Origene contro la Reincarnazione

Origene, contro i sostenitori della metensomatosi, trae dalla Sacra Scrittura le proprie argomentazioni per confutare tale teoria, sia citando il testo biblico, sia appoggiandosi sull’antropologia biblica (l’uomo come immagine di Dio), sia infine richiamando la dottrina sulla risurrezione, come è presentata specialmente nel Nuovo Testamento.


Introduzione

Pubblicato in Gilles Dorival et Alain Le Bolluec (edd.), Origeniana Sexta. Origène et la Bible /Origen and the Bible. Actes du “Colloquium Origenianum Sextum”, Chantilly 30 août – 3 septembre 1993 (Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensium 118), Peeters /University Press, Leuven 1995, 251-276

Origene allo scrittoio in una miniatura, Schaftlarn, 1160 circa

Una questione che si ponevano gli autori dei trattati Perì psychês – specialmente di ispirazione platonica1 – riguardava la (eventuale?) trasmigrazione dell’anima in successivi corpi. Origene,2 attento alle problematiche filosofiche e teologiche, non poteva esimersi dall’accennare ad una simile dottrina, ed esplicitamente la richiama, nel quadro di possibili “quaestiones” sull’anima, nel Commento al Vangelo di Giovanni3 e nel Commento al Cantico dei Cantici.4 Numerose volte, poi, marginalmente cita tale teoria per evidenziarne l’assurdità e per confutarla o per distinguerla dalla risurrezione.5

Per metensomatosi Origene intende il passaggio di una stessa anima umana in successivi e diversi corpi,6 che possono essere animali,7 umani,8 astrali.9

Varie persone, per sostenere tale teoria, citavano passi biblici, suscettibili di essere interpretati – ovviamente secondo loro – in un senso favorevole alla trasmigrazione dell’anima.10 Dalle opere di Origene deduciamo che quattro gruppi di persone richiamavano episodi e affermazioni bibliche per avvalorare la loro tesi.

1) Alcuni cristiani – o che si pretendono tali – forse a livello “popolare”, lettori poco avveduti e per nulla critici (di scritti apocrifi?), come ricorda in Fragmenta in Prouerbia,11 nella parte finale di Perì Archôn I,8,4,12 in un frammento del De resurrectione, interpretando un passo paolino.13 Addirittura durante un’omelia (rivolta quindi ai cristiani), Origene vuole premunirsi contro alcuni suoi ascoltatori – malevoli o troppo semplici – che rischiano di fraintendere o interpretare erroneamente certe allusioni e simboli.14

2) Vari eretici gnostici, come Basilide e i suoi seguaci, i quali traggono insegnamenti errati da una falsa interpretazione di frasi evangeliche,15 e distorcono le parole dell’apostolo Paolo.16

3) Alcuni ebrei, che si ricollegavano a dottrine esoteriche.17

4) Persino qualche pagano, che fraintendendo espressioni bibliche (soprattutto a proposito della risurrezione), attribuiva ai cristiani la dottrina della metensomatosi.18

In questo mio contributo, mi limiterò a presentare l’argomentazione che Origene trae dalla Sacra Scrittura per confutare tale teoria, sia citando il testo biblico, esegeticamente interpretato in modo corretto, sia appoggiandosi sull’antropologia biblica (l’uomo come immagine di Dio), sia infine richiamando la dottrina sulla risurrezione, come è presentata specialmente nel Nuovo Testamento.

_________________________________________________________________________

1. Argomentazione di Origene contro i fautori della metensomatosi, partendo dal testo biblico.

1.1. Le parole stesse della Bibbia, così come suonano, contrastano la teoria della metensomatosi. A proposito di Elia / Giovanni Battista, Origene specifica:

a) L’angelo Gabriele (cf Lucas 1,35) non parla dell'”anima” di Elia, ma del suo “spirito” e della sua “potenza”:1 dunque non vi è stata trasmigrazione dell’anima di Elia nel corpo di Giovanni Battista.

b) La Scrittura distingue tra “spirito”, “potenza”, “anima”,2 ed ammette che lo spirito possa essere trasferito da una persona ad un’altra,3 come per esempio da Elia si posò su Eliseo (cf 4 Regum 4,15). In questo caso si tratta di spirito profetico.4 Dunque in forza di questo spirito e di questa potenza, Giovanni Battista è chiamato da Gesù “l’Elia che deve venire” (Matthaeus 11,14; cf anche 17,10-13).5 A differenza di Eliseo, Giovanni Battista non ebbe solo lo spirito, ma anche la potenza di Elia.6

Come conciliare dunque l’apparente contraddizione tra le parole di Gesù che riconosce in Giovanni Battista l’Elia atteso (cf Matthaeus 11,14 e 17,12-13)7 e quelle dello stesso Precursore che nega di esserlo (cf Iohannes1,21)? I sostenitori della metensomatosi ne traevano argomento per dire che il Battista non aveva coscienza di essere Elia, poiché – secondo loro – l’anima che si riveste di nuovi corpi dimentica le sue vite precedenti.8Origene ribatte che l’uomo di Chiesa saprà presentare un’esatta esegesi del passo, in palese contraddizione con la teoria della metensomatosi: Giovanni non era Elia che ora tornava con un nuovo corpo, né l’Elia che precedeva la venuta del Messia alla fine dei tempi.9

1.2. Nella Sacra Scrittura si afferma chiaramente che i demoni e i peccatori subiranno il castigo minacciato dal Signore: “Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Matthaeus 25,41), sebbene – puntualizza poi Origene – nella stessa pena sia diversa la quantità a seconda dei peccati più o meno gravi. Dunque le idee che le anime trasmigrino in corpi animali a punizione dei loro peccati o che il diavolo assuma corpi bestiali sono “invenzioni senza fondamento”.10

Analoga idea in un contesto polemico: contro i presunti maestri di saggezza pagani, che vorrebbero essere i medici delle anime,11 Origene dichiara che la dottrina cristiana “non insegna che il malvagio subirà, come punizione, la perdita della sensibilità e della ragione ma dimostra invece che le pene e i castighi inflitti da Dio ai malvagi sono rimedi per condurli alla conversione”.12

1.3. Dalle espressioni bibliche, interpretate in senso favorevole alla metensomatosi, deriverebbero assurdità e contraddizioni:

a) se Elia non era morto, ma era stato portato in cielo su un carro di fuoco (cf 4 Regum 2,11) non era possibile che “una sola anima, nel medesimo periodo, potesse animare due corpi (…): come può dunque un’anima che è incorporata trasmigrare in un altro corpo?”.13

b) Se è a causa dei peccati – secondo le teorie dei fautori della metensomatosi – che un’anima è sottoposta alla trasmigrazione, per quale peccato l’anima di Elia dovette passare in Giovanni? Dunque, conclude Origene, è “una menzogna evidentissima” che Elia, tanto perfetto da non subire la morte comune a tutti14 dovesse andare incontro alla pena della metensomatosi.15

c) Alla sua nascita, il Battista fu chiamato “Giovanni” dal padre Zaccaria, come aveva ordinato l’angelo (cf Lucas 1,13). Origene controbatte agli assertori della metensomatosi: “se quest’anima era Elia, bisognava anche chiamarlo Elia, essendo nato una seconda volta o portare un motivo dello scambio del nome, come da Abramo Abraham, da Sarai Sara, da Giacobbe Israele, da Simone Pietro”; ma in tutti costoro il cambiamento del nome si verificò in un’unica e medesima vita.16

d) Confutando le calunnie di Celso riguardanti gli illegittimi natali di Gesù,17 Origene accenna18 alla nascita miracolosa del Salvatore dalla Vergine per opera dello Spirito santo (cf Matthaeus 1,18.20 e Lucas 1,35) e alla profezia dell’Emmanuele (cf Isaias 7,14 e Matthaeus 1,23). Argomentando dunque “ad hominem” Origene incalza: come è possibile che Gesù, il salvatore e il maestro abbia avuto una nascita più vergognosa di tutte? “Non è più logico che ciascuna anima, introdotta nel corpo per motivi misteriosi – io parlo qui secondo la dottrina di Pitagora, di Platone, di Empedocle, che Celso sovente cita – sia introdotta in un corpo secondo i suoi meriti e il suo carattere precedente?”. Dunque, deduce Origene, l’anima di Gesù, che tanto influsso ed utilità avrebbe avuto sugli uomini, doveva essere unita ad un corpo superiore a tutti.19

e) A proposito poi di Erode, il quale, sentendo parlare di Gesù, disse ai suoi servitori: “Quest’uomo è Giovanni risuscitato dai morti” (Matthaeus 14,1-2, commentato da Origene in Commentarii in Matthaeum 10,20), alcuni dicono che l’errore della metensomatosi fece credere ad Erode e ad alcuni del popolo che “colui che per sua nascita era stato una volta Giovanni era ritornato in vita dai morti ed era Gesù”. Origene risponde che tale “errore non ha alcuna verosimiglianza, poiché l’intervallo che separa la nascita di Giovanni da quella di Gesù non è oltre i sei mesi”. Il Maestro alessandrino qui ovviamente vuol dire che il corpo di Gesù e quello del Battista erano animati dalla rispettiva anima fin dagli inizi della loro esistenza terrena e quindi era impossibile che all’età di circa trent’anni Gesù abbandonasse la propria anima per accogliere quella del Battista che era stato decapitato da poco tempo.20

f) Coloro che dicevano che Gesù era il Battista non facevano un’affermazione fondata su “sane dottrine”, perché se avessero incontrato Gesù quand’era battezzato da Giovanni o se avessero sentito tale racconto da un altro, non avrebbero mai detto che Gesù era Giovanni. Se poi avessero compreso la frase di Gesù nei confronti del Battista: “se lo volete accettare egli è quell’Elia che deve venire” (Matthaeus 11,14) e se avessero inteso quelle parole come chi ha orecchi (cf Matthaeus 11,15), alcuni non avrebbero detto che egli [= Gesù] era lo stesso Elia.21

1.4. Alcune espressioni bibliche risulterebbero false, poiché l’evento da esse profetizzato non si realizzerebbe. La Scrittura afferma espressamente che il mondo è corruttibile:22 di conseguenza esso avrà un termine.23Invece, nel caso fosse ammessa la metensomatosi, il mondo non andrebbe più alla fine, perché vi sarebbero sempre anime trasmigranti in successivi corpi a causa dei peccati della precedente vita. Il fatto poi che nessuna anima, una volta che tutte si fossero purificate dai peccati, venga più in questo mondo, sarebbe in contraddizione con le parole bibliche secondo cui vi sarebbero ancora peccatori alla venuta escatologica del Figlio dell’uomo (cf Lucas 18,8; Matthaeus 24,37s).24

1.5. Il testo biblico non deve essere interpretato in modo errato o secondo vedute personali, come fanno i sostenitori della metensomatosi.

a) Essi infatti non hanno compreso che nel linguaggio allegorico gli animali rappresentano gli uomini peccatori, che si sono talmente degradati in senso morale da essere assimilati agli animali irrazionali. Tra i vari testi origeniani,25 uno dei più chiari contro la metensomatosi26 è il commento all’episodio della donna cananea (Matthaeus 15,21-28, in Commentarii in Matthaeum 11,17). Gesù le dice: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”; la cananea però, piena di fede e di umile attesa, replica: “E’ vero Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei padroni” (Matthaeus 15,26-27). Origene interpreta l’episodio anche in chiave allegorica: il pane è simbolo del nutrimento proprio di coloro che, per evoluzione spirituale, sono i figli e le briciole rappresentano il nutrimento di quelli simboleggiati nella cananea, che spiritualmente era assimilabile ad un cagnolino.

Poi con chiarezza dichiara l’Alessandrino: “Altri, estranei alla dottrina della Chiesa, pensino pure che le anime passano da corpi di uomini a corpi di bestie, secondo la loro diversa malvagità. Noi, che non troviamo affatto questo [concetto] nella divina Scrittura, diciamo che vi è passaggio da una condizione più spirituale ad una meno spirituale e che si subisce questo per la troppa noncuranza e negligenza. Ugualmente una volontà non spirituale, per aver trascurato il Logos, si converte a divenire spirituale, come colui che è stato un cagnolino accontentandosi di mangiare “le briciole che cadono dalla tavola dei suoi padroni” (Matthaeus 15,27), giunge alla condizione di figlio. Infatti la virtù contribuisce grandemente a renderci figli di Dio, invece la malvagità, il furore di parole violente e l’impudenza [contribuiscono] a farci trattare da cani secondo la parola della Scrittura: “il cane è tornato al vomito” (2 Petri 2,22, citando Prouerbia 26,11). E tu interpreterai allo stesso modo gli altri nomi tratti dagli animali privi di ragione”.27

b) Interpretando passi biblici in modo personale e arbitrario, l’eretico Basilide28 pretendeva di confermare la teoria della metensomatosi.29 Anche in questo caso “non è il testo della Scrittura ad orientare la concezione del mondo e dell’uomo, ma è all’inverso: una certa teoria “preesistente” decide della lettura del testo sacro. Inevitabilmente sarà una lettura frammentaria, spezzata, operante delle scelte arbitrarie, delle fratture fittizie nel testo, senza riguardo per il contesto”.30

Facendo l’esegesi del testo paolino di Ep. ad Romanos 7,9 (“Io però un tempo vivevo senza legge, ma non appena venne il precetto, il peccato rivisse e io invece morii”) in Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 , Origene chiarisce che tale passo si riferisce all’infanzia di Paolo.31 A questa logica e coerente spiegazione, il nostro Autore oppone quella di Basilide, che si avvale della suddetta frase per confermare la teoria della metensomatosi. Per questo eretico infatti l’espressione: “un tempo vivevo senza legge” significa che “prima di entrare in questo corpo, vissi in una specie di corpo che non ricadeva sotto la legge, come per esempio un corpo di pecora o di uccello”.32 A tale assurda spiegazione Origene rimprovera la non sufficiente attenzione al testo immediatamente seguente: “Ma non appena venne il precetto, il peccato rivisse”, e precisando che il peccato era morto e si era rifatto vivo nello stesso individuo, conclude che le parole dell’Apostolo vanno riferite ad un’unica e medesima vita e tale interpretazione corrisponde alla “ortodossia delle dottrine ecclesiastiche”.33

Poco dopo Origene confuta nuovamente una simile errata esegesi del suddetto passo paolino e, pur senza nominare esplicitamente Basilide e i suoi seguaci, tuttavia respinge concetti conformi alle teorie di questo eresiarca.34 Per il Maestro alessandrino dunque un’anima razionale, soggetta alla legge e alla responsabilità, non può essere vissuta nel corpo di un essere irrazionale.

1.6. Se il testo biblico è correttamente interpretato, non se ne traggono negative applicazioni e nefaste conseguenze, come fanno gli eretici. Origene, spiegando Matthaeus 24,7 (prima della fine del mondo “vi saranno pestilenze, carestie e terremoti”), reagisce di fronte alle pestifere idee di Basilide a proposito del martirio e della testimonianza da rendere “dinanzi agli uomini” (Matthaeus 10,32). Secondo il Maestro alessandrino, l’eresiarca denigra i martiri, insegna che il rinnegamento della fede è un atto indifferente,35 e che “non vi è altro castigo se non la trasmigrazione dell’anima [nei corpi] dopo la morte”. In tal modo elimina dagli uomini il salutare timore delle future pene e alimenta l’empietà.36

1.7. La Sacra Scrittura consiglia l’astinenza dalle carni per praticare la virtù della mortificazione, non per il mito della metensomatosi.

Trattando dell’astinenza dalla carne, praticata da varie categorie,37 Origene conferma che anche i cristiani con equilibrio e misura, da una parte non si inorgogliscono della loro astinenza, dall’altra non si accostano al cibo con ghiottoneria: infatti “non quello che entra nella bocca contamina l’uomo” (cf Matthaeus 15,11.17), né sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio (cf 1 Ep. ad Corinthios 8,8).38 Poi si affretta a precisare: “Nota però la differenza del motivo per cui si astengono dalle carni di esseri viventi i discepoli di Pitagora e i nostri asceti.39 Quelli praticano l’astinenza dagli esseri viventi a causa del mito della metensomatosi. E chi dunque “sarebbe così pazzo da elevare verso il cielo il suo figlio diletto e immolarlo, con invocazioni”?40 Noi al contrario, che pure pratichiamo questa astinenza, castighiamo il corpo e lo riduciamo in schiavitù (cf 1 Ep. ad Corinthios 9,27) e vogliamo mortificare “le nostre membra appartenenti alla terra: fornicazioni, impurità, impudicizia, passione, cattivo desiderio” (Ep. ad Colossenses 3,5) e facciamo di tutto per mortificare “le opere del corpo” (Ep. ad Romanos 8,13)”.41

Origene ritorna sull’argomento dell’astinenza dalla carni, soprattutto da quelle delle vittime sacrificate agli idoli, in Contra Celsum 8,28-32. Anzitutto nega che la Scrittura suggerisca di astenersi da certe vittime sacrificali “per seguire una tradizione patria”, ma lo fa per “rendere più forte e più pura la nostra vita”:42 a conferma di questo, egli cita vari passi biblici.43 I cristiani però si astengono assolutamente dalle carni offerte agli idoli, dagli animali soffocati e dal sangue (cf Acta Apostolorum 15,28-29) per non partecipare alla “mensa dei demoni” (1 Ep. ad Corinthios 10,21); inoltre condividono sì la bellissima sentenza di Sesto: “cibarsi delle carni è cosa indifferente, astenersene è cosa più ragionevole”,44 tuttavia non mangiano né carne né qualsiasi altro cibo se ciò implica un peccato di ghiottoneria o di gola, nocivo alla salute del corpo. Conclude poi Origene: “Tuttavia non ammettiamo assolutamente la metensomatosi dell’anima e la sua caduta negli animali irrazionali e se noi talvolta ci asteniamo dalla carne di animali, non è sicuramente per lo stesso motivo per cui lo faceva Pitagora”.45

1.8. Una giusta esegesi del testo biblico fa comprendere ai cristiani il vero significato delle azioni liturgiche: invece gli eretici lo stravolgono.

Il Maestro alessandrino, in Commentarii in Ep. ad Romanos 5,9, analizzando l’espressione paolina “corpo di peccato” (Ep. ad Romanos 6,6) e sostenendo che anche nei bambini vi sono innate macchie di peccato46 da lavare come confermano varie citazioni bibliche,47 ricorda che la Chiesa ha ricevuto dagli apostoli la tradizione di battezzare i bambini: appunto a causa di queste innate macchie, “il corpo stesso è chiamato “corpo di peccato” (Ep. ad Romanos 6,6), non (come ritengono alcuni tra quanti propongono la trasmigrazione delle anime in vari corpi) per quelle colpe che l’anima ha commesso stando in un corpo diverso,48 ma per il fatto stesso di essere stata generata in un corpo di peccato, di morte e di umiliazione, come anche ha detto quel tale: “Hai umiliato nella polvere l’anima nostra” (Psalmus 43,26)”.49

1.9. La sapienza della Parola di Dio, superiore e spesso contrapposta a quella del mondo, non insegna errate dottrine, ma talora cela la verità sotto i misteri.

a) Citando la frase di S. Paolo: “Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio” (1 Ep. ad Corinthios 3,18-19) e puntualizzando le parole dell’apostolo, Origene dichiara che noi diciamo “sapienza di questo mondo” ogni filosofia fondata su falsi concetti e ridotta al nulla (cf 2 Ep. ad Corinthios 2,6). Tra gli esempi di questa falsa sapienza egli cita la dottrina del Platonico, il quale “crede nell’immortalità dell’anima e a ciò che si dice della metensomatosi”: tale idea è derisa anche dagli Stoici.50

b) Un accenno indiretto alla superiorità delle Scritture è presente anche in un passo in cui l’Alessandrino contrappone i miti religiosi dei pagani alla verità “storica” della Bibbia sulla creazione e sulle vicende iniziali dell’umanità. “Se uno, che ammette la legge e il legislatore dei Giudei, riconduce tutto al Dio unico, creatore dell’universo, da Celso e dai suoi simili è considerato inferiore a colui che abbassa la divinità non solo a livello dei viventi razionali e mortali, ma anche a quello dei viventi irrazionali, il che sorpassa il mito della metensomatosi riguardante l’anima che cade dalla volta del cielo51 e discende fino agli animali irrazionali, non solo quelli domestici, ma anche quelli più feroci”.52

c) Origene riferendosi alle ripartizioni delle regioni terrestri, richiamate in modo velato sia da leggende e storie del popolo greco e di popoli stranieri, sia dalla Bibbia,53 fa un accenno misterioso ed arcano, quasi non volesse alzare il velo, alla dottrina delle anime che si incarnano nei corpi, respingendo la dottrina della metensomatosi: “Lungo e misterioso è il discorso intorno a questi argomenti, a cui ben si adatta la frase: “E’ bene tenere nascosto il segreto del re” (Tobias 12,7). Non sia affidata ad orecchie profane la dottrina delle anime che si legano ai corpi, non per metensomatosi, e non siano date ai cani le cose sante né le perle siano gettate ai porci (cfMatthaeus 7,6). Ciò sarebbe infatti un’empietà implicante un tradimento degli arcani oracoli della sapienza di Dio, della quale magnificamente è stato scritto: “In un’anima perversa non entrerà la sapienza, non abiterà in un corpo schiavo del peccato” (Sapientia 1,4)”.54

1.10. La comprensione delle Scritture esige umiltà ed un animo ben disposto: chi invece si accosta ad esse con animo superbo o peggio le mette in ridicolo non può certo comprenderle.

Così Celso – constata Origene amaramente – “non ha capito affatto il pensiero delle nostre Scritture e perciò combatte la sua opinione personale, non quella delle Scritture. Se avesse compreso quale destino attende l’anima nella eterna futura vita e che cosa si deve pensare della sua essenza e della sua origine, egli non avrebbe messo in burla, come fa, la venuta di un essere immortale in un corpo mortale, inteso non secondo la teoria platonica della metensomatosi, ma in una prospettiva più alta”. Tale prospettiva viene indicata subito dopo in riferimento ad “un’unica discesa straordinaria [= quella di Cristo], dovuta al grande amore per gli uomini, con lo scopo di ricondurre, come si esprime misticamente la Sacra Scrittura, “le pecore perdute della casa d’Israele” (Matthaeus 15,24), che erano discese dalla montagna”.55

_________________________________________________________________________

 

2. Argomentazione di Origene contro gli assertori della metensomatosi, appoggiandosi sull’antropologia biblica.

L’uomo, creato “ad immagine” di Dio (cf Genesis 1,26-27 e Ep. ad Colossenses 3,10), non può perdere tale immagine – a livello ontologico – per assumerne altre.

Secondo Origene l’uomo, composto di spirito, anima e corpo1 è stato creato “ad immagine” di Dio o, per essere più precisi, “ad immagine dell’immagine di Dio”, cioè del Logos.2 Anzi è proprio la parte razionale dell’anima che contiene la partecipazione dell’uomo all’immagine di Dio, i cui segni si riconoscono nell’esercizio della virtù.3 “La nostra principale sostanza (proēgoumenē upostasis)4 consiste nell’essere “immagine del Creatore” (Ep. ad Colossenses 3,10; cf Genesis 1,27)” afferma Origene.5 Dunque l’uomo, nella sua natura più profonda si definisce per la sua relazione a Dio. Questa immagine divina, dipinta dal Figlio di Dio (cf Homiliae in Genesim 13,4) può essere oscurata dal peccato,6 ad essa possono sovrapporsi l’immagine del diavolo o immagini bestiali, simboli dei vizi,7 ma non può mai essere cancellata: essa è indelebile, in quanto l’immagine divina è costitutivo essenziale per definire l’uomo.8

Origene esprime con chiarezza la convinzione che l’anima umana non potrà mai trasmigrare negli animali. Contro Celso che da platonico sembra velatamente insinuare “che tutte le anime sono della stessa specie9 e che l’anima umana non differisce affatto da quella delle formiche e delle api”, egli reagisce: “Questa è la logica di chi fa discendere l’anima dalla volta del cielo non solo nel corpo umano, ma anche in altri corpi;10 però i cristiani non crederanno mai a tali dottrine, perché essi hanno già appreso che l’anima è stata creata “ad immagine” di Dio (cf Genesis 1,27) e vedono che è impossibile che una natura fatta “ad immagine” di Dio perda del tutto le sue caratteristiche e ne assuma altre, plasmate ad immagine di non so chi, negli animali irrazionali”.11

Anche in altri passi Origene esprime la distinzione tra gli esseri razionali, creati a titolo primario e principale, e gli animali, esistenti a titolo secondario,12 plasmati successivamente, in conseguenza della caduta delle creature razionali; quindi davanti a Dio la loro importanza è inferiore rispetto a quella dell’uomo. E’ evidente dunque – argomenta il Dorival13 – che una simile distinzione esclude la trasmigrazione in corpi animali: come potrebbe l’anima di un uomo, creatura principale, divenire l’anima di un animale, creatura seconda?

Origene si accorda con gli Stoici per dire che l’uomo è “al di sopra di tutti gli esseri irrazionali” e che “la Provvidenza ha fatto tutte le cose principalmente per la natura razionale”.14

_________________________________________________________________________

3. Argomentazione di Origene contro i fautori della metensomatosi, richiamando la dottrina biblica sulla risurrezione (specialmente il Nuovo Testamento).

3.1. La risurrezione non è assimilabile alla metensomatosi.

Trattando della risurrezione, Origene rimprovera Celso di non aver compreso questa “dottrina, ampia difficile da spiegare (cf Ad Hebraeos 5,11), che richiede più d’ogni altra un uomo sapiente e perspicace per dimostrare quanto essa sia degna di Dio e sublime”.1 Non intendo qui abbordare questo vasto e complesso argomento, già trattato da altri studiosi,2 ma solo soffermarmi sull’impossibilità che la resurrezione sia simile alla metensomatosi.

Anzitutto il nostro Autore afferma: “Tale dottrina insegna che la tenda dell’anima, così definita secondo le Scritture (cf 2 Ep. ad Corinthios 5,4), nella quale i giusti sospirano “oppressi”, non volendo “venire spogliati” di essa, “ma sopravvestiti” (ibidem) possiede un principio seminale (logon… spermatos)”.3 Esso è una forza di crescita e di individuazione, resta immutabile fra tutte le trasformazioni del corpo, assicura la continuità e l’identità tra il corpo terreno e quello spirituale.4 Celso non ha capito questo concetto, poiché ne ha sentito parlare da gente sprovveduta.5 Origene, che già precedentemente in questa stessa opera ha trattato della resurrezione,6 aggiunge questa osservazione: “Non è certo – come pensa Celso – “per aver frainteso la dottrina della metensomatosi che noi parliamo di resurrezione””.7 Volendo dunque spiegare come differiscano tra loro queste due dottrine, Origene richiama alcune idee fondamentali sulla risurrezione, dedotte dalla Sacra Scrittura e confermate poi da un ragionamento filosofico.

Egli dunque chiarifica che “l’anima, per sua natura incorporea e invisibile, ha bisogno, quando si trova in un qualsiasi luogo corporeo, di un corpo appropriato per sua natura a quel luogo”.8 Riprendendo poi la frase paolina (2 Ep. ad Corinthios 5,1), egli distingue tra il corpo e il vestito: quest’ultimo può essere tolto o sostituito con uno più adatto e migliore per giungere alle regioni celesti. In altre parole: il corpo è sempre il medesimo sia nella vita terrestre, sia nella vita dopo la resurrezione; cambiano però le qualità del corpo, da terrestri e corruttibili a spirituali e incorruttibili. Il cambiamento non riguarda dunque il corpo nella sua sostanza, ma le qualità di cui ci si riveste per vivere in una determinata situazione. Origene conferma poi questa tesi con un paragone utilizzato già dai Brahamani per indicare il cambiamento e il passaggio dalla vita terrestre a quella beata:9 l’anima, venendo in questo mondo ha lasciato la placenta che era necessaria per il suo sviluppo nel seno della madre e ha indossato ciò che era necessario per un essere destinato a vivere su questa terra. Il Maestro alessandrino riprende poi l’argomento scritturistico: “Essendoci una dimora terrestre “della tenda” (1 Ep. ad Corinthios 5,1), che è necessaria in qualche modo alla tenda, le Scritture affermano che la dimora terrestre “della tenda” sarà distrutta, ma che la tenda rivestirà “una dimora non costruita da mani di uomo, eterna nei cieli” (ibidem)”. Per Origene “la tenda” è dunque il corpo, che sussiste sempre, pur cambiando “le dimore”, cioè le qualità: quelle terrestri vengono “distrutte” e sostituite con qualità celesti. Un’ulteriore citazione biblica gli permette di esplicitare ancora di più il suo pensiero: “E gli uomini di Dio dicono: “Questo essere corruttibile si sarà vestito dell’immortalità” (1 Ep. ad Corinthios 15,53), la quale è differente da ciò che è incorruttibile; “questo essere mortale si sarà vestito dell’immortalità” (ibidem), che è cosa diversa da ciò che è immortale”. Essa viene così spiegata: “In realtà lo stesso rapporto che ha la sapienza con chi è sapiente, la giustizia con chi è giusto, la pace con chi è pacifico, esiste ugualmente tra l’incorruttibilità e ciò che è incorruttibile, tra l’immortalità e ciò che è immortale. Ecco dunque a che cosa ci esorta la Scrittura, dicendo che noi rivestiremo l’incorruttibilità e l’immortalità; come i vestiti per colui che li ha indossati e se ne è cinto, esse non permettono che colui il quale ne è avvolto si corrompa o muoia”.10

Origene richiama qui la distinzione tra sostanza e qualità che appare più volte nelle sue opere,11 ed è qui applicata ai corpi risorti. Vi è un elemento stabile, – la sostanza corporea appunto – che non è legato alle qualità e non può sussistere senza di esse, ma per volontà del Creatore può trasformarsi, cambiandole per adattarsi ad una nuova situazione.12 Le qualità sarebbero a loro volta l’elemento variabile, capace di trasformare il corpo da terrestre a spirituale. La risurrezione produce dunque una trasformazione definitiva: quello stesso corpo che era stato corruttibile e mortale riveste le qualità dell’incorruttibilità e dell’immortalità. Non vi è dunque cambiamento di corpo, (non ci si “sveste” di esso13), non vi è cessazione totale di una sostanza corporea e l’accesso dell’anima ad un diverso corpo – come sostenevano i fautori della metensomatosi – vi è solo la sostituzione di qualità con altre migliori: l’identità del corpo terrestre con quello spirituale è dunque assicurata.

3.2. Identità tra il corpo terreno e quello risorto.

Origene riporta e commenta varie espressioni bibliche che dimostrano l’identità tra corpo terrestre e corpo risuscitato, e la permanenza della sostanza corporea, pur nel cambiamento delle qualità. Quando l’apostolo Paolo in 1 Ep. ad Corinthios 15,44 scrive: “Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale”,14 insegna che “nella risurrezione dobbiamo deporre ogni qualità terrena, mentre la forma (eidos) permane integra”.15 Dunque per Origene si tratta di una risurrezione corporea (il corpo da animale diventa spirituale) e di una trasformazione del medesimo corpo, con qualità migliori.16 Il nostro Autore ricorre ad un paragone tratto dalle creature razionali: “quelle che hanno meritato la beatitudine non sono di natura diversa rispetto a quelle che hanno vissuto nella indegnità a causa dei loro peccati, ma sono le stesse che prima hanno peccato e poi, convertite e riconciliatesi con Dio, sono state richiamate alla beatitudine, così anche della natura del corpo non dobbiamo pensare che un corpo è questo di cui ora ci serviamo nell’ignominia, nella corruttibilità e nella debolezza e un altro sarà quello di cui faremo uso nella incorruttibilità, nella potenza e nella gloria, ma sarà sempre lo stesso corpo che, deposte queste imperfezioni, nelle quali ora si trova, sarà trasferito nella gloria, così che quello che era stato un vaso per uso volgare, una volta purificato, diventerà vaso di lusso (cf Ep. ad Romanos 9,21) e dimora di beatitudine”.17 Ancora commentando Ep. ad Romanos 8,11: “[Dio] vivificherà i nostri corpi mortali”, Origene prende lo spunto per ribadire la trasformazione a cui saranno soggetti gli uomini: “Queste parole dell’Apostolo, poiché il corpo è mortale e non partecipa alla vera vita, possono indicare che la forma (eidos) corporea, di cui abbiamo parlato, che è mortale per natura, quando “sarà rivelato Cristo, nostra vita” (Ep. ad Colossenses 3,4), egli la trasformerà dall’essere “corpo di morte” (Ep. ad Romanos 7,24) e sarà vivificata dallo Spirito che dà la vita, cambiata da carnale in spirituale”.18 Dunque la forma corporea è mortale per natura, a differenza dell’anima che è immortale, essendo incorporea. Ma anche dal punto di vista morale il corpo è carnale, dominato dal male, ma quando è vivificato dallo spirito si trasforma in spirituale.

Il famoso testo paolino di 1 Ep. ad Corinthios 15,35-44 (sulla risurrezione, col paragone del chicco di grano che diventa poi spiga, passo richiamato più volte da Origene19), esprime allo stesso tempo l’identità e la diversità tra il corpo terrestre e quello glorioso, come vi è continuità e tuttavia differenza tra il grano e la spiga.20

Dunque utilizzando dati neotestamentari e dottrine filosofiche greche, il maestro alessandrino esprime in tre modi l’identità del corpo terrestre con quello risuscitato:

(a) con l’identità della sostanza corporea che riceve sulla terra qualità terrestri e nel cielo qualità celesti o eteree (cf Perì Archôn II,1,4).

(b) Con la forma (eidos) corporale:21 essa esprime come il corpo permanga il medesimo sulla terra, mentre i suoi elementi materiali si rinnovano costantemente nel corpo, che è come un fiume con acque sempre differenti e pur tuttavia sempre il medesimo fiume.22

(c) Per la dottrina del logos spermatikos, che dà una formulazione filosofica all’immagine paolina del grano e della spiga. La ragione seminale è la forza di sviluppo che, contenuta nel seme di grano, ne fa uscire una spiga o che, presente anche nel seme umano, darà poi origine ad un uomo, il quale passa attraverso le varie età della vita (bambino, adulto, vecchio). Quando il corpo sarà nella terra come il grano, questo logos spermatikos lo farà risorgere corpo spirituale.23 Si veda ad esempio il seguente testo: “Noi non diciamo dunque che un corpo putrefatto ritorni alla sua natura (physis) originaria così come “un chicco di grano” (cf 1 Ep. ad Corinthios 15,37) putrefatto non ritorna ad essere “chicco di grano”. Noi pensiamo che, come dal “chicco di grano” nasce la spiga, così nel corpo è insito un certo principio (logos), che non è sottomesso alla corruzione a partire dal quale il corpo “risorge nell’incorruttibilità” (1 Ep. ad Corinthios 15,43)”.24

Origene ribadisce con chiarezza l’identità tra il corpo glorioso e il corpo terrestre: “A Paolo ciò che è di Paolo, a Pietro ciò che è di Pietro, a ciascuno ciò che gli appartiene, perché non è conveniente che le anime abbiano peccato in un corpo e siano punite in un altro; non sarebbe proprio di un buon giudice che alcuni corpi abbiano versato il loro sangue per Cristo e la loro corona sia attribuita ad altri”.25

Ancora facendo l’esegesi di Matthaeus 22,30 (i risorti “saranno come gli angeli di Dio in cielo”), Origene commenta: “Ma io penso che con queste parole si dimostra che coloro i quali sono degni della risurrezione dai morti non solo sono come gli angeli in cielo perché non contraggono matrimonio, ma perché i loro (eautôn) corpi di umiliazione trasformati diventano tali e quali i corpi degli angeli, eterei, luce scintillante”.26 Dunque i risorti non riceveranno un corpo diverso da quello che avevano prima, ma è il loro corpo di umiliazione che è stato trasformato in corpo di gloria, quindi cambiato di qualità.

Appellandosi alla logica, Origene argomenta che sarebbe assurdo che questo corpo (hoc corpus), il quale a causa di Cristo ha sofferto persecuzioni, sia defraudato del premio e che la sola anima sia ricompensata.27

La permanenza dell’identità tra corpo terrestre e corpo risorto è rafforzata da Origene con la teoria del “veicolo (ochema)” dell’anima,28 facendo leva sulla descrizione – con tratti marcatamente corporali – della parabola di Lazzaro e del ricco epulone (cf Lucas 16,19-31) e dell’apparizione di Samuele a Saul presso la negromante (cf 1 Samuelis [1 Regum] 28,3-25). L’anima, tra la morte e la risurrezione, avrebbe un involucro corporeo, che nella filosofia medio- e neoplatonica,29 era definito “veicolo dell’anima”: esso faceva quasi da ponte tra l’anima e il corpo e sussistendo attorno all’anima spiegava anche le apparizioni dei fantasmi.

3.3. Nella Scrittura si afferma che Cristo è risorto con il proprio corpo.

In Commentarii in Psalmos 15,9, Origene commentando il versetto “la mia carne riposerà nella speranza” (Psalmus 15,9) spiega che il Cristo è stato il primo a dire queste parole avendole realizzate per la prima volta. Quando è stato elevato al cielo “portò con sè il suo corpo terrestre (secum terrenum corpus evexit)”. Né Elia né Enoch, che sono stati trasportati nelle regioni celesti, non sono propriamente ascesi al cielo. Cristo, come il primogenito dai morti, “per primo portò la carne nel cielo (primus carnem evexit ad coelum)”. Le potenze celesti vedono ciò che mai avevano visto prima: la carne era salita al cielo e comprendono dunque il detto di Isaias 63,1 (“Chi è costui che viene da Edom, da Bosor con le vesti tinte di rosso?”). Origene spiega: “esse vedevano nel suo corpo le tracce delle ferite di Bosor, cioè le tracce ricevute nella sua carne”.30 Anche in De resurrectione 2, l’Alessandrino, dopo aver citato 1 Ep. ad Corinthios 15,35-38 (come risuscitano i morti, con quale corpo verranno?, ecc…) afferma anzitutto che con tali parole l’apostolo Paolo significava chiaramente che i morti risorgono e che “è certo che il nostro Salvatore risorse con lo stesso corpo che aveva ricevuto da Maria (certum esse quod Salvator noster cum ipso corpore resurrexit quod susceperat ex Maria)”.31

Il Cristo porta nel cielo il corpo che ha sofferto32 e le potenze angeliche vedono il Cristo entrare nella “vera” Gerusalemme sul suo “veicolo corporeo”: l’asina e il puledro simboleggiano il corpo glorificato di Cristo.33 Non ha abbandonato il suo corpo nella “zona del sole”, ma è salito al cielo con il suo corpo.34

Il Cristo è risuscitato con la carne che aveva avuto,35 e se egli ha assunto un corpo, la sua risurrezione è avvenuta con il corpo e poiché egli è il primogenito dei nati, è necessario che la risurrezione dei risorti sia della stessa natura.36 Conseguentemente “per il fatto che la primizia è risuscitata dai morti (cf 1 Ep. ad Corinthios 15,20.23) ne segue che i morti risuscitano. La primizia è Cristo (cf 1 Ep. ad Corinthios 15,23)”.37 Dunque ciò che si afferma del Cristo va riferito anche agli altri uomini, essendo il Cristo il primo ad avere portato la carne in cielo: perciò anche gli altri uomini lo seguiranno, senza subire trasmigrazioni in altri corpi, ma cambiando le qualità del proprio corpo.

_________________________________________________________________________

Conclusione

Origene non ha mai professato la metensomatosi delle anime umane in altri corpi umani, bestiali o astrali, nonostante le accuse formulate in seguito contro di lui.1 La sua costante riflessione sulle Sacre Scritture, ove non aveva mai incontrato una simile tesi, e le conclusioni che traeva dai dati filosofici gli impedivano di accettare una dottrina che disprezzava o considerava insignificante la componente corporea dell’uomo. Per Origine il corpo è segno della creaturalità – solo la Trinità è assolutamente incorporea2 – e accompagna sempre l’anima nelle varie fasi (creazione, preesistenza, vita terrena, stato intermedio dopo morte, resurrezione) assumendo però di volta in volta qualità adatte. Questo corpo, che potremmo quasi definire “codice genetico” che caratterizza ciascun individuo e lo distingue dagli altri – come suggerisce G. Dorival3 – può manifestarsi in diversi mondi (terreno e ultraterreni),4 ma rimane sempre il medesimo.

La “ensomatosi”, cioè l’incorporazione dell’anima, è ben distinta dalla “metensomatosi”, cioè da successive trasmigrazioni in diversi corpi.5

L’uomo dunque, creato ad immagine di Dio (cf Genesis 1,26), plasmato dalla polvere del suolo (cf Genesis 2,7), e, dopo il peccato, rivestito di tuniche di pelli (cf Genesis 3,21), cioè di qualità terrestri,6 ha la possibilità di ascendere al Sommo Bene lungo i secoli (cf Perì Archôn III,1,23 [24]) e di vedere il proprio corpo – non uno diverso da quello che lo individualizza, – glorificato alla conclusione della storia, sull’esempio appunto di Cristo, modello di ogni creatura razionale. Dalla creazione alla resurrezione permane dunque l’identità della persona, garantita dal fatto che ognuno avrà lo stesso corpo, la stessa anima, lo stesso spirito. La grande speranza di Origene era che tutti gli uomini, liberamente, sotto la guida del Logos divino (cf Contra Celsum 8,72), potessero arrivare alla perfezione: i loro corpi saranno così rivestiti di qualità migliori, le loro anime si dirigeranno solo verso il bene e i loro spiriti saranno pienamente risvegliati e uniti a Dio.

_________________________________________________________________________

Note INTRODUZIONE

1Si vedano soprattutto gli autori citati in A. J. Festugière, La révélation d’Hermès Trismégiste. III. Les doctrines de l’âme, Paris 1953, 1-26; per lo schema dei trattati De Anima, cf ivi p. 3; cf anche J. H. Waszink nell’introduzione all’edizione critica di Tertullianus. De Anima, Amsterdam 1947, 15*-20*.

2Per una bibliografia riguardo al problema della metensomatosi in Origene si veda la nota bibliografica in appendice al presente contributo.

3Cf Commentarii in Iohannem VI,14,85-86 (SCh 157, 190-192), in cui afferma che si dovrebbe esaminare se “sia possibile che l’anima entri una seconda volta nel corpo … nel medesimo corpo o in uno diverso… se l’anima si servirà sempre dello stesso corpo così com’è o lo cambierà. Si dovrà esaminare che cosa significhi propriamente la metensomatosi e in che cosa si distingua dall’ensomatosi e se chi afferma la metensomatosi debba affermare anche di conseguenza l’incorruttibilità del mondo”. Cf anche la nota di E. Corsini al Commento al vangelo di Giovanni di Origene, Torino 1968, 312-314, nota 15 [di questo studioso utilizziamo o riecheggiamo la traduzione del Commentarii in Iohannem]; cf anche C. Blanc, Les questions sur l’âme, nell’edizione a Origène. Commentaire sur saint Jean, t. II (SCh 157), Paris 1970, 26-27. Origene tratta dell’anima anche in Perì Archôn I,8-9, ma ivi non parla della metensomatosi (un cenno è presente in Perì Archôn I,8,4).

4Cf Commentarii in Canticum Canticorum II,5,24 (SCh 375, 368): “..non sembra esservi incertezza che nella condizione attuale di vita l’anima non può venire nel corpo una seconda e una terza volta”.

5Ecco un elenco dei passi (secondo l’ordine cronologico delle opere origeniane): De resurrectione 2 (in Pamphilus, Apologia Origenis 10); Perì Archôn I,8,4; Fragmenta in Prouerbia (in Pamphilus, Apologia Origenis 10); Commentarii in Iohannem VI,10,64; VI,11,67-71; VI,12,72-73; VI,13,75; VI,14,82-86; Perì Euchês 29,14; Homiliae in Lucam 4 [greco]; Fragmenta in Lucam 1,17 [Rauer 17]; Homiliae in Ieremiam 16,1; Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1; 5,9; 6,8; Selecta in Ezechielem 14,13; Commentarii in Canticum Canticorum II,5,24; Commentarii in Matthaeum 7 (in Pamphilus, Apologia Origenis 10); Commentarii in Matthaeum 10,20; 11,17; 12,9; 13,1; 13,2; Commentariorum series in Matthaeum 38;Contra Celsum 1,13; 1,20; 1,33; 3,75; 4,17; 4,30; 4,40; 4,83; 5,29; 5,49; 6,8; 6,36; 7,32; 8,30; 8,53.

6Cf ad esempio Commentarii in Iohannem VI,10,64 (SCh 157, 176,22-24); Contra Celsum 1,20 (SCh 120, 126,16-19); Contra Celsum 3,75 (SCh 136, 170,38-40). Anche nella versione latina di Rufino si incontrano spiegazioni della metensomatosi, che non sembrano soltanto esplicitazioni fatte dal traduttore per i suoi lettori latini, ma potrebbero risalire allo stesso Origene: Commentarii in Ep. ad Romanos 6,8 (PG 14, 1083A); Fragmenta in Prouerbia in Pamphilus,Apologia Origenis 10 (PG 13, 17A o PG 17,613D); Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 (PG 14, 1015B): “Metensomatoseos dogma, id est quod animae in alia atque alia corpora transfundantur” (per alcuni studiosi questa potrebbe essere però una glossa dello stesso Rufino).

7Cf ad esempio De resurrectione 2 in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (PG 11,94D o 17,596C); Perì Archôn I,8,4 (SCh 252, 232,163-166); Fragmenta in Prouerbia in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (PG 13, 174A o 17, 613D-615A);Homiliae in Ieremiam 16,1 (SCh 238, 132,30-34); Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 (PG 14, 1015B); 6,8 (PG 14, 1083A); Commentarii in Matthaeum 11,17 (GCS 40, 64,19-20) [cf anche la traduzione latina in Pamphilus, Apologia Origenis 10]; Contra Celsum 1,20 (SCh 132, 126,16-19); 3,75 (SCh 136, 170,39-40); 4,83 (SCh 136, 392,41-43); 8,30 (SCh 150, 238,24-25). Cf in generale G. Dorival, Origène a-t-il enseigné la trasmigration des âmes dans les corps d’animaux? (à propos de “P Arch I,8,4), in H. Crouzel, A. Quacquarelli (edd.), Origeniana secunda, Second Colloque internationale des études origéniennes, Bari 20-23 sept. 1977 (Quaderni di “Vetera Christianorum” 15) Roma 1980, 11-32.

8Cf soprattutto a proposito di Elia / Giovanni Battista: Commentarii in Iohannem VI,10,64 (SCh 157, 176,20-24); VI,11,66 (ivi, p. 157,176,1-3); Homiliae in Lucam 4 (GCS 492, 27,7 [greco]); Fragmenta in Lucam 1,17 [= Rauer 17] (GCS 492, 233-234 [greco]); cf anche a proposito di Gesù / uno dei profeti: Commentarii in Iohannem VI,10,64 (SCh 157, 176,24-27); Commentarii in Matthaeum 12,9 (GCS 40, 83,25-84,16); Gesù / Giovanni Battista: Commentarii in Matthaeum10,20 (GCS 40, 27,25-27); per i peccatori non vi sarebbero altre pene che le trasmigrazioni dell’anima: Commentarii in Ep. ad Romanos 5,9 (PG 14, 1047C); Commentariorum series in Matthaeum 38 (GCS 382, 73,11-12); Pitagora sarebbe stato stato prima Euforbo: Contra Celsum 6,8 (SCh 147, 196,17).

9Cf ad esempio De resurrectione 2 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 11, 94D o 17, 596C). Sulla metensomatosi “astrale” cf l’affermazione di G. Dorival, Origène et la résurrection de la chair, in L. Lies (hrsg.), Origeniana quarta. Die Referate des 4. Internationalen Origeneskongress, Innsbrück 2-6 september 1985 (Innsbrücker Theologische Studien 19) Innsbrück / Wien 1987, 318: “A l’époque d’Origène, des chrétiens d’Alexandrie professent la métensomatose astrale, qu’Origène écarte, comme il écarte la métensomatose bestiale”. Per una visione più ampia su Origene e gli astri, cf A. Scott, Origen and the Life of the Stars: A History of an Idea (Oxford Early Christian Studies), Oxford 1991, particolarmente pp. 113-167.

10Cf A. Orbe, Textos y pasajes de la Escritura interesados en la teoria de la Reincorporación, in “Estudios eclesiásticos” 33 (1959) 77-91.

11Cf Fragmenta in Prouerbia in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (PG 13,17A o 17,613D). I testi scritturistici utilizzati sono: Psalmus 39,1 (il “cavallo” o il “mulo”), Psalmus 48,13.21 (“gli altri animali” possono richiamare gli “animali bruti” dei due versetti salmici citati), Psalmus 57,4-5 (il “serpente), Ieremias 5,8 (i “cavalli”); Matthaeus 3,7 e 23,33 (la “vipera”). Infine, anche nei confronti del diavolo, questi sedicenti cristiani ne prospettavano l’incorporazione nel leone e nel drago, interpretando in tal senso i riferimenti biblici di Psalmus 90,13; 103,16; 1 Petri 5,8; Apocalypsis 12,3s.

12Cf Perì Archôn I,8,4 (SCh 252, 232,161-173). Costoro adducevano quattro argomenti scritturistici, cioè Leuiticus 20,16; Exodus 21,29; Numeri 22,28; 2 Petri 2,16; e presupponevano che tali testi implicassero l’identità di natura tra l’anima umana e quella animale. I primi due infatti ordinavano di condannare l’animale, in certi casi, alla stessa pena cui era sottoposta la persona umana (la lapidazione). Gli altri due testi introducevano animali capaci di parlare in speciali occasioni: da ciò, “alcuni” deducevano implicitamente che le bestie fossero anch’esse dotate di “logos”, come gli uomini, che lo manifestano tramite la parola.

13De resurrectione 2 in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (PG 11, 94D o 17, 596C). Il passo paolino citato è 1 Ep. ad Corinthios 15,39: “Alia caro animalium, alia volucrum, alia piscium”. Anche in questo caso, con un alto grado di probabilità, ci troviamo di fronte ad un gruppo di cristiani, sia perché si richiamavano esplicitamente ad un passo scritturistico, sia perché credevano nella risurrezione, dottrina cristiana.

14Cf Homiliae in Ieremiam 16,1 (SCh 238, 132,30-39) [abbiamo anche il testo in una traduzione latina di Hieronymus, Translatio Homiliarum Origenis in Ieremiam 12 (GCS 6, 132,17ss)]. Origene, commentando il passo di Ieremias 16,16 (“Io mando molti pescatori”), messo in relazione con quello di Matthaeus 4,20 (Gesù dice a Pietro e Andrea: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”), illustra la differenza tra i pesci che muoiono quando sono tratti fuori dall’acqua e colui che è stato preso dai pescatori inviati da Gesù: anch’egli muore, però al mondo e al peccato, ed è vivificato dalla Parola di Dio e riceve un’altra vita. Poi subito il nostro predicatore precisa: “Se tu per ipotesi hai potuto pensare un’anima di pesce che cambia (metabállousan), dopo essere uscita dal corpo ittico e diviene qualcosa di meglio di un pesce – porto un esempio, nessuno prenda pretesti per [attribuirmi] parole che non ha ascoltato – tu penserai qualcosa di simile…”. Sulla predicazione origeniana, cf A. Monaci Castagno, Origene predicatore e il suo pubblico, Milano 1987, in particolare la difficile scelta tra il silenzio e la parola a proposito di certi argomenti, cf pp. 221-256.

15In Commentariorum series in Matthaeum 38 (GCS 382, 73,7-13), Origene, quasi per inciso, spiegando Matthaeus 24,7 (prima della fine del mondo “vi saranno pestilenze, carestie, terremoti…”), reagisce di fronte alle “pestifere” idee di Basilide e dei suoi seguaci a proposito del martirio e della testimonianza da rendere davanti agli uomini (cf Matthaeus 10,32): tali eretici infatti “docent non esse alias peccatorum poenas nisi transcorporationes animarum post mortem”.

16In Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 (PG 14,1015AB), commentando Ep. ad Romanos 7,9-10, – ove l’Apostolo Paolo afferma che un tempo viveva senza legge, ma, sopraggiungendo il precetto si rifece vivo il peccato ed egli morì e gli venne imputato il peccato, – Origene precisa: “Sed haec Basilides non advertens de lege naturali debere intelligi, ad ineptas et impias fabulas sermonem apostolicum traxit, et in metensomatoseos dogma, id est quod animae in alia atque alia corpora transfundantur, ex hoc Apostoli dicto conatur astruere”. Poco dopo, in Commentarii in Ep. ad Romanos 6,8 (PG 14,1083AB), Origene confuta nuovamente una simile errata esegesi del suddetto passo paolino, interpretato come favorevole alla metensomatosi, e pur senza nominare espressamente Basilide e i suoi seguaci, tuttavia respinge concetti conformi alla dottrina di questo eresiarca.

17Cf in Commentarii in Iohannem VI,10,64 e VI,12,73 (SCh 157, 176,20-27 e p. 183,13-184,19) commentando il passo evangelico riguardante Giovanni Battista, che nega di essere Elia (cf Iohannes 1,21), Origene afferma che alcuni tra i giudei seguivano la dottrina della metensomatosi. Cf anche in Commentarii in Matthaeum 10,20 (GCS 40,27,25-27), a riguardo delle perplessità di Erode, il quale afferma che Gesù è Giovanni Battista risuscitato dai morti (cf Matthaeus 14,1-2 e paralleli), Origene scrive: “Qualcuno dirà che l’errore della metensomatosi fece credere a Erode e ad alcuni del popolo, che colui che per sua nascita era stato una volta Giovanni era ritornato dai morti e riviveva nella persona di Gesù”.

18Cf Contra Celsum 4,17 (SCh 136, 222,12-17): se Celso avesse compreso quale destino attende l’anima e che cosa si deve pensare della sua essenza ed origine, “non avrebbe messo in burla, come fa, la venuta di un essere immortale in un corpo mortale [in riferimento a Gesù Cristo], inteso non secondo la teoria platonica della metensomatosi, ma in una prospettiva più alta”. Per la resurrezione cf in Contra Celsum 7,32 (SCh 150, 86,12-14): “Non è certo – come pensa Celso “per aver frainteso la dottrina della metensomatosi che noi parliamo di risurrezione“” (la frase tra virgolette e in corsivo, secondo gli studiosi, è una citazione di Celso).

Note CAPITOLO 1°

1Cf Commentarii in Iohannem VI,11,66 (SCh 157, 176,1-178,8); Homiliae in Lucam 4 [greco] (GCS 492, 27,7); Commentarii in Matthaeum 13,2 (GCS 40, 178,14-17).

2In Commentarii in Iohannem VI,11,66-67 (SCh 157, 178,8-14). Origene afferma che sono infiniti i passi scritturistici che documentano tale distinzione e si limita a citare Lucas 1,35; inoltre egli parlerà più diffusamente della distinzione tra anima e corpo, più avanti (XXXII, 18,218ss). Cf anche in Commentarii in Matthaeum 13,2 (GCS 40, 178,19-179,1), citando 1 Ep. ad Thessalonicenses 5,23; Daniel 3,86: “Elia dunque è chiamato Giovanni non per l’anima, ma per lo spirito e la potenza” e poco dopo aggiunge (ibidem, p. 182,25-28): “In questo passo [di Malachias 3,23: invierò a voi Elia il tisbita], intendo per Elia non l’anima di questo profeta, ma il suo spirito e la sua potenza”.

Sull’antropologia tricotomica origeniana cf in particolare: H. Crouzel, L’anthropologie d’Origène dans la perspective du combat spirituel, in “Revue d’Ascétique et de Mystique” 31 (1955) 364-385; J. Dupuis, L’esprit de l’homme. Étude sur l’anthropologie religieuse d’Origène (Museum Lesssianum. Section théologique 62) Bruges 1967; M.-J. Pierre, L’âme dans l’anthropologie d’Origène, in “Proche Orient Chrétien” 34 (1984) 21-65; H. Crouzel, Origene (Cultura cristiana antica. Studi) Roma 1986, 129-144, traduzione italiana; limitatamente al Perì Archôn cf anche G. Watson, Souls and bodies in Origen’s “Peri Archon”, in “The Irish Theological Quarterly” 55 (1989) 173-192.

3Cf Commentarii in Matthaeum 13,2 (GCS 40, 179,1-180,7): “Non contraddice alla dottrina della Chiesa se essi [lo spirito e la potenza] furono dapprima in Elia e poi in Giovanni: “gli spiriti dei profeti sono sottomessi ai profeti” (1 Ep. ad Corinthios 14,32), non le anime dei profeti sono sottomesse ai profeti, e “lo spirito di Elia si è posato su Eliseo” (4 Regum 2,15)”. Cf anche Commentarii in Iohannem VI,11,67 (SCh 157, 178,14-18) citando questi medesimi due passi biblici.

4Cf Fragmenta in Lucam 1,17 [= Rauer 17] (GCS 492, 234, 16-17): “”nello spirito” (…), intendo nello spirito profetico”; cf anche Commentarii in Matthaeum 13,2 (GCS 40, 180,17-28).

5Cf Homiliae in Lucam 4 [greco] (GCS 492, 27,17-18): “Lo spirito dunque che era in Elia si manifestò in Giovanni”. La versione latina (ivi, p. 27,16-19) è più ampia: “Spiritus ergo qui fuerat in Helia venit in Iohannnem et virtus quae in illo erat, in hoc quoque apparuit”. In Fragmenta in Lucam 1,17 [= Rauer 17] (GCS 492, 233,1-5 e 234,16-17), il nostro Autore offre ulteriori precisazioni per questa uguaglianza di spirito e di potenza. Cf anche Commentarii in Matthaeum 7 in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (GCS 41/I, 7,22-25) e Commentarii in Matthaeum 10,20 (GCS 40,28,3-8).

6Cf Commentarii in Matthaeum 13,2 (GCS 40, 182,1-16).

7I sostenitori della metensomatosi concludevano che questa loro tesi era addirittura confermata dalle parole stesse di Gesù! Cf Commentarii in Matthaeum 7 in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (GCS 41/I, 6,4-6: alcuni, da queste affermazioni di Gesù “dogma introduxerunt metensomatoseos (id est transmutationis animarum), quasi etiam ipso hoc Iesu confirmante”.

8Cf Commentarii in Iohannem VI,11,64 e VI,12,73 (SCh 157, 176,20-24 e p. 184,18-19).

9Cf rispettivamente Commentarii in Iohannem VI,11,71 e VI,13,78 (SCh 157, 182,51-53 e p. 186,29-34).

10Fragmenta in Prouerbia in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (PG 13,17A-18A o 17,613D-616A).

11Era un’idea abbastanza comune che la filosofia fosse una medicina per le anime e conseguentemente il filosofo ne fosse il medico. Filone di Larissa, secondo Stobaeus, Eclogae 2,40, aveva elaborato tutto uno schema allegorico tra il medico e il filosofo: cf V. Brochard, Les sceptiques grecs, Paris 19232, 205-206.

12Contra Celsum 3,75 (SCh 136, 170,42-45). Subito prima così aveva esordito Origene (ivi, p. 170,37-42).: “Anche se noi guarissimo gli uomini malati di quella follia della metensomatosi, proveniente da quei medici [cioè i filosofi] che degradano la natura razionale ora fino ad una natura priva di ragione, ora perfino ad una priva di percezione, non renderemmo forse migliori le anime di quelli che accolgono la nostra dottrina?”.

13Fragmenta in Lucam 1,17 [= Rauer 17] (GCS 492, 233,10 e 234,15-16).

14Cf sul tema della morte H. Crouzel, Mort et immortalité selon Origène, in “Bulletin de littérature ecclésiastique” 79 (1978) 19-30; 81-96; 181-196; cf anche E. Dal Covolo, Appunti di escatologia origeniana con particolare riferimento alla morte e al martirio, in “Salesianum” 51 (1989) 769-784; L. R. Hennessy, Origen of Alexandria: The Fate of the Soul and Body after Death, in “The Second Century” 8 (1991) 163-178.

15Cf Commentarii in Matthaeum 7 in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (GCS 41/I, 6,12-19); cf anche Commentarii in Matthaeum 13,1 (GCS 40, 173,22-25).

16Commentarii in Matthaeum 13,2 (GCS 40, 177,19-29).

17Secondo tali infamanti accuse Gesù sarebbe nato dall’unione adulterina tra un soldato di nome Pantera e Maria: cf Contra Celsum 1,32. Su questo argomento, cf M. Maritano, La Vergine Madre negli scritti di Giustino Martire. Miti pagani e mistero cristiano, in S. Felici (a cura di), La mariologia nella catechesi dei Padri (età prenicena), Roma 1989, 82-87: Negazione della maternità verginale di Maria (e accuse di adulterio).

18Cf Contra Celsum 1,32 e 1,34-35.

19Cf Contra Celsum 1,32 (SCh 132, 164,24-38). Tali concetti, con velati cenni sulla metensomatosi, sono sviluppati da Origene anche nel successivo capitolo 33.

20Origene poi spiega che l’opinione di Erode poteva essere piuttosto la seguente: ““Le potenze che avevano agito” (cf Matthaeus 14,2) in Giovanni erano passate in Gesù, per cui si pensava tra il popolo che egli fosse Giovanni Battista”:Commentarii in Matthaeum 10,20 (GCS 40, 27,20-28,4). Per un’allusione a questo passo biblico e alla spiegazione origeniana, cf anche Hieronymus, In Euangelium Matthaei 14,1-2 (SCh 242, 296,3-11).

21Commentarii in Matthaeum 12,9 (GCS 40, 83,26-84,10).

22In Commentarii in Matthaeum 13,1 (GCS 40, 173,7-14), Origene dichiara che la metensomatosi è contraria alla Scrittura la quale afferma: “le cose visibili sono di un momento” (2 Ep. ad Corinthios 4,18) e che questo mondo avrà una fine (cf Matthaeus 13,39-40) e che “il cielo e la terra passeranno” (Matthaeus 24,35) e “passa la scena di questo mondo” (1 Ep. ad Corinthios 7,31) e “i cieli periranno” (Psalmus 101 [102],27).

23Cf Commentarii in Iohannem VI,14,86 (SCh 157, 192,59-60): si dovrà esaminare “se chi afferma la metensomatosi debba affermare di conseguenza anche l’incorruttibilità del mondo”; Commentarii in Canticum Canticorum II,5,24 (SCh 375, 368): “Et si quidem secundum auctoritatem scripturarum consummatio immineat mundi et corruptibilis status hic in incorruptibilem commutabitur, ambiguum non videri quod in praesentis vitae statum secundo aut tertio in corpus venire non possit. Nam si recipitur hoc, necessario sequitur, ut huiusmodi successionibus consequentibus finem nesciat mundus”.

24Cf Commentarii in Matthaeum 13,1 (GCS 40, 173,14-175,10). Origene poi presenta la sua opinione: gli uomini che alla fine del mondo dovessero ancora scontare le loro colpe non saranno puniti con la metensomatosi, ma con un altro genere di pena, fuori dal corpo. I pagani greci che difendono la dottrina della metensomatosi, come sua conseguenza non ammettono la fine del mondo: ad essi, oppositori della Scritture attestanti la fine del mondo, non rimane che o non credere ad esse, o cercare di dare una spiegazione sulla fine del mondo: il che non potranno fare anche se lo volessero. Se il mondo non finisce, ma è infinito, allora Dio “non conosce tutte le cose prima che accadano” (Daniel 13,42), ma le conosce per parti, separatamente e non tutte: le cose infatti che sono per loro natura infinite non possono essere comprese con una conoscenza finita: cf Commentarii in Matthaeum 13,1 (GCS 40, 175,20-176,32). Notiamo che perCommentarii in Matthaeum 13,1, abbiamo altre due testimonianze in latino abbreviate rispetto al greco: quella di Rufino derivante da Pamphilus, Apologia Origenis 10 (GCS 41/1, 8,1-9,43) e l’anonima traduzione latina (GCS 40, 170,21-176,32).

25Per una trattazione su questo argomento con elenco di testi cf H. Crouzel, Théologie de l’image de Dieu chez Origène (Théologie 34) Paris 1956, 197-206: Images bestiales. Questo studioso conclude (p. 205): “Le théme des images bestiales est une véritable transposition de la métempsychose, professée par bien des philosophes grecs, mais étant symbolique et morale, cette transposition reste dans l’orthodoxie chrétienne”.

Per i passi più specificatamente messi in relazione con la metensomatosi, oltre a Commentarii in Matthaeum 11,17, citiamo Perì Archôn I,8,4 [per cui rimandiamo alla magistrale trattazione di G. Dorival, Origène a-t-il enseigné la trasmigration des âmes dans les corps d’animaux? o. c. [alla nota 7], pp. 11-32; inoltre cf Homiliae in Ieremiam 16,1 (SCh 238, 132,30-39) [citato alla precedente nota 14], ove Origene si difende vigorosamente anche da una possibile falsificazione o malevola interpretazione delle sue parole; e ancora Selecta in Ezechielem 14,13 (PG 13,806D-808A): nel commentare la frase di Ezechiel 14,13 (“Se la terra pecca,…”), Origene anzitutto ricorda che comunemente la Scrittura usa la parola “terra”, o paese, come equivalente alla parola “abitanti”. Dunque la frase: “Se la terra pecca, [Dio] sterminerà da essa uomini e bestie” significa che se gli abitanti peccano, Dio annienterà “uomini e bestie”. Poi il nostro Maestro alessandrino spiega il senso allegorico di queste due categorie di esseri viventi: “bestia” è “l’uomo simile alle bestie”, per cui è moralmente degradato a livello bestiale, mentre “l’uomo” è “colui che è un po’ più razionale”. Poi continua: “Non si può dire che la terra che calpestiamo sia dotata di ragione (loghiken) e che essa pecchi, come alcuni si immaginarono. Se concediamo questo, dovremmo dire animate tutte le cose e sostenere coloro che ammettono la metempsicosi”.

26R. Girod, in Origène. Commentaire sur l’Évangile selon Matthieu, tome I (SCh 162, 370-3711, nota 1) afferma che a sostegno del rifiuto origeniano della metensomatosi in corpi animali “le présent texte [= Commentarii in Matthaeum11,17] y suffirait à lui seul”.

27Commentarii in Matthaeum 11,17 (GCS 40, 64,18-29); cf anche in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (GCS 41/I, 7,1-17).

28In relazione alla metempsicosi cf U. Bianchi, Basilide o del tragico, in “Studi e Materiali di Storia delle religioni” 38 (1967) 78-85, ripubblicato in Id., Selected Essays on Gnosticism, Dualism and Mysteriosophy (Studies in the History of Religions. Supplements to “Numen” 38), Leiden 1978, 328-335; P. Nautin, Les fragments de Basilide sur la souffrance et leur interprétations par Clément d’Alexandrie et Origène, in AA. VV., Mélanges d’histoire des religions offerts à Henri-Charles Puech, Paris 1974, 398-403; A. Orbe, Cristología gnóstica. Introduccíon a la soteriología de los siglos II y III (Biblioteca de Autores Cristianos 385) Madrid 1976, Vol. II, pp. 573-597: Ascensión y reincorporaciones. 2[Basilides: pp. 581-587].

Secondo alcuni studiosi, come ad esempio P. Nautin, Les fragments de Basilide sur la souffrance, o. c., Basilide non avrebbe mai sostenuto la dottrina della preesistenza delle anime e della metensomatosi, ma sarebbe stato Clemente ad imputargliele in base ad erronee ed arbitrarie deduzioni dagli scritti basilidiani; Origene poi non avrebbe letto le opere di Basilide (particolarmente le Exegetikà), ma si sarebbe fondato sugli scritti di Clemente. Altri studiosi però hanno contestato queste conclusioni del Nautin: così ad esempio A. Orbe scrive nell’articolo: Los “apéndices” de Basílides (un capítulo de filosofía gnóstica), in “Gregorianum” 57 (1976) 97: “Nadie puede seriamente discutir a los basilidianos la doctrina de las ensomatoseis“. Pare più probabile questa seconda posizione, sia perché la metensomatosi, in genere, era nella logica delle teorie gnostiche ispirantesi al platonismo, sia perché Clemente ed Origene potevano avere una conoscenza di prima mano delle idee di Basilide, i cui scritti circolavano ad Alessandria ove era vissuto.

Ai fini del nostro lavoro interessa ciò che effettivamente Origene ha scritto sulla metensomatosi: noi dunque registriamo che egli l’ha attribuita a Basilide e ai suoi seguaci. Esaminare se ciò sia avvenuto, perché rispondente a verità storica, o in base ad una affrettata lettura / interpretazione degli scritti dell’eresiarca (anche tramite Clemente), non rientra negli scopi del nostro argomento (e in ogni caso non farebbe variare la conclusione a cui è giunto Origene: la confutazione della metensomatosi, “dogma impium”: Commentarii in Ep. ad Romanos 6,8).

29Tra i passi addotti Numeri 14,18b e Deuteronomium 5,9: Dio punisce le colpe dei padri nei figli fino alla terza e quarta generazione: cf in Clemens Al., Excerpta ex Theodoto 28 (SCh 23, 118); Iob 14,4 (LXX): nessuno è mondo da sozzura, anche se vivesse un solo giorno sulla terra: cf in Clemens Al., Stromata IV, 12,83,1-2 (GCS 52 [15], 284,27ss); Ep. ad Romanos 7,9-10: un tempo vivevo senza legge…: cf in Origene, Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 (PG 14,1015AB) e fors’anche ibidem, 6,8 (PG 14,1083AB). Implicitamente, anche se non consta con certezza, Basilide citava anche Matthaeus 7,6: non gettare le perle ai porci e non dare le cose sante ai cani: cf però Epiphanius, Panarion 24,5,2 (CGS 25, 262). Potrebbe esserci un’allusione ai Basilidiani quando Origene, in Commentarii in Matthaeum 11,17 (CGC 40, 64,18-21), confuta l’errata interpretazione di Matthaeus 15,26-27 (i cagnolini che mangiano le briciole cadute dalla mensa dei padroni; per uomini assimilati o paragonati a cani: cf anche 2 Regum 16,9), ma non possiamo esserne sicuri. Qui noi esamineremo solo i passi riferiti da Origene.

30C. Schönborn, Risurrezione e reincarnazione (Risposte nella fede) Casale Monferrato 1990, 46, traduzione italiana (e subito dopo come esempio riporta il passo origeniano di Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 riguardante Basilide).

31Infatti in un bambino manca la coscienza della legge naturale e quindi la capacità di discernere tra bene e male: conseguentemente un’azione pur cattiva non è considerata peccato: il peccato infatti è imputato (e quindi rivive) solo quando si avverte il precetto della legge, come spiega appunto Origene in Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 (PG 14,1014C-1015A). Per una esegesi su questo passo paolino cf A. Orbe, S. Metodio y la exegesis de Rom. 7,9a: “Ego autem vivebam sine lege aliquando”, in “Gregorianum” 50 (1969) 93-137; per Origene, cf pp. 94-111 (alle pp. 104-107 è commentata l’esegesi di Basilide, riportataci dallo stesso Origene).

32Commentarii in Ep. ad Romanos 5,1 (PG 14,1015B).

33Cf ibidem 5,1 (PG 14,1015B).

34Cf ibidem 6,8 (PG 14,1083AB): secondo i fautori della metensomatosi, l’anima, prima di giungere in un corpo umano, si sarebbe incarnata in corpi di animali, dove non c’è alcuna legge.

35Cf Commentariorum series in Matthaeum 38 (GCS 382, 73,7-11). Origine ricorda anche altrov analoghi consigli di Basilide sull’atteggiamento che i cristiani dovevano tenere di fronte al martirio: cf Homiliae in Ezechielem 3,4 (SCh 352, 134,25-26). Per altre testimonianze su questo argomento cf Irenaeus, Adversus Haereses 1,24,6; Ps-Tertullianus, Adversus omnes haereses 1,5; Philastrius, Diuersarum haereseon liber 32,7-8; Epiphanius, Panarion 24,4,1-2.

36Cf Commentariorum series in Matthaeum 38 (GCS 382, 73,12-16). Occorre però dire che questo passo origeniano per il suo contenuto è alquanto sospetto e non concorda con altre testimonianze su Basilide: cf A. Orbe, Cristología gnóstica, o. c. [alla nota 46], p. 583; cf anche P. NAUTIN, Les fragments de Basilide sur la souffrance…, o. c. [alla nota 46], pp. 401-402; S. Pétrement, Basilide, in Id., Le Dieu séparé. Les origines du Gnosticisme, Paris 1984, 460; A. Pourkier,La notice contre Basilide, in Id., L’hérésiologie chez Épiphane de Salamine (Christianisme antique 4) Paris 1992, 233 e 256.

37In Contra Celsum 5,49, Origene enumera: i Giudei che si astenevano dalle carni di maiale, i sacerdoti egiziani dalla carne suina ovina e bovina e dai pesci, i pitagorici e gli asceti cristiani da ogni tipo di carne.

38Passi citati in Contra Celsum 5,49 (SCh 147, 140,11-14).

39Cf anche Contra Celsum 7,48.

40Empedocles, Fragmenta 137 Diels.

41Contra Celsum 5,49 (SCh 147, 140,16-141,27). Per una bibliografia sulla metensomatosi in Pitagora ed Empedocle cf in M. Maritano, Giustino Martire di fronte al problema della metempsicosi (Dial., 4,4-7 e 5,5), in “Salesianum” 53 (1992) 244-245, note 54-55, ripubblicato anche in E. Ferasin (a cura di), Teologia e vita. Studi in occasione del 25° anno di attività della Sezione di Torino della Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana (Biblioteca di Scienze Religiose 102) Roma 1992, 174-175, note 54-55.

Per una visione storica più generale su questo argomento nell’antica Grecia, cf J. Bremmer, The Early Greek Concept of the Soul, Princeton 1983, 125-131: Appendix One: The Soul of Plants and Animals.

42Cf Contra Celsum 8,28 (SCh 150, 234,15 e 17-18).

43In Contra Celsum 8,28, cita nell’ordine Ep. ad Romanos 14,21.15; 1 Ep. ad Corinthios 8,13. Nel capitolo seguente (8,29) afferma che mentre i Giudei osservano norme rigorose riguardo ai cibi, Cristo si è mostrato più comprensivo ed ha mirato soprattutto all’interiorità (cf Matthaeus 15,11.17-19), così pure san Paolo (cf 1 Ep. ad Corinthios 8,8).

44Cf Sextus, Enchiridion 109, ed. H. Chadwick, The sentence of Sextus: A contribution of the history of Early Church (Textes and Studies, 2 ser., 5) Cambridge 1959.

45Cf Contra Celsum 8,30 (SCh 150, 238,24-27).

46Sulle “macchie” (sordes) contratte alla nascita per la contaminazione con la carne – attribuite anche a Cristo, – cf pure Homiliae in Lucam 14,3-5. Cf su questo argomento: G. Sfameni Gasparro, Le sordes (/rhupos), il rapporto genesis-phthorà e le motivazioni protologiche dell’enkrateia in Origene, in Id., Origene. Studi di antropologia e di storia della tradizione (Nuovi Saggi 90) Roma 1984, 193-252, [saggio riedito, in modo più sintetico anche in R. Hanson R. and H. Crouzel, (edd.) Origeniana Tertia. The Third International Colloquium for Origen Studies (University of Manchester, September 7th-11th 1981), Roma 1985, 167-183]; P. F. Beatrice, Tradux peccati. Alle fonti della dottrina agostiniana del peccato originale (Studia Patristica Mediolanensia 8), Milano 1978, 212-221; M. Aveta, Alcune osservazioni sulla valutazione origeniana della corporeità e del coniugio, in L. Lies (ed.), Origeniana quarta. Die Referate des 4. Internationalen Origeneskongress, Innsbrück 2-6 september 1985, (Innsbrücker Theologische Studien 19) Innsbrück / Wien 1987, 336-343; P. Pisi, Peccato di Adamo e caduta dei NOES nell’esegesi origeniana, in L. Lies (ed.), Origeniana quarta, o.c., 322-335, particolarmente p. 326; A. Scognamiglio, Toû katharismoû autôn (Lc 2:22). Origene tra Cristologia ed Escatologia, in R. J. Daly, (ed.), Origeniana Quinta. Papers of the 5th International Origen Congress, Boston College 14-18 August 1989, Leuven 1992, 438-443.

47Origine in Commentarii in Ep. ad Romanos 5,9 (PG 14,1047AB) cita: Leuiticus 12,8 (per un neonato si offrono in sacrificio un paio di tortore o due piccioncini: uno per il peccato e uno in olocausto); Iob 14,4-5 (nessuno è esente da peccato, nemmeno se la sua vita è stata di un solo giorno); Psalmus 50,7 (Davide afferma: “nei peccati mi ha concepito mia madre”).

48Origene ricorda spesso che, secondo i fautori della metensomatosi, l’anima trasmigra in vari corpi per colpe anteriori alla presente vita: cf ad esempio Commentarii in Matthaeum 7, in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (CGS 41/1, 6,12-13 e 17-19: “si pro peccatis …trasmutatio fit animarum” e “veniret ad trasmutationem animae quae secundum illorum assertionem non potest accidere nisi ex peccatis”; Commentarii in Matthaeum 11,17 (CGS 40, 64,18-20) e la corrispondente citazione in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (CGS 41/1, 7,1-3); Commentarii in Matthaeum 13,1 (CGS 40, 173,19-176,1) e la relativa citazione in Pamphilus, Apologia Origenis 10 (CGS 41/1, 8,11-9,40; Commentariorum series in Matthaeum 38 (CGS 382, 73,11-13). Anche altri eretici affermavano che i peccati causavano la metensomatosi: cf in A. Orbe, Cristología gnóstica, o. c. [alla nota 46], 573-597.

49Cf Commentarii in Ep. ad Romanos 5,9 (PG 14, 1047BC), traduzione italiana di F. Cocchini, Origene. Commento alla lettera ai Romani. Libri I-VII (“Ascolta Israele” 2), Casale Monferrato 1985, Vol. I, pp. 291-292.

50Cf Contra Celsum 1,13 (SCh 132, 110,16-19).

51Cf Plato, Phaedrus 246B-D.

52Contra Celsum 1,20 (SCh 132, 126,12-19).

53Cf Contra Celsum 5,29: ricorda la contesa tra Atene e Poseidone per il possesso dell’Attica e la leggenda di Atena che, secondo gli egiziani ebbe in possesso Sais (cf Herodotus, Historiae 2,62; Plato, Timaeus 21e) e subito dopo riporta vari passi scritturistici che si riferiscono alle ripartizioni delle regioni terrestri: Deuteronomium 32,8-9; Genesis 11,1-2,5-9; Sapientia 10,5.

54Contra Celsum 5,29 (SCh 147, 88,39-48).

55Cf Contra Celsum 4,17 (SCh 136, 222,10-224,20).

Note CAPITOLO 2° 

1 Cf supra, nota 20.

2Cf Commentarii in Iohannem II,3,20 (SCh 120, 220,6); Homiliae in Lucam 8,2 (GCS 492 48,12-13); Perì Euchês 22,4 (GCS 3, 248).

3Cf Perì Archôn IV,4,10; Contra Celsum 7,66. Origene combatte coloro che facevano consistere l’immagine di Dio nel corpo umano: cf Selecta in Genesim 1,26 (PG 12,93ss); Disputatio cum Heracleida 12; Contra Celsum 6,63.

4Sul significato di proegoumenos, cf M. Giusta, Sul significato filosofico del termine “proegoumenos”, in “Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. Classe di scienze morali storiche e filologiche” 96 (1961-62) 1-43 e la nota di E. Corsini alla traduzione italiana del Commento al Vangelo di Giovanni di Origene, o. c. [alla nota 3], 172, nota 56.

5Commentarii in Iohannem XX,22,182 (SCh 290, 248,54-55).

6Cf Homiliae in Genesim 13,4; Contra Celsum 2,11; 4,25.83.

7Cf per le citazioni in H. Crouzel, Théologie de l’image de Dieu chez Origène, o. c. [alla nota 43], 197-206. “Questa assimilazione alle bestie che rimane d’ordine morale chiarisce probabilmente la strana accusa di Girolamo che attribuisce a Origene la metempsicosi, malgrado i testi frequenti e indiscutibili, tratti da opere conservate in greco ove l’Alessandrino taccia questa dottrina di stupidità e la mostra in contraddizione con l’insegnamento della Chiesa”: H. Crouzel, Origene, traduzione italiana, o. c. [alla nota 20], 141.

8Già lo affermavano autori cristiani precedenti ad Origene: cf in A. Orbe, La definición del hombre en la teología del s. II, in “Gregorianum” 48 (1967) 522-576.

9Cf precedentemente in Contra Celsum 4,52, parafrasando Timaeus 69 c-d; cf anche Alcinoos (Albinus), Didascalicus 25 [cf H. Dörrie, Kontroversen um die Seelenwanderung im kaiserzeitlichen Platonismus, in “Hermes. Zeitschrift für klassische Philologie” 85 (1957) 418]; cf Plotinus, Enneades VI,5,9.

10Cf Plato, Phaedrus 246b-247b. Origene ha alluso a questo testo già in Contra Celsum 1,20.

11Contra Celsum 4,83 (SCh 136, 392,39-48). Per di più, data la stretta relazione tra l’anima e il corpo, l’uomo è superiore agli animali anche per il corpo: “Se … ciascun animale ha un corpo corrispondente alla sua anima, è evidente che il corpo, la cui anima è opera di Dio, supera il corpo in cui abita un’anima che non è opera di Dio. Così risulta falso dire che non vi è alcuna differenza tra il corpo di un pipistrello, di un verme, di una rana e quello di un uomo”: Contra Celsum4,58 (SCh 136, 334,17-22); cf anche ibidem 6,63.

12Cf Perì Archôn II,9,3 (SCh 252, 358,92-95): analizzando la diversità delle creature del mondo creato, spiegabile per la mutabilità degli esseri razionali, Origene si premura di notare alla fine: “De mutis uero animalibus et uolucribus atque de his quae in aquis habitant, requirere superfluum uidetur, cum haec non principalia sed consequentia accipi debere certum sit”. Cf anche Contra Celsum 4,74 (SCh 136, 368,15-17): “Gli esseri razionali, che sono le creature principali, svolgono il ruolo dei bambini messi al mondo, mentre gli esseri irrazionali e inanimati quello della placenta creata con l’embrione” (l’immagine è di Crisippo, secondo Plutarchus, Platonicae quaestiones, 1000f = J. Von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Leipzig 1903-1924, vol. II, II,1158). Cf anche più ampiamente Contra Celsum 4,74-99. In Contra Celsum 4,29 (SCh 136, 254,36-40), Origene afferma: “Nessun uomo onesto è un verme sguazzante in una palude, nessun uomo pio è una formica, nessun uomo giusto è una rana, e nessun uomo la cui anima brilla della splendida luce della verità può essere paragonato ragionevolmente a un pipistrello”. Cf infine Selecta in Psalmos 1,3 (PG 12,1089C): “Tra gli esseri, alcuni esistono a titolo primario, altri a titolo di conseguenza a causa degli esseri esistenti a titolo primario. Infatti l’essere razionale esiste a titolo primario, gli animali e le piante della terra per il suo bisogno”.

13Cf G. Dorival, Origène a-t-il enseigné la trasmigration des âmes, o. c. [alla nota 7], p. 22. Questo studioso ricorda (p. 21 nota 41) che circa un secolo fa già M. J. Denis, De la philosophie d’Origène, Paris 1884, passim, soprattutto pp. 190-196, 210 e 213 aveva rimarcato che questa distinzione era per Origene un argomento essenziale contro la metensomatosi. Possiamo solo aggiungere che questa dottrina aveva una radice profondamente biblica nella visione dell’uomo come “immagine di Dio”.

14Contra Celsum 4,74 (SCh 136, 368,13-15). Per gli Stoici cf J. Von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Leipzig 1903-1924, vol. II, 1152-1167.

Note CAPITOLO 3°

1Contra Celsum 7,32 (SCh 150, 84,1-4).

2Per una bibliografia cf sotto la voce: Resurrection, in H. Crouzel, Bibliographie critique d’Origène (Instrumenta Patristica 8), Steenbrugis 1971, con Supplément (I.P. 8A), ivi 1982. Tra gli ultimi studi cf G. Dorival, Origène et la résurrection de la chair, in L. Lies (hrsg.), Origeniana quarta. Die Referate des 4. Internationalen Origeneskongress, Innsbrück 2-6 september 1985, (Innsbrücker Theologische Studien 19) Innsbrück / Wien 1987, 291-321; M. Demura, The resurrection of the body and soul in Origen’s Contra Celsum, in E. A. Livingstone (ed.), Studia Patristica XXVIII/3, Leuven 1989, 385-391.

3Contra Celsum 7,32 (SCh 150, 84,5-86,8). Mentre per gli stoici il logos seminale è principio di ripetitività dei periodi ciclici (cf Contra Celsum 5,20), per i cristiani esso è principio di risurrezione.

4Su questo logos (in latino ratio) cf anche Perì Archôn II,10,3 (SCh 252, 380,103-107); Contra Celsum 5,23 (SCh 147, 70,5); De resurrectione 2 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 11, 93A-94B o 17, 594C-596A); Stromata, Fragmenta[?] in Hieronymus, Contra Iohannem Hierosolymitanum 26 (PG 11, 97D-98A o PL 23, 393D).

5Cf le stesse lamentele anche in Perì Archôn II,10,3 (SCh 252, 380,79-82) e la relativa nota di H. Crouzel e M. Simonetti in SCh 253, 228-230 nota 11.

6Cf Contra Celsum 2,55-67; 5,18-20.57-58; cf M. Demura, The resurrection of the body and soul in Origen’s Contra Celsum, o. c. [alla nota 88], 385-391. Antecedentemente Origene aveva svolto questo argomento soprattutto nel De resurrectionePerì Archôn II,10,1-3; Selecta in Psalmos 1,5 (brani tramandati da Methodius, De resurrectione 1,20-24 e da Epiphanius, Panarion 64,10.12-16).

7Contra Celsum 7,32 (SCh 150, 86,12-14).

8Contra Celsum 7,32 (SCh 150, 86,14-16). La stessa idea in Selecta in Psalmos 1,5 (PG 12,1093C) [riportata anche da Methodius, De resurrectione. 1,22,4-5 e da Epiphanius, Panarion 64,14,7-8]: “E’ necessario che l’anima, quando si trovi in luoghi corporei, usi corpi adatti a questi luoghi”. Poi esemplifica: se vivessimo nel mare, noi dovremmo avere corpi marini.

9Cf Strabo, XV,5,9; cf anche Seneca, Epistulae 102,23; Marcus Aurelius, IX,3,4; Porphyrius, Epistula ad Marcellam 32; Eusebius Caesariensis, Theophaneia 1,72.

10Contra Celsum 7,32 (SCh 150, 88,29-39).

11Cf ad esempio Fragmenta in Genesim 1,12 (PG 12, 48s); Perì Euchês 28,8; Commentarii in Iohannem XIII,21,127; XIII,61,429; Perì Archôn II,1,4; II,2,2; II,10,1-2; III,6,4-5; III, 6,7; IV,4,5-8; Contra Celsum 3,41-42; 4,47.56-57; 6,77. Cf anche gli studi di H. Crouzel, La doctrine origénienne du corps ressuscité, in “Bulletin de Littérature Ecclésiastique” 81 (1980) 175-200; 241-266; D. G. Bostock, Quality and Corporeity in Origen, in H. Crouzel, A. Quacquarelli (edd.),Origeniana secunda, Second Colloque internationale des études origéniennes, Bari 20-23 sept. 1977 (Quaderni di “Vetera Christianorum” 15) Roma 1980, 11-32. Cf anche limitatamente al Perì Archôn, M. Alexandre, Le statut des questions concernant la matiére dans le “Perì Archôn, in H. Crouzel, G. Lomiento, J. Rius-Camps (edd.), Origeniana. Premier colloque internationale des études origéniennes, Montserrat 18-21 sept. 1973, (Quaderni di “Vetera Christianorum” 12) Bari 1975, 63-81. Cf infine L. Hennessey, A Philosophical Issue in Origen’s Eschatology: The Three Senses of Incorporeality, in R. J. Daly, (ed.), Origeniana Quinta. Papers of the 5th International Congress, Boston College 14-18 August 1989, Leuven 1992, 373-380.

12Cf soprattutto Perì Archôn II,1,4; IV,4,8; Contra Celsum 3,41.

13Cf Contra Celsum 5,19 (SCh 147, 60,36-62,41): “[L’anima] comprende la differenza tra la dimora terrestre, ove si trova la tenda e che è destinata alla distruzione, e la tenda ove i giusti gemono “oppressi” non perché essi vogliano svestirsi della tenda, ma perché vogliono sopravvestirsene, affinché da questo “sopravvestirsi”, “ciò che è mortale sia assorbito dalla vita” (2 Ep. ad Corinthios 5,1-4)”.

14Per uno studio su 1 Ep. ad Corinthios 15,35-49 nell’esegesi di Origene cf F. Altermath, Du corps psychique au corps spirituel. Interprétation de 1 Cor 15,35-49 par les auteurs chrétiens des quatre premiers siècles (Beiträge zur Geschichte der biblischen Exegese 18), Tübingen 1977, 104-124.

15Selecta in Psalmos 1,5 (PG 12, 1096A, riportato da Methodius, De resurrectione I,23,2).

16Cf Perì Archôn II,10,1; Contra Celsum 5,19.22; cf anche ibidem 6,29 (SCh 147, 252,24-28): “Non diciamo affatto che Dio risusciterà gli uomini dai morti con la stessa carne e lo stesso sangue (…). Noi infatti diciamo che ciò che è stato seminato “nella corruzione, nel disonore e nella debolezza”, “corpo animale” (cf 1 Ep. ad Corinthios 15, 42-44) non risorge tale quale è stato seminato”.

17Perì Archôn III,6,6 (SCh 268, 248,180-192).

18Selecta in Psalmos 1,5 (PG 12, 1097B).

19Cf ad esempio Selecta in Psalmos 1,5 (PG 12,1097BC) oppure in Methodius, De resurrectione III,10,2 (GCS 27, 404,7-405,2); cf anche Perì Archôn II,10,1, II, 10,3; Contra Celsum 5,18; 5,22s; 7,32; De resurrectione 2 in Pamphilus,Apologia Origenis 7 (PG 17,594ss); Stromata, Fragmenta[?] in Hieronymus, Contra Iohannem Hierosolymitanum 26 (PL 23,393B-394A). Per un elenco completo delle citazioni di questo passo biblico cf in J. Allenbach et alii (edd.), Biblia patristica, Vol. III. Origène, Paris 1980, 405s.

20Anche se – come fa notare H. Crouzel, Origene, traduzione italiana, o. c, [alla nota 20], p. 340: “L’insieme delle sue [= di Origene] opinioni sulla identità e l’alterità del corpo terrestre e del corpo risuscitato costituisce piuttosto unaespressione del mistero che una spiegazione propriamente detta, che sarebbe impossibile” (corsivi nel testo).

21Questo eidos non è inteso nel senso di “apparenza esteriore”, ma nel significato filosofico di “principio di unità e di individuazione” del corpo che si manifesta all’esterno con caratteristiche che fanno riconoscere il soggetto. Questa idea non compresa da Metodio ha causato gravi contraddizioni e incomprensioni della dottrina origeniana sulla risurrezione: cf H. Crouzel, Les critiques adressées par Méthode…., o. c. [alla nota 87], 679-716.

22Cf Selecta in Psalmos 1,5 (PG 12,1093), citati anche da Methodius, De resurrectione 1,24 e da Epiphanius, Panarion 64,16.

23Cf De resurrectione 2 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 11,93CD o 17,595BC); Selecta in Psalmos 1,5 [in Methodius, De resurrectione, 1,24 e in Epiphanius, Panarion 64,16]; Contra Celsum 5,23; 7,32.

24Contra Celsum 5,23 (SCh 147, 68,1-70,7). Cf anche una analoga idea in ibidem 5,18 (SCh 147, 58,10-13): “Né noi, né le sacre Scritture diciamo che i morti da lungo tempo, dopo essere risorti dalla terra, vivranno con la stessa carne, senza ricevere alcun mutamento verso il meglio”. Anche commentando Psalmus 1,5 (“Perciò gli empi non risorgeranno al giudizio”), Origene richiama il dato biblico di 1 Ep. ad Corinthios 15,44) (“Si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale”) e di 1 Ep. ad Corinthios 15,50 (“La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l’incorruttibilità”), per appoggiare una tesi filosofica: la distinzione nel corpo umano di due elementi: (a) il primo substrato (proton ypokeimenon) che cambia continuamente e quindi non risuscita; (b) la forma corporea (l’eidos somatikon), che permane sempre, caratterizza il corpo, è una qualità (poiotes) somatica nel senso stoico, è l’elemento corporeo che l’anima rivestirà al momento della risurrezione cambiandolo in meglio. Allo stesso tempo il Maestro alessandrino rettifica l’interpretazione di Ep. ad Romanos 8,11 (“Colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”) data dai simpliciores: egli spiega che la forma (eidos) corporea è mortale per natura, poi precisa che alla risurrezione si verifica la stessa trasformazione che avviene dal chicco alla spiga (cf 1 Ep. ad Corinthios 15,35): il chicco, in forza del logos spermatikos si trasforma in spiga, così il corpo terrestre si trasforma in qualcosa di meglio e di più glorioso: cf Selecta in Psalmos 1,5 (PG 12,1096AB), riportato anche da Methodius, De resurrectione 1,20-24 e da Epiphanius, Panarion 64,10.12-16.

25Stromata, Fragmenta[?], in Hieronymus, Contra Iohannem Hierosolymitanum, 26 (PL 23,397): dopo queste parole così commenta Girolamo: “Udendo queste parole, chi crederebbe che Origene neghi la risurrezione?”. Anche altrove l’Alessandrino esprime la convinzione dell’identità tra corpo terrestre e corpo risuscitato. Mettendo in parallelo la trasfigurazione e la risurrezione, assicura: “Quando i giusti risusciteranno nella gloria alla seconda venuta del Cristo, essi non avranno vestiti (imatia) sensibili, ma saranno rivestiti di involucri splendenti. Come la loro forma non era diversa alla trasfigurazione, così nella risurrezione la forma (eidos) che riguarda i santi sarà molto più gloriosa di quella che essi avevano in questa vita, ma non sarà una forma diversa”: Fragmenta in Lucam 9,28 [= Rauer 140] (CGS 492, 283,13-284,17).

26Cf Commentarii in Matthaeum 17,30 (GCS 40, 671ss).

27De resurrectione 1 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 11, 91D-93A o 17, 594AB). Per esprimere l’identità dei corpi terrestri con quelli risorti, cf anche: Commentarii in Ep. ad Ephesios III,5,28-29 (PG 14, 1297B) citato da Hieronymus,Contra Rufinum I,28 (SCh 303, 76,20-26): “Diciamo che la carne deve vedere la salvezza di Dio (cf Isaias 40,5), l’anima deve amarla… e imitando Cristo che nutre la sua Chiesa e dice “Quante volte ho voluto radunare i tuoi figli, come la gallina raduna i pulcini sotto le sue ali” (cf Matthaeus 23,37), così le anime circondino di premure i loro corpi (corpora sua), perché questo essere corruttibile rivesta l’incorruttibilità (cf 1 Ep. ad Corinthios 15,53) e sostenuto da leggere ali possa entrare più facilmente nell’aria”. Cf anche Perí Pascha 37,29-38,5 (ed. O. Guéraud, P. Nautin, Origène. Sur la Pâque, Paris 1979, 226,28-228,4) il fatto che gli Ebrei escano dall’Egitto, dopo aver mangiato l’Agnello pasquale, tenendo i sandali ai piedi (cf Exodus 12,11) viene inteso come riferibile alla “risurrezione della carne, poiché anch’essa viene con noi, quando usciamo dall’Egitto”, dobbiamo perciò “mortificare le membra che sono sulla terra, fornicazione impurità (cfEp. ad Colossenses 3,5), lascivia idolatria (cf Ep. ad Galatas 5,19-20) e così di seguito”. Dunque alla risurrezione recheremo con noi il corpo che fin da questa terra (simboleggiata dall’Egitto) si è purificato.

28Cf in Methodius, De resurrectione III,17-18 (GCS 27, 413,17ss); in Photius, Bibliotheca 234,301a (ed. R. Henry, Paris 1967, tome V, 106,30) e, ispirato ad Origene, anche Procopius Gazaeus, Commentarii in Genesim 3,21 (PG 87/1, 221AB). Cf anche Origene, Commentarii in Matthaeum 16,18-19: l’entrata di Gesù in Gerusalemme nel giorno delle Palme raffigura la sua entrata nella “vera” Gerusalemme sul suo “veicolo (ochema) corporeo”. Tra gli studi sull’argomento in Origene, cf H. Crouzel, Le thème platonicienne du “véhicule de l’âme” chez Origène, in “Didaskalia” 7 (1977) 225-237; L. R. Hennessey, A Philosophical Issue in Origen’s Eschatology: The Three Senses of Incorporeality, in R. J. Daly, (ed.),Origeniana Quinta, o. c., 373-374 e 376-377; H. S. Schibli, Origen, Didymus and the Vehicle of the Soul, in R. J. Daly, (ed.), Origeniana Quinta, o.c., 381-391. Anche Agostino si troverà di fronte a tale problema: cf M. Baltes, Platonisches Gedankengut im Brief des Evodius an Augustinus (Ep. 158), in “Vigiliae Christianae” 40 (1986) 251-261; V. Zangara, Il “vehiculum animae” e le apparizioni dei morti nell’Ep. 158 di Evodio ad Agostino, in “Rivista di Storia e Letteratura Religiosa” 25 (1989) 234-258.

29Cf E. R. Dodds in appendice all’edizione critica del testo: Proclus. Elements of Theology, Oxford 19632, pp. 313-321; J. F. Finamore, Iamblicus and the Theory of the Vehicle of the Soul (American Classical Studies 14), Chico 1985; W. Deuse, Untersuchungen zur mittel- und neuplatonischen Seelenlehre, Wiesbaden 1983.

30Commentarii in Psalmos 15,9 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 12, 1215C-1216C o 17, 600AB).

31De resurrectione 2 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 11, 93C o 17, 595AB). Un corpo che aveva assunto le migliori qualità: “Noi affermiamo ancora che il suo [di Cristo] corpo mortale e l’anima che vi risiede hanno acquistato la massima dignità non solo per l’associazione, ma anche per l’unione e la funzione con lui e che partecipando alla sua divinità si sono trasformati in Dio”; dunque se la materia può rivestire tutte le qualità che il Creatore vuole attribuirle, perché meravigliarsi “se la qualità mortale del corpo di Cristo, per la Provvidenza di Dio che così stabilisce, sia stata cambiata in una qualità eterea e divina?”: Contra Celsum 3,41 (SCh 136, 96,7-11). Altrove Origene presenta lo stato del corpo di Cristo come intermediario tra il corpo pesante e l’anima pura: cf Contra Celsum 2,62; cf anche 2,68; De resurrectione, Fragmenta, in Hieronymus, Contra Iohannem Hierosolymitanum 25 (PG 11,98D-100A o PL 23,395C).

32Cf Commentarii in Iohannem II,8,61 (SCh 120, 242,25-27): “Colui che siede sul cavallo bianco, cioè il Logos di Dio non appare nudo a Giovanni: egli infatti indossa un mantello intriso di sangue (cf Apocalypsis 19,13)”.

33Cf Commentarii in Matthaeum 16,19 (GCS 40, 539,11ss).

34Cf Commentarii in Psalmos 18,6 in Pamphilus, Apologia Origenis 7 (PG 12, 1241-1244 o 17, 600C-601A): Origene rifiuta l’ipotesi di coloro i quali pretendono che il Cristo ascendendo al cielo abbia lasciato il suo corpo nella zona del sole e sia entrato in cielo senza di esso.

35Cf Fragmenta in 1 Ep. ad Corinthios 81, ed. C. Jenkins, in “The Journal of Theological Studies” 10 (1909) 44.

36Cf ibidem 84, edizione citata, p. 46,11ss.

37Disputatio cum Heracleida 5 (SCh 67, 66,14-16).

Note CONCLUSIONE

1Cf ad esempio in Hieronymus, Epistulae 124,4; in Pamphilus, Apologia Origenis 9-10; negli anatematismi del 443 e del 553 da parte di Iustinianus (cf anche la sua Epistula ad Mennam); in Photius, Bibliotheca codex 117 (lista dei 15 articoli: il 4° e il 5°). Cf G. Bardy, Recherches sur l’histoire du texte et des versions latines du “De Principiis” d’Origène, Paris 1923, 78-85; P. Nautin, Origène. Sa vie et son oeuvre, Paris 1977, 109-144 (sulla notizia di Fozio riguardante la lista dei 15 articoli). Più ampiamente cf anche H. Crouzel, Origene e l’origenismo: le condanne di Origene, in “Augustinianum” 26 (1986) 295-303;J: F. Dechow, The Heresy Charges against Origen, in L. Lies (hrsg.), Origeniana quarta. Die Referate des 4. Internationalen Origeneskongress, Innsbrück 2-6 september 1985, (Innsbrücker Theologische Studien 19) Innsbrück / Wien 1987, 112-122; E. Clark, The Origenistic Controversy. The Cultural Construction of an Early Christian Debate, Princeton 1992.

2Cf Perì Archôn I,6,4; II,2,2; IV,3,15. Un essere diverso da Dio richiede dunque la corporeità: cf Perì Archôn IV,4,8; cf M. Edwards, Origen no Gnostic; or, on the Corporeality of Man, in “The Journal of Theological Studies” 43 (1992) 23-37.

3In Origène et la résurrection de la chair, in L. Lies, Origeniana quarta, o. c. [alla nota 89], 312. Questo studioso si riferisce al corpo risorto, ma penso si possa estendere anche al corpo della preesistenza e dello stato intermedio dopo morte. Per una allusione ai “geni” o “gameti” in senso moderno, cf Commentarii in Iohannem XX,5,36 (SCh 290, 174,27-28), ove Origene si riferisce ai logoi spermatikoi (principi generativi) dell’uomo e della donna.

4Origene conosce tre mondi successivi: quello del mondo intelligibile delle idee, preesistente al mondo terrestre, poi l’attuale mondo in seguito alla caduta e infine il mondo dei risuscitati, dopo l’apocatastasi. Inoltre egli (soprattutto secondo Girolamo: cf Epistula 124,5 e 9) avrebbe presentato più volte l’ipotesi di mondi successivi e di secoli futuri: cf ad esempio: Perì Archôn I,6,3; II,1,3; II,3,5; III,5,3; Commentarii in Iohannem XIX, 14,87-88; Perì Euchês 27,15; 29,14;Commentarii in Ep. ad Romanos 5,10; 8,13; Commentarii in Canticum Canticorum II,5,24; Commentarii in Matthaeum 15,31. Le creature razionali così, attraverso un susseguirsi di secoli, avrebbero realizzato liberamente la purificazione completa e la reintegrazione nel bene.

Però, a proposito di tale teoria, occorre ricordare: (a) Origene la pone in modo problematico, non asseverativo (cf Perì Archôn II,3,1). (b) In ogni caso esiste solo e sempre un solo mondo per volta (cf Perì Archôn III,5,3). (c) Origene rifiuta in modo categorico la tesi stoica dei mondi succedentisi perfettamente uguali (cf Perì Archôn II,2,4), perché in tal caso sarebbe eliminata la libertà. I vari mondi invece, determinati dalla varietà degli impulsi delle creature razionali, sarebbero sempre diversi. (d) Il Maestro alessandrino pensa che l’educazione progressiva delle anime continui anche dopo la morte del corpo (ma nelle sfere planetarie) e che ad ogni condizione spirituale corrisponda una adeguata condizione corporea: quanto più un’anima s’innalza spiritualmente, tanto più avrà una materialità leggera (cf Perì Archôn II,11, 5-7).

Alcuni studiosi (citati da R. Roukema, Reïncarnatie in de oude Kerk, in “Gereformeerd Theologisch Tijdschrift” 93 (1993) 45 nota 106, sarebbero i seguenti: F. H. Kettler, P. Nautin, P. Heimann, U. Bianchi, R. Sträuli, e lo stesso Roukema) prospetterebbero l’idea che, per Origene, un’anima potrebbe incarnarsi in un corpo una volta “per mondo” (escludendo quindi una ripetuta incarnazione nel mondo attuale, ma possibile nel mondo successivo).

Per armonizzare il rifiuto della metensomatosi con la eventuale ipotesi di mondi successivi, N. Brox scrive: “[Origene], a causa dell’ostinazione del peccato, calcola alcuni “giri” per le anime, ma nello stesso corpo. I loro corpi rimangono identici, tuttavia mutano qualitativamente le anime come ricompensa o punizione a seconda della prova. Così anche Origene ha ragionato in termini di forma parzialmente ciclica dell’esistenza delle anime, dal momento che queste ricevono la ripetuta opportunità di un nuovo principio e di un miglioramento. Ma a motivo della concezione biblica della fine dei tempi, l’argomento della ripetitività della vita ha ricevuto da Origene confini molto ristretti. Nella sua dottrina, rimasta invero su questo punto poco chiara, egli è inequivocabilmente partito da un numero di cicli abbastanza limitato” [Il dibattito cristiano antico sulla trasmigrazione delle anime, in “Concilium. Rivista internazionale di teologia” 29 (1993) 856].

5Origene si pone il problema della differenza tra ensomatosi e metensomatosi in Commentarii in Iohannem VI,14,86 (SCh 157, 190,57-192,60), cf anche Commentarii in Canticum Canticorum II,5,24 (SCh 375, 368). Anche in Contra Celsum5,29 (SCh 147, 88,46-47) afferma chiaramente che l’entrata delle anime nei corpi non è dovuta a metensomatosi. Alcune “ipotesi” origeniane, come quella della preeesistenza delle anime e dei mondi successivi potevano dar luogo ad errate interpretazioni presso gli avversari: vennero confuse o assimilate con la dottrina platonica della metempsicosi.

6Cf P. F. Beatrice, Le tuniche di pelle. Antiche letture di Gen. 3,21, in U. Bianchi (ed.), La tradizione dell’enkrateia. Motivazioni ontologiche e protologiche. Atti del colloquio internazionale (Milano 20-23 aprile 1982), Roma 1985, 433-482.

Origene contro la Reincarnazioneultima modifica: 2015-11-27T18:25:08+01:00da mikeplato
Reposta per primo quest’articolo