriche, così le azioni del giusto sono deiformi, fatte in comune da Dio e da noi, e per questo titolo meritorie della vita eterna, la quale non è altro che la unione immediata con la Divinità. Possiamo quindi dire col P. de Smedt, 117-4 “che l’unione ipostatica è il tipo della nostra unione con Dio per mezzo della grazia, e che questa ne è l’immagine più perfetta che una pura creatura possa riprodurre in sè”.

Concludiamo collo stesso autore che l’unione della grazia non è puramente morale, ma contiene un elemento fisico che ci permette di chiamarla fisico-morale: “La natura divina è veramente nel suo essere stesso unita alla sostanza dell’anima per mezzo di un vincolo speciale, per modo che l’anima giusta possiede in sè la natura divina come cosa che le appartiene, e quindi possiede un carattere divino, una perfezione d’ordine divino, una bellezza divina, infinitamente superiore a tutto ciò che può esservi di perfezione naturale in una creatura qualsiasi reale o possibile 117-5.

118.   b) Se, lasciando da parte i paragoni, studiamo il lato dottrinale della questione, arriviamo alla stessa conclusione. 1) In cielo, gli eletti vedono Dio faccia a faccia, senza alcun intermedio; la stessa essenza divina fa l’ufficio di specie impressa: “in visione qua Deus per essentiam videbitur, ipsa divina essentia erit quasi forma intellectus qua intelliget 118-1”. Vi è dunque tra essi e la Divinità un’unione vera, reale, che si può chiamare fisica, perchè Dio non può essere visto e posseduto che a patto d’essere presente al loro intelletto colla sua essenza, e non può essere amato, se non è effettivamente unito alla loro volontà come oggetto d’amore: “amor est magis unitivus quam cognitio 118-2”. Ora la grazia altro non è che un principio e un germe della gloria: “gratia nihil est quam inchoatio gloriæ in nobis 118-3”.

L’unione dunque cominciata sulla terra tra l’anima nostra e Dio per mezzo della grazia è in sostanza dello stesso genere di quella della gloria, reale e in un certo senso fisica come questa. Tal è la conclusione del P. Froget nel suo bel libro L’abitazione dello Spirito Santo (p. 159), appoggiandosi su numerosi testi di S. Tommaso: «Dio è dunque realmente, fisicamente, sostanzialmente presente nel cristiano che ha la grazia; e non è già una semplice presenza materiale ma un vero possesso accompagnato da un principio di godimento».

2) La medesima conclusione discende pure dall’analisi della grazia stessa. Stando all’insegnamento dell’Angelico Dottore, che si fonda sugli stessi testi scritturali che abbiamo citati, la grazia abituale ci è data per godere non solo dei doni di Dio, ma delle stesse persone divine; “Per donum gratiæ gratum facientis perficitur creatura rationalis ad hoc quod libere non solum ipso dono creato utatur, sed ut ipsâ divinâ personâ fruatur 118-4″. Ora, aggiunge un discepolo di S. Bonaventura, per godere d’una cosa è necessaria la sua presenza, e quindi per godere dello Spirito Santo la sua presenza è necessaria come necessario è il dono creato che ci unisce a lui 118-5. E poichè la presenza del dono creato è reale e fisica, quella dello Spirito Santo non dovrà forse essere dello stesso genere?

Ecco dunque che le deduzioni della fede come i paragoni dei Patri ci autorizzano a dire che l’unione dell’anima nostra con Dio per mezzo della grazia non è soltanto morale, che non è neppure sostanziale in senso proprio, ma che è talmente reale da potersi chiamare fisico-morale. Restando però essa velata ed oscura ed essendo progressiva, nel senso che noi ne percepiamo tanto meglio gli effetti quanto più coltiviamo la fede e i doni dello Spirito Santo, le anime ferventi che sospirano l’unione divina, se sentono vivamente sollecitate ad avanzarsi ogni giorno più nella pratica delle virtù e dei doni.

2° DELLE VIRTÙ E DEI DONI, O DELLE FACOLTÀ DELL’ORDINE SOPRANNATURALE.

Richiamatane prima l’esistenza e la natura, parleremo per ordine delle virtù e dei doni.

A) Esistenza e natura.

119.   La vita soprannaturale inserita nell’anima nostra per mezzo della grazia abituale richiede, per operare e svilupparsi, delle facoltà di ordine soprannaturale, che la liberalità divina generosamente ci concede sotto nome di virtù infuse e di doni dello Spirito Santo: “L’uomo giusto, dice Leone XIII, che vive della vita della grazia e che opera per mezzo delle virtù, che tengono in lui il posto di facoltà, ha pure bisogno dei doni dello Spirito Santo: Homini iusto, vitam scilicet viventi divinæ gratiæ et per congruas virtutes tamquam facultates agenti, opus plane est septenis illis quæ proprie dicuntur Spiritus Sancti donis 119-1″. Conviene infatti che le nostre facoltà naturali, le quali da sè stesse non possono produrre che atti del medesimo ordine, siano perfezionate e divinizzate da abiti infusi, che le elevino e le aiutino ad operare soprannaturalmente. E Dio, infinitamente liberale qual è, ce ne da di due specie: le virtù, che, sotto la direzione della prudenza, ci abilitano a operare soprannaturalmente col concorso della grazia attuale; e i doni che ci rendono così docili all’azione dello Spirito Santo che, guidati da una specie di divino istinto, siamo, per così dire, mossi e diretti da questo divino Spirito. Bisogna però notare che questi doni, i quali ci sono conferiti colle virtù e colla grazia abituale, non vengono esercitati con frequenza ed intensità se non dalle anime mortificate che, con una lunga pratica delle virtù morali e teologali, acquistarono quella soprannaturale pieghevolezza, onde rendonsi intieramente docili alle ispirazioni dello Spirito Santo.

120.   La differenza essenziale tra le virtù e i doni deriva dunque dal loro diverso modo di operare in noi; nella pratica delle virtù, la grazia ci lascia attivi, sotto l’influsso della prudenza; nell’uso dei doni, raggiunto che abbiano il loro pieno sviluppo, richiede da noi più docilità che attività, come esporremo meglio trattando della via unitiva. Intanto un paragone ci aiuterà a capire: quando una madre insegna a camminare al figlio, ora si contenta di guidarne i passi impedendogli di cadere, ora lo prende tra le braccia per fargli superare un ostacolo o per farlo riposare; nel primo caso si ha la grazia cooperante delle virtù, nel secondo si ha la grazia operante dei doni.

Ma da ciò risulta che, normalmente, gli atti compiti sotto l’influsso dei doni sono più perfetti di quelli che si compiono solamente sotto l’influsso delle virtù, appunto perchè l’azione dello Spirito Santo nel primo caso è più attiva e più feconda.

B) Delle virtù infuse.

121.   È certo, secondo la dottrina del Concilio di Trento, che nel momento stesso della giustificazione riceviamo le virtù infuse della fede, della speranza e della carità 121-1. Ed è dottrina comune, confermata dal Catechismo del Concilio di Trento 121-2, che anche le virtù morali della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza ci sono comunicate nello stesso momento. Non dimentichiamo però che queste virtù ci danno, non la facilità, ma il potere soprannaturale prossimo di fare atti soprannaturali; saranno necessari ripetuti atti per aggiungervi quella facilità che viene dall’abitudine acquisita.

Vediamo come queste virtù rendono soprannaturali le nostra facoltà.

a) Le une sono teologali, perchè hanno Dio per oggetto materiale e qualche attributo divino per oggetto formale. La fede ci unisce a Dio, suprema verità, e ci aiuta a veder tutto e a tutto giudicare alla divina sua luce. La speranza ci unisce a Colui che è la sorgente della nostra felicità, sempre pronto a versare su noi le sue grazie per compiere la nostra trasformazione ed aiutarci col suo potente soccorso a fare atti di confidenza assoluta e di filiale abbandono. La carità ci eleva a Dio sommamente buono in se stesso; e, sotto il suo influsso, noi ci compiacciamo delle infinite perfezioni di Dio più che se fossero nostre, desideriamo che siano conosciute e glorificate, stringiamo con Lui una santa amicizia, una dolce familiarità e così diventiamo ognor più a lui somiglianti. Queste tre virtù teologali ci uniscono dunque direttamente a Dio.

122.   b) Le virtù morali, che hanno per oggetto un bene onesto distinto da Dio e per motivo l’onestà stessa di quest’oggetto, favoriscono e perpetuano questa unione con Dio, regolando le nostre azioni in modo che, non ostante gli ostacoli che si trovano dentro e fuori di noi, tendano continuamente verso Dio. Così la prudenza ci fa scegliere i mezzi migliori per tendere al nostro fine soprannaturale. La giustizia, facendoci rendere al prossimo ciò che gli è dovuto, santifica le nostre relazioni coi nostri fratelli in modo da avvicinarci a Dio. La fortezza arma l’anima nostra contro la prova e la lotta, ci fa sopportare con pazienza i patimenti e intraprendere con santa audacia le più rudi fatiche per procurare la gloria di Dio. E, poichè il piacere colpevole ce ne distoglierebbe, la temperanza modera il nostro ardore pel piacere e lo subordina alla legge del dovere. Tutte queste virtù hanno dunque per ufficio di allontanare gli ostacoli e anche di somministrarci mezzi positivi per andare a Dio 122-1.

C) Dei doni dello Spirito Santo.

123.   Senza descriverli in particolare (cosa che faremo più tardi) ci basti qui dimostrarne la corrispondenza colle virtù.

I doni, senza essere più perfetti delle virtù teologali e specialmente della carità, ne perfezionano l’esercizio. Così il dono dell’intelletto ci fa penetrare più addentro nelle verità della fede per scoprirne i reconditi tesori e le arcane armonie; quello della scienza ci fa considerare le cose create nelle loro relazioni con Dio. Il dono del timore fortifica la speranza, staccandoci dai falsi beni di quaggiù, che potrebbero trascinarci al peccato e ci accresce quindi il desiderio dei beni celesti. Il dono della sapienza, facendoci gustare le cose divine, aumenta il nostro amore per Dio. La prudenza è grandemente perfezionata dal dono del consiglio, che ci fa conoscere, nei casi particolari e difficili, ciò che è o non è espediente di fare. Il dono della pietà perfeziona la virtù della religione, che si connette colla giustizia, facendoci vedere in Dio un padre che siamo lieti di glorificare per amore. — Il dono della fortezza compie la virtù dello stesso nome, eccitandoci a praticare ciò che vi è di più eroico nella paziente costanza e nell’operare il bene. Infine il dono del timore, oltre che facilita la speranza, perfeziona pure in noi la temperanza, facendoci temere i castighi e i mali che risultano dall’amore illecito dei piaceri.

Tal è il modo con cui armoniosamente si sviluppano nell’anima le virtù e i doni, sotto l’influsso della grazia attuale, di cui ci resta ora a dire una parola.

3° DELLA GRAZIA ATTUALE 124-1.

Come nell’ordine di natura abbiamo bisogno del concorso di Dio per passare dalla potenza all’atto, così nell’ordine soprannaturale non possiamo porre in atto le nostre facoltà senza il soccorso della grazia attuale.

124.   Ne esporremo:

▪   1° la nozione;

▪   2° il modo di operare;

▪   3° la necessità.

ALa nozione.   La grazia attuale è un aiuto soprannaturale e transitorio che Dio ci dà per illuminare la nostra intelligenza e fortificare la nostra volontà nella produzione degli atti soprannaturali.

a) Opera quindi direttamente sulle nostre facoltà spirituali, l’intelligenza e la volontà, non più soltanto per elevarle all’ordine soprannaturale, ma per metterle in moto e far loro produrre atti soprannaturali. Diamone un esempio: prima della giustificazione o dell’infusione della grazia abituale, ci illumina sulla malizia e sui terribili effetti del peccato per farcelo detestare. Dopo la giustificazione, ci mostra, alla luce della fede, l’infinita bellezza di Dio e la misericordiosa sua bontà per farcela amare con tutto il cuore.

b) Accanto però a queste grazie interne, ve ne sono altre che si chiamano esterne, le quali, operando direttamente sui nostri sensi e sulle nostre facoltà sensitive, indirettamente influiscono sulle nostre facoltà spirituali, tanto più che sono spesso accompagnate anche da veri aiuti interni. Così la lettura della Sacra Bibbia o d’un libro cristiano, l’ascoltazione d’una predica, d’un pezzo di musica religiosa, d’una buona conversazione, sono grazie esterne: di per sè non fortificano la volontà, ma producono in noi delle impressioni favorevoli che scuotono l’intelletto e la volontà e li inclinano verso il bene soprannaturale. Dio, del resto, vi aggiungerà spesso dei movimenti interni che, illuminando l’intelletto e fortificando la volontà, ci aiuteranno potentemente a convertirci o a divenir migliori. È quanto possiamo dedurre dalle parole del libro degli Atti, che ci mostrano lo Spirito Santo che apre il cuore d’una donna chiamata Lidia, per renderla attenta alla predicazione di S. Paolo 124-2. Dio poi, il quale sa che noi ci eleviamo dal sensibile allo spirituale, s’adatta alla nostra debolezza e si serve delle cose visibili per portarci alla virtù.

125.   BSuo modo di operare.   a) La grazia attuale influisce su di noi in modo morale e fisico nello stesso tempo: in modo morale, con le persuasioni e le attrattive, come una madre che, per aiutare il bambino a camminare, dolcemente lo chiama e lo invita a sè promettendogli una ricompensa; in modo fisico 125-1, aggiungendo nuove forze alle nostre facoltà, troppo deboli per operare da sole, come fa una madre che prende per le braccia il suo bambino e l’aiuta, non solo con la voce ma anche col gesto, a fare qualche passo innanzi. Tutte le Scuole ammettono che la grazia operante opera fisicamente, producendo nell’anima nostra dei movimenti indeliberati; quando però si tratta della grazia cooperante, vi è tra le diverse scuole Teologiche qualche disparere, che del resto per la pratica non ha grande importanza: non entriamo in queste discussioni, perchè non vogliamo fondare la nostra spiritualità su questioni controverse.

b) Sotto un altro aspetto, la grazia previene il nostro libero consenso o l’accompagna nel compimento dell’atto. Così mi nasce, per esempio, il pensiero di fare un atto d’amor di Dio senza che io abbia fatto nulla per suscitarlo: è una grazi preveniente, è un buon pensiero che Dio mi dà; se io l’accolgo bene e mi studio di produrre quest’atto d’amore, io lo faccio con l’aiuto della grazia adiuvante o concomitante. — Pari a questa distinzione è quella della grazia operante, per mezzo della quale Dio opera in noi senza di noi, e della grazia cooperante, per mezzo della quale Dio opera in noi e con noi, cioè colla nostra libera collaborazione.

126.   CSua necessità. 126-1   Il principio generale è che la grazia attuale è necessaria per ogni atto soprannaturale, perchè vi dev’essere proporzione tra l’effetto e il suo principio.

a) Così, quando si tratta della conversione, vale a dire del passaggio dal peccato mortale allo stato di grazia, abbiamo bisogno d’una grazia soprannaturale per fare gli atti preparatorii di fede, di speranza, di penitenza e d’amore; e anche per l’inizio della fede, cioè per quel pio desiderio di credere che ne è il primo passo. b) Ed è pure per la grazia attuale che perseveriamo nel bene nel corso della nostra vota sino all’ora della morte. Per questo infatti: 1) si deve resistere alle tentazioni che assalgono anche le anime giuste e che sono talvolta così insistenti e ostinate che non possiamo resistervi senza l’aiuto di Dio. Ecco perchè Nostro Signore raccomanda agli apostoli, anche dopo l’ultima Cena, di vigilare e pregare, vale a dire di appoggiarsi non sui propri sforzi soltanto ma sulla grazia per non soccombere alla tentazione126-2. 2)  Si devono inoltre adempiere tutti i propri doveri, e lo sforzo energico, costante, richiesto da questo adempimento non può farsi senza l’aiuto della grazia: solo colui che incominciò in noi l’opera della perfezione, può condurla a buon fine 126-3; solo l’autore della nostra vocazione all’eterna salute ha diritto di darvi l’ultima mano 126-4.

127.   E ciò è specialmente vero per la perseveranza finale che è dono speciale e grande dono 127-1: morire nello stato di grazia, non ostante tutte le tentazioni che vengono ad assalirci in quell’ultimo momento, o sfuggire a queste lotte con una morte dolce o repentina che ci addormenti nel Signore, è, a detta dei Concilii, la grazia delle grazie che non si potrà mai chiedere abbastanza, che non si può strettamente meritare, ma che si può ottenere con la preghiera e con la fedele cooperazione alla grazia, suppliciter emereri potest 127-2. c) E quando si vuole non solo perseverare, ma crescere ogni giorno più in santità, schivare i peccati veniali deliberati e diminuire il numero delle colpe di fragilità, non si dovrà pure far assegnamento sui divini favori? Pretendere che si possa stare a lungo senza commettere qualche peccato che ritardi il nostro avanzamento spirituale, è un andare contro l’esperienza delle anime migliori che si rimproverano così amaramente le loro debolezze, è un contradire S. Giovanni, che dichiara illusi quelli che pensano di non commettere peccati: “Si dixerimus quoniam peccatum non habemus, ipsi nos seducimus, et veritas non est in nobis” 127-3; è un contradire il Concilio di Trento, il quale condanna chi dicesse che l’uomo giustificato può, senza uno speciale privilegio divino 127-4, evitare in tutta la vita i peccati veniali.

128.   La grazia attuale ci è dunque necessaria anche dopo la giustificazione; ed ecco perchè la S. Scrittura insiste tanto sulla necessità della preghiera, con cui quella si ottiene dalla misericordia divina, come spiegheremo più tardi. Possiamo pure ottenerla con atti meritori o, in altre parole, con la libera cooperazione alla grazia; perchè quanto più siamo fedeli ad approfittarci delle grazie attuali che ci vengono largite, tanto più Dio si sente inclinato a concedercene delle nuove.

CONCLUSIONI.

129.   1° Dobbiamo dunque avere la più grande stima per la vita della grazie; è una vita nuova, una vita che ci unisce e ci rende simili a Dio, con tutto l’organismo necessario al suo esercizio. Ed è vita assai più perfetta della vita naturale. Se la vita intellettuale è molto superiore alla vita vegetativa e alla vita sensitiva, la vita cristiana è infinitamente superiore alla vita semplicemente razionale; questa infatti è dovuta all’uomo, posto che Dio si risolva a crearlo, mentre la vita della grazia supera tutte le attività e tutti i meriti delle creature anche più perfette. Qual creatura infatti potrebbe mai pretendere il diritto di divenire figlio adottivo di Dio, tempio dello Spirito Santo, e il privilegio di vedere Dio faccia a faccia come Dio vede se stesso? Dobbiamo quindi stimare questa vita più di tutti i beni creati, e considerarla come il tesoro nascosto pel cui acquisto non si deve esitare a vendere tutto ciò che si possiede.

130.   2° Quando si possiede un tal tesoro, bisogna sacrificare ogni cosa piuttosto che esporci a perderlo. È questa la conclusione che ne trae il Papa S. Leone: “Agnosce, o christiane, dignitatem tuam, et, divinæ consors factus naturæ, noli in veterem vilitatem degeneri conversatione redire 130-1″. Non vi è alcuno che più del cristiano debba rispettare se stesso, non certo per ragione dei propri meriti ma per ragione di quella vita divina a cui partecipa, e perchè è tempio dello Spirito Santo, tempio santo di cui non si deve mai offuscare la bellezza: “Domum tuam decet sanctitudo in longitudinem dierum 130-2″.

131.   3° Anzi, è evidente che dobbiamo pure utilizzare, coltivare quest’organismo soprannaturale di cui siamo dotati. Se piacque alla divina bontà di elevarci ad uno stato superiore, di darci largamente virtù e doni che perfezionano le nostre facoltà naturali, se ad ogni istante ci offre la sua collaborazione per metterli in opera, sarebbe un mal corrispondere a tanta liberalità il rigettar questi doni col non voler fare che atti naturalmente buoni o col non far produrre alla vigna dell’anima nostra che frutti imperfetti. Quanto più il donatore si mostrò generoso, tanto più s’aspetta da noi una collaborazione attiva e feconda. Il che apparirà anche meglio quando avremo veduto la parte che ha Gesù nella vita cristiana.

§ II. Della parte che ha Gesù nella vita cristiana 132-1.

132.   Tutta la SS. Trinità ci conferisce quella partecipazione della vita divina che abbiamo descritta. Ma lo fa per riguardo ai meriti e alle soddisfazioni di Gesù Cristo, il quale sotto questo aspetto ha una parte così essenziale nella nostra vita soprannaturale, che questa a buon diritto viene detta vita cristiana.

Secondo la dottrina di S. Paolo, Gesù Cristo è il capo dell’umanità rigenerata, come Adamo lo era stato dell’umana stirpe al suo nascere, in guisa però assai più perfetta. Egli coi suoi meriti ci riconquistò il diritto alla grazia e alla gloria; coi suoi esempi ci mostra come dobbiamo vivere per santificarci e meritare il cielo; ma egli è sopratutto il capo d’un corpo mistico di cui noi siamo le membra: è quindi causa meritoria, esemplare e vitale della nostra santificazione.

I. Gesù causa meritoria della nostra vita spirituale.

133.   Quando diciamo che Gesù è causa meritoria della nostra santificazione, prendiamo questa parola nel suo più esteso significato in quanto comprende la soddisfazione e il merito; “Propter nimiam charitatem qua dilexit nos, sua sanctissima passione in ligno crucis nobis iustificationem meruit et pro nobis satisfecit“.

Logicamente la soddisfazione precede il merito, nel senso che, per ottenere il perdono dei nostri peccati e meritare la grazia, è prima necessario riparare l’offesa fatta a Dio; ma in realtà tutti gli atti liberi di N. Signore erano nello stesso tempo soddisfatorii e meritorii, e avevano tutti un valore morale infinito, come abbiamo detto al n. 78. Non ci resta che trarre da queste verità alcune conclusioni.

A) Non vi sono peccati irremissibili, purchè, contriti e umiliati, ne chiediamo umilmente perdono. E questo noi facciamo nel sacro tribunale della penitenza, ove la virtù del sangue di Gesù ci viene applicata per mezzo del ministro di Dio. Questo facciamo pure nel santo sacrifizio della messa, ove Gesù continua ad offrirsi, per le mani del sacerdote, vittima di propiziazione, eccita nell’anima nostra profondi sentimenti di contrizione, ci rende Dio propizio, ci ottiene perdono sempre più pieno dei nostri peccati e una remissione sempre più abbondante della pena che dovremmo subire per espiarli. Possiamo aggiungere che tutti i nostri atti cristiani, uniti ai patimenti di Gesù, hanno un valore soddisfatorio per noi e per le anime per cui li offriamo.

134.   B) Gesù ci meritò pure tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguire il nostro fine soprannaturale e coltivare in noi la vita cristiana: Benedixit nos in omni benedictione spirituali in cælestibus in Christo Jesu 134-1″, Dio ci benedisse in Cristo con ogni sorta di benedizioni spirituali: grazie di conversione, grazie di perseveranza, grazie per resistere alle tentazioni, grazie per trar profitto dalle tribolazioni, grazie di consolazione, grazie di rinnovamento spirituale, grazie di nuova conversione, grazia di perseveranza finale, tutto egli ci meritò; e ci assicura che tutto ciò che chiederemo al Padre in suo nome, vale a dire appoggiandoci sui suoi meriti, ci sarà concesso.

Per ispirarci anche maggior fiducia, istituì i sacramenti, segni visibili che ci conferiscono la grazia in tutte le circostanze più importanti della vita e ci danno diritto a grazie attuali che riceviamo a tempo opportuno.

135.   C) Ma fece anche di più; ci diede il potere di sodisfare e di meritare, volendo così associarci a lui come cause secondarie e far di noi gli artefici della nostra santificazione. Ce ne fa perfino un precetto e condizione essenziale della nostra vita spirituale. S’ei portò la croce, gli è perchè anche noi lo seguiamo portando la nostra: “Si quis vult post me venire, abnegat semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me 135-1″. Così l’intesero gli Apostoli: “Se vogliamo partecipare alla sua gloria, dice S. Paolo, dobbiamo anche partecipare ai suoi patimenti, si tamen compatimur ut et conglorificemur 135-2″; e S. Pietro aggiunge che se Gesù Cristo patì per noi, lo fece perchè noi battiamo le sue orme 135-3. Anzi, le anime generose si sentono stimolate, come S. Paolo, a soffrir lietamente, in unione con Cristo, per il suo corpo mistico che è la Chiesa 135-4; a questo modo partecipano all’efficacia redentrice della sua Passione e collaborano come cause seconde alla salute dei fratelli. Oh! quanto questa dottrina è più vera, più nobile, più consolante dell’incredibile affermazione di certi protestanti che hanno il triste coraggio d’affermare che, avendo Gesù Cristo patito sufficientemente per noi, noi non abbiamo che da godere dei frutti della sua redenzione senza berne il calice! Pretendono con ciò di esaltare la pienezza dei meriti di Cristo, mentre in verità è il potere di meritare quello che fa risaltar meglio la pienezza della redenzione. Non è infatti più onorifico per Cristo il manifestare la fecondità delle sue soddisfazioni, associandoci all’opera sua redentrice e rendendoci capaci di collaborarvi, benchè in modo secondario, con imitarne gli esempi?

II. Gesù causa esemplare della nostra vita.

136.   Gesù non si contentò di meritare per noi, ma volle pur essere la causa esemplare, il modello vivente della nostra vita soprannaturale.

Gran bisogno noi avevamo d’un modello di questo genere; perchè, per coltivare una vita che è una partecipazione della vita stessa di Dio, dobbiamo avvicinarci quanto più è possibile alla vita divina. Ora, osserva S. Agostino, gli uomini che avevamo sotto gli occhi erano così imperfetti da non poterci servire da modelli, e Dio, che è la santità stessa, sembrava troppo distante. E allora l’eterno Figlio di Dio, viva sua immagine, si fa uomo e ci mostra coi suoi esempi come si può sulla terra avvicinarsi alla perfezione divina. Figlio di Dio e figlio dell’uomo, visse una vita veramente deiforme e potè dire, “qui videt me, videt et Patrem” 136-1, chi vede me, vede anche il Padre mio. Avendo manifestato nelle sue azioni la santità divina, potè proporci come possibile l’imitazione delle divine perfezioni: “Estote igitur perfecti sicut et Pater vester cælestis perfectus est” 136-2. Ecco perchè il Padre ce lo propone come modello: nel battesimo e nella trasfigurazione, apparendo ai discepoli dice loro parlando del Figlio: “Hic est filius meus in quo mihi bene complacui” 136-3: ecco il mio Figlio nel quale mi sono compiaciuto. Se trova in lui tutte le sue compiacenze, ei vuole dunque che noi l’imitiamo. Anche Nostro Signore ci dice con tutta sicurezza: “Ego sum via… nemo venit ad Patrem nisi per me… Discite a me quia mitis sum et humilis corde… Exemplum enim dedi vobis ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis” 136-4. E che cos’è in sostanza il Vangelo se non il racconto della vita, della passione e morte e risurrezione di Nostro Signore, onde proporlo alla nostra imitazione? “cæpit facere et docere” 136-5. Che cos’è il cristianesimo se non l’imitazione di Gesù Cristo? tanto che S. Paolo compendierà tutti i doveri cristiani in quello d’imitare Nostro Signore: “Imitatores mei estote sicut et ego Christi” 136-6. Vediamo dunque quali sono le qualità di questo modello.

137.   a) Gesù è un modello perfetto; anche per confessione di coloro che non credono alla sua divinità, egli è il tipo più compito di virtù che sia mai comparso sulla terra. Praticò le virtù in grado eroico e con le disposizioni interne più perfette: religione verso Dio, amore del prossimo, annientamento di sè stesso, orrore del peccato e di ciò che può condurvi 137-1. Eppure è un modello imitabile ed universale, pieno d’attrattiva, i cui esempi sono pieni d’efficacia.

138.   b) È un modello che tutti possono imitare; perchè volle assumere le nostre miserie e le nostre debolezze, subire persino la tentazione, esserci simile in tutto fuori del peccato: “Non enim habemus Pontificem qui non possit compati infirmitatibus nostris; tentatum autem per omnia pro similitudine absque peccato” 138-1. Per trent’anni ei visse la vita più nascosta, più oscura, più comune, obbedendo a Maria e a Giuseppe, lavorando come garzone ed operaio, “fabri filius” 138-2; e perciò divenne il modello perfetto della maggior parte degli uomini, che non hanno se non doveri oscuri da compiere e che devono santificarsi in mezzo alle occupazioni più comuni. Ma visse pure la vita pubblica e praticò l’apostolato sia in un gruppo scelto, formando gli Apostoli; sia tra la folla, evangelizzando il popolo; e quindi dovette soffrire la fatica e la fame; godette l’amicizia di alcuni come ebbe a sopportare l’ingratitudine di altri; provò trionfi e sconfitte; passò insomma per le peripezie di ogni uomo che ha relazioni con gli amici e col pubblico. La sua vita sofferente ci diede l’esempio della pazienza più eroica in mezzo alle torture fisiche e morali che ei tollerò, non solo senza lamentarsi, ma pregando per i suoi carnefici. Nè si dica che che, essendo Dio, patì di meno; era anche uomo: dotato di squisita sensibilità, sentì più vivamente di noi l’ingratitudine degli uomini, l’abbandono degli amici, il tradimento di Giuda; provò tali sentimenti di tedio, di tristezza, di timore, che non potè tenersi dal pregare che l’amaro calice, se fosse possibile, s’allontanasse da lui; e, sulla croce, emise quel grido straziante che mostra la profondità delle sue angoscie: “Deus, Deus meus, ut quid dereliquisti me?” 138-3 Gesù fu dunque un modello universale.

139.   c) Si mostra pieno d’attrattiva. Aveva predetto che, quando fosse elevato da terra (alludendo al supplizio della croce), avrebbe attirato tutto a sè: “Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum 139-1″. La profezia si avverò. Vedendo ciò che Gesù fece e patì per loro, i cuori generosi si accesero d’amore pel divin Crocifisso e quindi per la sua croce 139-2; non ostante le ripugnanze della natura, portano valorosamente le croci interne od esterne, sia per meglio rassomigliare al divino Maestro, sia per attestargli il loro amore, soffrendo con lui e per lui, sia per avere una parte più abbondante dei frutti della redenzione e collaborare con lui alla santificazione dei fratelli. È ciò che chiaramente si vede nella vita dei santi, i quali corrono dietro la croce con più avidità che non i mondano dietro i piaceri.

140.   d) Questa attrattiva è tanto più forte in quanto che egli vi aggiunge l’efficacia della sua grazia: essendo le azioni fatte da Gesù prima della morte tutte meritorie, egli ci meritò la grazia di farne di simili; quando noi consideriamo la sua umiltà, la sua povertà, la sua mortificazione e le altre sue virtù, siamo eccitati ad imitarlo non solo per la forza persuasiva dei suoi esempi, ma anche per l’efficacia delle grazie che ci meritò praticando le virtù e che in quell’occasione ci concede.

141.   Vi sono poi certe particolari azioni di Nostro Signore che hanno una maggiore importanza e a cui dobbiamo in modo speciale unirci perchè contengono più copiose grazie: sono i suoi misteri. Così il mistero dell’Incarnazione ci meritò la grazia della rinunzia a noi stessi e della unione con Dio, perchè Nostro Signore ci offrì con Lui per consacrarci tutti al Padre; il mistero della crocifissione ci meritò la grazia di crocifiggere la carne e le sue cupidigie; il mistero della morte ci meritò di morire al peccato e alle sue cause, ecc. 141-1 La qual cosa, del resto, intenderemo meglio, vedendo in che modo Gesù è il capo del corpo mistico di cui noi siamo le membra.

III. Gesù capo del corpo mistico o fonte di vita 142-1.

142.   Questa dottrina si trova già sostanzialmente nelle parole di Nostro Signore: “Ego sum vitis, vos palmites” 142-2. Io sono la vite e voi i tralci. Egli afferma infatti che noi riceviamo la vita da lui come i tralci della vite la ricevono dal ceppo a cui sono uniti. Questo paragone fa dunque risaltare la comunanza di vita che corre tra Nostro Signore e noi; onde è facile passare all’idea del corpo mistico in cui Gesù, come capo, fa scorrere la vita nelle membra. Chi insiste di più su questa dottrina così feconda di risultati è S. Paolo.

In un corpo sono necessari un capo, un’anima e delle membra. Appunto questi tre elementi descriveremo, attenendoci alla dottrina dell’Apostolo.

143.   1° Il capo esercita nel corpo umano un triplice ufficio: ufficio di preminenza, perchè ne è la parte principale; ufficio di centro d’unità, perchè riunisce e dirige tutte le membra; ufficio d’influsso vitale, perchè da lui parte il movimento e la vita. Ora appunto questo triplice ufficio esercita Gesù nella Chiesa e sulle anime. a) Ha certamente la preminenza su tutti gli uomini egli che, come uomo, è il primogenito tra tutte le creature, l’oggetto delle divine compiacenze, il modello perfetto d’ogni virtù, la causa meritoria della nostra santificazione, egli che, pei suoi meriti, venne esaltato su tutte le creature e al cui cospetto deve piegarsi ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno.

b) Gesù è nella Chiesa il centro d’unità. Due cose sono essenziali in un organismo perfetto: la varietà degli organi e delle funzioni che compiono e la loro unità in un comune principio; senza questo doppio elemento non si avrebbe che una massa inerte o un aggregato d’esseri viventi senza vincolo organico. Ora è pur sempre Gesù che, dopo avere costituito nella Chiesa la varietà degli organi con l’istituzione della gerarchia, ne rimane centro d’unità, poichè è lui, capo invisibile ma reale, che imprime ai capi gerarchici la direzione e il movimento.

c) Gesù è pure il principio dell’influsso vitale che anima e vivifica tutte le membra. Anche come uomo riceve la pienezza della grazia per comunicarcela: “Vidimus cum plenum gratiæ et veritatis… de cuius plenitudine nos omnes accepimus, et gratiam pro gratia 143-1″. Non è infatti causa meritoria di tutte le grazie che riceviamo e che ci sono distribuite dallo Spirito Santo? Anche il Concilio di Trento afferma senza esitare quest’azione e quest’influsso vitale di Gesù sui giusti: “Cum enim ille ipse Christus Jesus tanquam caput in membra… in ipsos iustificatos iugiter virtutum influat 143-2″.

144.   2° Ad ogni corpo è necessario non solo un capo ma anche un’anima. Ora l’anima del corpo mistico di cui Gesù è il capo, è lo Spirito Santo (cioè la SS. Trinità indicata con questo nome); è lui infatti che diffonde nelle anime la carità e la grazia meritate da Nostro Signore: “Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis 144-1″. Ecco perchè è chiamato Spirito vivificante: “Credo in Spiritum… vivificantem“. Ecco perchè S. Agostino dice che lo Spirito Santo è per il corpo della Chiesa ciò che l’anima è pel corpo naturale: “Quod est in corpore nostro anima, id est Spiritus Sanctus in corpore Christi quod est Ecclesia 144-2″. Questa espressione, del resto, fu consacrata da Leone XIII nella Enciclica sullo Spirito Santo 144-3. — È pure questo divino Spirito che distribuisce i vari carismi: agli uni il discorso della sapienza o la grazia della predicazione, agli altri il dono dei miracoli, a questi il dono della profezia, a quelli il dono delle lingue, ecc.: “Hæc autem omnia operatur unus atque idem Spiritus, dividens singulis prout vult 144-4″.

145.   Queste due azioni di Cristo e dello Spirito Santo non solo non s’intralciano ma si compiono a vicenda. Lo Spirito Santo ci proviene da Cristo. Quando Gesù viveva sulla terra, possedeva nella santa sua anima la pienezza dello Spirito; con le sue azioni e principalmente coi suoi patimenti e con la sua morte, meritò che questo Spirito ci fosse comunicato: è dunque in grazia sua che lo Spirito Santo viene a comunicarci la vita e le virtù di Cristo e a renderci simili a lui. Così si spiega tutto: Gesù, essendo uomo, può egli solo essere il capo di un corpo mistico composto di uomini, dovendo il capo e le membra essere della stessa natura; ma, come uomo, non può da se stesso conferire la grazia necessaria alla vita delle membra onde vi supplisce lo Spirito Santo compiendo appunto quest’ufficio; ma poichè lo fa in virtù dei meriti del Salvatore, si può ben dire che l’influsso vitale parte in sostanza da Gesù per arrivare alle membra.

146.   3° Quali sono dunque i membri di questo corpo mistico? Tutti coloro che sono battezzati. Di fatti col battesimo veniamo incorporati a Cristo, come dice S. Paolo: “Etenim in uno Spiritu omnes nos in unum corpus baptizati sumus 146-1″. Ecco perchè aggiunge che fummo battezzati in Cristo e che col battesimo ci rivestiamo di Cristo 146-2, vale a dire che partecipiamo alle disposizioni interne di Cristo: la qual cosa il Decreto per gli Armeni spiega dicendo che col battesimo diventiamo membri di Cristo e parte del corpo della Chiesa: “per ipsum (baptismum) enim membra Christi ac de corpore efficimur Ecclesiæ 146-3″.

Ne viene che tutti i battezzati sono membri di Cristo ma in grado diverso: i giusti gli sono uniti per mezzo della grazia abituale e di tutti i privilegi che l’accompagnano; i peccatori per mezzo della fede e della speranza; i beati per mezzo della visione beatifica. Gli infedeli poi non sono attualmente membri del suo corpo mistico, ma, finchè vivono sulla terra, sono chiamati a divenirlo; i dannati soltanto sono esclusi per sempre da questo privilegio.

147.   4° Conseguenze di questo domma. — A) Su questa incorporazione a Cristo è fondata la comunione dei Santi; i giusti che vivono quaggiù, le anime del Purgatorio e i Santi del cielo, fanno tutti parte del corpo mistico di Gesù, tutti ne partecipano la vita, ne ricevono l’influsso e devono scambievolmente amarsi e aiutarsi come le membra d’uno stesso corpo; perchè, dice S. Paolo, “se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; e se un membro è glorificato, tutte godono con lui: Si quid patitur unum membrum, compatiuntur omnia membra; sive gloriatur unum membrum, congaudent omnia membra” 147-1.

148.   B) Ecco perchè tutti i cristiani sono fratelli: non vi è più ormai nè Giudeo, nè Greco, nè uomo libero nè schiavo; siamo tutti uno solo in Cristo Gesù 148-1. Siamo dunque tutti solidarii e ciò che è utile ad uno è utile agli altri, perchè, qualunque sia la diversità dei doni e degli uffici, tutto il corpo s’avvantaggia di ciò che vi è di buono in ciascun membro, come ciascun membro si avvantaggia a sua volta dei beni dell’intiero corpo. Con questa dottrina si spiega pure perchè Nostro Signore potè dire: Ciò che fate al più piccolo dei miei, a me lo fate; il capo infatti si identifica con le membra.

149.   C) Ne viene che, secondo la dottrina di S. Paolo, i cristiani sono il compimento di Cristo: Dio infatti “lo diede per capo supremo alla Chiesa, che è il corpo di lui e la pienezza di lui, il quale compie tutto in tutti: “Ipsum dedit caput supra omnem Ecclesiam, quæ est corpus ipsius et plenitudo eius, qui omnia in omnibus adimpletur 149-1″. Gesù, infatti, pur essendo perfetto in sè stesso, ha bisogno d’un compimento per formare il suo corpo mistico: sotto questo aspetto, non basta a sè stesso ma ha bisogno di membra per esercitare tutte le funzioni vitali. Onde l’Olier conchiude 149-2: “Cediamo le anime nostre allo Spirito di Gesù Cristo perchè egli cresca in noi. Se trova soggetti ben disposti, si dilata, s’accresce, s’espande nei loro cuori, li profuma dell’unzione spirituale di cui è egli stesso profumato”. È questo il modo con cui possiamo e dobbiamo compiere la Passione del Salvatore Gesù, soffrendo come ha sofferto lui, affinchè questa passione, così compita in se stessa, si compia anche nei suoi membri nel corso del tempo e dello spazio: “Adimpleo ea quæ desunt passionum Christi in carne mea pro corpore eius quod est Ecclesia 149-3″. Come si vede, non v’è nulla di più fecondo di questa dottrina sul corpo mistico di Gesù.

COMPENDIO DI TEOLOGIA ASCETICA E MISTICA parte 1ultima modifica: 2016-03-02T18:21:23+01:00da mikeplato
Reposta per primo quest’articolo