EVOLA vs ZOLLA

ElŽmire Zolla, italian writer, Montepulciano, marzo 1996. © Leonardo Cendamo

ElŽmire Zolla, italian writer, Montepulciano, marzo 1996. © Leonardo Cendamo

Il seguente è un articolo estremamente importante di Evola, uscito sul periodico “Il conciliatore” il 15 giugno 1971 e successivamente inserito, con qualche modifica, nella raccolta “L’Arco e la clava”. In questo scritto Evola, partendo dalla critica di un libro di Elémire Zolla, passa poi ad illustrare, in modo necessariamente conciso ma molto chiaro, i due angoli visuali da cui può essere osservato ed inteso il concetto di “Tradizione”: quello storico, connesso ad una morfologia delle civiltà e quindi ad una vera e propria metafisica della storia, e quello dottrinario, interno, “esoterico”.

di Julius Evola

Vi sono due ragioni per le quali oggi è opportuno precisare il concetto di Tradizione in quella sua particolare accezione, per cui è divenuto abbastanza corrente usare tale termine con la lettera maiuscola.

La prima ragione è l’interesse crescente che codesta idea della Tradizione quale punto di riferimento ha suscitato e continua a suscitare negli ambienti della cultura, specie fra gli appartenenti alla nuova generazione.

La seconda ragione riguarda il fatto che nel contempo, e si può dire per aver constatato tale interesse, si sono avuti tentativi di mettere avanti una interpretazione sfaldata e annacquata del concetto di Tradizione, quasi per soppiantare quello originario e integrale e sostituirlo con un contenuto meno impegnativo e più accomodante, tanto da permettere la continuazione delle routines di una mentalità più o meno conformista. Si potrebbe parlare, a tale riguardo, usando un termine francese, di un escamotage.

È così che si è avuto, ad esempio, il ripiegamento di persone, attratte in un primo tempo dal concetto di Tradizione, verso un «tradizionalismo cattolico». Circa il senso interno di tale ripiegamento, sono abbastanza significative le parole dette da uno scrittore esponente di questo indirizzo, in una intervista dal lui concessa a Gianfranco De Turris uscita in un precedente numero di questa stessa rivista. Lo scrittore in questione ha riconosciuto che, come altri della sua generazione e delle successive, in precedenza si era positivamente interessato all’idea tradizionale, specie nelle sue applicazioni politiche, ma che successivamente se ne era allontanato sentendo che le cose stavano come in una «sana cura elioterapica»: bisognava «ritirarsi dal sole prima di essere scottati». Evidentemente questo non è che un modo abilmente elegante per dire che non si sopportava il potenziale di certe idee allo stato inattenuato: donde il ripiegamento verso il «tradizionalismo cattolico».

Ma un caso precipuo è costituito da un libro, recentemente uscito presso Bompiani, che si intitola senz’altro: Che cosa è la tradizione [1]. A parte il fatto che non si tratta di una esposizione sistematica, ma di un gruppo di saggi che spesso hanno poco a che fare col soggetto, l’autore dà di nuovo una versione sbiadita della Tradizione, con visibili preoccupazioni di carattere religioso e moraleggiante; lo sfoggio di citazioni molteplici di una cultura varia valgono più a confondere che non a chiarire, data la mancanza, appunto, di un rigoroso quadro sistematico. È abbastanza visibile che questo libro è stato scritto appunto in relazione all’accennato, crescente interesse che sta guadagnando l’idea della Tradizione, e praticamente esso tende a soppiantarla. Vi è poi un tratto che merita di essere segnalato: l’autore del libro in questione, che oggi pretende di dirci lui che cosa sarebbe la Tradizione, di certo non si era mai sognato di avvicinarsi ad un simile ordine di idee fino a non molto tempo fa quando andava a braccetto con Moravia e con altri esponenti di una intellighenzia nostrana più o meno sinistrorsa.

Egli fa come se ignorasse che il concetto integrale della Tradizione era stato ben formulato già negli anni del ’20 da René Guénon e dal suo gruppo, poi nella nostra opera Rivolta contro il mondo moderno uscita nel 1934 in Italia, nel 1935 in Germania, la prima parte della quale s’intitola appunto «Il mondo della Tradizione». Quasi a malincuore l’autore di cui si è detto cita, appena un paio di volte, il contributo guénoniano, però ignora sistematicamente il nostro. Purtroppo egli dispone di una cerchia abbastanza vasta di lettori, per cui la sua presentazione svigorita di ciò che sarebbe la Tradizione risulta, praticamente, abbastanza perniciosa.

Diciamo subito che da parte nostra sarebbe presuntuoso voler esporre in questa sede, in un semplice articolo, che cosa sia la Tradizione in senso superiore. Il titolo del presente scritto prende riferimento, piuttosto, unicamente da quello del libro dianzi menzionato. Soltanto un cenno più che sommario qui può trovar luogo.

Si possono distinguere due aspetti della Tradizione, l’uno riferendosi ad una metafisica della storia e ad una morfologia delle civiltà, il secondo ad una interpretazione «esoterica», ossia secondo la loro dimensione in profondità, del vario materiale tradizionale [2].

Si sa che il termine «tradizione» viene dal latino tradere, cioè trasmettere. A tale stregua esso ha un contenuto indeterminato, per cui lo si vede usare nei contesti più vari e profani. «Tradizionalismo» può perfino significare conformismo, e a tale proposito Chesterton ha detto che la tradizione è «la democrazia dei morti»; come nella democrazia ci si conforma all’opinione di una maggioranza di contemporanei, così col tradizionalismo conformista si segue quella della maggioranza di coloro che vissero prima di noi. Pochi sanno che il termine Kabbala ha, letteralmente, proprio il senso di «tradizione», ma qui in relazione alla trasmissione di un insegnamento metafisico e della interpretazione «esoterica» della corrispondente tradizione, per cui ci si avvicina già a ciò di cui si tratta.

Per quel che riguarda il dominio storico, la Tradizione va riportata a ciò che si potrebbe chiamare una trascendenza immanente. Si tratta dell’idea ricorrente, che una forza dall’alto abbia agito nell’una o nell’altra area o nell’uno o nell’altro ciclo storico, in modo che valori spirituali e superindividuali costituissero l’asse e il supremo punto di riferimento per l’organizzazione generale, la formazione e la giustificazione di ogni realtà e attività subordinata e semplicemente umana. Questa forza è una presenza che si trasmette, e questa trasmissione, corroborata proprio dal carattere, sopraelevato rispetto alla contingenze storiche, di detta forza, costituiva appunto la Tradizione.

Normalmente la Tradizione in questo senso è portata da chi sta al vertice delle corrispondenti gerarchie, o da una élite, e nelle forme più originarie e complete non vi è separazione fra potere temporale e autorità spirituale, la seconda essendo anzi, in via di principio, il fondamento, la legittimazione e il crisma della prima. Come esempio caratteristico si potrebbe citare la concezione estremo-orientale del sovrano quale «terza forza fra Cielo e Terra», concezione che si ritrova in quella della regalità nipponica, la cui tradizione si era continuata quasi immutata fino ad ieri, attraverso i secoli. Molti esempi analoghi, tratti anche dal mondo occidentale, li abbiamo riferiti nella nostra opera dianzi citata, mettendo in evidenza la costanza della corrispondente idea di base.

Nell’aspetto ora indicato di una «trascendenza immanente», il tradere, il trasmettere (quindi la Tradizione) riguarda non qualcosa di astratto e di contemplativo ma appunto una energia che per essere invisibile non è meno reale. Ai capi e ad una élite spetta il compito di curare entro determinati quadri istituzionali, variabili ma omologabili nella loro finalità, questa trasmissione. È abbastanza evidente che essa è al massimo garantita se può essere parallela ad un continuità di ceppo o di sangue tutelata da norme rigorose. Di fatto, quando la catena della trasmissione si interrompe, è assai difficile ristabilirla. Che in tale prospettiva la Tradizione sia l’antitesi di tutto ciò che è democrazia, egualitarismo, primato della società rispetto allo Stato, potere che viene dal basso, e simili, ciò non occorre metterlo in rilievo.

Per il secondo aspetto della Tradizione, bisogna rifarsi al piano dottrinale, e qui il punto di riferimento è ciò che si può chiamare l’unità trascendente riposta nelle varie tradizioni. Può trattarsi di tradizioni di tipo religioso, ma anche di altro genere, sapienziali o misteriche. Quello che è stato chiamato il «metodo tradizionale» consiste nello scoprire una unità o corrispondenza essenziale di simboli, di forme, di miti, di dogmi, di discipline di là dalle espressioni varie che i corrispondenti contenuti di significato possono assumere nelle singole tradizioni storiche. Tale unità può risultare da una penetrazione in profondità della varia materia tradizionale, indagine, ciò deve essere sottolineato, che va distinta dalle ricerche della cosiddetta scienza comparata delle religioni universitarie, la quale si tiene alle due dimensioni della superficie ed ha dunque un carattere empirico, anziché metafisico.

La facoltà richiesta è piuttosto quella che si potrebbe chiamare «intuizione intellettuale» o «spirituale», intuitio intellectualis, e chi ha una sensibilità adeguata si accorge subito se essa è, o no, in opera, per una certa virtù illuminante in quanto ne risulta, inesistente nei ravvicinamenti intrinseci e stentati propri alla indagine profana e anche a coloro che vorrebbero fare i tradizionalisti senza una qualche effettiva radice nella Tradizione. E qui ci si può riferire non soltanto agli scrittori cui si è accennato al principio, e ad altri di uguale estrazione, che civettano semplicemente con l’idea di Tradizione non essendo che degli intellettuali, ma anche ad alcuni psicanalisti che hanno sconfinato nel campo della simbologia, della mitologia e delle religioni. Inoltre, soltanto il possesso di quella rara e non apprendibile capacità intellettiva può dare anche il senso della misura e prevenire ciò che si potrebbe chiamare «la superstizione della Tradizione». In effetti, vi sono persone che hanno lasciato redini libere alla fantasia e che si sono messe a scoprire dovunque contenuti tradizionali, anche quando essi sono immaginari o si tratta di contesti spuri e primitivi. È l’analogo del cosiddetto «delirio [in senso psichiatrico] interpretativo» dei freudiani, i quali vogliono trovare dappertutto in azione i complessi del sesso.

L’origine delle forme tradizionali ci pone di fronte a problemi abbastanza complessi. Per quel che riguarda il primo dei due aspetti qui distinti, ossia l’aspetto storico, viene spesso prospetta l’idea di una tradizione primordiale, dalla quale sarebbero derivate le successive, particolari tradizioni. Ma se si resta sul piano storico, questo concetto dovrebbe venir articolato. Così dell’ipotesi di una tradizione primordiale iperborea o nordico-occidentale per quel che riguarda il gruppo delle civiltà tradizionali dell’area indoeuropea, non si può fare troppo uso per quanto concerne, ad esempio, le forme tradizionali estremo-orientali, le quali sono verosimilmente da riportarsi ad un diverso ceppo o focolare d’origine. Ma qui più spesso può imporsi il punto di vista da seguire per il secondo aspetto del problema, che è la spiegazione di corrispondenze e di concordanze essenziali e di contenuti tradizionali. È semplicistica, e in parte superstiziosa, l’idea di personaggi, «iniziati» e simili, che nei vari casi abbiano operato coscientemente all’origine di ogni tradizione. Anche se l’idea non può forse essere accolta da tutti senza difficoltà, pure spesso si deve pensare, piuttosto, a influenze, per così dire, da «dietro le quinte» inseritesi nella storia e negli sviluppi delle tradizioni, senza che i rappresentanti di esse se ne rendessero conto.

Vi sono anche casi di un «ripullulare» di un’unica influenza a notevoli distanze di spazio o di tempo, quindi senza una trasmissione materialmente rilevabile: quasi come quando un vortice scompare in un dato punto della corrente di un fiume per tornare a formarsi in un altro punto di essa. È quel che si deve pensare in molti casi di corrispondenze tradizionali, in elementi particolari ma anche nelle strutture d’insieme di date civiltà: le linee di collegamento alla superficie sono inesistenti, qualcosa di imponderabile entra in giuoco servendosi al massimo di elementi minimi di «sostegno». Ad esempio, la generazione dell’antica romanità, in ciò per cui essa riprodusse forme varie della tradizione primordiale indoeuropea, può essere vista sotto questa luce. Infine, devesi considerare il caso che l’influenza in questione agisca successivamente, ossia nello sviluppo ulteriore come tradizione di una materia originaria, trasformandola, arricchendola e anche rettificandola. In una certa misura, ciò sembra essere accaduto nel formarsi della tradizione cattolica dalla materia del cristianesimo primitivo.

L’introduzione dell’idea della Tradizione vale a liberare ogni tradizione particolare dal suo isolamento, appunto col riportare il principio generatore di essa e i suoi contenuti essenziali ad un contesto più vasto, in termini che sono di una effettiva integrazione. A scapitarne, sono solamente le eventuali pretese di esclusivismo settario e di privilegio. Riconosciamo che ciò può recar disturbo e creare un certo disorientamento in chi si sentiva ben al sicuro in una data area ristretta, recintata. Però ad altri la visione tradizionale aprirà più ampi e liberi orizzonti, infonderà solo una superiore sicurezza, a patto di non barare al giuoco: come nel caso di quei «tradizionalisti» che hanno messo mano alla Tradizione soltanto per una specie di condimento alla propria tradizione particolare riaffermata in tutte le sue limitazioni e in tutto il suo esclusivismo.

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Note

[1] Evola si riferisce al libro “Ce qu’est la tradition” di Elémire Zolla, pubblicato per la prima volta in Italia da Bompiani nel 1971 con il titolo “Che cos’è la tradizione” (N.d.R.).

[2] Evola riprende e sviluppa qui quanto già aveva accennato ne “Il Cammino del cinabro“, pubblicato nel 1963. Leggiamo infatti nel capitolo “L’esplorazione delle origini e la Tradizione”: “La critica contro la civiltà moderna era, nel Guénon, potenziata, ma, a differenza di quella di vari autori contemporanei più o meno noti, in lui aveva una precisa controparte positiva: il mondo della Tradizione, considerato come il mondo normale in senso superiore. Era di fronte al mondo della Tradizione che il mondo moderno appariva come una civiltà anomala e regressiva, nata da una crisi e da una deviazione profonda dell’umanità. Questo fu appunto il tema basilare che andò a completare il sistema delle mie idee: la Tradizione. Nel Guénon tale termine ha un significato speciale. Anzitutto viene usato al singolare, con riferimento ad una tradizione primordiale di cui tutte le varie particolari tradizioni storiche premoderne sono state promanazioni, riflessi o forme varie di adattamento e di espressione. In secondo luogo, la Tradizione non ha nulla a che fare con conformismo e con routine; è la struttura fondamentale di una civiltà di tipo organico, differenziato e gerarchico in cui tutti i domini e tutte le umane attività hanno un orientamento dall’alto e verso l’alto. Il centro naturale di tale sistema è una influenza trascendente e un corrispondente ordine di principi, che in ogni civiltà tradizionale sono rappresentati da una élite o da un capo, rivestenti, per tal via, una autorità tanto incondizionata, quanto legittima e impersonale” (N.d.R.).

EVOLA vs ZOLLAultima modifica: 2018-09-06T15:39:57+02:00da mikeplato
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