UN METODO SUFI PER LA PACE NEL MONDO

shaikh-nazim

di Asghar Ali Engineer (Presidente del Centro per gli Studi della Società e del Secolarismo a Mumbai, è anche noto per la promozione delle relazioni e della comprensione tra persone appartenenti a fedi religiose differenti. Conferenza “Besant” ad Adyar il 26 Dicembre 2005, in occasione della Convenzione Internazionale della Società Teosofica. Tratto da The Theosophist, maggio 2006, traduzione di Patrizia Giampieri.)

Sono veramente onorato di tenere questa conferenza in memoria della Dottoressa Annie Besant, da me sempre ammirata ed a proposito della quale molto ho letto sin dai miei primi giorni. Prima di tutto vorrei spiegare che cosa sia il Sufismo e da dove derivi tale parola. Gli studiosi non concordano sull’origine del termine “Sufismo”. Alcuni di loro credono che provenga dall’arabo suf, che significa “lana”, poiché la maggior parte dei Sufi più conosciuti indossava vesti in lana – in un tessuto grezzo – per simboleggiare la loro semplicità. Da ciò vennero conosciuti come Sufi. Una seconda opinione è quella per cui alcuni degli seguaci del Profeta, grandi sostenitori del Santo Profeta dell’Islam, usavano sedersi su una roccia posta al di fuori dalla moschea del Profeta, nota con il nome di suffa. Questi erano conosciuti come ahle suffa, o persone della roccia, e pertanto chiamati Sufi. Una terza opinione afferma che il termine derivi dalla parola greca sophia (saggezza o conoscenza) e che essi furono conosciuti come Sufi perché il loro credo principale era la conoscenza di Dio. Queste sono alcune delle opinioni dei maggiori studiosi del Sufismo di tutto il mondo, ma generalmente si ritiene che la parola derivi dall’arabico suf, o lana, simboleggiando la loro semplicità. Qual è la differenza tra il Sufismo islamico e l’Islam in generale, così come sostenuto dai teologi? Vi è una differenza sostanziale. I Sufi enfatizzano il tariqat, che significa “sentiero spirituale” o sentiero spirituale verso Dio, mentre i teologi enfatizzano shari’at, che è la via legale dell’Islam, rigidamente seguita dai Musulmani ortodossi. Poiché ovviamente i Sufi enfatizzano il sentiero spirituale verso Dio, non sono così rigidi sulle questioni di shari’at, ma sono aperti e liberali. L’Islam è stato associato alla violenza ed al terrorismo, come risultato dei reportage dei mass media mondiali, riguardanti alcuni gruppi di terroristi tra i Musulmani. Sfortunatamente l’opinione pubblica viene formata dai mezzi di comunicazione di massa, invece che da studi eruditi approfonditi; infatti abbiamo molte convinzioni che si dimostreranno false alla luce di un esame approfondito. I media promuovono stereotipi su popoli e su comunità a cui sono ostili o che non comprendono. Questo danno è aumentato in misura molteplice a causa dei mezzi di comunicazione elettronica, che non offrono semplici reportage verbali, ma lasciano anche alcune immagini in maniera permanente nelle nostre menti. Nessuna religione nel mondo può esser compresa ad un solo livello o dal comportamento di una parte della comunità che la segue. Le religioni vengono comprese e praticate in modi differenti da persone diverse, in funzione delle circostanze materiali e spirituali, nonché dei retroscena intellettuali. Ognuna di esse trova anche espressione diversa in culture diverse. Nessuna religione è mai stata interpretata o praticata in modo omogeneo; essa trova infatti molteplici espressioni. Una religione che si espande al di fuori dei confini delle sue origini si trasforma in nuove forme creative ed interpretative, si plasma in nuove modalità culturali o civili. Anche la teoria dello scontro di civiltà è troppo semplicistica per esser seriamente accettata. Prima di tutto, le civiltà sono troppo complesse e riccamente differenziate per essere omogeneizzate in una matrice concepita in anticipo o a priori. Ognuna di esse presenta numerose e intricate propensioni nel suo interno e deve essere capita in 2 tutte queste sue sfaccettature e ricchezze. Le civiltà inoltre non rimangono statiche in un lasso di tempo, il cambiamento delle circostanze esercita infatti un notevole impatto su di esse. Certi aspetti di una civiltà possono sembrare in collisione con quelli di un’altra, ma questi dovrebbero essere poi isolati e la loro genesi studiata attentamente, piuttosto che rapidamente eguagliata all’intera civiltà. Tali sono i motivi per cui il dialogo tra le civiltà risulta essere necessario. L’Islam ha creato numerose varianti sotto il suo cappello, estremamente ricche e variegate. Nessuna singola variante può essere omologata all’unica accettabile propensione dell’Islam, tanto meno al suo complesso universo. L’Islam è infatti praticato da persone di tanti paesi, di convinzioni spirituali ed intellettuali diverse e di mentalità filosofiche differenti. Sin dai suoi primi stadi, l’Islam si diffuse in aree caratterizzate dalle antiche, ricche ed avanzate civiltà della Mesopotamia, dell’Egitto e dell’Iraq, producendo ricchissimo materiale di riflessione nella giurisprudenza, teologia e filosofia, accanto alle scienze gnostiche ed al misticismo. Quest’ultimo si sviluppò in Iraq nei dintorni dell’antica Mesopotamia. L’Islam elaborò profonde conoscenze riguardanti gli aspetti spirituali e mistici della vita, nelle forme del Corano e dell’Hadith che, tuttavia, non poterono diffondersi nelle aree desertiche dell’Arabia, in quanto non caratterizzata da adeguate tradizioni o da una vita spirituale ed intellettuale. La lotta principale nelle zone desertiche era per la sopravvivenza, imponendo condizioni molto dure che fecero dell’aggressione una parte costante della vita. Tutto ciò lasciò una profonda impronta di violenza nella storia dell’Islam, invocata da coloro che ne sono ad oggi predisposti. Ma questo non è né il messaggio dell’Islam, né l’unico aspetto dell’eredità islamica. Poiché attorno vi era molta ostilità politica, si sviluppò una corrente intellettuale differente, separata dal mondo politico islamico. Si trattava del Sufismo islamico, molto differente nella sua eredità intellettuale. Infatti, molti Islamici erano in competizione tra di loro: vi era l’Islam politico, teologico (con le sue complessità), giuridico, filosofico (sviluppato da numerosi eminenti filosofi musulmani), razionale ed il Sufismo, che era in genesi profondamente spirituale e gnostico. Il Sufismo islamico deve il suo sviluppo, da un lato, all’Islam ortodosso ed alla sua tradizione spirituale nonché, per alcuni aspetti, alla tradizione greca gnostica. È importante notare che neanche il Sufismo islamico può esser omogeneizzato, essendo molto ricco e caratterizzato da differenti scuole di pensiero e silsila (catene). Alcune scuole sono più vicine all’Islam ortodosso di altre ed hanno sviluppato ciò che gli ortodossi preferiscono chiamare “eresie”. Come per le scuole di giurisprudenza, alcune scuole Sufi, o un insieme di due o tre di esse, si diffusero in diversi paesi. Ma a prescindere dalle differenze tra queste scuole, tutte enfatizzano la spiritualità comparandola all’intellettualismo dell’Islam teologico e giuridico. Il Sufismo islamico differisce anche profondamente dall’Islam politico, in quanto aborrisce il desiderio e la lotta per il potere. I Sufi sono diversi dai Cristiani e da altri mistici, visto che non rinunciano al mondo, seguendo la tradizione profetica secondo cui, nell’Islam, non è prevista nessuna rinuncia al mondo. Si sposano, formano famiglie (con alcune eccezioni), vivono e lottano in questo mondo. Ad ogni modo, non rincorrono le tentazioni materiali della vita e si accontentano di quello che ottengono per soddisfare le principali necessità. Secondo loro, la vera jihad, o guerra santa, come disse il Santo Profeta, la Pace Sia Con Lui, è combattere contro il proprio desiderio di avere sempre di più. La violenza e lo spargimento di sangue 3 sono causati da questo desiderio incontrollato e dalle battaglie, senza fine, volte a possedere sempre più. Mentre esse arricchiscono un uomo materialmente, lo impoveriscono spiritualmente. Una persona che arricchisce se stessa spiritualmente e resiste alle tentazioni del mondo, vive con la pace interiore. Il Corano pone molta enfasi sulla pace interiore. Mentre l’Islam politico spesso sfocia in violente lotte per il potere, il Sufismo islamico crea le condizioni per la pace interiore ed esteriore. Questo è ugualmente vero per altre religioni, come il Cristianesimo e l’Induismo. Il Cristianesimo e l’Induismo “politici” sono ugualmente coinvolti nella violenza; le religioni politicizzate la promuovono sempre. Le ali destre dei Cristiani, Indù e Musulmani sono simili nei loro approcci alla religione. La religione, per loro, non è una fonte di pace interiore e di arricchimento spirituale, non è sacra, ma è uno strumento per realizzare le loro ambizioni per il potere politico, l’egemonia e la supremazia. Ciò porta inevitabilmente allo spargimento di sangue, addirittura al massacro. Nella storia islamica possiamo chiaramente distinguere queste due differenti tendenze. La storia politica dell’Islam è piena di violenze e stragi, i re ed i governatori ambiziosi invocarono l’Islam per le loro proprie finalità egoistiche. Quando l’Islam politico condusse a battaglie per il potere e sfociò in violenza, nacque il Sufismo islamico. La ripulsione crebbe all’interno di una parte di Musulmani, sinceramente impegnati, che conoscevano il vero valore della pace da un lato e dello sviluppo spirituale della persona umana dall’altro. I Sufi assorbirono dal Profeta, la pace sia con Lui, il concetto del cosiddetto insan-e-kamil (il perfetto essere umano). C’è un dibattito circa che cosa costituisca l’insan-e-kamil, ma i Sufi concordano sul fatto che una persona dovrebbe aspirare a raggiungere questo stato, che il Profeta fu un insan-e-kamil e che essi furono da lui ispirati. Egli era una combinazione unica di questo e di altre preoccupazioni riguardanti il mondo. Mentre non ignorava i suoi doveri mondani, raggiungeva ugualmente la perfezione spirituale interiore. Era un uomo di pace e, sebbene dovesse fronteggiare la violenza dei suoi oppositori e fosse costretto a difendere se stesso e la sua comunità, il suo ultimo scopo era quello della perfezione e della pace interiore. Il genero del Profeta, Ali, è altrettanto venerato dai Sufi che lo considerano, accanto al Profeta, un insan-e-kamil. Naturalmente un insan-e-kamil non può essere ambizioso o aggressivo. Egli è sempre saggio, pacifico e vive una vita di ricchezze spirituali. La vera dottrina fondamentale dei Sufi è “pace totale e pace con tutti” (sulh-I-kul). Pertanto, la vera dottrina di base del Sufismo islamico è la pace, e questa è possibile solo se si evita il conflitto. Ovviamente alcuni Sufi sono noti per aver combattuto per la giustizia dei poveri e, poiché senza la giustizia la pace non è possibile, tentarono di stabilirla per i poveri. Ancora, la loro lotta non era per il potere politico o territoriale, che sono le principali fonti di violenza. La maggior parte dei Sufi mantenne le distanze da qualsiasi forma di conflitto e si concentrò sullo sviluppo spirituale. Infatti, si tennero anche lontani da qualsiasi controversia teologica, ampiamente prevalente tra gli ulama, o teologi islamici, rigettando il dogmatismo religioso, le ristrettezze mentali ed adottando un sentiero di amore onnicomprensivo per il vero Essere e le Sue creature. Tra le differenti scuole Sufi, tratterò ora principalmente della scuola fondata da Muhy ad-Din ibn al-‘Arabi (1165-1240). Egli era un importante Sufi spagnolo che trascorse un certo numero di anni alla Mecca. La maggior parte dei santi Sufi dell’India segue i suoi 4 insegnamenti ed in particolar modo coloro che appartengono al Chishtiya silsila, che sono aperti alle verità in altre fedi. Esistono due principali dottrine della sua Scuola. La prima è chiamata Wahdat alWujud, o “Unità del’Essere”, ovvero, esiste Un Essere Reale e tutti gli esseri umani sono manifestazioni di questo Essere, che è Dio, Allah, Iśvar, o come lo si voglia chiamare. Questa è una dottrina molto progressista, liberale ed aperta in quanto se tutto è emanato da un Essere Reale, allora tutti i muri di separazione vengono demoliti, poiché ogni cosa deve essere amata e rispettata. La seconda dottrina è “Pace Totale”, o pace con tutto, derivata dai quattro maggiori valori fondamentali enfatizzati dal Corano, che sono: giustizia, benevolenza, compassione e saggezza, essi sono anche i quattro nomi attribuiti ad Allah. Il Sufi Islamico pone principale enfasi su questi quattro valori. Se sono praticati durante la vita, condurranno alla pace, in quanto per la pace è necessaria una saggezza di base degli esseri umani. La ragione è importante, ma è un’arma a doppio taglio. Può esser usata per il male o per il bene dell’umanità. Anche la scienza può essere utilizzata per la distruzione o per il beneficio di tutti. Qual è la differenza tra ragione e saggezza? La ragione è l’uso dell’intelletto per comprendere, è solo un mezzo datoci da Dio, ma il modo in cui usiamo tale strumento per apportare beneficio agli altri dipenderà dai valori ai quali aderiamo, che sottoscriviamo. La ragione unita ai valori diviene saggezza, in tal senso il Corano pone l’enfasi molto più sulla saggezza piuttosto che sulla ragione: “Coloro a cui è stata data saggezza, è stata data bontà in abbondanza”. La ragione può condurre a controversie intellettuali, ma la saggezza interiore richiede che tali controversie siano evitate. Quindi è compito di tutti coloro che credono in certi valori, di usare l’intelletto per promuoverli, e questa sarà saggezza. Come si può notare, le dottrine di Ibn Arabi permisero la costruzione di ponti tra le comunità ed il silsila Chishtiya in India adottò tale dottrina e si aprì ad altre comunità indiane. Alcuni ulama che avevano attitudini settarie si opposero alla dottrina di Wahdat alWujud, in quanto implicava l’accettazione di altre religioni come vere. Essi svilupparono invece una dottrina nota come Wahdat al-Shuhud che, sebbene non opposta alla Wahdat al-Wujud, si trovava in una posizione intermedia. Ad ogni modo, in India, la dottrina Wujudi rimase la suprema ed i Sufi Wujudi svolsero un ruolo importante. La loro enfasi era posta sul tariqat (il sentiero), piuttosto che sul shari’at (la legge dell’Islam). Tariqat veniva associato con ciò che si chiamava wasi’al-mashrab, ovvero l’apertura mentale, mentre shari’at significava avere una mentalità legale o modi di pensare ristretti. Il Corano accetta la validità di tutte le fedi precedenti e sostiene di essere stato rivelato per confermare la verità delle fedi esistenti (nusadiqqu ma bayna yadayh). Il Corano afferma anche che Allah inviò profeti e guide a tutte le nazioni (li kulli qaumin had). I Sufi praticarono il vero spirito del Corano. Allo stesso modo, per poter stabilire la pace, abbiamo bisogno di compassione, che è particolarmente fondamentale per il Corano. Qualsiasi cosa i Musulmani facciano, cominciano con l’invocazione: “Inizio nel nome di Allah, che è misericordioso e compassionevole”. Perciò la misericordia e la compassione sono altrettanto fondamentali nell’Islam come nel Buddhismo. Anche il Buddha pose enfasi, in particolar modo, sulla compassione e sulla rimozione della sofferenza da questo mondo. Similarmente, l’Islam insegna che dove c’è compassione, c’è sensibilità verso la sofferenza. Se non siamo sensibili alla sofferenza altrui, non 5 possiamo esser compassionevoli, o religiosi, o spirituali. Questo è altrettanto enfatizzato dai Sufi. Essi non dicono che a meno che non si segua lo shari’at non si possa essere un buon Musulmano, ma dicono che coloro che seguono tali valori saranno buoni Musulmani e buoni esseri umani. Non discriminano mai contro i seguaci di altre religioni, sanno che il sentiero spirituale che porta a Dio può variare da una tradizione all’altra. Se si è veramente spirituali, non si discriminerà tra varie religioni. I Sufi han sempre creduto nel dialogo con i seguaci di altre fedi. In India ci sono stati numerosi santi Sufi che erano abituati a dialogare con i santi yogi indù e con gli studiosi dei Veda, del Vedanta e delle Upanishad. Vorrei qui menzionare il nome di Dara Shikoh. Questi era figlio di Shah Jehan, il grande Imperatore Mogul che costruì il Taj Mahal e che nominò Dara Shikoh come suo successore. Dara Shikoh conosceva perfettamente il sanscrito e tradusse le Upanishad in persiano con il titolo Sirr-e-Akbar, o “Il Grande Mistero”. Nella prefazione della traduzione disse che se si fosse trovato il concetto dell’Unità di Dio al di fuori del Corano, questo sarebbe stato nelle Upanishad. Arrivò fino a dire che il Corano, in uno dei suoi versi, fa riferimento alle Upanishad come “un libro nascosto” e che tale libro nascosto sono le Upanishad, anche esse riverite da Allah. Dara Shikoh scrisse un altro libro importante che nominò significativamente Majma’ul-Bahrayn, o “Co-Mescolarsi dei Due Oceani” – l’Islam e l’Induismo. Discute l’intera gamma di terminologia della religione indù e dell’Islam, concludendo che non esiste differenza tra le due, eccetto quella della lingua. Se le fonti islamiche vengono tradotte in sanscrito, specialmente il Corano, ed i Veda e le Upanishad vengono tradotte in arabo, allora non si troverà alcuna differenza tra le due. Sostenne inoltre che i nostri pregiudizi sono più linguistici che riguardanti il contenuto di queste religioni. Se questa è la chiave di comprensione, allora il conflitto inter-religioso svanisce. E se il conflitto inter-religioso svanisce, la pace verrà stabilita. In questo libro Dara Shikoh tratta a lungo delle similarità delle due religioni. Per esempio, riferendosi al sacro simbolo dell’Induismo, OM, dice che è simile a Ism-e-A’zam (il Gran Nome di Allah), e che gli studiosi dell’Induismo non concordano l’un con l’altro sul suo esatto significato. Ugualmente, i musulmani ulama non convengono su quale nome di Allah corrisponda a Ism-e-A’zam. Riguardo ad OM (lo scandisce in scrittura persiana “AWM”) dice che alcuni studiosi sostengono che “A” significa Āditya, “W” Varuna e “M” Mitra, che sono nomi di Dio nella tradizione indù, ma riguardo a ciò non vi è accordo tra tutti gli studiosi induisti. Similarmente, alcuni teologi musulmani sostengono che Ism-e-A’zam è Allah, mentre per alcuni è Al-Hayy al-Qayyum, per altri è Al-Rahman al-Rahim e così via. Non vi è unanimità su quale nome sia esattamente Ism-e-A’zam. Per Dama Shikoh, comunque, Ism-e-A’zam e OM hanno lo stesso significato (vedi Majma’ al-Bahrayn, The Asiatic Society, 1982, p. 92). Allo stesso modo, nella tradizione indù ed islamica, Dara trova similarità riguardanti il concetto di Resurrezione (Qiyamat). Si riferisce a persone religiose indiane significativamente come Indiani monoteisti. Quindi afferma: “Gli Indiani monoteisti hanno sostenuto che dopo un soggiorno molto lungo in Paradiso o nell’Inferno, il mahā pralaya, o la Grande Resurrezione, avrà luogo”, fatto che è altrettanto accertabile dal santo verso (del Corano): “Ma quando la Grande Resurrezione viene” (79:34). Anche il verso seguente parla dello stesso argomento: “E si suonerà la tromba, così che tutti coloro che sono nei 6 paradisi e tutti coloro che sono sulla terra perderanno i sensi, ad eccezione di chi è compiaciuto da Allah” (39:68). Sappiamo che la causa del conflitto religioso non è la religione in sé, ma il suo utilizzo per interessi mascherati, atti a sfruttare le differenze tra queste e a far combattere gli esseri umani l’uno contro l’altro. Veniamo portati erroneamente alla battaglia perché non conosciamo la reale essenza delle religioni, e siamo maggiormente portati per l’uso di certi termini che risultano essere più linguistici e culturali che religiosi. Infine, sentiamo che “la mia religione è molto diversa dall’altra”. I Sufi, invece, conoscevano l’essenza delle varie religioni ed addirittura appresero altre lingue per comprenderle meglio. Nel Medioevo, particolarmente nei paesi arabi ed in Spagna, caratterizzati dal governo arabo per 400-500 anni, l’Islam coesisteva in perfetta armonia con il Cristianesimo ed il Giudaismo. Non vi era conflitto tra i Sufi, i Cristiani mistici e coloro che studiavano la Kabbalah giudaica. Al contrario, essi si incontravano, discutevano l’un con l’altro e si comprendevano. Fui molto compiaciuto nel vedere che il motto della Società Teosofica era “Non vi è Religione Superiore della Verità”. È questa verità che trova espressione in differenti culture e linguaggi, dove esistono differenze. La Verità, comunque, resta la Verità e questo è ciò che dicono i Sufi: “La Verità è Dio e Dio è Verità”. Possiamo raggiungere la Verità solamente quando siamo liberi da ogni pregiudizio ed i Sufi non prendevano in considerazione tali pregiudizi. Potrete aver udito di un grande Sufi chiamato Mansur Hallaj. Generalmente i Sufi provenivano dagli strati più bassi della società e lui proveniva da una famiglia di cardatori del cotone (hallaj significa “cardatore” in arabo). Il suo motto era “Io sono la Verità”, per il quale pagò con la sua stessa vita. Fu impiccato perché i teologi, più settari nel loro approccio, percepirono che quest’uomo pretendeva di essere Dio. Ciò accadde perché essi sostenevano che Allah è Verità, quindi se egli diceva “Io sono la Verità”, ciò significa “Io sono Dio”. In sanscrito è detto “Aham Brahmāsmi”. Mansur Hallaj affermò la stessa cosa, in quanto la Verità risiede in ognuno di noi. È la comprensione del nostro essere interiore, l’interna trasformazione a sostegno della Verità. Questa è la vera spiritualità e ciò che ci rende spirituali. La maggior parte di noi brama cose materiali, comodità della vita, lottiamo e siamo in competizione l’un l’altro per esse. Tale competizione porta a battaglie e conflitto. Una nazione compete per le risorse dell’altra e ciò conduce a guerre e spargimento di sangue. Naturalmente i nostri bisogni principali dovrebbero esser sempre soddisfatti, ma il problema è la bramosia. Non siamo mai soddisfatti dai bisogni principali. Se possediamo una casa dove abitare ed abbiamo vestiti da indossare, desideriamo sempre di più. Quel “sempre di più” ci fa invischiare in conflitti con gli altri, poiché vogliamo monopolizzare le risorse altrui. I Sufi, al contrario, hanno sempre vissuto una vita estremamente semplice. Qui, nella Società Teosofica, vedo ovunque enfasi sulla semplicità. A meno che non ci sbarazziamo della bramosia, non potremo mai trovare la pace interiore, e ciò è quanto i Sufi fecero. Essi non si adoperarono mai neanche per le loro stesse vite. Un altro dei loro credo era: “Ho piena fede in Allah, che è Colui che provvede, e provvederà ai nostri bisogni principali. Egli ha promesso all’umanità di soddisfare i bisogni essenziali di tutti”. Ed i bisogni essenziali possono essere soddisfatti per tutti. Le persone cui è stato provveduto non hanno brame. Sono poche le nazioni che bramano, ed il loro tenore di vita è molto più alto di quello di milioni di persone in altri paesi. È tale brama che fa loro invadere altri paesi. 7 A tal proposito i Sufi dicono: “Dovremmo limitarci ai nostri bisogni essenziali”. Ogni qualvolta essi avevano qualcosa in eccesso, immediatamente la condividevano con altri che ne erano bisognosi. Una famosa e rinomata santa Sufi, Rabi’ah Basari, visse in Basra, Iraq, all’inizio del Novecento (il secondo secolo dell’Islam). Assorbita nell’amore di Dio, si dedicò interamente alla perfezione spirituale. Quando una volta le fu chiesto: “Odi Satana?”, ella rispose: “Sono così presa dall’amore di Dio che non ho tempo per odiare Satana”. Credeva nell’amore puro, senza alcun tornaconto. Si dice che in un’altra occasione stesse camminando con un secchio d’acqua in una mano ed una torcia accesa nell’altra. Quando le fu chiesto perché stesse facendo ciò, ella rispose: “Voglio spegnere il fuoco dell’inferno con questa acqua ed incendiare il paradiso con questa fiamma, così nessuno adorerà Allah per paura del fuoco dell’inferno o per brama del paradiso. Questa non è la vera adorazione di Allah. L’amore e solo l’amore dovrebbero esser le vere ragioni”. Sia la brama che la paura portano al conflitto. Paura è insicurezza, ed in molti casi questa sensazione ci fa piegare gli altri per poter acquisire più sicurezza. Sapete bene cosa è accaduto ai nostri giorni nel caso delle “armi di distruzione di massa”. Sono state uccise migliaia di persone perché l’America aveva affermato di temere le armi di distruzione di massa, l’Iraq è stato invaso e si sono perse migliaia di vite innocenti. Pertanto, sia la bramosia da un lato che la paura dall’altro conducono al conflitto, allo spargimento di sangue ed alla guerra. Rabi’ah disse che non dovremmo né bramare né temere nulla. Era una donna di grandi realizzazioni, sempre dedita agli esercizi spirituali ed all’adorazione di Allah, senza alcun motivo egoistico, ma altruisticamente. Vi è un’altra storia a lei correlata, ovvero quella per cui una volta sedeva in una foresta circondata da leoni, cervi e molti altri animali. Un altro santo Sufi, Hassan Basari, suo contemporaneo, andò a trovarla. Non appena arrivò, tutti gli animali scapparono via. A tal punto egli disse: “Oh, Rabi’ah, che cosa succede? Tutti gli animali ti stavano attorno e non appena sono arrivato, sono fuggiti”. Rabi’ah gli chiese: “Hassan, che cosa hai mangiato oggi?”, ed egli rispose “Carne”. Così Rabi’ah disse: “Se li mangi, ti ameranno? Perché li mangi? Naturalmente scapperanno via da te”. Questo era il suo Islam, non fondato su conquiste di nessun paese o lotte per soddisfare brame territoriali fatte nel nome dell’Islam o in qualsiasi altro nome. Quando si diventa bramosi, si uccidono gli altri – si uccidono persone innocenti. Perché i Sufi enfatizzarono tali valori così tanto? Ovviamente questi sono i valori del Corano. Ogni musulmano deve seguirli. Ma sfortunatamente, altri musulmani – gli imperatori, i governatori – vollero conquistare altri paesi. Andarono con le spade. Ed i Sufi dissero: “Questo non è l’Islam o compassione o saggezza – uccidere gli altri, distruggere vite. Questo non è l’insegnamento del Corano o del Santo Profeta”. Il Profeta non aveva traccia di bramosie in sé. Anche quando Egli soffrì la fame per tre giorni e qualcuno si presentò a lui con alcuni datteri, li condivise immediatamente con altre persone, altrettanto bisognose. I Sufi imitarono il Santo Profeta a tal riguardo. Tutta la loro enfasi era sulla spiritualità – sull’Islam spirituale.

La religione non consiste semplicemente in una serie di rituali da compiere per ottemperare ai nostri doveri religiosi. Non potremmo essere infatti né veri religiosi né esseri spirituali se non imbevessimo il nostro essere di valori, facendoli divenire un bisogno ed una necessità interiore. Il sentiero dell’Islam spirituale (o Sufismo) è lastricato di questi valori. Se un individuo vi si oppone, tale persona non può affatto definirsi religiosa. Questa è la mia visione sul significato più profondo della religione. Un altro grande santo Sufi, Maulana Rum, anche noto come Mohammad Jalaluddin Rumi, visse nel 14° secolo e compose un poema epico raccolto in vari volumi, denominati i Mathnavi ( Mathnavi-i-Maulavi-i-Ma’navi). Egli era il figlio del grande ‘alim, giurista e grande dotto della legge islamica. Era consuetudine che tutti accorressero a Lui per chiedergli consigli sui loro problemi e sulle loro necessità religiose. Anche Maulana Rum divenne un eminente ‘alim e teologo, aveva infatti centinaia di discepoli, ed era così erudito che centinaia di migliaia di persone si riunivano per ascoltare i suoi sermoni. Godeva inoltre di elevata reputazione da parte del sovrano del Qaunyah in Asia Minore. Un giorno stava conducendo un sermone ove migliaia di persone si erano affollate per ascoltarlo, ed aveva dinnanzi a sé una pila di libri di legge islamica, in quanto era sua consuetudine far riferimento ad essi. Ad un certo punto, un grande santo Sufi dalla Siria, di nome Shams Tabriz, si addentrò nella congregazione. Mentre Maulana Rum stava parlando, Shams Tabriz lo interruppe e disse: “Cosa sono tutti questi libri?”. Maulana Rum, piuttosto seccato per l’interruzione, rispose: “Tu non sai”. La leggenda narra che Shams Tabriz guardò i libri e questi presero fuoco. A questo punto Maulana Rum chiese: “Cosa significa ciò?” e Shams Tabriz disse: “Tu non sai” e se ne andò. (Non dovremmo prendere alla lettera il racconto sull’incendio dei libri, ma semplicemente capire che Shams Tabriz convinse Maulana Rum che i suoi libri erano in realtà privi di vita, e contenevano solo dogmi legali, nulla più). Maulana Rum si rese così conto che quell’uomo era una persona saggia, gli corse dietro e si narra che stettero rinchiusi insieme per 40 giorni. Shams Tabriz condivise con lui i misteri del Sufismo, cosa che trasformò Maulana Rum interiormente. “Risveglia te stesso al tuo essere interiore”. Questo messaggio venne comunicato a Maulana Rum da Shams Tabriz, poi quest’ultimo lo lasciò e scomparve. Maulana Rum successivamente interruppe i suoi eruditi sermoni ed abbandonò lo status di ‘alim, la sua biblioteca, ogni cosa, per l’intenso amore di Shams Tabriz. Fu proprio in questo intenso stato di devozione che compose il suo capolavoro, il Mathnavi, in persiano, che ispirò per secoli migliaia di persone. Il Mathnavi è ricco di saggezza, in quanto Maulana Rum abbandonò ogni dogma legale per realizzare Dio attraverso una trasformazione interna, la verità interiore dell’essere. Tale opera è stata ovviamente tradotta in inglese ed in molte altre lingue. Coloro che sono interessati al Sufismo, debbono leggerla. In essa è detto che i mullah combattono su controversie teologiche come i cani combattono per un osso, perdendo così di vista il punto centrale delle cose. Il nocciolo dell’Islam è nel Sufismo. Se lo si vuole raggiungere, si deve avere saggezza – si deve realizzare il Sé interiore dell’essere. Questo è il messaggio di pace e di verità spirituale interiore. Nell’opera egli dice anche “Che cos’è questo cuore? È solo una manciata di polvere se non è conquistato con 2 amore”. Questo è il Sufi Islamico. I Sufi erano dediti a raggiungere la pace totale – pace con tutto. Migliaia di persone di ogni religione visitano la tomba del grande santo Sufi dell’India del 13° secolo, Nizamuddin Awliya, sepolto a Delhi. Si narra che una mattina di buon’ora, mentre stava camminando lungo le rive del fiume Jamuna, alcune donne indù si immergevano nell’acqua, adorando il sole. Egli era col suo discepolo Amir Khusrau, anch’egli un celebre poeta Sufi, e disse: “Oh Khusrau, non giudicarle con disprezzo. Anche loro stanno adorando Allah, sebbene il loro modo di adorarlo sia diverso”. Allora Khusrau recitò immediatamente un versetto di Allah dal Santo Corano: “Har qaum ra rahe, dine qiblagahi (Per ogni nazione vi è un modo, una religione, ed un qibla, ovvero una direzione da seguire per adorare Dio), che può essere anche tradotto con: “Per ogni individuo abbiamo indicato una direzione da seguire per adorare me (Allah). Non combattete su questo, ma eccellete (l’un l’altro) in buone opere”. La saggezza si trova nell’eccellere in buone gesta e non nel competere l’uno nei confronti dell’altro sui rituali. I rituali sono i mezzi, non i fini. Attraverso i rituali tentiamo di raggiungere Allah, o Iśvar, o Dio. Non dovremmo lasciarci coinvolgere dai rituali. Essi non sono la realtà. La realtà è il sentiero spirituale che conduce ad un Essere vero, che è Dio, Allah, Iśvar. Se ci renderemo conto di ciò, allora smetteremo di litigare gli uni contro gli altri per questioni religiose. I Sufi indiani confidarono nell’acculturazione ed adottarono varie pratiche culturali dell’India. Usavano ascoltare musica detta sama’ o qawwali e spesso entravano in trance mentre ascoltavano la qawwali, composta da musica classica e musica indiana rāga-s. Nizamuddin Awliya era consueto celebrare la festività primaverile Indù di Basant ed adottò addirittura il colore giallo basanti. Così Maikash Akbarabadi dice nel suo saggio Caratteristiche di Chishtia Silsila: “In questi giorni, il sovrano di Delhi morì in uno scontro contro lo sceicco (Nizamuddin Awliya) e la pratica dello sama’ (divenuta comune per la maggioranza dei Sufi in tutto il mondo Islamico) divenne una questione di amara controversia per la quale gli ulama del tempo furono chiamati a corte a discuterne. È molto significativo il fatto che Hazrat Nizamuddin celebrò nel suo monastero il puro festival Indù di Basant. Anche ai nostri giorni tale festival viene celebrato in tutti i monasteri dell’Ordine Chishti, particolarmente in Dargah Sharif ad Ajmer…”. (The Times and Works of Amir Khusrau Dehlavi, Seventh Century National Amir Khusrao Society, n.d., p. 237). I Sufi mostrarono grande rispetto verso ogni fede, fu per questa ragione che Miyan Mir, un santo Sufi del Lahore del 16° secolo, famoso ed eminente (il cui discepolo del discepolo fu Dara Shikoh), fu invitato da Guru Ramdas per porre la prima pietra del Har Mandir ad Amritsar, il santissimo gurudwara, o sacrario, dei Sikh. Miyan Mir prontamente accettò e si recò a porre la prima pietra. Tali erano le relazioni tra i Sufi e le persone di altre religioni, che fossero questi Indù, Cristiani, Parsi o di qualsiasi altro credo. I Sufi enfatizzarono sempre la comprensione del proprio Sé, dell’essere interiore, che avrebbe condotto alla Verità, non potendo Questa differire da una religione ad un’altra. Mazhar Jan-i-Janan, un altro grande santo Sufi del 18° secolo, anch’esso sepolto a Delhi, era altrettanto erudito nelle scritture indù e considerava i Veda come Scritture rivelate da Allah, sostenendo che Allah avesse inviato le Sue guide anche agli indù e che Rāma e Krishna, molto venerati in India, potessero essere stati profeti mandati da Allah. Tutto questo perché Allah promise nel Corano: “Per ogni Nazione abbiamo inviato un profeta, una guida”. Come poteva quindi Allah dimenticare di inviare 3 un profeta in India, un paese così tanto grande? Qui nacquero ķshi-s e muni-s, che dovevano esser stati grandi profeti di Allah. Sostenne perfino che ciò che gli indù chiamano Brahma, noi lo chiamiamo Adam. In tal modo equiparò Brahma ad Adam, il primo profeta del Corano. Il Corano non rifiuta alcun profeta; al contrario, li accetta tutti, anche se non specificatamente menzionati nel Corano. Ecco perché Maometto accettò Zoroastro come profeta, sebbene non fosse stato nominato nel Corano. Quando Maometto si recò in India, accettò gli indù ed entrò in accordo con loro. I Sufi accettarono perfino il Buddha come profeta inviato da Allah. Mazhar Jan-i-Janan, scrisse inoltre ad uno dei suoi discepoli che gli indù erano monoteisti, poiché, secondo le loro scritture, Iśvar è nirgun e nirākār (senza attributi e senza forma) il che, secondo Mazhar Jan-i-Janan, è la più alta forma di tawhid (monoteismo). In India, i maggiori santi Sufi come Baba Farid, lo sceicco Moinuddin Chishti, Nizamuddin Awlia, Baba Gesu Daraz ed altri ancora, furono adorati per la loro semplicità ed il loro amore verso tutti, indipendentemente dalla religione di appartenenza. Non operarono alcuna distinzione tra Musulmani e non Musulmani, tra questa e quella lingua. Infatti, la maggior parte di loro parlava e scriveva nella propria lingua e nel proprio dialetto locale. Baba Farid di Punjab scrisse in Punjabi ed è considerato il poeta fondatore del linguaggio Punjabi. Kabir scrisse in dialetto locale. Sheikh Mohammad, un noto Sufi della regione di Maharashtra, scrisse in Marathi. Tantissimi altri esempi possono esser descritti. Come detto precedentemente, il grande Sufi spagnolo Muhyi ad-Din ibn al-‘Arabi aveva visioni molto ampie. Non distinse mai tra seguaci di differenti religioni. In uno dei suoi libri scrisse: “Il mio cuore è centro di amore”. Questo perché l’amore è veramente al centro, nel Sufi islamico. Così il cuore è ora una sinagoga, o una chiesa, una moschea o un tempio, in quanto in ognuno di questi posti Dio viene invocato ed amato. Se il mio cuore è centro di amore, allora esso è tutto questo. Egli scrisse anche: “Il mio cuore è divenuto capace di prendere ogni forma: è un pascolo per le gazzelle ed un convento per monaci Cristiani; un tempio per idoli; il Kaaba del pellegrino, le tavole della Torah ed il libro del Corano. Io seguo la religione dell’amore, ove qualsiasi dei suoi cammelli mi conduca” (Dr M. Safdar Ali Baig, Ameer Khusrau, his Beliefs and the Sufi Tradition, ibid., p. 201.) L’amore (ishq) è cruciale nella filosofia Sufi. L’amore è infatti il cuore della religione. Per esempio, Sa’id Abul Khayr, il grande poeta Sufi dell’Iran, dice: “Andai nella Chiesa del Cristiano e dell’Ebreo E vidi che entrambi stanno innanzi a Te (Dio) Il desiderio di incontrarTi mi condusse al Tempio degli idoli, Ed udii gli idoli cantare i Tuoi inni d’amore”. In tal modo un santo Sufi percepisce l’amore di Dio in ogni fede, in quanto ognuna di esse è originata da Dio ed è centrata sul Suo amore. Rituali diversi per adorarLo non fanno nessuna differenza fintantoché Dio è il movente. La poesia Sufi è ricca d’amore per Dio; non ha importanza in che modo od in che lingua venga espressa, ciò che conta è la sincerità dell’amore. La famosa devota indù Mirā, che adorava il suo signore Krishna, scrisse bellissime canzoni che cantava con grande passione ed intenso amore. Come potrebbe essere il suo amore meno importante 4 dell’amore di un Musulmano per Allah? Sono l’intensità e la sincerità che contano, non la forma. Ghalib, il grande poeta urdu del 19° secolo, non era un Sufi praticante, ma credeva nel Sufismo ed era anche un poeta d’amore. In uno dei suoi versi, dice che la realtà (wafadari), unita alla fedeltà, sono il vero test d’amore. In tal senso, quella che conta veramente per Ghalib è la sincerità nella lealtà a Dio, sia che venga adorato nella forma di un idolo o nella forma di un Dio invisibile. Khwaja Banda Nawaz, un grande santo Sufi del 14° secolo, dice: “L’amore guida colui che adora il suo idolo. È il Qibla dei pii e dei devoti adoratori”. I Sufi utilizzavano alcuni versi del Corano, ove vengono chiaramente riconosciuti altri profeti e le religioni da loro apportate. “E ad ogni popolo Noi abbiamo certamente inviato un apostolo che ordinò: servi tu solo Allah e tieniti lontano da Taghut (incarnazione del male)” (16:36). Un altro versetto dice: “Di quegli apostoli, Noi abbiamo già tenuto conto e di altri non teniamo affatto conto” (4:164). Ed ancora, un altro verso recita: “Ad ogni popolo Noi abbiamo dato leggi e rituali” (5:49). I versetti del Corano citati sopra sono molto aperti alle altre religioni. Quel che conta per il Corano è la centralità di Dio ed il rifiuto del male. È il male che si deve combattere, mentre l’amore di Dio dovrebbe prevalere. Attenendosi così al Corano, i Sufi hanno chiaramente accettato che differenti sentieri portano a Lui. Anche Maulana Rum, citato precedentemente, fu un poeta d’amore. Il suo Diwan-e-Shams Tabriz è un capolavoro di ardente amore. Rumi era così tanto immerso nell’amore per Shams Tabriz da cambiare interamente la visione sulla religione e sulla vita. Ora era l’amore il suo scopo. L’Amore divenne il tema centrale al posto dello shari’at e della teologia dogmatica. Per lui fu un grande cambiamento ed una totale trasformazione interiore. Fu sotto questa influenza che Rumi compose il Mathnavi, immortalandolo con la sua attrazione universale. Rumi non sarebbe stato capace di realizzare questa grande opera se non avesse incontrato Shams Tabriz. Shams fu contemporaneamente l’inizio e la fine. Shams, uomo di diverse e paradossali qualità, fu allo stesso tempo un amico, un confidente, un maestro ed una guida. Egli era il Noah, lo Spirito, il Conquistatore ed il Conquistato, la luce, la rivelazione, allo stesso tempo goccia ed oceano. Era sia grazie e misericordia che terrore. Fu grazie a lui che Rumi cambiò e compose, per ispirazione, il Diwan (Afzal Iqbal, in Life and Works of Rumi, London, 1983, p.164). Quando l’amore diviene centrale, Lo si trova ovunque sia, tanto nella Ka’ba (luogo santissimo per i Musulmani) o nel dayr (santo luogo per i veneratori di idoli), che nella sinagoga o in chiesa. Così, nel Mathnavi, Rumi dice: “Ovunque io prostri il mio capo, Lui è colui al quale mi inchino. In sei direzioni o fuori dalle stesse, Lui è colui che io adoro. Il giardino, la rosa, l’usignolo, la musica, e la beata fanciulla sono semplici scuse, perché soltanto Lui è il vero obiettivo” (ibid., p. 166). Tali poeti, che credevano nel potere dell’amore, volevano essere vicini alla gente e per tale motivo mantennero sempre le distanze dai sovrani. Sebbene Dara Shikoh fosse un principe ed il successore al trono di Delhi, egli era più Sufi che principe. Diversamente da suo fratello Aurangzeb, si tenne sempre lontano dalle cospirazioni e dal desiderio di potere. Trascorse più tempo a studiare ed a leggere che ad esercitare il 5 potere politico. Compose un certo numero di Risalas (epistole). In una di esse, Tariquat-ul-Haqiqat, scrive i versi seguenti: “Tu dimori nel Ka’ba e nel Somnath, E nel cuore innamorato degli amanti; Tu sei la rosa ed anche l’usignolo dell’amore, Tu sei la falena al termine della Tua Bellezza”. Dopodiché, conclude la poesia con i versi seguenti: “Tu hai posto le locande in subbuglio; Il saqi e le lunghe bevute portano a grande entusiasmo. Nel tempio tu hai fatto suonare le campane – L’idolo, il tempio ed anche l’ipocrisia religiosa, Nel Ka’ba la gente Ti invoca E desidera la loro unione. Il manifesto ed il celato, tutto è emanato da Te, Come ugualmente la goccia e l’oceano. Spesso Tu mandasti i Tuoi seguaci alla forca, Spesso Tu svelasti la Tua identità a Mosé nel Sinai”. (Bikramajit Hasrat, Dara Shiko: Life and Works, Delhi, 1982) Qui leggiamo la dottrina fondamentale Sufi, secondo cui ogni cosa è emanata da Lui, fatto questo basilare nella Scuola Sufi fondata da Ibn Arabi, come già menzionato. In persiano, è noto come hama uoo ast (Lui è ogni cosa). Secondo questa dottrina, tutto è emanato da Lui. Egli è l’unica Realtà. Noi tutti siamo Sue manifestazioni. È una dottrina onnicomprensiva che distrugge ogni muro di separazione. Ghalib, il celebre poeta Urdu, cita in uno dei suoi versi: “Quando non c’ero, ero Dio, e se non ci fossi stato, sarei stato Dio. Il mio essere mi fa perdere; se non fossi esistito sarei stato Dio”. Ghalib aveva lo stesso approccio dei Sufi ed era un grande umanista. Poiché tutti gli esseri umani sono manifestazioni di Dio, non si dovrebbero operare distinzioni sulla base della casta, del credo o del colore. Ognuno dovrebbe godere dello stesso rispetto e dignità. È bene inoltre narrare la storia di Sarmad, Sufi sostenitore di Dara Shikoh. Egli era un ebreo armeno convertito all’Islam, ma non mostrava lo zelo religioso di un nuovo adepto. Era un uomo di cultura, di grande erudizione ed aveva studiato anche altre religioni. Si recò in India nel 1654. Bikramjit Hasrat dice: “Il suo essere teosofico è manifesto in una delle sue quartine, citate da Mirza Muhsin Fani: “Obbedisco al Corano”; dice Sarmad, “sono un prete indù ed un monaco; sono un infedele ed un Musulmano”. Ebbro d’Amore Divino e di sensazioni estatiche, perse la propria autocoscienza e divenne un nudista”. (ibid. pp. 100-1) 6 Sarmad sosteneva che sham-‘I haram (candela della sacra moschea della Mecca) e sham’I butkhana (candela del tempio) bruciassero della stessa luce e che le falene (i seguaci) fossero attratte ad esse dallo stesso zelo. In tal modo, la candela di haram non differisce dalla candela di un tempio. Egli era inoltre associato a Dara Shikoh e fu condannato per ordine di Aurangzeb. Pare che fosse giustiziato poiché non pronunciò interamente il kalimah (formula islamica), la ilaha illallah (non vi è nessun dio all’infuori di Dio). Quando la sua testa fu posta sul piano per la decapitazione, uno dei suoi discepoli gli sussurrò all’orecchio: “Perché non dici Illallah (all’infuori di Dio) invece di soltanto la ilah (non vi è nessun dio)”. Sarmad rispose: “Come potrei dire Illallah, se non sono stato capace di negare completamente tutte le divinità di vano desiderio che risiedono nel mio cuore? Potrò dirlo solo quando sarò in grado di negare questi dei”. E fu così che venne decapitato. In tal senso, secondo Sarmad, non sono le semplici parole che fanno di una persona un vero Musulmano, ma la vera comunione con l’unico Dio, dopo essersi liberati da tutti gli altri dei (di vani desideri). Questo è il sentiero Sufi verso l’amore, la pace e la saggezza. Essi sono centrali nel Sufi islamico e possono diventare una grande fonte di ispirazione per coloro che desiderano diffondere il messaggio di pace ed armonia, combattendo efficacemente la minaccia di violenza. L’amore e la pace dovrebbero essere oggi le vere religioni dell’umanità. Non vi è affatto posto per la violenza, in ciò che concerne il Sufi islamico. Ovviamente, non vi è neanche posto per la violenza nel Corano. C’è molta incomprensione riguardo alla parola jihad, anche tra gli stessi Musulmani. Questo accade perché i gruppi terroristici ne abusano per i loro fini egoistici. Jihad non vuol dire violenza in nessun significato della parola. Essa significa esercitarsi al massimo per diffondere la bontà. Quando al Profeta fu domandato della jihad, egli la spiegò meravigliosamente: “La migliore forma della jihad è di dir la verità in faccia ai tiranni”. Se questa è la jihad, allora possiamo lasciar andare la violenza e stabilire l’amore e la pace nel mondo. Vedo l’Islam come una religione di pace, allo stesso modo in cui lo sono il Cristianesimo, il Buddismo o l’Induismo. Non vi è dubbio che vi siano differenze di grado, ma l’oggetto di queste religioni è sempre la pace (Young India, 20-1-’27). Il contributo distintivo dell’Islam alla cultura nazionale dell’India, è il credo inalterato nell’unità di Dio e l’applicazione pratica della verità della fratellanza degli uomini a coloro che appartengono a questo credo. Definisco tali come due distinti contributi, in quanto nell’Induismo lo spirito di fratellanza è rimasto troppo su un piano filosofico. Similarmente, sebbene l’Induismo filosofico non abbia altro dio all’infuori di Dio, non può esser negato che l’Induismo pratico non sia così evidentemente intransigente come nell’Islam. (Young India, 21-3- ’29) M. K. Gandhi

UN METODO SUFI PER LA PACE NEL MONDOultima modifica: 2018-12-03T16:37:10+01:00da mikeplato
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