MANI E LO GNOSTICISMO MANICHEO

Apertura mani

Di Mike Plato

Considerato nel passato un’eresia e visto come sinonimo di negativa opposizione, il Manicheismo è invece una corrente spirituale dai profondi connotati gnostici

Il versetto 13 del Vangelo di Filippo lancia un monito: le parole contengono un inganno, gli Arconti prendono le parole con radici luminose e offrono loro una connotazione negativa e all’inverso fanno con le parole con radici negative. La conseguenza è che – come ci informa il versetto – si usano parole sacre con intento offensivo e termini dissacranti con intento buono. Per non farsi ingannare dalle parole, occorrerebbe fare uno sforzo di ricerca etimologico-storica, onde capire la natura profonda della radice del termine. E quanto più si conoscono lingue antiche e più sono tali, più efficace è la ricerca. In mancanza di ciò, l’uomo pronunzia, inconsciamente e per abitudine, i termini che il mondo gli ha insegnato, senza curarsi di comprendere ciò che realmente sta dicendo. Questo è uno dei mezzi adoperati dai Cosmocratori per crocifiggere l’uomo all’ignoranza e all’iniquità e per fare un uso distorto del più grande dei poteri concessi all’uomo: il Verbo. Espressioni abituali, che dissacrano e offendono personaggi archetipali come Giuda o Eva, devono far riflettere, perché Giuda o Eva non provengono dalle Tenebre ma dalla Luce. Tali imprecazioni vengono dalla bestia nell’uomo e la bestia nell’uomo è il cavallo di Troia degli Arconti nell’anima umana. Il termine “bestemmia” è strettamente imparentato con “bestia”, anche se ufficialmente esso proviene dal greco “blasphemia” (ingiuria). Il preambolo era necessario per introdurre il manicheismo, termine che nel corso dei secoli ha assunto un’accezione fondamentalmente negativa. Quando un termine a carattere religioso assume nel tempo un senso dispregiativo, mi insospettisco e mi chiedo se dietro non vi sia il tentativo da parte delle Dominazioni astrali di celare la natura luminosa di un’ideologia spirituale. Il Manicheismo è una religione a forte contenuto gnostico, considerata dualista dagli esegeti e movimento spirituale denigrato dalle religioni dominanti. Persino il suo fondatore, Mani, a tutt’oggi non è annoverato tra i veri profeti della spiritualità planetaria, ancor più dalle tre grandi religioni monoteiste.

False credenze sul Manicheismo

Vera e propria religione universale, ossia “cattolica” nel suo senso più profondo, diffusasi a partire dal III secolo d.C. dal Mediterraneo alla Cina in un territorio vastissimo, animata da un forte spirito missionario, dotata di una dottrina compatta, di riti e di una Chiesa con una gerarchia ben definita, il Manicheismo, nell’accezione comune, è considerato ancora come la religione dualista per eccellenza. Il Devoto-Oli definisce così “Manicheismo”: tendenza ad assumere atteggiamenti e comportamenti di radicale contrapposizione sul piano delle ideologie o della prassi. Quindi, il Manicheismo perde la sua natura di “Via” e diventa una tendenza comportamentale basata su una contrapposizione netta e irriducibile tra due parti in lotta. È vero invece che il Manicheismo, essendo sovversivo, essendo soprattutto gnostico e universalista, fu dovunque combattuto come un’eresia, anzi, l’eresia per eccellenza. Non possiamo paragonarlo ai Misteri di Mithra, data la natura eminentemente iniziatica di quel culto, che pur ebbe una diffusione non lieve, ma è più facile accostarlo al vero cristianesimo, in quanto entrambi avevano un doppio livello essoterico ed esoterico. Mani insegnava ai semplici le cose essoteriche e alla cerchia più stretta i misteri conferitigli dal Gemello celeste, proprio come Cristo insegnava ai suoi i misteri del Padre suo. Per il suo carattere universalista, il manicheismo divenne presto una religione trasversale e si adattò alle religioni che dominavano nelle regioni in cui esso penetrò. In tal senso, il Manicheismo venne tacciato come un’eresia cristiana dai cristiani, come un’eresia islamica dall’Islam e come un’eresia buddhista dal buddhismo dell’Asia centrale, che lo vedeva come uno stravolgimento della buona dottrina. Si giunse al punto che, qualche secolo fa, i cristiani dettero dei manichei ai protestanti. In realtà tutto questo è implicito alla natura dello gnosticismo, che non è una religione, quanto piuttosto un esoterismo, una via di consapevolezza o di salvezza. È lo gnosticismo ad essere trasversale ad ogni religione, perché c’è e ci deve essere un esoterismo a carattere gnostico nel Cristianesimo, nell’Ebraismo e nell’Islam. C’è stato al punto da spingere gli illuminati di diversi credo a fraternizzare tra loro. I Templari, segretamente gnostici in ambito cristiano, fraternizzarono con gli Ashishin (Ismailiti), segretamente gnostici in ambito islamico. E non è un caso che i Templari siano oggi considerati, in alcuni ambienti, come manichei, semplicemente perché sapevano dell’esistenza e della guerra di due princìpi, al di là del Dio Unico. Il motivo essenziale dell’odio secolare verso il manicheismo, come verso altri gnosticismi di alta caratura, è sempre il medesimo: la consapevolezza della triste condizione dell’anima umana, della sua corruzione, del dominio degli Arconti sull’anima, del suo imprigionamento nella materia, del mondo materiale visto come mondo alieno e come vero inferno. Il manicheismo, in quanto puro gnosticismo, insegna il sacrificio dell’ego a vantaggio dell’anima, insegna a contattare il Nous-Spirito che è in noi e a farlo direttamente, senza intermediari. Lo insegnava anche il Catarismo e fu per questo che contro i Catari fu scatenata una vergognosa crociata, che si concluse con un bramato eccidio.

Le Fonti

Il Manicheismo, come ogni gnosticismo che si rispetti, per secoli è stato ricostruito, in mancanza di fonti dirette, a partire dalle testimonianze dei suoi avversari, ossia da fonti indirette e ampiamente ostili: Ippolito di Roma e Ireneo di Lione in particolare. Nel 300 d.C. Alessandro di Licopoli distrusse i manichei nel suo Contro la dottrina di Mani. Agostino di Ippona, il grande teologo del cristianesimo, iniziò come manicheo e rimase tale dal 373 al 382 d.C. per poi abiurare la sua credenza e attaccarla veementemente nelle sue opere. È probabile che Agostino abbia conosciuto il Manicheismo solo a livello essoterico e non riuscisse a comprendere l’esoterismo dei riti e dei miti cosmogonici manichei. È ovvio che questi attacchi da una parte erano dovuti allo zelo dei Padri della chiesa di distruggere qualsiasi eresia, dall’altra alla consultazione di documenti tardi o contraffatti che non costituivano una testimonianza attendibile della religione in oggetto. Nel 1734, ad Amsterdam furono pubblicati due volumi di Isaac de Beausobre, Storia critica dei Manichei e del Manicheismo, che considerò erroneamente la religione di Mani come un cristianesimo riformato. Nel 1889 Konrad Kessler interpretò il Manicheismo come il modello dello Gnosticismo originario, in cui si sarebbe riflessa l’antica religione di Babilonia. Ipotesi quest’ultima che rifiuto categoricamente, in quanto v’è una inconciliabilità totale tra la vera Gnosi iperuranica e la religione babilonese legata alle Potenze astrali, piuttosto ereditata dai Sabei di Harran. Si arrivò al punto di considerare il Manicheismo come una religione scismatica dello Zoroastrismo (A.V.W. Jackson). Giungiamo poi al 1949, allorché il noto Henry Charles Puech, esperto di gnosi e gnosticismi, scrive il fondamentale Il Manicheismo e altri saggi. Ma a partire dall’inizio del XX secolo, la situazione è comunque cambiata. La scoperta di testi e frammenti manichei nella regione di Dunhuang, nel Turkestan cinese, in Turfan, frammenti in lingue iraniche, antico-turco e cinese, è risultata preziosa per andare oltre le vecchie testimonianze ostili ed avere un quadro più chiaro e diretto della visione manichea. Nel 1918, a Tebessa in Algeria, venne rinvenuto un codice del IV secolo che documentava la divisione della Chiesa manichea in Eletti e Uditori, in modo analogo alla scuola iniziatica pitagorica (Matematici e Acusmatici). Passando per la scoperta di alcuni papiri in copto nel Fayyum (Egitto) nel 1929, giungiamo al fondamentale rinvenimento nel 1969 del Codice Manicheo di Colonia (CMC), traduzione greca di un originale in siriaco, che contiene la biografia di Mani e i dialoghi che ebbe con il suo “Siuzukos”, il suo celeste Gemello. Fino al 1980, data in cui vengono rinvenuti documenti manichei negli scavi archeologici di Kellis, in Egitto. Accanto alle scoperte dei testi gnostici del 1945 a Nag Hammadi ed esseni a Qumran nel 1947, questi “recuperi” sono da considerare estremamente preziosi perché ci offrono un quadro universale e più completo dello gnosticismo dei primi secoli d.C. Nello specifico, le opere fondanti della religione manichea sono: il Sabhuragan, il Tesoro di Vita, il Vangelo Vivente, il Codice Manicheo di Colonia, i Kephalaia, il Compendio Cinese, i salmi e le preghiere.

L’ambiente delle origini

Il Manicheismo, a differenza degli altri gnosticismi, sorti prevalentemente nel medio-oriente dominato dai Romani, si sviluppa nella Mesopotamia del III secolo e diventa ciò che altri gnosticismi non giunsero ad essere: una religione con un profeta fondatore, una rivelazione, poi messa per iscritto in uno o più testi, una Chiesa, una serie di riti. Manca una legge, ma Mani sapeva che non ve n’era bisogno. Da un certo punto di vista, la Gnosi tardo-antica trova la sua sistemazione in quello che potremmo chiamare gnosticismo iranico. Come vedremo, vi sono alcune differenze dottrinali tra lo Zoroastrismo, ossia l’antica religione iranica a carattere gnostico di Zarathustra, e il Manicheismo. Nel III secolo d.C. la Mesopotamia raccoglieva le più svariate tendenze religiose, cultuali e iniziatiche: il Cristianesimo, il Giudaismo, lo Zoroastrismo, forme locali di paganesimo, comunità esoteriche e gnostiche minori, scuole filosofiche e un buddhismo che proveniva da Oriente: un crogiuolo paragonabile a quello di Alessandria d’Egitto nei primi due secoli della nostra era.

Mani il Vivente e la Voce dell’Oltre

È in questo terreno fertile per un giusto sincretismo che Mani inizia la sua avventura mistica. Il suo nome era iranico a dispetto delle sue presunte origine babilonesi e delle sue certe nobili origini partiche. Era chiamato precisamente Mani Hayya, termine quest’ultimo che indica il “vivente”, qualità attribuita a Dio e agli spiriti buoni e trascendenti. Suo padre Patteg, alla sua nascita, era già membro di una comunità battista giudeo-cristiana, che si rifaceva agli insegnamenti di Elchasai. Mani fu educato in quella comunità e vi rimase per circa 20 anni. Ebbe la sua prima apocalisse o rivelazione all’età di dodici anni. Ma il vero grande dialogo con il Santo Angelo custode, ossia con il suo “Syuzukos” (Gemello interiore) ebbe luogo all’età di 24 anni e la vita da quel momento non fu più la stessa. La rivelazione è documentata nel Codex Mani di Colonia: «Quando raggiunsi l’età di 24 anni, il gloriosissimo Signore ebbe pietà di me e mi chiamò… Quando poi quel gloriosissimo e benedettissimo essere (il Gemello) mi dischiuse questi segreti smisurati, cominciò col dirmi: questo mistero te l’ho rivelato… per rivelarlo solo ai meritevoli (CM 26:7-15)… Allora il Gemello mi rivelò i misteri nascosti al mondo, che non è permesso ad alcuno di vedere o udire (CMC 43:3-7)… La verità e i segreti di cui parlavo non da uomini li ho ricevuti, né da creature di carne e nemmeno dallo studio delle scritture… Egli mi rivelò come ero prima della fondazione del mondo e come furono stese le fondamenta di tutte le opere, sia quelle buone che quelle cattive, e come fu generata ogni parte di questo aggregato (CMC 64:8-15)… Il Gemello voleva salvare da morte me e quelli pronti ad essere scelti da Lui nella setta dei Battisti (CMC 67:2)… Tutti i segreti che mio Padre mi ha affidato, mentre li ho coperti e nascosti dalla setta e dai miscredenti e ancor più dal mondo, a voi li ho rivelati secondo il volere del mio benedettissimo Padre (CMC 68:6)». Si tratta di una rivelazione attinente non solo la missione di Mani, ma anche grandiosi misteri divini, che Mani doveva custodire da mani indegne e consegnare a quelli che il Gemello avrebbe considerato giusti e meritevoli. Mani confessa che, nel momento in cui ebbe la rivelazione: «mi separai immediatamente dalle prescrizioni della dottrina cui ero stato educato e divenni un estraneo in mezzo a loro (CMC 44:2-8)… Poco a poco mi staccai dalla Legge in cui ero stato cresciuto, incantato oltre ogni immaginazione da quei misteri (CMC 30:4-7)… Come dunque potrò, solo contro tutti, rivelare questo mistero in mezzo alla moltitudine invischiata nell’errore? (CMC 31:3-9)… Mi trascinavo in quella Legge, preservando questa speranza nel mio cuore. Nessuno percepiva chi era in me e io stesso non lo rivelai a nessuno durante quel lungo periodo di tempo (CMC 25:2-13)». E ancora Mani dice: «Dalla forza degli angeli fui protetto e dalle potenze della santità, alle quali era stata affidata la mia sorveglianza, essi mi educarono anche con visioni e segni, piccoli e molto brevi, che mi mostravano nella misura in cui ero in grado di sostenere. Talvolta infatti come un fulmine egli giungeva (CMC 3:2-14)». Il Gemello insegna a Mani che le Potenze arcontiche tengono schiava l’umanità per l’eternità. Non a caso nei salmi e nei kephalaia, Mani rivela in più punti questa schiavitù che concerne soprattutto l’anima umana. Ed è per questo che nel Codice di Colonia Mani rivela: «… affinché abitando nel corpo, egli, il Nous (il Gemello o Paraclito, n.d.a.), riscatti coloro che sono stati ridotti in schiavitù dalle Potenze e liberi le loro membra dalla sottomissione dei ribelli e dall’arroganza degli Arconti e, attraverso il corpo, riveli la verità della propria Gnosi e in esso apra la porta a quelli che sono rinchiusi e attraverso di esso dia la vita beata a coloro che sono dei suoi… (CMC 16:1-16)… e come è accaduto, e chi è il Padre mio che è nei cieli o in che modo, dopo essermi separato da Lui, fui mandato secondo il suo volere, e quale precetto e consiglio mi diede prima che indossassi questo corpo e prima che andassi errando in questa carne disgustosa e prima che mi rivestissi della sua ubriachezza e della sua condizione infera… lo stesso mio Gemello, colui che è Vigilante (CMC 22:1-18)». Ad un certo punto, Mani comprende, come tanti altri profeti, che il Gemello non è altro che il Lui in un altro regno e nel non-tempo, esprimendo in altro modo quella gloriosa espressione dell’Uomo Interiore all’uomo esteriore, che è testimoniata in testi gnostici cristiani come la Pistis Sophia o Il Tuono Mente Perfetta, «Io sono te, tu sei me»: «Credetti che Lui mi appartiene ed è mio e che è un consigliere buono ed eccellente. Lo riconobbi e compresi che io sono quello là, dal quale mi ero separato. Ho testimoniato che io sono quello là stesso, essendo del tutto uguale a Lui (CMC 24:2-15)».

 

La guerra santa di Mani

Secondo la testimonianza del manicheo Thimoteos, Mani subì persecuzioni dalla sua comunità d’origine, giungendo al punto di essere flagellato persino. In un momento di sconforto egli parlò al Gemello e gli disse: «Come posso non essere addolorato? Coloro infatti che sono in questa religione e con i quali sin da fanciullo ho vissuto sono cambiati, essendo divenuti miei nemici per essermi separato dalla loro legge. Dove andrò dunque? Infatti tutte le religioni e le sette sono nemiche del bene. Io sono straniero e solo nel mondo… Se dunque costoro non mi hanno concesso spazio per l’accoglienza della verità, in che modo mi accoglierà il mondo, oppure i suoi grandi e le loro scuole, per dare ascolto a queste dottrine arcane ed accogliere questi santi precetti? E in che modo mi terrò al cospetto di principi e re del mondo e dei capi delle religioni? Ecco infatti essi sono grandissimi e potenti per la loro ricchezza, per la libertà di parola e per i beni. Io invece sono solo e povero in quanto a queste cose». E il Gemello interiormente gli rispose: «Non sei stato inviato solo a questa religione, ma a ogni popolo e a ogni scuola, a ogni città e luogo. Da te infatti sarà spiegata e proclamata questa speranza in tutte le latitudini e parti del mondo. E numerosi saranno coloro che accoglieranno la tua parola. Perciò va’ avanti e va’ in giro: io infatti sarò con te, protettore e difensore, in ogni luogo dove dirai ciò che ti ho rivelato. Perciò non temere e non rattristarti». E Mani confessò: «andai dunque in terra straniera e fuori patria come una pecora sotto lo sguardo dei lupi, affinché per mezzo mio, una volta separati, fossero scelti i fedeli dagli infedeli, i grani migliori dalla zizzania, i figli del regno dai figli del nemico e i nati dall’Altezza da coloro che sono emersi dall’Abisso, affinché il Padre separasse per mezzo mio ciò che è suo da ciò che non gli appartiene». Quest’ultima asserzione è interessante, perché rifacendosi ai vangeli, ne offre un’interpretazione in chiave gnostica. In primo luogo, Mani dichiara l’inconciliabilità totale tra gli insegnamenti del Gemello e quelli mondani, alla stessa stregua di Cristo che cercava solo il Padre suo, e di Abulafia, cabalista estatico, che cercava gli insegnamenti dall’alto di se stesso attraverso tecniche di visualizzazione. In secondo luogo, la celebre zizzania seminata da Satana, di cui parla Cristo, non è altro che la serie di milioni di anime morte, che vengono mandate nel mondo dagli Arconti per deviare e soffocare la divina figliolanza, ovvero il buon seme. Mani, sul punto, è più chiaro nei Kephalaia LXXVI: «Io ho predicato il sentiero della Vita eterna e della verità, ma gli Arconti e la schiera dei demoni e la stirpe umana che da loro viene, dominati da odio e malvagità, non mi hanno concesso né permesso di predicare in tranquillità la Verità per come essa è». La predicazione di Mani non era finalizzata all’espansione della sua religione per fini “mercantili”, i medesimi che spinsero nei secoli la Chiesa cattolica a imporre con la forza il suo credo, ma volta al risveglio dal mondo degli Arconti. È scritto: «Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”» (Marco 16:15). Questo comando fu rivolto non da un uomo di religione, ma da un alto iniziato. Cristo chiedeva ai suoi di poter favorire la gnosi e il risveglio di coloro che erano predisposti ad essere risvegliati dal mondo dell’Arconte di Questo Universo (Giovanni 12:31 e 16:11). Ancora nel Testo Copto Sulla venuta dell’Apostolo del corpus dei Kephalaia (I), Mani rivela: «Scese su di me il Paraclito Vivente e mi parlò, mi rivelò il mistero nascosto, il quale è celato ai mondi alle generazioni, il mistero della profondità e dell’altezza, mi rivelò il mistero della Luce e dell’Oscurità, il mistero del combattere e della guerra e la grande guerra che la Tenebra ha preparato». La confessione di Mani riguardo alla discesa su di lui del Paraclito vivente è la prova della forte polemica in atto tra Mani e gli emero-battisti cui apparteneva. Secondo Mani, essi praticavano un battesimo essoterico e inutile a fini salvifici, tant’è che si bagnavano nelle acque lustrali tutti i giorni. Lui invece riceve il vero battesimo in fuoco e spirito, una volta e per tutte, che lo fa nascere una seconda volta: la discesa del Paraclito su di lui, ovvero la penetrazione-unzione nell’anima da parte di Melkizedek (il Gemello) che fa di Mani un essere cristico. Da quel momento inizia la santa battaglia di Mani, armato di fede incrollabile, e da lì, sganciandosi definitivamente dall’ambiente natale e dalle vecchie abitudini, inizia a predicare ciò che può predicare della rivelazione ricevuta. Questa tendenza ad abbandonare completamente tutto ciò che è vecchio -famiglia, comunità, insegnamenti ricevuti, abitudini – per agganciare il Nuovo, è uno schema ricorrente anche nella Bibbia. Basti pensare a quel diktat di Dio rivolto ad Abramo “Lech Lecah – Vattene da… la tua famiglia, la tua patria ecc.” (Genesi 12:1), termine che i cabalisti interpretano anche correttamente come “va verso te stesso”, ossia “abbandona una parte di te per andare verso l’altra”. Per parafrasare le rivelazioni di Carlos Castaneda, Don Juan insegnò che un guerriero (sciamano, iniziato) deve avere il coraggio di abbandonare la sua storia personale e di affrontare l’ignoto. E a ben vedere, anche quell’ingiunzione di Dio a Mosè: «io ti invio dal Faraone per dirgli: fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo» (Esodo 3:10) è legata al simbolismo iniziatico dell’abbandono di se stessi per cercare il vero Sé. Mani era quindi un vero iniziato, un grandissimo profeta.

Dopo aver analizzato la figura di Mani (v. FENIX n.33, p.70), vero profeta secondo l’Ordine di Melkizedek, focalizziamo i punti-chiave della dottrina gnostica manichea, al di là di ciò che è possibile rinvenire nei pochi saggi dedicati all’argomento in oggetto

La Salvezza

Nel Manicheismo tutto è salvezza. L’uomo deve essere salvato, Dio ha come primo attributo quello del “Salvatore”, la dottrina è salvifica. Persino l’universo fisico, in contro-tendenza rispetto ad altri filoni gnostici che demonizzavano l’universo materiale, è un’enorme macchina predisposta dalla Luce per la salvezza delle anime. In questo non si discosta molto dalla religione cristiana primitiva, anch’essa improntata sul fatto salvifico, molto più che l’Ebraismo o l’Islam: «… per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei suoi peccati (Luca 1:77)… In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (Atti 4:12)». Se si chiede ad un profano da cosa occorre essere salvati, non ha modo di rispondere ad una tale domanda. Lo gnostico sa perfettamente da cosa essere salvati. Consapevole della prigionia dell’anima rispetto al corpo e allo spirito di opposizione (anima carnale), lo gnostico sa che l’anima vive in un esilio e in una ruota infinita di morti e reincarnazioni. Lo gnostico comprende che l’anima è solo potenzialmente immortale e, a causa dell’operato schiavista degli Arconti, essa può subire l’annientamento (seconda morte). Ciò può essere scongiurato solo dal “solve”: lo scioglimento del laccio col “Thli” (secondo il gergo cabalistico, il “Dragone”), ovvero il distacco dalle tendenze uman-animali, che provengono dall’anima carnale e dal corpo: in particolare la libido, forza imponente che spinge al piacere e soprattutto alla riproduzione della specie, attraverso cui si rinvia all’infinito la liberazione dell’anima. Il che implica tutto un atteggiamento di rottura nei confronti della legge naturale, che rende obiettivamente difficile la permanenza nel consorzio umano, immerso nel flusso della corrente. Come gli gnostici, anche i manichei erano consapevoli del ruolo salvifico dello Spirito Santo in noi, quello Spirito cui l’anima deve necessariamente aderire e che deve seguire dopo un’adeguata purificazione. I Manichei teorizzavano i Tre Tempi per spiegare l’intrappolamento dell’Anima nella materia: il primo tempo era la separazione netta di Luce e Tenebre (in Genesi descritto come separazione inesorabile di Acque di sopra e Acque di Sotto); il secondo tempo vedeva la caduta di parte della Luce eterna nella materia e il suo intrappolamento dovuto ad una mescolanza indistinta; il terzo tempo sarebbe stato caratterizzato dalla fine della cattività e della mescolanza e dal raggiungimento della salvezza. Nel tempo presente, i Manichei dovevano collaborare in modo alacre alla liberazione delle scintille di luce vincolate alla materia parassitaria ed erano chiamati ad una rigenerazione-rinascita in vita. Il manicheismo credeva negli araldi, nei messia, negli avatara e nei bodhisattva del Regno di luce, sapendo che questi scendevano e si manifestavano per combattere la Tenebra e insegnare ad altri la liberazione.

L’Alimentazione Manichea

Agli Eletti (Perfetti) della chiesa Manichea si insegnava ad assumere le proprie responsabilità su se stessi, ovvero a liberare l’anima dai lacci del corpo e dell’anima concupiscibile. Non solo la propria anima, ma anche tutte le particelle dell’Anima universale (anima Mundi platoniana) intrappolate nella creazione e nel regno vegetale. Il Regno animale non poteva essere liberato dai Perfetti, in quanto vi era assoluto divieto di alimentazione a base di carne. In questo la visione dei Catari era perfettamente coincidente con l’ottica manichea. Secondo i manichei, la carne era creata dal Diavolo e dai suoi Arconti con la feccia della materia e si riproduceva attraverso la copula. Questo la rendeva immonda, rendendo immondo chi se ne cibava. Se per gli Ebrei l’utilizzo della carne era accettato, sempre che non vi fosse più il sangue (Levitico 3:17 e 7:27), i Manichei inorridivano innanzi tanto alla carne quanto al sangue. Era necessario cooperare per la salvezza delle anime, ingabbiate dagli Arconti nei corpi e delle particelle luminose inghiottite dalla Materia e presente negli alberi, nelle piante, nella frutta. Grande attenzione, in tal senso, era riservata all’alimentazione. Occorreva liberare le particelle di luce intrappolate e mescolate alla sostanza degli alimenti attraverso la digestione. Gli Eletti della Chiesa manichea avevano un ruolo cruciale in questo senso e non avevano tempo di lavorare per vivere. Il loro tempo doveva essere dedicato a Dio e alla liberazione dell’anima, senza sosta. Erano i Catecumeni o gli Uditori a mantenere con le loro finanze i fratelli di rango più elevato, finché non fossero divenuti anch’essi Eletti. Questa “digestione mistica” era possibile solo ai Manichei puri in spirito, chiamati ad un’azione sacra, non certo ai fratelli ancora in stato di impurità. Liberare le particelle di anima presenti nei cibi vegetali e animali era un’azione delicata, perché un iniziato in stato impuro, anziché liberare le dette particelle, rischiava di incatenarle ancor più alla materia, commettendo un sacrilegio. Per questo, accanto ad una condizione di purezza interiore, occorreva un preciso rituale cui attenersi strettamente, preceduto da una meditazione, un profondo esame di coscienza e una preghiera preliminare. Tutto questo risulta dalle testimonianze dei Frammenti M801 e M139 di Turfan, ove si descrive la Cena Mistica (Xwan o Tavola degli dèi) dei Perfetti e persino un’auto-confessione di un Perfetto, che non aveva svolto il rituale in condizioni di purità cultuale, perché negligente o dimentico dei suoi impegni: «ricevendo i doni quotidiani degli Uditori (Catecumeni), non mi ero posto, con cuore riconoscente, nel ricordo di Dio (n.d.a. frammentazione del Nome di Dio, analogo al dhikr dei Sufi) e non mantenevo fermo il ricordo della lotta originaria (n.d.a. tra Spirito e Materia)». Non siamo molto distanti dalla raccomandazione di Paolo indirizzata agli iniziati cristiani, riguardo alla celebrazione dell’eucarestia: «chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue di Cristo. Ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Corinzi 11:27). È evidente che la consumazione dell’eucarestia, qualunque cosa fosse – anche semplici pane e vino consacrati mediante precise parole, che li trasmutano in carne e sangue di Cristo (cosa cui personalmente non credo) – non poteva essere attuata se non al raggiungimento di una certa stazione iniziatica, corrispondente pressappoco al grado dell’albedo alchemica. Scriveva Ezio Albrile nel suo articolo Il Demone e la Luna (1): «il processo che porta la macchina gastrica dell’Eletto manicheo a distillare la Luce dispersa negli alimenti corrisponde così biologicamente al processo cosmico di purificazione degli “splendori”, gli ziwane, da parte dei “mulini” a tre ruote messi in moto nel corso della “terza evocazione”. In altri termini, l’Eletto manicheo è, in quanto al suo stomaco, ciò che il Demiurgo, lo Spiritus Vivens/Mihryazd e i suoi figli, i “Cinque Inviati della Luce”, sono in rapporto al mondo, cioè un produttore di Luce: il microcosmo riproduce così il macrocosmo». Sant’Agostino sembrava aver compreso bene il meccanismo di questo ciclo purificatorio: «Se gli alimenti composti di legumi e di frutti entrano nel corpo dei santi (Eletti), per mezzo della loro castità, delle loro preghiere e dei loro salmi, tutto ciò che di bello e di divino c’è in questi alimenti è purificato, cioè messo perfettamente nella condizione di riguadagnare i propri regni al riparo da ogni contaminazione».

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La spermatofagia

Agostino di Ippona, al corrente del manicheismo per essere stato lui stesso alle origini un manicheo convinto, trattò della regola dei “tre sigilli” cui sono sottoposti gli Eletti manichei: astensione dai lavori agricoli, rifiuto dei cibi carnei, astensione dai rapporti sessuali. A tal riguardo, Agostino si fece la seguente domanda: «se l’iniziazione manichea proibisce le relazioni sessuali, nel medesimo modo insegnando la dottrina manichea, che con il cibo degli Eletti l’anima si sprigiona dai semi… perché non lo si crederebbe a proposito del seme degli animali?». Ciò fa riflettere sul fatto che, trattandosi di un animale morto e ormai privo di anima, anche il suo seme è morto. Ma cosa dovremmo pensare di un animale vivo? Certo, secondo i manichei, non ce ne dovremmo cibare perché ci renderebbe impuri. Ma il suo seme? La presenza dell’anima all’interno del seme non è provata dalla possibilità che ha il seme di generare un’altra vita? Questa semenza spermatica non è ricca di “anima” che va liberata? E ancor più, se l’uomo è dotato di un’anima divina, quest’anima non è intrappolata anche in seno allo sperma? Così, infatti, la pensavano i Manichei, per i quali la vera Cena Mistica era la purgazione dello sperma maschile attraverso la sua ingestione e digestione. Questa cena “alchemico-secretoria” era ripetuta, essendo un ciclo rituale, più e più volte, in quanto il manicheo tentava di azionare un processo “uroborico” mediante cui purgare progressivamente il seme dalle macule materiali e separarlo dalla vil materia, rendendolo capace di auto-generare un altro essere. O meglio: rigenerare l’Anima divina intrappolata nella materia corporale. Non è un’ipotesi peregrina, in quanto abbiamo la testimonianza accusatoria degli gnostici mandei rivolta ai manichei, da loro chiamati “Zandiqi” e “Mardmani”, accusati nel Ginza di mescolare lo sperma, ottenuto attraverso un coitus interruptus, con vino sacramentale. Ciò è documentato nel Ginza mandaico: «essi seminano seme nel nascondimento e affidano la loro parte alla tenebra. Uomini e donne giacciono insieme, raccolgono il seme, lo mettono nel vino e lo danno da bere… e dicono che è puro». Questa ritualità alchemica ricorda strettamente alcune pratiche alchemiche di natura tantrica – peraltro più focalizzata sulla ritenzione del seme durante l’orgasmo, cosa ben diversa dalla continenza – e ricorda persino alcune pratiche attuate dalla Chiesa del Carmelo di Vintras, dagli Arcana Arcanorum di Cagliostro e attualmente i riti lunari di Konshu praticati dalla Scuola Terapeutica di Miryam fondata dal fu Giuliano Kremmerz. Se ne vede un’eco persino in un trattato gnostico quale la Pistis Sophia, ove la ritualità viene ritenuta non in linea con gli insegnamenti del Cristo: «Maestro, sappiamo che sulla terra vi sono alcuni che mescolano il seme maschile e il mestruo femminile e poi lo ingeriscono. Cosa dici tu al riguardo? E il Logos risponde: a quelli che fanno ciò non sarà perdonato né in cielo né in terra», suggerendo probabilmente che l’ascesi doveva far leva esclusivamente sulla perfetta continenza. Nel caso del rito eucaristico manicheo, si deve pensare ad un coinvolgimento di Ascesi ed Eros, alleati in vista della liberazione della scintilla divina che, più che in ogni altra cosa, era presente proprio in quella sostanza secretoria che consente la creazione di vita carnale. Certe comunità manichee, una volta che certe pratiche uscirono dall’alveo della segretezza iniziatica, furono tacciate di satanismo, lo stesso destino che investì Vintras e la sua Chiesa. Ma non bisogna dimenticare il fine della ritualità: la liberazione micro e macro-cosmica dell’Anima che poteva essere attuata, per altri versi, anche con i digiuni alimentari e sessuali, e con il controllo del pensiero e delle emozioni. Tuttavia non sarebbe assurdo pensare che anche i manichei, da buoni iniziati, abbiano voluto gettare un velo sui loro rituali attraverso i loro testi, per confondere le acque ai profani. Parlare degli Uditori che fanno elemosina ai Perfetti potrebbe celare il principio dell’elemosina interiore che l’iniziato (corrispondente dell’Uditore) offre al suo Dio interiore (Perfetto). In tale ottica si comprende meglio la misteriosa parola di Cristo, altrimenti inspiegabile se non alla luce di quanto detto finora: «Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro ed ecco, tutto per voi sarà mondo» (Luca 11:41). Chi fa l’elemosina è anche colui che la riceve, come parimenti sacrificatore e sacrificato sono uno.

Peccato e confessione

Sant’Agostino rivelò che, nel periodo in cui era manicheo, gli insegnarono che il peccato non era il frutto di una sua eventuale scelta, ma la conseguenza di un impulso che veniva da una forza nell’uomo che non è l’uomo: «opera compiuta in noi da non so quale natura estranea». In questo modo, diceva Agostino, chi commette il peccato non è peccatore, perché è come fosse soggiogato da una forza decisamente più potente della sua forza di volontà. Il peccatore non è tale e sfugge a qualsiasi responsabilità. Il peccatore è il Male che si annida nell’umana coscienza, l’uomo ne è preda inconsapevole. La rivelazione di Sant’Agostino mi lascia interdetto. Come si sposa questa sua rivelazione con lo sforzo compiuto dai manichei, per liberare la propria anima attraverso pratiche ascetiche? Se noi non siamo peccatori, se siamo svincolati da ogni qualsiasi responsabilità, se non generiamo karma attraverso il nostro agire, perché attuare uno sforzo iniziatico per i manichei imprescindibile? A che serve presupporre l’esistenza di una diabolica mescolanza anima-carne se non si prevede neanche il sistema per liberarsene? I manichei erano ossessionati dalla presenza del Male albergante nell’Anima umana. Sapevano che il Male – i cabalisti ebraici e i saggi del Talmud lo chiamavano Yetzer Hara – Inclinazione al male e concerne tutte le irresistibili tendenze verso la materia anziché verso lo spirito, tutto ciò che ci rende umani e mortali – il Male in quanto impulso, non era invincibile, ma certamente una tendenza di cui prender coscienza e poi combattere, perché l’uomo, o meglio l’anima, ha in sé la Forza per contrastare queste scosse inconsce, dopo averle comprese. Gli gnostici, compresi i manichei, non erravano affermando che poche anime in questo mondo provengono dal Regno della Luce eterna e che, di converso, la gran massa è emanazione di un sub-potere della creazione. Se ciò è vero, è inevitabile che il problema della diabolica mescolanza spirito-materia concerne solo le anime elette, perché le anime provenienti dagli Arconti non hanno luce interiore e quindi non sono composte di una mescolanza. Se c’è un’unione indebita, ci deve essere una separazione di natura alchemica che ponga termine alla mescolanza. Per questo gli alchimisti parlavano di Solve et Coagula, ossia di un distacco tra anima e corpo, seguito da un matrimonio tra anima e Luce. Questa è una circostanza che neanche gli gnostici avevano intuito e compreso appieno, in quanto la spada cristica della separazione aveva un senso solo per gli Eletti. Per gli altri non c’era e non c’è nulla da separare. Essi sono ciò che sono, umani manovrati dalle Potenze. Ma gli Eletti sono ben altro che quello che sembrano: la diabolica mescolanza è un affare esclusivo di quelle anime e di conseguenza solo loro erano e sono “convocate” per la guerra santa, per lo sforzo iniziatico (jihad). Solo i Figli della Luce possono considerare estranea a se stessi la natura umana e animale. Per gli altri, tutti gli impulsi naturali sono buoni e appartengono alla propria natura. Per uno gnostico, fare un figlio non è per niente naturale, anzi, è contro natura generare un altro destino di morte, in quanto lo gnostico non è qui per generare altre schiavitù, ma per liberare se stesso. L’essere umano comune riterrà sempre che generare un figlio è del tutto naturale, in linea con quella legge di natura che invece lo gnostico combatterà sempre. Questo era l’insegnamento del cristianesimo primitivo, altrimenti il Nazareno non avrebbe mai osato dire: «eunuchi per il regno dei cieli, in Cielo non si prendono né moglie né marito». E i bambini che lui adorava non erano i bambini carnali, ma i bambini spirituali, coloro che decidono di intraprendere la strada della liberazione. Per un Mani che si riteneva seguace di Cristo, agire in controtendenza rispetto a questi insegnamenti iniziatici avrebbe significato un vero tradimento. In ogni modo, la teoria gnostica tramandata dagli eresiologi (Ireneo, Ippolito, ecc.) secondo cui gli Eletti (pneumatici) sono salvi qualunque cosa facciano – a prescindere dalla sua veridicità – contrasta visibilmente con la gnosi da conquistare, la lotta da intraprendere e la purezza da conseguire, che erano i capisaldi della visione di quegli gnostici consapevoli dello stordimento dell’anima, a causa della sua incarnazione. Se è vero che i manichei credevano nel fatto che il rapporto di forza tra Luce e Tenebra fosse in perfetto equilibrio, ne consegue che la Tenebra era considerata temibile e mai da sottovalutare, in quanto sempre poteva averla vinta sulla luce (e viceversa). Nessuno, quindi, quaggiù può sfuggire interamente al potere del Male. Se le anime inferiori non hanno speranza, le anime superiori non sono necessariamente già salve. Henry Charles Puech, insigne conoscitore delle correnti religiose dell’antichità, in Sul manicheismo e altri saggi (1979) giunse a chiedersi quale fosse la coerenza del manicheo nell’esercitare la confessione, laddove il peccato venga da una sostanza estranea. Domanda postasi da molti eresiologi, compreso Agostino. Se il manicheo dice «chi pecca non sono io, ma il corpo e l’anima carnale», è anche vero che questa è sentita come una sfida e, finché la propria anima è vincolata al corpo e a quella parte legata alla materia concupiscibile, essa pecca insieme ai due avversari, fino a sciogliersene tramite il distacco e l’ascesi. Volendo forzare ulteriormente la mano, non è peccatore chi non appartiene alla Luce, perché egli è solo un burattino programmato e dominato dalla legge di natura e non ha nel suo interiore una contro-forza capace di porsi ad argine rispetto alle potenti scosse del corpo e della mente carnale. È piuttosto peccatore chi, avendo la possibilità in sé del vero Bene, possedendo egli un’anima “aliena” alla materia e dotato di consapevolezza, avendo reale possibilità di scelta tra Bene e Male, sceglie per il Male, ossia sceglie di assecondare in tutto o in parte la natura carnale con cui è unito in matrimonio, tradendo la sua più vera e profonda natura. E da questo punto di vista, schiave eterne sono tanto le anime iliche (prive di mescolanza e di scelta) che quelle che si sono vendute alla Tenebra in sé. È provato che i manichei attuassero una sorta di confessione, o meglio un’auto-confessione, che tuttavia era un vero e proprio esame di coscienza o vigilanza. Con questa confessione essi non si umiliavano innanzi a Dio per aver peccato, ma per non aver resistito all’impulso naturale. Ricordo a chi legge che il peccato, in senso gnostico, non è un mero agire bene o agire male, secondo una visione mondana. Giovanni dice che «tutto il mondo è sotto l’imperio del maligno», ossia la Legge di Natura. Per lo gnostico il Bene è il distacco da questa legge cosmico-astrale basata sulla fatalità (heimarmene), quindi bene è contrastare le pulsioni mondane; Male è tutto ciò che cade sotto il dominio della natura inferiore e della legge del mondo sub-lunare. Per uno gnostico, aiutare un altro essere in senso profano è comunque Male. Non è sbagliato, ma non produce alcun effetto sul piano della reintegrazione nella Luce e nella riconquista dell’Immagine e Somiglianza. Paradossalmente, nel Male ricadrebbe anche l’opera di Madre Teresa di Calcutta, la quale ha salvato mille corpi, ma non mille anime. Ed è per questo che Gesù si mostrava estremamente contrariato nell’accettare di guarire i corpi, vedendo che nessuno gli chiedeva di guarirgli l’anima, ossia di attivare in lui una trasmutazione spirituale. Il bene profano non ha nulla a che vedere col vero Bene, le cui attività devono avere sempre un fine salvifico in senso animico e non fisico.

Note:

1) Ezio Albrile, Il Demone e la Luna, www.transoxiana.org/Onagro/albrile.html

MANI E LO GNOSTICISMO MANICHEOultima modifica: 2018-10-03T13:14:12+02:00da mikeplato
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