ARMONIE COSMICHE e CONSONANZE MAGICHE

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di Andrea Melis

Qualche riflessione sulla concezione della musica nel pensiero filosofico di Marsilio Ficino

1. La musica occupa un posto di tutto rilievo all’interno della speculazione filosofica di Marsilio Ficino [1]. Essa si presenta sotto molteplici aspetti, per lo più in aderenza piuttosto stretta rispetto alla concezione platonico-pitagorica ed alle sue filiazioni maggiormente esemplari in ambito pagano e cristiano.

In linea di massima è possibile identificare una speculazione musicale dal duplice contrassegno. La prima ha un carattere «verticale», metafora di un ordine cosmologico ascendente, costruito su livelli gerarchici specularmente riflessi e metafisicamente fondato. Ritroviamo qui il concetto di musica macrocosmica, di armonia celeste, prevalentemente associato alla rilettura della tradizione platonica risalente al Timeo platonico, ed in congiunzione agli interessi cosmologici di Ficino. È la dimensione in cui la harmonia mundana si cristallizza nelle relazioni fra piani ontologici, fra sfere planetarie all’interno delle quali la progressione ritmica del tempo si proietta nello spazio delle traiettorie disegnate entro la volta celeste, e lo spazio delle relazioni cosmiche si rivela come armonia mistica intemporale, perfetta e immutabile.

A questa prospettiva non sono estranei – fra le altre fonti – gli scritti attribuiti ad Hermes Trismegistus, la cui traduzione, su richiesta dello stesso Cosimo de’Medici, Ficino dovette addirittura anteporre a quella delle opere di Platone, a testimonianza del prestigio e dell’autorità che erano tributate all’Hermes egizio.

(…) la pura filosofia, quella che dipende dalla devozione verso Dio, dovrà interessarsi alle altre scienze solo per ammirare come il ritorno degli astri alla loro posizione di partenza, le loro soste prefissate e il corso delle loro rivoluzioni siano soggetti a leggi numeriche, e per ammirare, adorare e esaltare l’arte e l’intelletto di Dio, conoscendo le dimensioni della terra, le sue qualità e quantità, la profondità del mare, la forza del fuoco e gli effetti di tutte queste cose. Conoscere la musica non è altro che sapere l’ordine di tutte le cose e quale sia il disegno divino, che ha assegnato a ciascuna il proprio posto, poiché quest’ordine, in cui tutte le singole cose sono state unite in un medesimo tutto da un’intelligenza artefice, produrrà, con una musica divina, una sorta di armonia vera e soave. [2]

Ma l’armonia universale non può, per sua stessa essenza, essere irriflessa. Essa si riverbera su tutti i piani dell’Essere investendoli della propria legge, del proprio ordine, e Ficino non manca di rammentarlo.

Tu in verità concederai che una forza mirabile è presente in uno spirito eccitato che canta, se avrai concesso ai Pitagorici e ai Platonici che il cielo è uno spirito che dispone tutte le cose con i suoi movimenti e i suoi toni [3].

Vi è perciò una dimensione ontologica «orizzontale« – molto pronunciata nel pensiero di Ficino – all’interno della quale il discorso musicale e sonoro più in generale si intesse per rivelarsi nell’ordine stesso delle cose, nelle loro relazioni estensive – orizzontali appunto -, fra i nodi di quella trama magica che avvolge l’intera realtà, stabilendo una fittissima rete di vincoli causali, sfuggenti e invisibili solo per l’occhio profano.

Il filosofo vero contempla intensamente questa trama, e più che considerarla uno strumento di dominio sugli enti, scorge in essa una straordinaria narrazione teofanica. La speculazione filosofica si interseca con la dimensione magico-teurgica laddove la disciplina filosofica non può prescindere da un’esperienza anagogica di ascesi dell’ascolto del Creato, la cui variegata molteplicità non è frammentazione di un ente inerte, ma manifestazione vivente, totalità di relazioni e corrispondenze. Ficino tradusse il De Sacrificio et Magia di Proclo – pubblicato nel 1488 – il cui esordio illumina con estrema chiarezza i fondamenti qualitativi della «simpatia universale» e le sue valenze conoscitive.

Come quelli che amano, partendo da ciò che di bello appartiene al mondo sensibile e compiendo un’ascesa progressiva, arrivano a incontrarsi con l’unico Principio stesso di tutti gli esseri belli e intelligibili, così anche coloro che praticano l’arte ieratica, capendo, in base alla simpatia che esiste in tutte le cose visibili, che tutto è in tutto, fondarono la scienza ieratica, ammirati al vedere che i termini ultimi sono presenti nei primi e negli ultimi i primi, che in cielo le cose terrestri esistono contenute nelle cause da cui traggono origine e secondo la modalità celeste, mentre sulla terra le cose celesti esistono in modo terrestre.

Non è forse questo il motivo per cui il girasole si muove in sintonia con il sole e il seleniotrópion in sintonia con la luna, compiendo la propria rivoluzione, nei limiti delle proprie possibilità, insieme con le lampade del mondo? Infatti tutte le cose, al livello che è loro proprio, pregano e inneggiano ai termini primi delle serie universali, o secondo la modalità intellettiva o razionale o naturale o sensibile. Anche il girasole infatti si muove in quanto è flessibile e, se uno fosse in grado di percepire con l’udito l’attrito che si crea con l’atmosfera nel suo volgersi in senso circolare, si renderebbe conto che esso con questo suono offre al Re una sorta di inno, quale può essere cantato da una pianta [4].

Fra le fonti essenziali per comprendere Ficino, le Enneadi di Plotino hanno senz’altro un posto di primissimo piano. Il terzo libro del De Vita, il De Vita Coelitus Comparanda è integralmente concepito come un commento a Plotino e si apre con un’esposizione della teoria dell’anima del mondo intesa come deposito di tutte le virtù seminali, mediatrice fra il corpo e l’intelletto divino e principio vitale. In quanto mediatrice, la dimensione animico-vitale è essenziale per ascendere fino ai gradi celesti poggiando sui gradini di una scala di risonanze analogiche. Anche in questo caso, alcuni passi delle Enneadi risultano estremamente pregnanti e significativi.

Ma come spiegare le forze magiche? Mediante la simpatia: fra le cose affini regna naturalmente un accordo e fra le dissimili un contrasto. (…) L’amore è il primo mago e stregone. (…) Se immaginassimo un tale mago fuori dell’universo, egli non potrebbe esercitare più la sua arte magica coi suoi incantesimi e i suoi scongiuri; ma poiché egli non lavora in un luogo, diciamo così, diverso dal mondo, egli ha il potere di attrarre poiché sa in che modo una cosa, dentro il vivente, sia portata verso l’altra. (…)

Il sole, o un altro astro, non avverte la preghiera e la preghiera viene esaudita perché una parte dell’universo è in simpatia con un’altra, come in una corda tesa, nella quale la vibrazione dal basso si trasmette in alto; spesso, anzi, mentre una corda vibra, l’altra ne ha, per così dire, la percezione, a causa della consonanza e anche perché è accordata alla stessa armonia. E se da una lira la vibrazione si trasmette persino in un’altra – a tanto giunge la simpatia! – anche nell’universo regna un’unica armonia, sebbene essa derivi dai contrari: essa nasce anche dai simili come dai contrari, poiché tutte le cose sono affini [5].

2. Se le opere di Platone, della tradizione pitagorica, di Giamblico, Plotino, Proclo e Sinesio fra gli altri, sono indispensabili per identificare l’orizzonte filosofico di Ficino, il De Radiis di al-Kindi è imprescindibile per comprendere in che modo questo orizzonte teorico si saldi alla pratica ed agli interessi operativi di Ficino, tanto più sul versante musicale. Al-Kindi [6], alla cui opera Ficino attinse a piene mani, fornisce numerosi esempi del grado di interpenetrazione e condizionamento speculare che la realtà, a tutti i livelli, rivela all’occhio attento del filosofo della natura. Il capitolo IX del De Radiis, dedicato ai sacrifici animali, esemplifica e riassume perfettamente molti dei capisaldi essenziali di questa trama, che proprio perché rigorosamente obbediente a leggi e vincoli ben delineati, adombra i contorni di una scienza magica vera e propria che si estrinseca nella cosiddetta magia naturale [7], scienza fisica – seppur sottile – a tutti gli effetti.

(…) l’uccisione dell’animale con l’intenzionalità di chi lo uccide e con gli altri riti solenni richiesti, effettua con più efficacia degli altri sacrifici ciò che è nell’intento, il che sembra avere una ragione naturale.

Infatti ogni animale ha un centro, un’unità reggitiva ed una complessione proporzionata nelle sue parti , grazie alla quale è costituito simile allo stesso mondo elementare nel suo insieme, che ha un centro, un’unità reggitiva ed una complessione proporzionata nelle sue parti che sortisce dall’armonia celeste, la quale produce in tal modo il mondo degli elementi e similmente ogni animale e tutta la sua condizione. Ne segue che, finché vive, l’animale plasma le parti del mondo elementare con i propri raggi ed agisce a suo modo su di esse come su una materia. Ora, quando muore naturalmente, con la sua morte non muta il mondo se non in relazione a ciò che la natura universale mostra nel proprio corso. Quando invece muore per azione dell’uomo, contro il corso della natura, la materia del mondo incorre in una mutazione contro natura, per cui , così alterata, in una sua parte è resa atta alla ricezione di un moto ed una forma che secondo il corso naturale non avrebbe dovuto ricevere. Per cui l’immaginazione umana, l’intenzione ed il desiderio, concorrendo con l’opera di messa a morte dell’animale, sortiscono l’effetto di un tema natale, quando fa mostra della solennità richiesta.

Infatti, l’immaginazione umana e l’intenzione a proposito della materia da muovere e plasmare con un’operazione più esteriore, hanno potere perché sorgono nell’uomo che è ed è detto microcosmo in ragione del suo centro, la sua unità complessa e la totalità delle realtà accolte nell’immaginazione, grazie alla quale è simile al mondo nel suo insieme in virtù ed effetto. E quando è offerto un sacrificio dell’uomo, quel potere è raddoppiato per la suddetta causa. [8]

Così come esiste un’anatomia macrocosmica che studia le forze che regolano la vita pulsante del mondo, i cui cicli sono qualitativamente affini a quelli umani [9], esiste parimenti un’astronomia microcosmica che scruta le virtù seminali e causali che si esprimono in primo luogo attraverso la vita psichica degli uomini. «L’immaginazione è un astro nell’uomo« [10], così avrebbe poi insegnato Paracelso, e così suggerisce prima di lui al-Kindi quando parla dell’atto sacrificale inteso come creazione di un «tema natale». In buona sostanza entrambi alludono alla creazione di una forza causale, «astrale» appunto, una potenza seminale che tuttavia può essere attivata solo in virtù della fede e della «forza intenzionale» che l’operatore è in grado di mettere in gioco, agendo nel contempo, in modo mirato, sulle qualità della natura, sulle sue signaturæ [11].

D’altra parte, per conseguire l’effetto si esige sempre l’intenzione di colui che li recita e l’immaginazione della forma che egli desidera sopraggiunga alla materia in modo attuale attraverso l’emissione del suono. Dopo di che bisogna sapere che, sebbene tutti i suoni esistenti in atto significhino la totalità del reale, alcuni designano più espressamente alcune cose piuttosto di altre, il che in alcuni casi è conosciuto in modo evidente [12].

L’uccisione rituale e il sacrificio in genere – e perciò anche una certa musica «sacrificale» in quanto rito del sacrum-facere – aprono un varco nell’ordine del reale. Nel primo caso, si tratta di atti che interagiscono con le leggi della natura ma che in qualche misura, come evidenzia al-Kindi, agiscono contro di essa, «contro natura», nel senso che creano delle zone di resistenza, di interferenza ed arresto del flusso naturale ordinario. L’animale che muore «naturalmente» si inserisce nella concatenazione ordinaria degli eventi. L’animale ucciso intenzionalmente spezza temporaneamente e provvisoriamente un equilibrio. Nel caso del musico, invece, l’azione rituale s’inserisce nella trama della natura e ne amplifica selettivamente le virtù e le qualità intrinseche. Comunque, l’atto sacrificale – inteso appunto in senso lato – «apre un varco» entro cui si incunea la volontà e l’intenzione del sacrificatore, che impregna il flusso degli eventi con la potenza dei principi seminali artificiali, delle cause indotte e prodotte «ad arte».

Ficino non manca di riecheggiare le osservazioni di al-Kindi a proposito dell’immaginazione e del ruolo determinante giocato dall’intenzionalità dell’operatore [13], ma è proprio sul versante musicale e sonoro che l’influenza della filosofia naturale di al-Kindi su Ficino si rivela particolarmente incisiva.

Poiché dunque gli uomini credono che le parole diano luogo ad un effetto di movimento, diciamo a questo proposito che i suoni prodotti in atto emettono raggi come ogni altra realtà attuale e per loro tramite agiscono nel mondo degli elementi alla stregua delle altre realtà individuali. (…) e a loro volta i suoni traggono il proprio effetto dall’armonia celeste, come avviene anche per le piante e le altre realtà, e similmente tali effetti hanno, in diverse circostanze, qualità proprie, del tutto diverse le une dalle altre. Vi sono infatti suoni che favoriscono l’azione di Saturno o di Giove, di Marte, del Sole, di Venere, di Mercurio o ancora della Luna [14].

Analogamente, secondo al-Kindi, vi sono suoni che promuovono e favoriscono l’estrinsecazione delle potenze connesse alle figure celesti dello zodiaco, altri ancora avrebbero efficacia sui quattro elementi e sulle diverse specie vegetali e animali, secondo una teoria di «magia simpatica» la cui sostanza – come si è già detto – è di natura eminentemente armonica ed agisce per «irraggiamento» ed affinità qualitativa.

Ma i suoni differiscono nei loro effetti in molti altri modi ancora e tuttavia ad ognuno i suoi poteri sono conferiti dall’armonia celeste, che dispensa la realtà del mondo costituito di elementi conformemente alla propria diversificazione [15].

Ma le osservazioni di al-Kindi si spingono oltre, fino alla formulazione di una teoria del linguaggio celeste e delle sue virtù occulte, fondata su una scienza delle qualità sonore. Per al-Kindi, i suoni denotano la realtà in un duplice senso.

L’assegnazione di un determinato suono all’espressione di una certa cosa deriva dunque in primo luogo dall’armonia celeste, poi, attraverso essa, dalla complessione degli uomini. D’altra parte un suono reso significativo e condotto a denotare, per l’assegnazione e la consuetudine degli uomini, riceve da ciò una proprietà che non aveva prima di divenire significativo [16].

Esiste dunque una designazione celeste delle cose e delle qualità e ne esiste un’altra che è frutto delle convenzioni umane, e la cui gradazione di vicinanza all’archetipo sonoro-denominativa è variabile. La conoscenza della «virtus significationis» di un nome risulta tanto più efficace e suscettibile di agire sul reale quanto più la designazione convenzionale si avvicina al nome celeste che designa la qualità occulta ed essenziale dell’ente.

Così dunque ogni suono, che ha un significato per attribuzione degli uomini, ne ha anche uno per assegnazione dell’armonia celeste, sebbene piuttosto frequentemente nei due casi significhi un’altra cosa o in un altro modo. Ma quando in un suono coincidono il significato conferito dall’armonia celeste e dagli uomini, raddoppia la sua capacità significante. Se infatti il nome «homo» avesse dall’armonia celeste il significato di uomo, come l’ha per l’attribuzione dei latini, una volta proferito, con i suoi raggi opererebbe sulla materia con duplice virtù, vale a dire naturale ed accidentale, e così si mostrerebbe più potentemente nell’effetto, e lo stesso vale per tutti gli altri nomi [17].

Si spiega così il potere magico, la ragion d’essere d’ordine celeste di quelle formule incantatorie, apparentemente prive di senso linguistico. Si tratta degli «asema onòmata» dei papiri magici greci, o degli «onòmata barbara» che gli Oracoli Caldaici (fr. 150 «non cambiare mai i nomi barbari») vietavano severamente di mutare. Ficino, nel XXI capitolo del De Vita Coelitus Comparanda non manca di ricordare questa raccomandazione [18], citando a tal proposito un altro passo di Giamblico [19].

La teorizzazione di al-Kindi si articola ulteriormente fino al piano dei nessi grammaticali, ma per quel che concerne il nostro approfondimento, è sufficiente averne delineato l’impostazione di fondo, che poi Ficino fece propria.

3. In Ficino, questo gioco cosmico di equilibri armonici investe appieno anche la compagine psicofisica dell’uomo, talvolta rappresentata e descritta attraverso immagini musicali. La salute dell’uomo – intesa nel senso più ampio e comprensivo – è soprattutto un adeguamento, un’imitazione e un’assimilazione armonica.

Come infatti le cose assai equilibrate nelle qualità e al tempo stesso aromatiche rendono equilibrati sia gli umori fra loro, sia lo spirito naturale con se stesso, così gli odori di tal fatta operano sullo spirito vitale, e così ancora i canti amorosi sullo spirito animale. Mentre dunque regolate le corde e i suoni della lira, e i toni della voce, in modo simile pensate di regolare internamente il vostro spirito [20].

Molto frequenti le osservazioni concernenti l’aspetto microcosmico-medico della musica, laddove l’arte medica non esaurisce il proprio compito nella cura del corpo, ma esprime il meglio della sua scienza nella medicina mentis. I tre libri Sulla Vita di Ficino, possono essere letti come un vero e proprio «vademecum armonico» volto al conseguimento – da parte dell’uomo – dell’equilibrio «musicale» sul piano corporeo, spirituale ed animico.

Mercurio, Pitagora, Platone prescrivono di tranquillizzare e sollevare l’animo confuso o rattristato con il suono della cetra e con il canto, soavi e armoniosi. David poi, poeta sacro, liberò Saul dalla follia con il salterio e con i salmi. Anch’io, se ora è lecito paragonare l’infimo al sommo, provo spesso a casa quanto la dolcezza della lira e del canto possano contro l’amarezza dall’atra bile [21].

D.P. Walker ha rilevato [22] come per Ficino la musica giocasse un ruolo insostituibile per rettificare gli equilibri della compagine umana. Essa agisce sullo spiritus individuale, su quella parte più sottile del sangue cui dobbiamo l’attività immaginativa, motoria e sensoriale dell’anima umana. Se l’alimentazione e la condotta della vita incidono sulla parte più grossolana del sangue umano, la musica va a sollecitarne invece proprio la parte più volatile, sottile e spirituale, più prossima alle potenze dell’anima. A sua volta, la virtù penetrativa e mediatrice dell’anima – se condotta al massimo grado di purezza – propizia un buon funzionamento del complesso sensoriale, la cui attività si riverbera immediatamente sulla lucidità del ragionamento e sull’acume delle intuizioni. Allo spiritus individuale corrisponde macrocosmicamente lo spiritus mundi, vettore per eccellenza degli influssi vitali, mediatore fra tutti gli elementi, «un corpo sottilissimo, quasi un non-corpo e quasi già anima, e similmente quasi non-anima e quasi già corpo» [23]. Spetta a esso garantire il rapporto di continuità conoscitiva fra l’uomo ed il cosmo, fino al punto che uno spiritus individuale altamente raffinato e purificato è in grado di condurre l’esperienza oltre le barriere fra io individuale e cosmo, portando alla conoscenza diretta, per compenetrazione, delle qualità delle cose.

(…) il mondo vive e respira, e a noi è possibile assorbire il suo spirito, conforme per sua stessa natura a quello, soprattutto se è reso anche più affine con arti umane, cioè se riesce ad essere celeste. E riesce invero ad essere celeste, se si purifica dalle sozzure e da tutte quelle cose che gli sono attaccate e sono dissimili dal cielo [24].

L’uomo, grazie a un processo di unione empatica e vitale, diviene egli stesso partecipe della qualità che conosce all’esterno. Si tratta di un vero e proprio fenomeno di «risonanza», come già si è potuto evincere dai passi citati da al- Kindi. Il grado di sottigliezza dello spiritus individuale fa sì che l’ente esterno cui l’uomo va incontro nel mondo esterno induca uno stato di «risonanza simpatica» in ciò che vi è di analogo all’interno della sua compagine microcosmica, grazie al fatto che quest’ultima riflette e sintetizza l’intero universo. Così, l’uomo conosce le qualità delle piante delle pietre e degli elementi per virtù unitiva e di consonanza armonica. In certa misura egli è e diviene la pianta, il minerale o la creatura animata che osserva e di cui ridesta la presenza analogica all’interno di se stesso.

Invero solamente i sacerdoti di Minerva, solamente coloro che vanno in cerca del proprio bene e delle verità sono così negligenti, o infamia, e così disgraziati, che sembra che trascurino del tutto quello strumento con cui possono in un certo modo misurare e abbracciare tutto l’universo. Strumento di tal fatta è proprio lo spirito, che dai medici è definito un vapore del sangue, puro, sottile, caldo e chiaro. [25]

Abbiamo così identificato nella forza dell’intenzione volitiva dell’operatore e nel potere connettivo dello spiritus – individuale e superindividuale – i due capisaldi dell’azione incantatoria e sottile in genere. Su questo versante – maggiormente caratterizzato in direzione della magia naturale – Ficino è debitore soprattutto alla rilettura dell’orfismo, all’approfondimento della teurgia neoplatonica di Giamblico (di cui realizzò una notissima traduzione del De Mysteriis [26] ) e delle dottrine Caldaiche, e infine alla trattatistica sulla magia. A tale proposito basti citare nuovamente il De Radiis di al-Kindi, che riserva alla magia sonora ed ai suoi effetti un posto di primissimo piano. In realtà, anche nel caso di Ficino, sarebbe corretto parlare più in generale di una «magia sonora» all’interno della quale la musica occupa un suo posto preciso, accanto alle formule incantatorie, alla magia dei nomi ed alle altre tecniche di azione sottile poggianti sul fattore sonoro e su una forte carica emotivo- immaginativa.

Il canto poi, concepito con questa virtù, opportunità, intenzione, non è quasi niente altro che un altro spirito concepito testé in te accanto al tuo spirito e fatto solare, attivo, in forza del potere solare, ora su di te, ora su chi ti è prossimo. Se infatti il vapore e lo spirito emessi per mezzo dei raggi degli occhi o in altro modo possono talvolta incantare, contaminare e influenzare in altri modi chi è vicino, con questo modo più efficace lo spirito che fluisce abbondante dall’immaginazione e insieme dal cuore, è più ardente ed ha più vigore nel movimento; tanto che non è affatto strano che in questo modo si possano talvolta allontanare o arrecare alcune malattie dell’animo e anche del corpo, soprattutto perché un siffatto spirito musicale tocca da vicino ed agisce sullo spirito che è medio tra il corpo e l’anima e trasmette senza intermediari ad entrambi il suo influsso [27].

Questo passo, oltre a riproporre alcune delle tematiche già identificate in precedenza, è essenziale per comprendere determinate peculiarità della speculazione musicale di Ficino. Colpisce il rilievo che egli attribuisce al «rituale» musicale, la cui potenza parrebbe addirittura superiore a quella delle immagini. Un orientamento, si sarebbe tentati di soggiungere, persino in controtendenza rispetto alla pleonastica ricchezza iconologica della sua epoca. In realtà il senso di questa priorità – relativa, è bene sottolinearlo – è legato alla collocazione stessa della musica all’interno della gerarchia delle qualità attrattive, a loro volta ricollegabili ai pianeti.

Poiché in verità, come sette sono i pianeti, così sette sono anche i gradi attraverso cui si esercita l’attrazione delle cose superiori su quelle inferiori; le voci e i suoni occupano il grado di mezzo e sono dedicati ad Apollo «ovverosia al Sole». Il grado più basso lo occupano le materie più dure, le pietre e i metalli, e sembra che si riferiscano alla Luna. Il secondo gradino nell’ascesa lo occupano i composti di erbe, di frutti degli alberi, di gomme, di membra di animali; e rispondono a Mercurio, se in cielo seguiamo l’ordine dei Caldei. Nel terzo grado troviamo le polveri più sottili e i loro vapori scelti dai materiali che abbiamo detto sopra e semplicemente gli odori delle erbe e dei fiori e degli unguenti che appartengono a Venere. Il quarto grado è occupato dalle parole, dai canti, dai suoni, tutte cose che giustamente sono dedicate ad Apollo, più degli altri protettore della musica. Il quinto grado è il luogo dei forti concetti dell’immaginazione, delle forma, dei moti, degli affetti che sono in rapporto con la potenza di Marte. Nel sesto gradino si trovano i discorsi della umana ragione e le deliberazioni ponderate che appartengono a Giove. Il settimo grado è costituito dalle intelligenze più segrete e semplici, ormai quasi separate dal moto, congiunte alle cose divine, destinate a Saturno, che giustamente gli Ebrei chiamano Sabath, cioè il nome della «quiete». [28]

La ragione di questa «priorità relativa» del senso uditivo è ulteriormente chiarita da un passo del Commento al Convito di Platone [29], in cui Ficino traccia una precisa gerarchia epistemologica, ricollegando i sensi alle qualità che contraddistinguono ciascun elemento. Ficino propone due triadi, la prima animica, la seconda corporea. Della prima triade fanno parte la ragione, la vista e l’udito, della seconda, l’olfatto, il gusto ed il tatto. Alla ragione corrisponde la Divinità, alla vista il fuoco, all’udito l’aria, all’olfatto i vapori (aria+acqua), l’acqua corrisponde al gusto e la terra al tatto. La collocazione mediana dell’udito, e per conseguenza della musica, risulta né troppo distante dal corpo né dall’anima, ovverosia in grado di influire su entrambi, più incisivamente di quanto potrebbe la vista, troppo lontana dalla sfera corporea e maggiormente adatta a «muovere l’animo» verso le cose alte [30]. Alla musica – come allo spirito vitale, mediatore tra anima e corpo – spetta un posto mediano. Non diversamente dallo spirito, dunque, la musica, in virtù del suo carattere aereo, è in grado di raggiungere anima e corpo, di armonizzarli e di far sentire su entrambi il proprio influsso, come prova l’esempio – prediletto da Ficino – di David che grazie al suono della cetra guarisce la follia di Saul, allontanando lo spirito malvagio che lo assedia. [31]Un esempio che lo stesso Ficino non avrà mancato di accostare idealmente allo «sciamanesimo terapeutico» praticato dai pitagorici e testimoniato anche nella Vita di Pitagora di Giamblico.

Quel che però preme a Ficino è sgombrare assolutamente il campo da ogni deriva verso la magia «nera» o stregonesca. La magia sonora cui egli guarda è naturale per definizione, in quanto agisce in ossequio alle leggi della natura, né più ne meno di quanto possa accadere per una qualsiasi meccanismo o congegno che sfrutti la forza fisica degli elementi [32]. Il musico non adora le stelle né crede che esse siano indotte a elargire doni agendo sulla loro volontà, ma per semplice «influsso naturale» [33]. Ficino identifica tre regole che occorre osservare per «accordare il canto alle stelle». Le prima è la conoscenza delle qualità e delle virtù di pianeti, delle costellazioni e degli aspetti zodiacali. La seconda concerne l’identificazione delle medesime qualità nei luoghi, nelle singole persone, in modo da stabilire i canti idonei per ogni ambito, circostanza ed essere. La terza è la conoscenza dei tempi e della progressione quotidiana delle configurazioni celesti, così da riconoscere sempre quale sia il vincolo di concordanza che lega ad esse gli atti e le inclinazioni degli uomini e dei popoli. Il musico vero, dunque, è insieme astrologo, filosofo della natura e «psicologo». E nella misura in cui conosca le virtù segrete e occulte delle parole e dei suoni – le loro concordanze con i ritmi cosmici, l’ethos che contraddistingue la qualità astrale di ciascun canto e le possibilità concrete di attivare tali virtù – egli sarà anche mago e terapeuta.

Ricorda che il canto è il più potente imitatore di tutte le cose. Esso infatti imita le intenzioni e le affezioni dell’animo, e le parole, riproduce anche gesti, movimenti, atti e costumi degli uomini; imita e compie tutte le cose con tanta forza, che induce immediatamente sia colui che canta, sia coloro che ascoltano ad imitare o compiere le medesime cose. Ancora, per la medesima virtù, quando imita le cose celesti, da un lato invero in modo meraviglioso conduce il nostro spirito verso l’influsso celeste, da l’altro poi l’influsso verso il nostro spirito. Già invero la materia stessa del canto è più pura e assai più simile al cielo della materia di una medicina. È infatti aria, calda o tiepida in verità, che ancora spira e in un certo modo vive, composta nelle sue parti e membra come un animale, e non solo ha in sé il movimento e manifesta l’affetto, ma porta in sé anche un significato, quasi di una mente, tanto che si può in un certo senso definire un animale aereo. Il canto dunque, pieno di spirito e senso, se per caso, o secondo i suoi significati, o secondo le sue articolazioni e la forma che risulta da queste articolazioni, o anche secondo l’affetto dell’immaginazione, corrisponde a questa o a quella stella, ne trae una virtù non minore che qualsiasi altra composizione e la trasferisce nel cantante, e da questo in chi l’ascolta da vicino, fino a quando il canto conserva il suo vigore e lo spirito di chi canta, soprattutto se il cantore è, di natura, febeo, e possiede intensamente lo spirito vitale del cuore e, oltre a questo, quello animale. [34]

Il rispetto delle «regole», se non poggia sulla virtù solare-apollinea del musico, non è di per sé sufficiente. È un punto su cui Ficino insiste molto, quasi a voler fissare i tratti determinanti di un’attitudine psichica e spirituale. In questi tratti apollinei [35] scorgiamo, oltre alla reminiscenza della natura apollineo-iperborea attribuita a Pitagora, una precisa caratterizzazione «luminosa» del musico, della sua capacità «solare» di dominare, discernere ed ordinare le forze semi-oscure sollecitate dalla magia sonora. Il musico di Ficino è un individuo intellettualmente differenziato. Solo il dominio «febeo» delle potenze psichiche cui la musica attinge pone in grado di convogliare e orientare le qualità planetarie, che obbediranno e risponderanno «come una risonanza o una vibrazione provengono da una cetra, o da una parete opposta un’eco» [36].

4. Questa disamina riassuntiva sarebbe incompleta qualora non si ritrovasse il punto di ricomposizione fra la dimensione metafisica e quella magica del suono delineate in principio. In Ficino, questa ricomposizione ha un carattere eminentemente esperienziale. La sua controparte teoretica è saldamente ancorata alle quattro specie di furor – secondo l’espressione latina di Ficino – o manía – secondo la designazione platonica del Fedro. Ficino dedicò uno scritto a tale tematica – il De Divino Furore – che riprese anche nel Commento al Convito. Ficino, fedele alla prospettiva platonizzante, tratteggia i gradi ed i contrassegni di una via mistico-unitiva che sottrae l’uomo alla «moltitudine indeterminata di parti ed accidenti» che ne contraddistinguono la vita corporea, per ricondurlo a un’esperienza di unione nel Principio.

Quattro adunque sono le spezie del divino furore: il primo è il furore poetico: il secondo misteriale cioè sacerdotale: il terzo la divinazione, il quarto è lo affetto dello Amore. La Poesia da le Muse, il Misterio da Bacco, la divinazione da Apolline, lo Amore dipende da Venere. Certamente lo Animo non può a essa unità tornare, se egli non diventa uno. E pure egli è fatto multiplice, perché egli è caduto nel corpo, in operazioni varie distratto, e inclinato alla infinita moltitudine delle cose corporee, il perché le sue parti superiori quasi dormono, le inferiori soprastano le altre [37].

Il furor poetico, assegnato alla Muse, segna il punto di passaggio e di volta sul cammino dalla molteplicità all’unità. È il primo grado di unificazione dei contenuti.

E insomma tutto lo animo di discordia e dissonanza è pregno. Adunque principalmente ci bisogna il poetico furore il quale per tuoni musicali desti le parti che dormono: per la soavità armonica addolcisca quelle che sono turbate: e finalmente per la consonanzia di diverse cose scacci la dissonante discordia, e le varie parti della anima temperi [38].

Che questa dimensione si distacchi nettamente dalla musica «volgare» è ribadito poco oltre da Ficino, che considera quest’ultima una contraffazione dell’autentico furore poetico, volta soltanto a lusingare i sensi [39].

Ficino dichiara apertamente i suoi punti di riferimento in proposito: il Fedro e lo Ione di Platone, un breve dialogo interamente dedicato allo stato di possessione divina che contraddistingue l’enthusiasmos poetico. Ficino studiò e commentò approfonditamente entrambe le opere.

Prima di addentrarsi in una più precisa definizione della fenomenologia che concerne la possessione divina, occorre riandare ancora una volta a una fonte essenziale per Ficino. Il capitolo IX del Terzo libro del De Mysteriis [40] è dedicato al rapporto fra musica ed enthusiasmos. Dapprima Giamblico individua un piano di azione fisica – o al limite «sottile» – della musica e dei suoi effetti, un ambito analogo a quello poi tratteggiato dalla «magia musicale» di Ficino, che – come abbiamo osservato – si colloca su un livello «naturale». Tuttavia – rileva di seguito Giamblico – tutto ciò è estraneo all’autentico enthusiasmos, alla manifestazione del divino. Esistono invece melodie consacrate a ciascuna divinità ed è proprio l’ascolto di tali canti che può risvegliare l’esperienza dell’anamnesi.

Ma non bisogna neppure dire questo, che l’anima consta da principio di armonia e ritmo, perché in questo caso l’enthusiasmo sarebbe proprio della sola anima. Meglio perciò riportare un’affermazione del genere alla teoria che l’anima, prima di darsi al corpo, sentì l’armonia divina; sicché, anche dopo che è arrivata nel corpo, tutte le melodie che sente e che conservano più di tutte la traccia della divina armonia essa accoglie con affetto, da essa trae il ricordo dell’armonia divina, da questa è rapita, con essa si unisce, di essa partecipa quanto più le è possibile partecipare [41].

La ricomposizione dell’armonia animica, sul modello celeste, è uno stadio propedeutico all’unione vera e propria. Interessante osservare che i precedenti platonici richiamati da Ficino alludono a questo stato come a una possessione [42] vera e propria, una follia divina [43] che nella sua forma esteriore poco si distingue dalla follia ordinaria, proprio per il venir meno dei contenuti meramente «umani» dell’intelletto [44]. Ricomposta la condizione armonica, di assenza delle perturbazioni psicofisiche, l’individuo si dispone in quello stato di «ricettacolo vuoto», pronto ad accogliere l’invasamento divino [45], così che è lecito dire che è il dio a parlare attraverso di lui [46].

Per definire i gradi e le caratteristiche di questo percorso estatico, Ficino fa ricorso all’immagine dell’auriga e del cocchio alato, riprese dal Fedro, stabilendo un parallelismo fra i furori ed i gradi di «risveglio» delle funzioni animiche che il carro simboleggia.

Il primo furore «poetico» distingue il buon cavallo, cioè la ragione e oppenione, dal cavallo cattivo, cioè dalla fantasia confusa, e da lo appetito de’ sensi. Il secondo «furor sacerdotale» sottomette il cavallo cattivo al buono: e il buono sottomette allo Auriga: cioè alla mente: il terzo «furor divinatorio» drizza l’Auriga al capo suo, cioè a la unità, la quale è la cima della Mente; l’ultimo «furor amoroso» volge il capo dello Auriga inverso il capo dello universo, ove l’Auriga è beato. E quivi a la mangiatoia, cioè a la divina bellezza ferma i cavalli, cioè accomoda tutte le parti dell’anima a sé suggette: e pone loro innanzi ambrosia da mangiare e da bere il nettare, cioè porge loro la visione della Bellezza divina, e mediante la visione il gaudio. Queste sono le opere dei quattro furori: de’ quali generalmente Platone nel Fedro disputa: e propriamente del poetico furore nel dialogo chiamato Ione: e del furore amatorio nel Convito [47]

Note:

[1] Secondo Paul Oskar Kristeller – «Music and Learning in the early Renaissance», in Studies in Reinassance Thought and Letters, Roma 1969, pp. 451-70 – i testi in cui Ficino sviluppa più approfonditamente le sue riflessioni musicali sono il Commento al Simposio (1468), la lettera De Rationibus Musicae (qui tradotta e datata dal Kriseller attorno al 1484), ed il Compendium in Timaeum (1492 ca.). A questi vanno aggiunte le molte osservazioni contenute nel De Vita Libri Tres (1489) ed un opuscolo giovanile, il De Sono (1454), dedicato essenzialmente alla fisica acustica. Quest’ultimo trattatello, non riportato nell’Opera Omnia di Ficino – Basilea 1576, rist. Bottega d’Erasmo, Torino 1959 – è tuttavia reperibile in P.O. Kristeller Studies in Reinassance Thought and Letters, op. cit. pagg. 79-95.

[2] Ermete Trismegisto, Asclepius, 13. In Corpo Ermetico e Asclepio, a c. di Carlo Tondelli, Mimesis, Milano 1988, pag. 182.

[3] M. Ficino, Sulla Vita, III, cap. 21. Trad. it a c. di Alessandra Tarabochia Canavero, Rusconi, Milano 1995, pag. 272-3

[4] Proclo, I Manuali, Rusconi, Milano 1985, pag. 239-40.

[5] Plotino, Enneadi, VI 4, 40-41. Trad it. A cura di Giuseppe Faggin, Rusconi, Milano 1992, pag. 687-9.

[6] Ya‘qub Ibn Ishaq al-Kindi, filosofo, scienziato e teorico delle arti magiche, vissuto nel IX secolo. Il suo De Radiis fu uno dei manuali di magia maggiormente diffusi in Occidente. Per un inquadramento generale della figura di al-Kindi, ved. Henry Corbin, Storia della Filosofia Islamica, Adelphi, Milano 1973 e 1989, pag. 164-7.

[7] Sul Ficino e la magia naturale ved. Frances Yates, Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica, Laterza, Milano 1995. cap. IV «La magia naturale di Ficino».

[8] Al-Kindi, De Radiis – Teorica delle Arti Magiche, cap. IX. Ed. italiana a c. di Ezio Abrile e Stefano Fumagalli, Mimesis, Milano 1994, pag. 105-7. Sul medesimo passo di al-Kindi, ved. anche le interessanti riflessioni di Ioan P. Couliano, Eros e Magia nel Rinascimento, Il Saggiatore, Milano, 1984, pag. 182 e sgg.

[9] Il Corpus Hermeticum – op. cit. cap. IV – afferma che il mondo è un vero e proprio corpo della divinità. All’uomo spetta il compito di contemplarlo ed ammirarlo. Qualora egli sappia contemplarlo attraverso «gli occhi del cuore», la conoscenza delle opere del Creatore gli dischiuderà la via per la visione delle cose supreme.

[10] Gerhard Dorn, Dictionarium Theofrasti Paracelsi, Francoforte 1584, s.v. Imaginatio.

[11] La «segnatura» di un qualsiasi ente altro non è che l’espressione di una qualità specifica, che manifesta se stessa a livelli diversi della gerarchia ontologica. La medesima qualità solare, ad esempio, si manifesta tanto nel Sole, quanto nei regni della Natura. Così nel regno minerale al Sole corrisponde l’oro, nel regno vegetale gli corrisponde l’eliotropio, in quello animale, il leone. Sul piano della fisiologia umana al Sole corrisponde il cuore, che sul piano epistemologico rappresenta l’intuizione intellettuale. Nel suo libro Sulla Vita, Ficino insiste a più riprese sul carattere Apollineo-solare della conoscenza. La musica stessa è atta soprattutto a risvegliare ed eccitare le qualità «solari» latenti.

[12] Al-Kindi, De Radiis – Teorica delle Arti Magiche, op. cit. cap. VI «Sulla potenza delle parole», pag. 67.

[13] Sulla vita, op. cit. III, 20.

[14] De Radiis, pag. 63- 65.

[15] Ibid. pag. 67.

[16] Ibid. pag. 69.

[17] Ibid. pag. 71.

[18] Scritti approssimativamente durante il II secolo dopo Cristo, gli Oracoli Caldaici erano noti a Ficino grazie a Gemisto Pletone che li raccolse al principio del XV secolo, attribuendoli alla scuola di Zoroastro.

[19] Nel De Mysteriis (VII, 4-5) Giamblico attribuisce a tali nomi un valore di simboli sonori rivelati. Essi avvicinano l’uomo all’essenza, alla potenza ed all’ordine divino.

[20] M. Ficino, Sulla Vita, II, cap. 15. op. cit. pag. 167.

[21] Ibid. pag. 118. È risaputo che Ficino usasse comporre e cantare inni di ispirazione orfica. Ved. D.P. Walker, Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, The Warburg Institute, London 1958, pag. 19 e sgg.

[22] Daniel Pickering Walker, «La teoria dello spirito musicale in Ficino», in La Musica nella Rivoluzione Scientifica del Seicento, a c. di Paolo Gozza, il Mulino, Bologna 1989, pagg. 89-95. Del medesimo autore ved. anche Spiritual and Demonic Magic from Ficino to Campanella, op. cit. I primi due capitoli sono specificamente dedicati alla musica ed alla magia nel pensiero di Ficino. Sul dibattito che le tesi del Walker hanno suscitato, specialmente a proposito della preminenza che egli attribuisce al testo poetico rispetto alla musica, ved. Gary Tomlinson, Music in Renaissance Magic, The University of Chicago Press, Chicago and London 1993, cap. 4, «Ficino’s Magical Songs».

[23] M. Ficino, Sulla Vita, III, cap. 3, op. cit. pag. 198.

[24] Ibid. II, cap. 4, pag. 199.

[25] Ibid. I, cap. 2, op. cit. pag. 100.

[26] Fu proprio Ficino ad attribuire al testo di Giambico il titolo di De Mysteriis Aegyptorum. Il titolo originale era invece «Del maestro di Abammone, risposta alla lettera inviata da Porfirio ad Anebo e soluzioni delle questioni poste in essa».

[27] Sulla Vita, op. cit. pag. 272.

[28] Ibid. pag. 269.

[29] Marsilio Ficino, Sopra lo Amore, ovvero Convito di Platone, V, 2. a c. di Giuseppe Rensi, ed ES, Milano 1992.

[30] D.P. Walker «Lo spirito musicale di Ficino», op. cit. pag.94, cita un brano del Compendium in Timaeum in cui Ficino precisa ulteriormente il suo punto di vista. «La consonanza musicale si fa nell’elemento che è il mezzo di tutti (ovverosia l’aria), e raggiunge gli orecchi attraverso il movimento, movimento circolare: sicché non è sorprendente che essa convenga all’anima, che è sia il medio delle cose che l’origine del movimento circolare. Aggiungi che il suono musicale più d’ogni altra cosa percepita dai sensi trasmette, come fosse animato, emozioni e pensieri dell’anima del cantore o del musico alle anime di coloro che ascoltano; così esso comunica eminentemente con l’anima. Inoltre, per quanto riguarda la visione, sebbene le impressioni visive siano in un certo modo pure, tuttavia mancano dell’efficacia del movimento, e sono più spesso percepite per un’immagine senza realtà; pertanto sogliono muovere gli animi debolmente. Odorato, gusto e tatto sono affatto materiali, e solleticano gli organi sensoriali piuttosto che penetrare le profondità dell’anima. Invece il suono musicale col moto dell’aria muove il corpo: attraverso l’aria purificata anima lo spirito aereo che è il legame del corpo e dell’anima: col sentimento agita i sensi e l’anima nello stesso tempo: col concetto influisce sulla mente: infine, con lo stesso movimento dell’aria sottile penetra con veemenza: per la sua misura fluisce pianamente: per la qualità conforme ci inonda di straordinario diletto: per la sua natura, spirituale e materiale, subito rapisce e rivendica a sé tutto l’uomo».

[31] 1 Samuele, XVI, 14- 23.

[32] La differenza, rispetto alla scienza fisica, consiste nel fatto che il musico ficiniano, platonico-pitagorizzante, non può non essere consapevole dei fondamenti metafisici e delle gerarchie ontologiche che garantiscono la coerenza e l’efficacia del suo agire.

[33] Sulla Vita, op. cit. pag. 272.

[34] Ibid. pag. 271-2.

[35] Non si dimentichi che Ficino dedicò al Sole un intero trattato, il De Sole appunto. In esso, riprendendo le fonti cui fa più abitualmente riferimento – da Pitagora e Platone fino a Dionigi – propone una lettura allegorica ed anagogica del simbolismo solare. Così si esprime Ficino a proposito del Sole, che denomina anche «statua di Dio»: «Penso che per questo presso gli antichi teologi il Sole fosse chiamato Apollo, autore di ogni armonia e guida delle Muse: poiché guida le anime dalla confusione infusa dagli influssi, occulti più che manifesti, dei raggi, li regola armonicamente e li conduce infine all’intelligenza». Marsilio Ficino, Scritti sull’astrologia, a cura di Ornella Pompeo Faracovi, BUR, Milano 1999, pag. 208.

[36] Sulla Vita, op. cit. pag. 272.

[37] M. Ficino, Sopra lo Amore, op. cit. VII, 14, pag. 155.

[38] Ibid.

[39] Ibid. VII, 15, pag 157.

[40] Op cit. pag. 125 e sgg.

[41] Ibid. pag. 126.

[42] Ione, 536 A e sgg. Cito sempre dall’ed. Laterza delle Opere di Platone, a c. di G. Giannantoni. «E un poeta pende da una Musa, altro da altra – noi denominiamo ciò ‘esser posseduto’ (katéchetai) che in linea di massima significa la stessa cosa: ‘essere tenuto’ (échetai); e da questi primi anelli, dai poeti, pendono e ricevono il divino afflato i successivi, chi dall’uno chi dall’altro, chi da Orfeo chi da Museo».

Gary Tomlinson, Music in Renaissance Magic, op. cit. pag. 170 e sgg. svolge una serie di considerazioni approfondite sulla compresenza, nelle descrizioni ficiniane del furor, di fenomeni apparentemente eterogenei come la possessione (occupatio), l’invasamento (infusio), il rapimento (raptus) e la vacatio animae, che segnano tappe ed aspetti della separazione mistica dell’anima rispetto al corpo.

[43] Fedro, 265 A e sgg. «vi sono due generi di delirio, uno prodotto dall’umana debolezza, l’altro da un divino straniarsi dalle normali regole di condotta».

[44] Ibid. 244 A. «Ciò sarebbe detto bene se il delirio fosse invariabilmente un male; ora invece i più grandi doni ci provengono proprio da quello stato di delirio, datoci per dono divino». 244 D. «di tanto la testimonianza degli antichi considera superiore lo stato di delirio che viene da un dio che il senno ch’è proprio degli uomini».

[45] Ione, 533 E e sgg. «Così anche la Musa: solo la Musa forma gli ispirati; e attraverso questi si costituisce una catena di altri, invasi da divina ispirazione. Tutti i buoni poeti epici, non per arte, ma perché ispirati e invasati dalla divinità, esprimono tutti quei loro bei canti, sì come i buoni poeti melici; e come gli agitati da coribantico furore, perso ogni freno razionale, danzano; così i melici, perso ogni freno razionale, compongono quelle loro belle poesie. Non appena colgono un’armonia e un ritmo, si agitano tutti di bacchico furore invasati dalla divinità; e come baccanti che attingono dai fiumi miele e latte, quando sono invasate dalla divinità, avendo oramai perso ogni senno, così l’anima dei poeti melici compie quello ch’essi stessi dicono. Dicono che da fonti di miele, scorrenti da certi giardini, dalle valli selvose delle Muse, portano a noi come api i loro canti, così, come api, a volo. E dicono il vero. Il poeta infatti è un essere leggero, alato, sacro, che non sa poetare se prima non sia stato ispirato dal dio, se prima non sia uscito di senno, e più non abbia in intelletto».

[46] 534 C e sgg. «Non, dunque, per arte cantano, ma per un qual certo potere divino, ché se per arte sapessero parlare bene di un solo argomento, ugualmente bene saprebbero parlare di tutti. Ecco perché il dio li priva dell’intelletto, e li usa come suoi tramiti, i poeti, i vati, i divinatori, sì che noi ascoltandoli, si sappia che non essi sono coloro che dicono cose di sì alto valore, privi di ogni intelletto, ma è lo stesso dio che le dice, che a noi parla attraverso loro«.

[47] M. Ficino, Sopra lo amore, op. cit. 7, XIV, pag. 156.

 

ARMONIE COSMICHE e CONSONANZE MAGICHEultima modifica: 2018-12-26T16:48:31+01:00da mikeplato
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