IL DESERTO NEL DE VITA MOSIS DI FILONE ALESSANDRINO: POSSIBILITÀ DI UN’ASCESA ETICA E CONOSCITIVA ATTRAVERSO I PRODIGI

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di Irith Davidzon

 

SOMMARIO

Questo lavoro tratta del significato del deserto come è descritto nel De Vita Mosis di Filone di Alessandria. La ricerca intende mostrare che il deserto – come descritto da Filone – non sia solo un luogo fisico ma offra all’uomo la possibilità di elevarsi a Dio. Nel De Vita Mosis c’è una stretta relazione tra il deserto, le sofferenze e gli interventi divini: nel contesto, la «manna» è il legame tra l’uomo e Dio. Il cammino umano verso Dio inizia con le sofferenze e le privazioni inflitte dal deserto ma, alla fine, l’uomo raggiunge la contemplazione della natura e la conoscenza di Dio attraverso la meraviglia della manna come manifestazione divina

 

Introduzione. Filone Alessandrino, filosofo greco e pensatore ebreo del I secolo, nel De Vita Mosis narra in modo originale la vita di Mosè e del suo popolo ispirandosi all’ Esodo biblico; in particolare, in quest’opera l’autore dedica ampio spazio e descrive accuratamente il deserto percorso dagli ebrei in fuga dall’Egitto: Vi erano ovunque e soltanto gole e rocce scoscese o pianure salmastre o monti petrosi o mucchi di sabbia che si estendevano sino ad altezze irraggiungibili e inoltre non vi era nessun fiume, né originato da una sorgente, né da piogge, nessuna fonte, nessuna pianta o albero, domestico o selvatico, nessun animale, volatile o terrestre, tranne le specie dei rettili, velenose e mortali per gli uomini, serpenti e scorpioni (1).  Il deserto, oggetto di indagine della presente ricerca, è per Filone sia l’ambiente in cui si svolge la marcia degli ebrei sia simbolo che rimanda ad altri significati come, in generale, si osserva per tutti i personaggi e gli elementi del  De Vita Mosis che non sono mai solo semplici attori o sfondo di una storia – l’Esodo – ma si aprono, attraverso la rielaborazione filoniana, a diversi livelli di lettura e di interpretazione allegorica. Questo lavoro, quindi, si propone di dimostrare come il deserto di Filone non sia solo un luogo fisico ma si trasformi in uno spazio per l’incontro dell’uomo con Dio. Filone descrive il deserto come luogo ostile alla vita e causa di sofferenze per il popolo ebraico ma al contempo l’autore indica come un ambiente che genera pene e privazioni – di acqua e di cibo – possa offrire all’uomo la possibilità di elevarsi a Dio; il deserto, infatti, causa e giustifica gli interventi divini che sono di soccorso per il popolo ebraico ai mali inflitti dall’asperità del luogo: l’acqua che prodigiosamente esce dalla roccia o la caduta della manna sono alcuni esempi di eventi straordinari che risolvono la fame e la sete del popolo ebraico. Nel De Vita Mosis è presente una stretta relazione che lega deserto, sofferenze e interventi divini i quali non solo soccorrono l’uomo ma mostrano Dio,  sanciscono una relazione che non si è esaurita con la creazione e divengono allegoricamente un percorso educativo, un itinerario che si sviluppa in modo significativo nel deserto, luogo in cui gli ebrei cercheranno la propria strada  verso l’alto (2). Tutta la filosofia di Filone è in ultima analisi un itinerario a Dio e la stessa interpretazione allegorica di molti personaggi e vicende narrati nella Bibbia è appunto una storia, di cui quei personaggi e quelle vicende sono simboli, delle tappe percorse dall’anima nel suo itinerario a Dio (3). Nel  De Vita Mosis il deserto è molto più di un luogo fisico: Filone si attiene al testo biblico di riferimento, la Bibbia dei LXX, ma ne modifica il racconto per evidenziare con grande originalità il motivo etico e conoscitivo. Nella LXX il deserto è l’ambiente ‘naturale’ che si frappone tra l’Egitto e la ‘Terra Promessa’ (4), è il luogo in cui accadono quegli interventi divini che mettono alla prova il popolo ebraico nella fede in Dio e nel rispetto della Legge; nel  De Vita Mosis , invece, il percorso nel deserto è principalmente un itinerario interiore e la fisicità del luogo diviene lo spazio privilegiato per l’incontro tra l’uomo e Dio. Queste considerazioni sono il nodo di una ricerca condotta con pochi punti di riferimento e un’esigua bibliografia poiché la natura del  De Vita Mosis , biografia filosofica modellata sul racconto biblico, non ha promosso fino ad ora ricerche in altre direzioni. Questo lavoro, invece, guarda il De Vita Mosis come un testo ricco di significati e allegorie che, non sempre rese esplicite nella narrazione, sono fondamentali per penetrare l’involucro apologetico del testo. Attraverso il richiamo ad altri testi di Filone, contenuti nel Commentario allegorico alla Bibbia , e con un lavoro di analisi e di ricerca si è potuto valutare il De Vita Mosis in modo nuovo: quest’opera è a sé stante e unica rispetto alla complessità della produzione filoniana poiché l’autore offre un’apologia del giudaismo ma al tempo stesso, attraverso un gioco di riflessi che rimandano ad altre sue opere, apre la possibilità di ricerca di significati sottesi al testo; il De Vita Mosis è molto più di una storia e di una biografia di Mosè.

 

Il percorso nel deserto: la sete e la fame. Quale sarà la fine di questo nostro viaggio così lungo e interminabile? Chiunque viaggi, per mare o per terra, ha una meta cui giungerà […] solo noi abbiamo davanti un deserto impraticabile, un cammino difficile (5). Con il passaggio del Mar Rosso il popolo ebraico ha ottenuto la libertà e si trova ad affrontare, nel deserto, prove che colpiscono necessità vitali legate alla sopravvivenza fisica come la mancanza di acqua e di nutrimento (6). La difficoltà di individuare nel  De Vita Mosis il percorso a Dio del popolo ebraico è dovuta al risalto dato alla descrizione delle sofferenze causate dalla  fame e dalla  sete : la soluzione di queste privazioni, infatti, mette in rilievo gli interventi divini e le virtù di Mosè a scapito dello sfondo costituito dal popolo ebraico che appare così uno spettatore che soffre anziché soggetto del percorso educativo. Tuttavia, a una più attenta lettura degli episodi di  sete e di  fame , si riscontra un percorso in cui ogni difficoltà rappresenta una prova e ogni soluzione, sotto forma di intervento divino, rappresenta un momento educativo che avvicinerà gli ebrei a Dio. Affrontarono con grande pazienza e vigore i pericoli e le insidie del deserto […] come la  fame e la  sete , il freddo e il caldo, che di norma rendono schiavi gli altri e che essi soggiogarono invece grazie alla superiorità della loro forza. […] Nessuno, dunque, rifugga questo genere di maltrattamento […]. In realtà, l’anima ammonita [da queste prove] trae nutrimento dai principi dell’educazione (7). L’itinerario a Dio si sviluppa significativamente nel deserto che presenta duplici e opposti aspetti; se questo luogo appare agli egiziani come mero spazio fisico carico di negatività, per il popolo ebraico si prefigura come spazio privilegiato per il percorso a Dio che Mosè individua e sceglie, grazie anche all’assenso divino manifestato con il prodigio della nube (8). Nel passo del  De Vita Mosis che apre la descrizione del pellegrinaggio nel deserto, emerge in modo esplicito la motivazione di questa scelta come alternativa ad una via breve e diretta, scelta che si dimostra essere di carattere sia pratico che educativo: [Mosè] non li guidava per la via più breve, in primo luogo per evitare che gli abitanti di quelle terre […] muovessero loro contro […]. In secondo luogo egli voleva metterli alla prova, conducendoli attraverso un vasto deserto, e vedere se avrebbero continuato a obbedirgli, quando le provviste scarseggiassero e andassero via via diminuendo (9) .Sono così annunciate esplicitamente le prove che, imposte dalle condizioni del luogo, saranno inizio di un percorso educativo attuato con la guida di Mosè e attraverso gli interventi divini che non avranno solo una funzione risolutrice ma, nella loro sequenza, formeranno una scala dove ogni passo eleverà gradualmente gli uomini a Dio. Agli ebrei, quindi, si apre nel deserto la possibilità di un’ascesa etica e conoscitiva che di contro gli egiziani non riconoscono: Il re d’Egitto quando vide che essi prendevano una strada da lui ritenuta impraticabile [il deserto] […] si rallegrò pensando che avessero sbagliato (10). Il deserto assume diverse e opposte valenze che si riflettono nel momento dello scontro tra i due popoli: se agli occhi del Faraone gli ebrei hanno scelto una strada «senza via d’uscita» (11) , per il popolo ebraico questa si dimostra essere l’inizio della libertà e di una nuova vita che viene a contrapporsi a una morte certa per mano nemica. L’attraversamento del Mar Rosso segna l’inizio del preannunciato momento di prova e di crescita nel deserto anche se questo luogo si presenta «aspro e privo di tracce», «vasto e inesplorato», «vasta estensione del tutto priva di frutti» 12 . Ostile alla vita, infatti, il deserto non viene nell’immediato riconosciuto dagli ebrei come luogo privilegiato di libertà e di dialogo con Dio. Provato dalle avversità del luogo e dimentico degli interventi divini che ne hanno permesso l’uscita, il popolo ebraico rivaluta la vita trascorsa in Egitto e la  confronta 13 con il presente e con le asperità del deserto: Sempre l’assalto del male fa scordare i beni goduti in Precedenza

 

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 Egitto                                                     Deserto

1) ricchezza e prosperità dell’Egitto                                 (1) completa mancanza di risorse

2) schiavitù [ma] sicurezza di vita                                    (2)«speranza di essere liberi ma nessuna certezza di vi

3) un luogo abitato                                                           (3) «Di fatto, alcuni caddero, […] come atleti che  

rinunciano alla  competizione, decisi a tornare di corsa in Egitto a  godersi la passione» 15

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Gli ebrei commettono l’errore di trasformare la sofferenza subita in rimpianto e svuotano di significato gli avvenimenti passati, il ruolo di Mosè e soprattutto la grandezza di Dio: Alcuni […] accusavano gli eventi passati, quasi fossero avvenuti non per apportare loro un beneficio ma per procurare disgrazie ancor più dolorose16. I prodigi che avevano permesso l’uscita dall’Egitto – i tre segni, le dieci piaghe e l’apertura del Mar Rosso – sono stati funzionali alla fuga ma non hanno costituito per gli ebrei un percorso verso l’alto; «l’oblio del passato, la disperazione per il futuro»17 causata dalle insidie del deserto potrebbero comportare la fine di ogni possibile libertà e conoscenza di Dio. Il deserto nella sua duplice valenza – luogo di libertà e di sofferenza – non è sfondo indifferente allo svolgersi della marcia degli ebrei ma impone all’uomo condizioni ostili alla vita; Filone segue la tradizione della LXXdescrivendo un luogo esistente ma trasforma il paesaggio reale in uno spazio per l’anima: nel  De Vita Mosis le privazioni fisiche sono riflesso esteriore di una mancanza – la conoscenza di Dio – e allo stesso tempo sono prove per il superamento di questa incompletezza interiore. L’itinerario a Dio, quindi, si apre attraverso insidie che rendono gli uomini «prostrati nel corpo e abbattuti nello spirito» 18 e li sottopongono a «delle padrone dure e crudeli, la fame e la sete» 19. L’asprezza del deserto contrasta la marcia del popolo ebraico; questa situazione di difficoltà provoca un forte squilibrio sia fisico che interiore poiché induce il popolo, dimentico dei benefici passati, a rimpiangere la schiavitù in Egitto e a preferire alla vita una morte rapida che metta fine alle afflizioni. Sostenevano che, a ben pensarci, abbandonare la vita velocemente senza soffrire non è per nulla differente dall’immortalità: è infatti morte in senso proprio quella che avviene lentamente fra le sofferenze 20. Secondo Filone, però, è errato pensare che la morte in ogni sua forma sia una soluzione accettabile alle difficoltà che possono diventare un momento educativo fondamentale: anche la sete e la fame pur provocando afflizioni fisiche divengono occasione di riflessione sulla dualità della natura umana, sull’inscindibile rapporto tra corpo e spirito. Gli ebrei, pur essendo fuggiti dall’Egitto, sono ancora in schiavitù poiché con le proprie forze non riescono  a tendere all’alto 21 e a intraprendere il percorso a Dio. Il prodigio, attraverso cui il popolo ebraico è soccorso nel deserto, è veicolo di educazione morale e la comprensione del significato dell’atto divino è inizio della conoscenza e dell’elevazione a Dio. Dio allora, sia per clemenza sua propria e amore per gli uomini […] ebbe pietà di loro e arrecò un rimedio alla sofferenza. […] Perché tramite manifestazioni più evidenti  imparassero  a non indignarsi se qualcosa non risultava subito essere come volevano ma sopportare con pazienza, aspettando che il bene finalmente arrivasse 22 . Seguendo la narrazione del  De Vita Mosis , la prima difficoltà causata dal deserto è la mancanza di acqua; le prime fonti da cui si attinge sono amare, simbolo non solo delle sofferenze che il popolo ebraico deve affrontare ma anche simbolo di un punto di arresto nel percorso educativo. La mancanza di educazione, a dire il vero, è l’errore di fondo da cui dipende ogni altro peccato dell’anima. Da questa, come da una fonte derivano tutte le azioni della vita, ma non v’è acqua che essa dia la quale sia per qualcuno potabile e salutare: al contrario le sue acque sono salate e sono causa di malattia e di morte per chi le beve 23.La sofferenza della sete viene superata attraverso l’intervento di Mosè 24 che colpendo le fonti con un bastone trasforma, grazie all’intervento divino, l’acqua in dolce e potabile, ora simbolo della possibilità di abbeverarsi alla fonte dell’educazione. Il prodigio del pozzoè presente anche nella tradizione biblica 25 ma nella lettura filoniana questo evento significa «saziare corpo e spirito» 26 e superare – in vita – la dualità dell’uomo: non con la morte è data la possibilità di proseguire il percorso educativo. La marcia prosegue e il popolo ebraico sosta e trova ristoro nell’oasi di Elim, luogo in contrasto con il deserto e spazio di ricchezza della natura. Nella vegetazione tipica dell’oasi, Filone riconosce la palma come il simbolo dell’anima che ha imparato a tendere all’alto:  [Luogo] ricco di acqua e di alberi […] tronchi di palma assai ben slanciati […]. Del medesimo tipo è la natura della mente ha imparato a guardare e a tendere all’alto, si libra sopra le cose terrene e ricerca la bellezza divina 27 . Filone attribuisce rilevanza al significato del nome Elim che in modo simbolico rappresenta il momento in cui l’uomo abbandona temporaneamente il deserto e  accede alla virtù : [Elim] significa «cancelli», simbolo dell’accesso alla virtù; come i cancelli sono gli ingressi della casa 28. Il ristoro nell’oasi di Elim segna l’inizio dell’ascesa etica e conoscitiva e quindi diviene condizione necessaria per proseguire la marcia nel deserto che, simbolicamente, rimanda alla possibilità di conoscere Dio. Dopo la sete «un altro male in agguato» 29, la fame, affligge gli ebrei: E Dio suscita in noi la «fame», non la fame che deriva dalla mancanza di virtù, ma quella che si genera dall’essere privati della passione e del vizio 30. Anche per la  fame , così come per la  sete , si ripropone il medesimo schema narrativo: deserto, sofferenza, intercessione di Mosè, intervento di Dio che si manifesta con la caduta della manna cibo per il corpo e nutrimento per l’anima 31 . Quando questo andamento si esaurisce 32 , Filone sviluppa un  crescendo  intorno a un unico oggetto, la manna, tramite con cui l’uomo può sancire il suo legame con Dio e prova che questa relazione avviene per volontà, per concessione divina. Nel  De Vita Mosis , la manna e la modalità con cui viene data all’uomo racconta di Dio e della creazione del mondo; questo cibo, dono divino, riflette in sé la relazione Creatore – creature ed è simbolo dell’ordine del cosmo. La manna è frutto che scende dal cielo [Dio] e si posa a terra [uomo] perché sazi la fame [nutrimento]; la manna unisce la terra al cielo, l’uomo a Dio. Seguendo il testo del  De Vita Mosis , si può stabilire un parallelismo quasi geometrico tra la modalità del prodigio e la conoscenza della natura divina poiché con questo  nutrimento e attraverso diversi «livelli» il popolo si eleva gradualmente verso l’alto, verso Dio: Tutt’intorno all’accampamento vi era una rugiada […] venuta a poco a poco ( gr. ESIUKE) ) giù dal cielo 33 .

 

1° livello : «A Dio è sottoposto […] l’universo intero e le sue parti» 34 : la manna proviene dal cielo Dio è padre-legislatore del Creato

2° livello : «Dio aveva deciso di beneficarli con doni sempre nuovi»35 : ripetizione della manna I prodigi non sono riproducibilidall’uomo ma solo da Dio, che è unico nella sua grandezza

3° livello : «Il settimo giorno aveva uno speciale privilegio» 36 : doppia quantità di cibo, non alterazione della manna Dio è Creatore del mondo, di tempo e di ordine, Signore della Storia

4° livello : «Durante il loro viaggio di quarant’anni, la distribuzione avvenne nel modo appena detto[…]» 37 : la distribuzione si prolunga nel tempo Dio è eterno

5° livello : «Dio aveva voluto procurare loro in abbondanza nel deserto tutto ciò che si trova in una terra abitata e fertile» 38 Dio è onnipotente, Signore della Natura. Le sofferenze causate dalla fame  sono quindi risolte grazie a «eventi straordinari ed eccezionali»39 che segnano con assoluta chiarezza la presenza, l’esistenza e la grandezza di Dio. Nel De Vita Mosis attraverso il prodigio della manna, il progetto educativo viene a concludersi con l’ultimo livello di ap- prendimento, la conoscenza di Dio creatore onnipotente; la manna, infatti, è indicata da Filone come  TI , «qualche cosa» 40 attraverso cui l’uomo coglie non la creazione del particolare ma più in generale l’atto creativo che Dio compie nell’assenza, di cui il deserto è simbolo. Il deserto, quindi, è sfondo necessario poiché solo nell’assenza di vita l’uomo ha potuto cogliere l’abbondanza del creato, la manna. Per Filone i simboli del divino sono espliciti proprio nella natura la cui contemplazione è la via da seguire perché l’uomo-creatura possa avvicinarsi al Dio-creatore. Pertanto, gli eventi straordinari e divini che accadono nel deserto, indispensabili alla conoscenza di Dio, sono assorbiti e superati dal prodigio più grande: l’universo e la sua creazione. Per Filone il valore speculativo e contemplativo scaturisce dalla natura – il creato – che diviene, quindi, il termine medio indispensabile per la relazione Creatore/ creatura, Dio/uomo. Se qualcuno dubita di questi fatti [i prodigi] non ha mai conosciuto o cercato di conoscere Dio […].Basterebbe guardare ciò che è davvero grande e degno di attenzione, cioè l’origine del cielo, degli astri fissi e mobili, lo splendore della luce del sole, di giorno, e della luna di notte, la posizione della terra al centro di tutto l’universo […], le maree […], lo scorrere delle fonti perenni, di cui alcune riversano acqua calda, altre acqua fredda, i diversi mutamenti dell’aria, le diverse stagioni dell’anno e tutte le altre innumerevoli bellezze […]. Troverebbe troppo breve la vita chi volesse descrivere le singole parti dell’universo (41). Considerazioni conclusive Il deserto descritto da Filone Alessandrino nel  De Vita Mosis , quale luogo ostile alla vita, presenta notevoli spunti di riflessione poiché è in modo inaspettato, per gli ebrei in fuga dall’Egitto verso una nuova terra, contesto necessario per l’incontro con Dio e la Sua Legge. I prodigi che accadono nel deserto sono soccorso non solo alla  privazione fisica che il popolo ebraico subisce ma anche alla sua privazione interiore, come incompletezza  spirituale, etica e conoscitiva. L’itinerario dell’uomo a Dio si sviluppa in un percorso che dalle privazioni del deserto giunge alla contemplazione della natura, riflesso del divino; il deserto, luogo ambivalente, è per l’uomo non solo causa di sofferenze ma anche stimolo per la crescita interiore e, nell’assenza di vita, l’uomo coglie – fisicamente e interiormente – l’abbondanza del creato: la manna. La manna, quindi, è il nodo che sancisce il legame con Dio e attraverso questo nutrimento l’uomo risolve il suo percorso etico e conoscitivo. La riflessione filoniana sul creato risulta essere culmine di un crescendo che trova un’importante conclusione nella grandezza di Dio riflessa nel mondo creato attraverso cui Filone, pensatore ebreo ma anche filosofo greco, offre la possibilità di un percorso verso l’alto non solo al popolo ebraico ma a tutti gli uomini, cittadini di un’unica città – il creato – in virtù della parentela che lega tutte le creature a Dio. Attraverso i prodigi di una storia del passato – l’Esodo – Filone offre riflessioni che annullano il tempo: l’autore alessandrino si rivolge a tutti gli uomini per dire loro che sempre è possibile intraprendere un’ascesa etica e conoscitiva nonostante le difficoltà, simbolicamente rappresentate dal deserto. Ambiente ostile per gli ebrei in fuga dall’Egitto, il deserto del  De Vita Mosis è anche il territorio che circonda Alessandria, città di Filone, e il luogo in cui i saggi, come i Terapeuti, sono dediti a una vita contemplativa, «vivono fuori dalle mura e in giardini o in luoghi deserti ricercano la solitudine»42. Il deserto, quindi, è quell’elemento che unisce il passato dell’Esodo al pensiero e al tempo dell’autore alessandrino per il quale l’uomo saggio deve continuamente ricercare la libertà e, in libertà, la contemplazione di Dio. Anche nel De Vita Mosis , come nel presente di Filone, il deserto esercita la sua duplice e opposta influenza: ostile alla vita è al tempo stesso possibilità per gli uomini dell’incontro con Dio.

 

1 FILONE ,  De Vita Mosis  [ Mos .] 1,192; cfr. FILONE ,  La vita di Mosè, trad. ital. di P. Graffigna, Milano 1999, p. 99-101.

2 «Allegoricamente, diciamo che ‘elevato’ è colui il quale dalla terra si erge  verso l’alto», FILONE ,  De Mutatione Nominum  [ Mut .] 67. Nel deserto del  De Vita Mosis si possono rintracciare due percorsi verso l’alto che corrono paralleli: uno riguarda  Mosè e si conclude con l’ascesa fisica e spirituale sul monte Sinai – incontro con Dio e consegna della Legge –; l’altro, quello del popolo ebraico che  nel deserto attraverso i prodigi intraprende un’ascesa etica e conoscitiva verso Dio.

3 G. REALE – R. RADICE ,  La genesi e la natura della filosofia mosaica,in FILONE ,  Commentario allegorico alla Bibbia , Milano 1994, p. CXLVII.

4 Nell’ Esodo della LXX il deserto è per lo più connotato solo con indicazioni geografiche; cfr. Es 3,1 («Oltre il deserto, al monte Choreb»); 13,17 («Per la via del deserto verso il Mar Rosso»); 13,20 («In Othom, presso il deserto»); 15,22 («Nel deserto di Sur»); 19,1 («Nel deserto del Sinai»)

5 Mos.  1,194.

6 Per la sete cfr.  Mos.  1,181  ss . e 1,210  ss. , per la fame cfr.  Mos.  1,200  ss.

7 F ILONE ,  De congressu eruditionis gratia [ Congr. ] 165.167.

8 Mos.  1,165-166.

9 Mos. 1,164p.

10 Mos.  1,166; cfr. anche LXX Es 14,3: «E dirà il Faraone al suo popolo: “Questi figli di Israele vagano nel paese: li ha chiusi infatti il deserto”».

11 Mos.  1,167.

12 Mos.  1,167;  Mos.  1,170;  Mos. 1,192; inoltre la descrizione del deserto viene ripresa in  Mos.  2,247.

13 Confronto che avviene in  Mos.  1,193-195; cfr. Anche LXX Es 14,11: «Poiché non c’erano tombe in terra d’Egitto ci hai condotti fuori a morire nel deserto? […] Meglio infatti che noi servissimo gli egiziani piuttosto che morire in questo deserto».

14 Mos . 1,181.

15 Congr . 164.

16 Mos . 1,183.

17 Mos.  1,196

18  Mos.  1,182.

19 Mos.  1,191.

20 Mos.  1,183.

21 Mos.  1,190.

22 Mos.  1,198-199.

23 FILONE ,  De ebrietate  [ Ebr. ] 12.

24 Va inoltre ricordato il prodigio dell’acqua che scaturisce dalla roccia, secondo intervento divino che risolve la sete del popolo ebraico ed Irith Davidzon evento citato brevemente da Filone in  Mos . 1,210- 211.

25 Cfr. LXX Es 15,23-26.

26 Gli ebrei si sono dissetati «sentendosi come se avessero partecipato ad un banchetto e a un convito gioioso»,  Mos . 1,187. Il banchetto come sazietà del corpo e dello spirito è metafora che Filone mutua dalla comunità dei Terapeuti; cfr. P. G RAFFIGNA , note a Filone, La vita contemplativa , Genova 1993, pp. 167-189.

27 Mos.  1,188-190.

28 FILONE ,  De fuga et inventione [ Fug. ] 183.

29 Mos. 1.191.

30 FILONE , Legum allegoriae  [ L.A. ] 3,175.

31 Per la manna, cfr. anche  LXX ,  Ex .16.4  Ss . In Filone la manna assume valenze alquanto originali e sono numerosi riferimenti a essa come «cibo celeste dell’anima», cfr.  Quaestiones et solutiones in Genesim [ Q.G .] 2,59;  De opificio mundi  [ Opif .] 158;  De sacrificiis Abelis et Caini  [ Sacr. ] 86;  Quod deterius potiori insidiari soleat  [ Deter. ] 118;  Quis rerum divinarum heres sit  [ Her. ] 79,191;  L.A. 3,162.169.170;  Fug.  137; Congr.  100.173;  Mut. 258.259; in  De decalogo [ Dec. ] 13 la manna è esplicitamente indicata come parola e Legge di Dio, nutrimenti che il popolo ebraico ottiene nel deserto. D.T. R UNIA ,  Philo of Alexandria and the Timaeus of Plato , Leiden 1986, p. 343, ricollega la manna al tema platonico del nutrimento adatto alla parte razionale dell’uomo, presente in Platone: «Dare a ciascuna parte dell’anima i nutrimenti e i movimenti che a loro convengono» ( Timeo 90c). Per un approfondimento della manna coma «cibo dell’anima» cfr. anche P. Borgen,  Bread from Heaven , Leiden 1965.

32 Mos.  1,203.

33 Mos. 1,200.

34 Mos.  1,201.

35 Mos.  1,204.

36 Mos.  1,205-207.

37 Mos.  1,206.

38 Mos.  1,209.

39 Mos.  1,212.

40 Nel  De Vita Mosis , come in altre opere ,  Filone non si riferisce mai alla manna come  tÕ man ; per l’assenza di questo termine in Filone cfr. A A .V V ., Index Philonicus , Trondheim 1997. In ebraico – Es 16,15 –  man è un pronome interrogativo («Che cos’è questo?» –  man hu ); la LXX traduce la manna del testo ebraico raramente con  tÕ man e più spesso letteralmente con  t…™ tin toàto ; Filone intende   Ti come nome della manna, con un procedimento che è rilevabile nel passaggio dalla lingua ebraica a quella greca; cfr. Filone,  L . A . 3,175: «Dio ci alimenta […] nella sua forma più generale. La manna, infatti, significa “qualche cosa” […]».

41 Mos.  1,212-213

IL DESERTO NEL DE VITA MOSIS DI FILONE ALESSANDRINO: POSSIBILITÀ DI UN’ASCESA ETICA E CONOSCITIVA ATTRAVERSO I PRODIGIultima modifica: 2013-10-05T14:21:00+02:00da mikeplato
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