LETTERE DI UN MAESTRO SUFI

peinture arabe 2061 

Al-’Arabi ad-Darqawi descrive così il suo primo maestro spirituale:

Lettera 1

(…) Quella notte chiesi a Dio di confermarmi nell’intenzione (di diventare discepolo del maestro ‘Ali al-Jamal), e trascorsi l’intera notte a raffigurarmelo, a domandarmi come fosse e come sarebbe stato il mio incontro con lui, senza poter dormire. Al mattino andai a trovarlo nella sua zawiyah (”luogo appartato”, “cella”. Vengono chiamate in tal modo le case in cui si riuniscono regolarmente i membri di una confraternita; esse sono spesso costituite da abitazioni per lo sheikh, la sua famiglia e qualche discepolo in ritiro spirituale. E’ all’incirca l’equivalente dell’ashram indù. La zawiyah dello sheikh Ali al-Jamal esiste tuttora, e comprende un cortile su un lato del quale vi è una modesta abitazione, e sull’altro un oratorio, ove si trova la tomba del santo. Una piccola cupola posta sul tetto piano sovrasta la tomba. n.d.r.), nel quartiere di Rumilah, posto tra le due città (di Fes), sulla riva del fiume dalla parte della qiblah, proprio dov’è ora la sua tomba. Bussai alla porta e me lo vidi davanti, intento a spazzare la zawiyah, come era sua abitudine farlo ogni giorno con la sua mano benedetta, malgrado l’età avanzata e l’eminente funzione (spirituale). “Che cosa vuoi?” mi disse. “O mio signore,” risposi “voglio che tu mi prenda per mano (Espressione che vuol dire al tempo stesso dare l’iniziazione e condurre sulla Via spirituale n.d.r.) verso Dio”. Incominciò allora a rimproverarmi violentemente, celando ai miei occhi il suo vero stato, con parole simili a queste: “Ma chi ti ha detto che prendo per mano chiunque, e perchè dovrei farlo con te?”. E mi scacciò; tutto questo fece per mettere alla prova la mia sincerità. Così me ne andai, ma quando calò la notte interrogai ancora Dio (per mezzo del Libro Sacro). Poi, compiuta la preghiera del mattino, ritornai alla zawiyah. Vi ritrovai il maestro intento, come il giorno prima, a spazzare la zawiyah. Bussai alla porta. Mi aperse e gli dissi: “Prendimi per mano, per l’amore di Dio!”. Allora mi prese la mano e disse: “Sii il benvenuto!”. Mi fece entrare nella sua casa all’interno della zawiyah, e mi manifestò una grande gioia. “O mio signore” esclamai “da quanto tempo cercavo un maestro spirituale!”. “Ed io,” mi rispose “da quanto tempo cercavo un discepolo sincero”. Quindi mi trasmise le formule del rosario e l’invocazione e aggiunse: “Va’ e torna!”. Da quel momento lo frequentai ogni giorno e ricevetti il suo insegnamento insieme con alcuni fratelli di Fes. (…).

Lettera 2

La prima cosa che appresi dal mio maestro – Iddio sia soddisfatto di lui – fu questa: mi caricò di due ceste colme di prugne.
Io le presi in mano anziché pormele sulla nuca, come m’aveva indicato, ma non di meno la cosa mi affliggeva grandemente e mi era così penosa che la mia anima (nafs) si contrasse; essa s’agitava, si umiliava e si turbava oltre misura, a tal segno che quasi ne piangevo per tutte le umiliazioni, il disprezzo e il dispetto che avrei dovuto subire in quella prova (n.d.r. per un giovane letterato di famiglia nobile, come al-’Arabi ad-Darqawi, era molto umiliante accettare la funzione di portatore di frutta e verdura al mercato.
Attraversando la città con il suo carico di prugne, avrebbe incontrato sia i suoi vecchi professori e colleghi sia i suoi parenti, che non avrebbero tralasciato di fargli notare la sconvenienza della sua mansione. Cadute le maschere convenzionali, si manifestano le vere intenzioni degli uomini.) -, giacché la mia anima non aveva mai accettato una cosa simile nè piegato la testa, e fino a quel momento ero stato inconsapevole del suo orgoglio, della sua rivolta e della sua corruzione (n.d.r. Confessione che evidentemente mira più alla natura della psiche (an-nafs) in genere; in quanto questa si contrappone allo Spirito (ar-rûh), che al carattere particolare dell’Autore.); ignoravo se fosse orgogliosa o meno, e nessuno tra i teologi di cui avevo seguito le lezioni – erano numerosi – m’aveva ragguagliato al proposito. Mentre mi dibattevo in questa perplessità e in questa pena, ecco che il Maestro, con la sua profonda intuizione, venne verso di me, mi prese le due ceste dalle mani e me le posò sulla nuca dicendo: “Fa’ in tal modo la prova del bene per scacciare un po’ d’orgoglio!”. Con queste parole mi aperse la porta della rettitudine, poiché così appresi a distinguere gli orgogliosi dagli umili, i seri dai frivoli, i sapienti dagli ignoranti, gli uomini di tradizione dagli innovatori e quelli che possiedono la scienza e l’applicano da quelli che si limitano a possederla senza metterla in pratica. In seguito nessun tradizionalista (sunni) poté più ingannarmi con il suo sapere, né alcun innovatore con le sue innovazioni; nessun sapiente m’impressionò più con la sua (sola) scienza, nessuno (falso) asceta con le sue privazioni. Infatti il maestro – sia Dio soddisfatto di lui – m’aveva insegnato a distinguere la verità dalla vanità e ciò che è serio dalla farsa; Dio lo ricompensi di ciò e lo protegga da ogni male!
 
Lettera 3
L’intenzione pura è veramente l’elisir (che trasforma il metallo vile dell’anima in oro), poiché fu essa a darmi la forza di cercare colui che mi avrebbe condotto a Dio. Ed ecco che lo trovai proprio accanto a me, vicinissimo, come se abitassimo la stessa casa. Il mio maestro – si compiaccia Iddio di lui – era all’esterno tutto rigore e nell’interno totalmente bellezza; voglio dire con questo che esteriormente praticava l’umiliazione e la servitù, mentre interiormente era nella gloria e nella libertà. E cosa è peggio del contrario, ossia di chi vive in uno stato di gloria e di libertà esteriori, e di umiliazioni e schiavitù interiori, o che esteriormente è tradizionalista e interiormente innovatore, esteriormente conforme alla legge e interiormente senza legge, in apparenza domenicale e in sostanza satanico? “Nulla ostacola maggiormente l’attuazione dello scopo quanto l’aver negletto le fondamenta”. (Proverbio sufico n.d.r.) Non v’è dubbio che quando uomini eletti come il mio maestro s’umiliano all’esterno e di loro volontà, Dio li eleva interiormente ed esteriormente, per cui essi vivono in una gioia perpetua; mentre gli uomini comuni, quando agiscono in senso inverso vale a dire glorificandosi all’esterno, vengono abbassati da Dio sia esteriormente che interiormente, per cui vivono in una perenne tristezza. Il maestro era pago della conoscenza di Dio e non si volgeva né verso il manifestato nè verso l’occulto; badava soltanto alla sua relazione con Dio e non s’occupava della lode o del biasimo altrui. Recitava spesso questi versi: Purché Tu sia dolcezza, sia pure amara la vita! Se Tu sei lieto, che importa il corruccio degli uomini? 
Ogni cosa tra Tè e me sia giardino coltivato,
E tra me e il mondo vi sia solo il deserto!
Se il tuo amore è certo, tutto riesce facile,
Giacché sulla terra non v’è altro che terra,
Il suo stesso comportamento diceva: O Dio, fa’ che la mia onta sia evidente alle creature e la mia integrità visibile soltanto a Te e non il contrario! Dio – sia lode a Lui – ha detto: “essi (gli uomini) non ti renderanno in alcun modo indipendente da Dio” (Corano, XLV 19). Ascolta, faqir, qualche detto del mi maestro – Iddio sia soddisfatto di lui -: “Mentre gli altri si preoccupano dell’adorazione, tu occupati dell’Adorato; se essi si occupano dell’amore, tu occupati dell’Amato; quando aspirano a compiere miracoli, tu aspira ai piaceri della preghiera; mentre moltiplicano le loro devozioni, tu votati al tuo generosissimo Signore”, e così via. Soleva anche dire, nelle sue conversazioni spirituali: “Se contemplaste Dio in ogni cosa, la sua contemplazione velerebbe ogni cosa ai vostri occhi. Poiché Egli è la sola cosa al di fuori della quale non v’è n’è altra. Se unisci l’effimero all’eterno, l’effimero scompare e resta solo l’eterno. Se le qualità del Diletto dovessero manifestarsi, si annichilirebbero insieme al velo e chi ha la vista velata. Quando le luci della pura contemplazione sono rivelate, scompaiono sia l’asceta sia ciò di cui si priva. Astenersi dalle cose significa sopravvalutare la loro potenza, e questo deriva dal velo che vi nasconde Dio; se infatti lo contemplaste nelle cose, o prima o dopo le cose, queste non ve lo celerebbero; se foste in grado di vedere la loro esistenza come emanante da Lui, tale esistenza non ve lo nasconderebbe. Le uniche cose che s’interpongono tra voi e Colui che adorate sono la gioia di quanto possedete e il rimpianto di quanto non possedete, l’unica cosa che vi separa dalla beatitudine è questo biasimevole sentire. Se non vi fossero l’intrigante e la spia, il vostro gaudio nel Diletto non diverrebbe mai perfetto (L’«intrigante» e la «spia» appartengono alla poesia erotica e nel contesto significano a un tempo l’ostilità del mondo profano e le interferenze psichiche. n.d.r.). Se non vi fossero il fuoco e la puntura delle api, non si potrebbe mai gustare il favo e il miele”. (Tali aforismi hanno in arabo la forma di versetti ritmici. n.d.r.). E diceva molte altre cose oltre a queste. Disse anche: “Chi pretende di aver bevuto il vino degli iniziati e di aver compreso le loro verità spirituali, e malgrado ciò non si è distaccato dal mondo, costui mente. Come il paradiso non è accessibile a chi non è morto e nato di nuovo, così il paradiso della gnosi rimane chiuso a colui la cui anima non è morta al mondo, al desiderio di agirvi, di compiere scelte, di possederlo e di goderne; a chi non è morto a ogni cosa fuorché a Dio”. E affermò anche – sia Dio soddisfatto di lui -: “Non dire “io” prima di essere estinto (in Dio). Non avrai vita prima di aver subito la morte. I soli non sorgeranno in te prima della morte delle anime”. (In questo detto i “soli” e le “anime” sono al plurale perché alludono ai molteplici gradi della via spirituale, ogni nuova illuminazione essendo preceduta dalla morte di un’”anima”. n.d.r.). Non giungerai allo scopo cui aspiri finché gli uomini continueranno a lodarti. Non gusterai il cibo della fede prima di essere uscito dai mondi dei creati. (La fede (al-jman), secondo il Corano, può aumentare illimitatamente, e nei suoi gradi superiori s’identifica con la gnosi. n.d.r.). Perverrai all’estinzione (fana) in Dio soltanto dopo essere morto al mondo evanescente. Se dinnanzi a te fossero tolto i veli, contempleresti il Diletto in te stesso. Se in te svanissero le suggestioni dell’immaginazione, contempleresti senza fine l’eterno. Se la tua anima non ti allontanasse dal tuo Signore, non vedresti realtà al di fuori di Lui. Se la tua anima fosse libera da bruttura, la Verità verrebbe e la vanità sparirebbe”. (Allusione al versetto coranico: “è venuta la Verità e la vanità è scomparsa, certo la vanità è evanescente” (XVII, 81) n.d.r.)

Lettera 4

Poco tempo dopo aver incontrato il maestro, egli m’autorizzò ad iniziare un letterato che era stato mio professore di lettura coranica. Costui voleva, seguendo il mio esempio, divenire discepolo del maestro, e insistette affinchè intercedessi per lui.
Quando ne parlai al maestro, mi rispose: “Prendilo tu stesso per mano, giacchè mi ha conosciuto attraverso te”. Gli trasmisi dunque l’insegnamento ricevuto, che fruttificò grazie alla benedizione (barakah) insita nell’autorizzazione del mio nobile maestro.
Ma poi, poichè dovetti abbandonare Fes per raggiungere la tribù dei Beni Zarwal, dove avevo lasciato i genitori, ci separammo.
Il maestro viveva sempre a Fes al-Bali. Al momento di partire per la mia tribù gli dissi: “Non ho nessuno laggiù con cui avere scambi spirituali, dei quali peraltro ho bisogno”. “Generalo!” mi rispose, come se pensasse che la generazione spirituale potesse avvenire per mio mezzo, o come se già la vedesse. Gli ripetei quel che gli avevo detto, e di nuovo mi rispose: “Generalo!”.
Ora, in virtù della benedizione emanante dalla sua autorizzazione e dal suo segreto (Sirr, cioè dal suo stato spirituale, conosciuto solo da Dio n.d.r.), venne a me un uomo – moltiplichi Iddio i suoi pari nell’Islam! – il quale, dall’istante in cui lo vidi e lui mi vide, fu talmente ricolmo di Dio che pervenne subito alla situazione spirituale (maqam) dell’estinzione (fana) e della sussistenza (baqa) in Dio, e Dio è garante di quanto ho affermato.
Anche in ciò si manifestò la virtù e il potere segreto dell’autorizzazione (L’autorizzazione (idhn) spirituale comporta due aspetti, inseparabili tra loro: allontana l’iniziativa individuale, facendo di chi è autorizzato lo strumento di una volontà sovraindividuale, e trasmette contemporaneamente una benedizione, un potere spirituale che agisce in virtù di questa strumentalità n.d.r.), e tutti i dubbi o suggestioni m’abbandonarono siano rese lodi e grazie a Dio! La mia anima desiderò successivamente ricevere l’autorizzazione da Dio stesso e dal suo Inviato – lo benedica Iddio e gli doni la pace -.
Vi anelai con profondo fervore.
Un giorno, mentre mi trovavo in un luogo solitario all’interno di una foresta ed ero assorto e profondato in un’intensa ebbrezza spirituale, e allo stesso tempo in un’intensa sobrietà – con una grande forza in ambedue gli stati -, intesi improvvisamente scaturire dal mio intimo queste parole:
“Incitali al ricordo (La parola dhikra, che traduciamo qui con “ricordo”, contiene come  dhikr i significati di menzione, rievocazione, invocazione, anamnesi nel senso platonico del termine, ma anche di ammonizione. nd.r), giacchè il ricordo giova ai credenti! (Cor., LI, 55).
Allora il mio cuore si calmò e si riposò, poichè ebbi la certezza che questo discorso mi era rivolto da Dio e dal suo Profeta – a lui la benedizione e la pace -, immerso com’ero nelle due Presenze generose, la dominicale e la profetica (Allusione alla dottrina sufica delle diverse Presenze (hadharut) divine, che sono altrettanto rivelazioni universali di Dio.
La “Presenza dominicale” si riferisce alla rivelazione di Dio nelle sue qualità perfette e trascendenti; la “Presenza profetica” alla sua rivelazione nell’universo. n.d.r.). Era questa – ma Dio lo sa meglio – una rottura delle leggi ordinarie che proveniva dal profondo stesso della mia essenza.
Ciò non ha del resto un “come” ed è conosciuto solo da colui al quale Dio lo fa conoscere. (…)
Non appena mi fu data tale autorizzazione, i credenti vennero a me, e nel momento in cui li vidi e in cui essi mi videro, si ricordarono (di Dio) e me ne ricordai (Questa frase in arabo s’avvale del duplice significato del termine  dhikr, n.d.r.), e profittai di loro come loro di me, e accadde quello che accadde in fatto di favori, segreti, virtù, benedizioni e aiuti divini.
Tutto questo avvenne presso la tribù di Beni Zarwal – la preservi Iddio da ogni prova – lodi e grazie a Dio. (…).
Lettera 5
Se desideri che il tuo cammino s’abbrevi così da giungere rapidamente all’attuazione, pratica le opere “necessarie” (al-wajibat) e quelle “supererogatorie fermamente raccomandate” (ma taaka-da min nawafili-l-khayrat); apprendi dalla scienza esteriore ciò che è indispensabile per servire Dio, ma non attardarti in essa, poichè non ti vien chiesto d’approfondirla; devi approfondire invece la scienza interiore; e combatti la cupidigia; allora vedrai meraviglie. Per i sufi il “carattere nobile” non è altro che il tasawwuf, come per gli uomini di religione non è altro che religione, e Dio maledica i mentitori! Parimenti fuggi sempre la sensualità (Al-hiss, la sensualità nel significato più ampio del termine, cioè l’attaccamento all’esperienza sensibile n.d.r.), poichè è l’opposto della spiritualità, e gli opposti non si congiungono mai. Nella misura in cui fortifichi i sensi, ti indebolirai nello Spirito, e viceversa. Ascolta ciò che è accaduto al mio maestro – Iddio sia soddisfatto di lui – all’inizio del suo cammino. Aveva appena trebbiato tre misure di grano e ne informò il suo maestro, il signore al-’Arabi ben ‘Abd-Allâh, che gli disse: “Se aumenti nella sfera dei sensi, diminuirai in quella dello Spirito, e se diminuisci nella prima, aumenterai nella seconda”. La cosa è evidente, poichè fino a quando frequenterai gli uomini (del mondo), non sentirai mai in loro il profumo dello Spirito; sentirai soltanto l’odore del sudore, e questo, perchè la sensualità li ha soggiogati, ha vinto i loro cuori e le loro membra; e costoro trovano il loro tornaconto solo in essa, cosicchè chiacchierano, s’occupano e si rallegrano unicamente d’essa e non riescono a distaccarsene. Eppure sono numerosi coloro che se ne sono separati per immergersi nello Spirito; Iddio ne sia compiaciuto e ci faccia profittare della loro benedizione. Amen, amen, amen! (Riguardo agli uomini del mondo) è come se Dio – a Lui la lode – non avesse dato ad essi lo Spirito, sebbene ognuno di loro vi partecipi, come le onde fanno parte dell’oceano. Se lo sapessero, non si lascerebbero distrarre dalle cose sensibili; se lo sapessero, scoprirebbero in se stessi oceani senza fine, e Dio è garante di ciò che abbiamo detto.

Lettera 6

Quanto alla via shadhilita d’elezione, che era quella del nostro maestro – si compiaccia Iddio di lui -, poco importa chi vi abbia posto su di essa, poichè ora non ci siete più; camminate in tutt’altra direzione. Se mi chiedete: come mai? risponderò che la sua via scendeva verso il basso;la sua via era infatti esteriormente umile e interiormente elevata, la vostra invece è esteriormente elevata e interiormente umile. Potremmo anche dire che la sua via era rigore esteriore e clemenza interiore, mentre la vostra è clemenza esteriore e rigore interiore, come quella della maggior parte degli uomini, e Dio ci guardi dal confondere la via degli eletti con quella degli uomini comuni! Lo scopo degli uomini d’intuizione spirituale non è neppure quello di limitarsi alle litanie (awrad), ma voi vi curate solo di ciò. Bisogna avere, infine, un unico maestro spirituale, mentre voi ne avete molti. Ecco cosa ho potuto accertare del vostro stato, e ne ho concluso che la vostra barca non avanza (…) settima lettera Sappiate – Iddio vi sia misericordioso – che il faqir (il povero, sottinteso al-faqiru ila-llah: “Il povero verso Dio”, secondo l’espressione coranica: “O uomini, voi siete i poveri verso Dio, e Dio, Lui, è il Ricco, il Glorioso” n.d.r.), quando sostituisce al ricordo di tutte le cose il ricordo (dhikr) di Dio, rende la sua servitù pura, e chi serve Dio in modo puro e onesto, è santo, e la maledizione di Dio sia su chi mente. Ricordatevi dunque unicamente di Dio, appartenete solo a Lui; difatti se tu appartieni a Dio, Dio ti apparterrà, e beato chi appartiene a Dio, per cui Dio gli appartiene! Basti, per dimostrare l’eccellenza del ricordo (dhikr) di Dio, citare la sua parola: “Ricordatevi di Me e Io mi ricorderò di voi” (Cor., II, 152) e quella del Profeta – lo benedica Iddio e gli doni la pace – riferita da parte del suo Signore: (Parola divina (hadith qudsi) rivolta al Profeta al di fuori del Corano e quindi non inclusa in questo; simili rivelazioni concernono più particolarmente la vita contemplativa. n.d.r.) “Io sono il compagno di chi m’invoca”. Il mio maestro – sia Dio pago di lui – mi diceva: “Sono lieto di quel che sento dire contro di te”. Parimenti al-’Arabi ad-Darqawi è lieto di quel che sente dire contro di voi, di quel che uccide il vostro egoismo e vivifica i vostri cuori, non certo del contrario, giacchè soltanto il negligente, l’ignorante, colui la cui intelligenza è offuscata e la cui coscienza è ottenebrata s’occupa di quello che vivifica l’ego (nafs) (An-nafs è l’anima. In contrapposizione al cuore (al-qalb), significa l’anima egocentrica e passionale; unita a un pronome possessivo la medesima parola è tradotta: io stesso, e così via. An-nafs come anima passionale e sede dell’ego (in sanscrito ahankara) si contrappone al cuore, in quanto questo è l’organo di ar-rûh, lo Spirito. E’ possibile paragonare il cuore all’apertura più stretta d’una clessidra o all’istmo (barzakh) tra due oceani, l’uno salato e l’altro dolce (Cor., XXV, 53 e LV, 19-20) che raffigurano gli ambiti della esperienza temporale e della pura contemplazione. Si dice anche che il cuore è l’oggetto d’una lite tra suo padre, lo Spirito, e sua madre, l’anima passionale: se prevale la madre, il cuore s’indurirà, e se predomina il padre, il cuore diverrà luminoso come lui. n.d.r.) e uccide il cuore. L’uomo ha infatti un solo cuore: non appena si volge da un lato, s’allontana dall’altro, poichè “Dio non ha posto per due cuori nelle viscere dell’uomo” (Cor., XXXIII, 4), secondo la sentenza di Dio – lode a Lui. Il venerabile maestro Ibn ‘Atai-Llah – Iddio sia pago di lui – ha detto nello stesso senso: “Volgersi verso Dio, significa allontanarsi dalla creatura, e volgersi verso la creatura, significa allontanarsi da Dio”. Uno dei nostri fratelli mi disse: “Non sono nulla”; gli risposi: “Non dire: “Non sono nulla”, e nemmeno “Sono qualcosa”. Non dire: “Ho bisogno di questo”, e nemmeno: “Non ho bisogno di nulla”, ma dì: “Allâh!” e vedrai meraviglie”. Un altro mi chiese: “Come posso guarire l’anima (an-nafs)?”. Risposi: “Dimenticala e non pensarci; difatti non si ricorda di Dio chi non dimentica la sua anima (o chi non dimentica se stesso)”. Voi non potete dunque credere che sia l’esistenza del mondo a farci dimenticare il nostro Signore; è l’esistenza di noi stessi, del nostro ego, a farcelo dimenticare. Niente altro ci vela Iddio eccetto il fatto d’occuparci, non dell’esistenza in sè, ma dei nostri desideri. Se potessimo scordare la nostra esistenza, troveremmo Colui che è all’origine di ogni esistenza, e vedremmo in pari tempo che noi non esistiamo affatto. Come potete credere che l’uomo possa perdere la coscienza del mondo senza perdere quella dell’ego? Ciò non accadrà mai.

Lettera 7

Sappiate – Iddio vi sia misericordioso – che il faqir (il
 povero, sottinteso al-faqiru ila-llah: “Il povero verso Dio”,
 secondo l’espressione coranica: “O uomini, voi siete i poveri
 verso Dio, e Dio, Lui, è il Ricco, il Glorioso” n.d.r.), quando
 sostituisce al ricordo di tutte le cose il ricordo (dhikr) di Dio,
 rende la sua servitù pura, e chi serve Dio in modo puro e onesto,
 è santo, e la maledizione di Dio sia su chi mente. Ricordatevi
 dunque unicamente di Dio, appartenete solo a Lui; difatti se tu
 appartieni a Dio, Dio ti apparterrà, e beato chi appartiene a Dio,
 per cui Dio gli appartiene! Basti, per dimostrare l’eccellenza
 del ricordo (dhikr) di Dio, citare la sua parola: “Ricordatevi di Me
e Io mi ricorderò di voi” (Cor., II, 152) e quella del Profeta – lo
benedica Iddio e gli doni la pace – riferita da parte del suo Signore:
(Parola divina (hadith qudsi) rivolta al Profeta al di fuori del
 Corano e quindi non inclusa in questo; simili rivelazioni concernono 
più particolarmente la vita contemplativa. n.d.r.) “Io sono il compagno 
di chi m’invoca”.
 Il mio maestro – sia Dio pago di lui – mi diceva: “Sono lieto di quel che
 sento dire contro di te”. Parimenti al-’Arabi ad-Darqawi è lieto di quel che sente dire contro di voi, di quel che uccide il vostro egoismo e
 vivifica i vostri cuori, non certo del contrario, giacché soltanto il
 negligente, l’ignorante, colui la cui intelligenza è offuscata e la cui
 coscienza è ottenebrata s’occupa di quello che vivifica l’ego (nafs) (An-nafs
 è l’anima. In contrapposizione al cuore (al-qalb), significa l’anima
 egocentrica e passionale; unita a un pronome possessivo la medesima 
parola è tradotta: «io stesso», e così via. An-nafs come anima passionale e sede
 dell’ego (in sanscrito ahankara) si contrappone al cuore, in quanto questo è
 l’organo di ar-rûh, lo Spirito. E’ possibile paragonare il cuore all’apertura
 più stretta d’una clessidra o all’istmo (barzakh) tra due oceani, l’uno salato
 e l’altro dolce (Cor., XXV, 53 e LV, 19-20) che raffigurano gli ambiti della 
esperienza temporale e della pura contemplazione. Si dice anche che il cuore
 è l’oggetto d’una lite tra suo padre, lo Spirito, e sua madre, l’anima passionale:
 se prevale la madre, il cuore s’indurirà, e se predomina il padre, il cuore diverrà
 luminoso come lui. n.d.r.) e uccide il cuore. L’uomo ha infatti un solo cuore: non
 appena si volge da un lato, s’allontana dall’altro, poiché “Dio non ha posto per due cuori nelle viscere dell’uomo” (Cor., XXXIII, 4), secondo la sentenza di Dio – lode a Lui. Il venerabile maestro Ibn ‘Atai-Llah – Iddio sia pago di lui – ha detto nello stesso senso: “Volgersi verso Dio, significa allontanarsi dalla creatura, e volgersi verso la creatura, significa allontanarsi da Dio”.
 Uno dei nostri fratelli mi disse: “Non sono nulla”; gli risposi: “Non dire: “Non sono nulla”, e nemmeno “Sono qualcosa”. Non dire: “Ho bisogno di questo”, e nemmeno: “Non ho bisogno di nulla”, ma dì: “Allâh!” e vedrai meraviglie”.
 Un altro mi chiese: “Come posso guarire l’anima (an-nafs)?”. Risposi: “Dimenticala e non pensarci; difatti non si ricorda di Dio chi non dimentica la sua anima (o chi non dimentica se stesso)”. Voi non potete dunque credere che sia l’esistenza del mondo a farci dimenticare il nostro Signore; è l’esistenza di noi stessi, del nostro ego, a farcelo dimenticare. Niente altro ci vela Iddio eccetto il fatto d’occuparci, non dell’esistenza in sé, ma dei nostri desideri.
 Se potessimo scordare la nostra esistenza, troveremmo Colui che è all’origine di ogni esistenza, e vedremmo in pari tempo che noi non esistiamo affatto. Come potete credere che l’uomo possa perdere la coscienza del mondo senza perdere quella dell’ego? Ciò non accadrà mai.

Lettera 8

Si perviene a Dio soltanto attraverso la porta della morte dell’ego (nafs), come affermano i sufi.

Ora noi vediamo – ma Dio ne sa infinitamente di più – che il faqir non ucciderà mai il suo ego prima di poterne cogliere la forma, e non la coglierà se non dopo essersi separato dal mondo, dai suoi compagni, dai suoi amici, dalle sue abitudini. Un faqir mi disse: “Mia moglie m’ha vinto”, al che risposi: “Non t’ha vinto lei, ma la tua anima (nafs); se tu avessi vinto la tua anima, avresti vinto il cosmo intero, tanto più tua moglie, poiché nulla ci vince fuorché la nostra anima (nafs); non abbiamo altro nemico che lei, e se potessimo ucciderla, uccideremmo in tal modo tutti gli oppressori, e la maledizione di Dio sia su chi mente”.

Lettera 9

Quando il mio maestro vide che seguivo sinceramente la Via, mi ordinò di rompere con le abitudini della mia anima (nafs), e mi disse: “Come dobbiamo acquisire la scienza della realtà spirituale (al-haqiqah), così dobbiamo acquisirne l’azione”. Non lo capii.

Allora, afferrato il mio haik (l’haik è un telo senza cucitura utilizzato per avvolgere la testa e le spalle n.d.r.) con la sua nobile mano, me lo strappò dalla testa (apparire in pubblico, con la testa scoperta, in un ambito musulmano non influenzato dall’Occidente moderno, è indice di volgarità, d’indisciplina e di follia n.d.r.), lo torse più volte e me l’avvolse intorno al collo, e infine aggiunse: “Ecco la prova del bene!”. La mia anima si turbò a tal punto che avrei preferito morire anzichè mostrarmi in quell’abbigliamento stravagante. Il maestro mi guardò senza proferire parola, e io mi sentii oppresso fino alla morte. Mi alzai prima che egli s’alzasse – contrariamente al solito – e camminai finché il muro della zawiyah mi nascose ai suoi occhi. Allora la mia anima (nafs) mi chiese: “Che mai vuol dire ciò?”. Non sapevo cosa risponderle, se non rimettermi l’haik sul capo come d’abitudine. Però non lo feci, e le dissi: “Il maestro ne conosce bene il significato. Ma tu (anima mia), perché temi d’essere umiliata? Chi sei e qual è il tuo grado, per non sopportare di trovarti in questo stato? Ti piace dunque solo rimanere con la tua concupiscenza e i tuoi capricci, a trastullarti sfrenatamente! No, in nome di Dio, non ne godrai fino a quando veglierò su di te e sulla tua ostilità!”. E la mia anima, vedendo i miei occhi infiammati di collera, disperò della sua concupiscenza e capì che non avrebbe ottenuto nulla, e alla fine accettò la legge che le imposi. Guai al faqir, guai a lui, se vede la forma della sua anima (nafs) come realmente è, e non la soffoca finché muoia!

LETTERE DI UN MAESTRO SUFIultima modifica: 2018-07-03T17:18:15+02:00da mikeplato
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