IL SERPENTE VERDE di J.W. Goethe

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di Francesco Lamendola

La fiaba del Serpente verde e della bella Lilia è un racconto di  Johann Wolfgang Goethe, pubblicato nel 1795 sulla rivista tedesca Die HorenLe Ore»), edita da Friedrich Schiller. Fu posta a conclusione della novella Conversazioni di emigranti tedeschi (1795). Il serpente verde è considerato l’esempio fondante del genere Kunstmärchen, cioè di arte favolistica. La storia, densa di simboli alchemici ed esoterici, ruota attorno alla traversata di un fiume, che rappresenta il divario tra la vita esteriore dei sensi e le aspirazioni ideali dell’essere umano.

Soggetto:

Due fuochi fatui  chiedono a un barcaiolo di essere traghettati al di là di un grande fiume . Dopo che l’uomo li ha esauditi, intendono ripagarlo con delle monete d’oro che essi si scrollano allegramente di dosso dalle proprie fiamme; il barcaiolo però le rifiuta perché può accettare solo i frutti della terra, e chiede loro tre cipolle, tre cavoli e tre carciofi. I fuochi fatui promettono di ripagarlo quanto prima e vengono lasciati andare. Il barcaiolo torna sull’altra riva e va a gettare le monete dentro un dirupo in alta montagna. Al suo interno si trova il serpente verde, che subito le ingoia e diventa estremamente luminoso.

Andando in cerca dei donatori, si imbatte nei fuochi fatui, i quali scuotono via da sè altro oro, che il serpente di nuovo ingoia diventando ancora più brillante. Per riconoscenza indica loro la strada per recarsi dalla bella Lilia, che si trova però dall’altra parte del fiume da dove essi provenivano.

Il serpente torna nella sua voragine, dove in precedenza aveva scoperto un luogo chiuso da uno stretto crepaccio che sembrava contenere oggetti lisci e modellati dall’uomo. Con la sua luminescenza ora riesce in parte a distinguerli: vede tre nicchie contenenti tre statue di re seduti, una d’oro, una d’argento e una di bronzo. Una quarta statua, scolpita in piedi, appare composta da un miscuglio disarmonico di questi tre metalli. Entra nel tempio un uomo anziano con in un mano una lampada singolare che non getta ombre. «Quanti segreti conosci?» gli chiede il re d’oro. «Tre» risponde il vecchio. Il serpente, che conosce il quarto segreto, lo rivela al suo orecchio, al che l’uomo esclama «L’ora è venuta!». Tornato nella sua capanna, il vecchio trova la sua anziana moglie in preda a una grande afflizione, perché è stata appena importunata dai fuochi fatui, i quali per giunta hanno leccato via le pareti dorate della loro abitazione, e hanno schizzato intorno delle monete d’oro che il loro cane ha mangiato, restandone ucciso. La lampada dell’uomo però ha la capacità di trasformare le pietre in oro e gli animali morti in onice, cosicché opera il prodigio, rendendo il cane un’opera d’arte. Solo la bella Lilia, che col suo tocco uccide ogni essere vivente ma può anche dare vita alle pietre preziose, riuscirà a questo punto a far rivivere il cane. La vecchia quindi si mette in cammino per andare da Lilia a portarle il cane, riposto in un cesto insieme a tre cipolle, tre cavoli e tre carciofi, cioè il debito dei fuochi fatui che la vecchia ingenuamente si era impegnata di saldare per loro nei confronti del fiume. Giunta verso mezzogiorno in vista del fiume, si imbatte in un maldestro gigante, che con la propria ombra le sottrae una cipolla, un cavolo e un carciofo, e poi si allontana. Incerta se andare avanti, giunge infine alla riva, dove approda il barcaiolo che ha appena traghettato un giovane, e le dice di non poter accettare la verdura perché manca un pezzo di ciascun ortaggio, a meno che ella prometta di saldare il debito entro ventiquattr’ore. Accettando, la vecchia dà in pegno la sua mano immergendola nel fiume, che diventa tutta nera: presto scomparirà del tutto se lei non manterrà la parola. Raggiungendo il giovane, incuriosita dal suo aspetto regale ma dimesso, la vecchia viene a sapere che anche lui è diretto dalla bella Lilia, e che ha perduto corona, scettro e spada. Insieme attraversano il ponte formato dal serpente che a quell’ora come ogni giorno si inarca sopra il fiume per consentire il transito dei pedoni. Il serpente li segue, accompagnato dai fuochi fatui, finché giungono al giardino di Lilia, sulle rive di un lago.  La splendida ragazza, dal tocco letale, è triste per il suo destino, tanto più che il suo canarino è morto perché inavvertitamente l’ha toccata, impaurito da un falco. Lo dà allora alla vecchia perché lo porti da suo marito che lo trasformi in pietra preziosa con la sua lampada magica. La vecchia le lascia il cane d’onice, che grazie al suo tocco si anima. Il giovane intanto, ingelosito dal cane che ella stringe al seno, si getta tra le sue braccia e ne resta ucciso. Lilia è disperata, mentre il serpente subito circonda col suo corpo il cadavere per rallentarne la putrefazione, e tre ancelle assistono la ragazza per risparmiarle il dolore. La vecchia e i fuochi fatui vengono incaricati di far venire l’uomo con la lampada, che invece poco dopo arriva perché guidato in lontananza dal falco. Una sicura speranza attenua l’ansia generale, finché giunge mezzanotte. Il serpente si mette allora in cammino, diretto al fiume. Il giovane morto viene adagiato nel cesto allargato della vecchia, e tutti i personaggi seguono in processione il serpente; questi, giunto al fiume, fa loro da ponte, dopodiché sull’altra riva il vecchio gli domanda cosa abbia deciso. «Di sacrificarmi prima di essere sacrificato» risponde lui. Lilia a questo punto è in grado di riportare il giovane principe in vita, anche se solo in uno stato di sogno, toccando sia lui che il serpente. Questi si trasforma in un mucchio di pietre preziose che vengono gettate nel fiume. Il vecchio poi guida il gruppo verso le porte del tempio, che sono bloccate da una serratura d’oro, ma i fuochi fatui li aiutano ad entrare leccando via l’oro dalle porte. L’uomo esclama che l’ora è giunta, quindi il tempio inizia a tremare, e viene magicamente trasportato sotto il fiume, emergendo infine sopra la capanna del barcaiolo, che si trasforma in un altare d’argento. L’alba sta sorgendo, e il vecchio invita sua moglie ad andare a bagnare la mano nel fiume perché i suoi debiti sono saldati. Proclama poi che sono tre a dominare sulla terra: la saggezza, la bellezza e la potenza. A quelle parole i tre re si alzano in piedi, ed elargiscono i propri doni, spada, scettro e corona, al giovane principe, che si desta dal sonno. Il quarto re crolla invece a sedere, con le venature d’oro ormai mangiate dai fuochi fatui. Ora che il tocco di Lilia non porta più la morte, il giovane, divenuto re, corre da lei sull’altare, dove sono uniti in matrimonio. «Hai dimenticato che la quarta forza è l’amore», dice il giovane re al vecchio, ma questi osserva: «L’amore non domina ma forma, e questo è ancor più». Guardando fuori dal tempio, vedono che un maestoso ponte permanente si inarca sul fiume: il risultato del sacrificio del serpente. Un ultimo disagio è causato dal gigante, la cui ombra goffa provoca un breve scompiglio tra la folla, ma egli perde infine la sua potenza distruttiva tramutandosi in una poderosa statua che segna le ore del giorno. E «fino a oggi il ponte ha brulicato di viandanti, e il tempio è il più frequentato di tutta la Terra».

Tra le opere di Johann Wolfgang Goethe meno note al pubblico, ancor meno nota – se possibile – dei suoi scritti scientifici, che troppo spesso sono stati accantonati come una specie di curiosità, se non addirittura di bizzarria, vi è una favola lasciata volutamente senza titolo, come se egli la considerasse la propria favola per eccellenza, nota agli studiosi come «Il Serpente Verde». A proposito, fiaba o favola? Secondo la definizione corrente,  la “favola” ha una impostazione più realistica della “fiaba”; mentre in quest’ultima, infatti, compaiono personaggi ed ambienti fantastici, come orchi, fate e folletti, nella prima sia i personaggi che gli ambienti sono realistici, come animali parlanti che evidenziano comportamenti e difetti tipicamente umani: valgano per tutti i celebri esempi di Fedro e di Esopo. Ora, nonostante il carattere “fiabesco” dell’atmosfera generale, questa breve ma enigmatica opera di Goethe sembra inclinare di più sul versante della “favola”, e come tale continueremo a indicarla. Una favola, dunque, nel senso di apologo; nulla a che fare, però, con il genere della «favola dei suoni» di Galileo, contenuta ne «Il Saggiatore»; poiché il lettore si rende conto immediatamente che in essa deve trovarsi un messaggio nascosto, segreto, e che trovarne la chiave è compito suo, perché l’Autore non ha voluto presentargli un insegnamento già bello e fatto, ma sollecitarlo ad impegnarsi egli stesso per attingerne il significato. In particolare, due sono le esegesi che si segnalano della goethiana «Favola del Serpente Verde»: quella di Oswald Wirth e quella di Rudolf Steiner. Entrambe presentano spunti di notevole interesse, pur essendo entrambe caratterizzate da un punto di vista unilaterale: massonico quello di Wirth, antroposofico quello di Steiner, in conformità alle rispettive dottrine iniziatiche. Lasciando perdere, per ora, la seconda, poiché richiederebbe un discorso molto ampio, in quanto Steiner ne faceva il fulcro della sua interpretazione del pensiero esoterico di Goethe e, in un certo senso, anche del proprio, diremo adesso qualcosa della prima. Benché condotta, come si è detto, da un’angolazione totalmente massonica, ciò che può condurre a talune forzature, essa parte da un dato di fatto incontestabile: Goethe fu massone, iniziato nel 1780, a Weimar, quando aveva già trent’anni (era nato nel 1749); la sua, dunque, era stata un’adesione ben ponderata, determinata dalla profonda convinzione di un uomo fatto e non già da un impulso giovanile più o meno passeggero. Ciò, del resto, rientra nel carattere del grande scrittore: pacato, riflessivo, metodico. Su Goethe massone esistono prove certe  e sono disponibili numerosi saggi che trattano la questione; ricordiamo, fra gli altri, quello di Donato Fasoli, «E Goethe aderì alla Loggia massonica», su «L’Unità» del 27/01/2000, che contiene una intervista a Marino Freschi, biografo e studioso del grande poeta tedesco; e Francesco Angioni, «Commento a “I segreti di Goethe”. Viaggio iniziatico nella ricerca della morte» e «Introduzione a J. W. Goethe massone e poeta», sul sito «Pietre – Stones. Rewiew of Freemasonry». Del resto, allusioni alla Massoneria, che all’epoca di Goethe conosceva la sua epoca d’oro, ricorrono anche in altre sue opere, e specialmente nel «Wilhelm Meister»; ma è nella «Favola del Serpente Verde» che, a causa del suo carattere ermetico, è possibile leggervi più incisivi e coerenti rifermenti al sapere delle Logge. Un giorno, forse, qualcuno scriverà la storia dei messaggi che la Massoneria ha voluto inviare, tramite alcuni insigni uomini di cultura, al pubblico, per vedere se avrebbero attecchito e se avrebbero fruttificato: da questa favola di Goethe, al «Flauto magico» di Mozart, passando per numerose altre opere letterarie, musicali e probabilmente anche figurative e architettoniche; ma non è questa la sede adatta per fare ciò, per cui registriamo una tale massiccia, ma ben dissimulata presenza culturale, e procediamo oltre. Scrive, dunque, Owald Wirth, nel suo commento a quest’opera del grande poeta tedesco (Goethe, «Il Serpente Verde», Roma, Editrice Atanòr, 1979, pp. 84-85, 121; dall’edizione francese Dervy, Paris, 1977):

«Innanzitutto conviene domandarsi se il Goethe non si sia divertito a scrivere un racconto enigmatico, per l’unico piacere di incuriosire i contemporanei, e di far loro cercare un esoterismo de quale egli non aveva alcuna intenzione. Goethe si è orientato a lasciar credere che così fosse.  Nessuno ha mai potuto ottenere da lui la minima chiarificazione sul significato del racconto. In una lettera a Schiller, egli si limita a dire: “Poiché i 18 personaggi implicati nell’azione sono altrettanti enigmi, gli amanti di enigmi devono trovare il loro significato.”. Deridendo poi gli sforzi degli esegeti, nel 1797 scriveva: “più di venti personaggi intervengono nel racconto. Che fanno essi dunque tutti quanti? Ilracconto, amico mio”.

Questo mutismo e questa ironia non provano che il racconto non faccia allusione a niente. A contrario, io ho l’impressione che il geniale pensatore vi ha immesso le sue concezioni più intime, quelle che egli non s curava di dare in pasto alle discussioni incompetenti. Avrebbe allora scritto il racconto per gli iniziati, per quelli che hanno appreso a decifrare i geroglifici eterni del pensiero umano.

Al riguardo non dimentichiamo che Goethe era massone. La Loggia AMALIA di Weimar si onora di avergli dato la luce il 23 giugno 1780. Un anno più tardi fu promosso Compagno, poi elevato alla Maestria il 2 marzo 1782, contemporaneamente al suo amico e protettore , il duca Carlo Augusto di Weimar. Il 4 dicembre dello stesso anno, si fece conferire il Quarto Grado scozzese della Stretta Osservanza, e l’11 febbraio 1783 firmò la propria obbligazione come Illuminato(Goethe und die Konigliche Kunst, von Hugo Wernekke, Vormals Meister  vom Stuhl der Loge Amalia in Weimar, Lepzig, Poeschekl et Kniottenberg, 1905).

Ma verso il ventesimo anno, Goethe si era iniziato a tutte le conoscenze misteriose del passato. Appassionato allora per la Kabalah, l’Ermetismo, e soprattutto l’Alchimia, egli si immerse nello studio dei più celebri autori della Rinascenza. Voleva scoprire il segreto delle operazioni della natura e farsi una religione basata sul risultati delle proprie scoperte.

Quale lavoro ha egli compiuto nel proprio spirito, durante i lunghi mesi che gli furono imposti dal deperimento di salute, dal 1768 al 1770? Non è forse da questa epoca che una immaginazione così fertile come la sua si trovò fecondata da germi, che dovevano svilupparsi in seguito?

Noi sappiamo che il racconto non è stato redatto che nel 1795. Ma da quando era in gestazione nella sfera mentale del poeta? Può darsi che tale gestazione sia stata inconscia, sotto o sovra cosciente, se un bel giorno Goethe non ha avuto che da lasciare scorrere contemporaneamente penna e immaginazione, per creare un’opera genialmente coordinata. Egli stesso ha spiegato che le sue più belle poesie furono una sorta di sonnambulismo poetico. Esse si sono presentate sotto la penna senza ch’egli le abbia cercate, e (per così dire) senza ch’egli ne abbia avuto coscienza (Firmery, Goethe, pag. 174; Paris, S. F. d’Imprimerie).

A queste condizioni, lontano dal non curarsi dei lettori del racconto, Goethe ha loro comunicato le profondità segrete del proprio pensiero. Io credo dunque che non bisogna esitar a fare l’autopsia del “Serpente Verde”. È un animale che si decompone in pietre preziose. Cerchiamo di raccoglierne il più gran numero possibile. […]

I simboli sono destinati a far pensare. Alla inerzia spirituale convengono i dogmi od i sistemi errati. Goethe ha molto meditato, come filosofo profondo, non meno che artista geniale. I problemi che lo preoccupavano maggiormente gli hanno ispirato il racconto geniale, che abbiamo rudimentalmente interpretato. Conviene dunque limitare i commentari,facendo appello alle meditazioni individuali degli amici della vera saggezza per perfezionarli. Possa il presente lavoro servire loro di guida, ed aiutarli a far essi stessi la luce nel caos di immagini evocate dinanzi il loro spirito. Se consentono a non evitare la loro pena,  un tesoro sarà la ricompensa, giacché (come dice il favolista)… c’est le fond qui manque le moins

Il Ponte da costruire secondo il sogno di Goethe ha raggruppato in Germania degli adepti, che si sono vivamente interessati alla interpretazione francese del Marchen. In quel paese come in altro, le associazioni iniziatiche si sono dissolte: ciò equivale alla morte del serpente verde e ala sua decomposizione in pietre luminose. Immersi nel Fiume della vita comune, i materiali dissociati scompaiono, ma l’energia costruttiva opera individualmente. Una affinità misteriosa riunisce sul fondo delle acque gli elementi dei pilastri che vivono, costruzioni madreporiche, destinate a sostenere il largo Ponte che unirà in un sol popolo  la folla disparata degli umani.»

Si tratta di un racconto irto di simboli, avvolto in una fitta aura di mistero, che, in verità – ma questa è solo la nostra modesta impressione – non si distingue per particolari pregi artistici, poiché, a differenza del Wirth, che vi vede ogni sorta di bellezze, ci sembra che sia piuttosto caratterizzato da una certa pesantezza esoterica, che ne rende faticosa la lettura.

Ciascuno potrà sbizzarrirsi nell’esegesi di un testo così oscuro, anche se alcuni simboli non sembrano di troppo difficile interpretazione. Molti studiosi, ad esempio, hanno visto nel Fiume il Reno, nella bella Lilia la Francia, culla dell’Illuminismo, e nel nuovo regno felice la Germania, rischiarata dai Lumi del nuovo secolo. Il Tempio sarebbe quello della Massoneria e l’odioso Gigante rappresenterebbe le forze dell’oscurantismo e della superstizione che si sforzano, ma invano, di contrastare il progresso dell’umanità, avviata ad un futuro radioso: l’ottimismo illuministico e massonico trionfa nelle scene finali.

Dal punto di vista letterario, potremmo osservare che lo spirito tedesco sembra particolarmente affascinato da questa particolare versione del romanzo filosofico di matrice illuminista, arricchendolo di arcani umori e di significati profetici e visionari: è, in un certo senso, la stessa atmosfera, o comunque un’atmosfera molto simile, a quella che si respira nello «Zarathustra» di Nietzsche e specialmente nella quarta parte (che, per la verità, è anche quella artisticamente meno felice, appunto perché appesantita da un eccesso di allegoria). D’altra parte, la voluta mancanza di qualsiasi indicazione da parte di Goethe rende la «Favola del Serpente Verde» suscettibile delle più diverse interpretazioni, col risultato che un po’ tutti hanno cercato di tirarla dalla propria parte; come già detto, rimandiamo all’esegesi dello Steiner per una lettura in chiave antroposofica. A noi basta, per ora, aver richiamato l’attenzione su questa strana operetta del grande poeta tedesco, davanti alla quale è difficile non provare un forte senso di curiosità, dovuto alla dimensione esoterica che da essa allusivamente traspare.

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Nelle immagini della Fiaba di Goethe possiamo scorge­re il divenire processuale tri­plice della sostanza aurea. Il processo sulfureo dell’oro inizia ad apparire quando i due fuochi fatui vomitano monete d’oro alla richiesta di compenso del barcaiolo. Il serpente verde le ingoia negli anfratti delle rocce in cui vengono gettate dal barcaiolo, che le rifiuta.… Il serpente se ne ingolosisce e diventa di un brillante verde smeraldo.. I fuochi fatui cosí smagriti si intrufolano nella casa della vecchia e, tra mille moine, leccano le pareti dorate. Il processo sulfureo condensa in sé la brama egoica e, nel versante della dinamica fisiologica degli organismi viventi umani e animali, opera nell’ambito capillare della periferia corporea del sistema del ricambio…Con il dialogo tra il re d’oro e il serpente verde, com­pare la dimensione processuale polare, quella salina.. L’amplificazione viene offerta dal vecchio con la lampada, che ha la facoltà di trasformare le pietre in oro.. Alla dimensione salina fanno riferimento sia il ruolo del vecchio, che suggerisce soluzioni riparatorie, emette sentenze e guida da Illuminato, sia il re d’oro stesso, che fa da eco ad uno dei tre Re Magi, Kaspar, il donatore dell’oro, in memoria dell’epoca paleoindiana. La saggezza ieratica può essere individuata come la qualità del processo aureo salino, rintracciabile, sul piano organico, nell’ambito capillare polmonare…Il serpente verde si attorciglia come in un caduceo fra le due polarità salina e sulfurea dell’oro, e ne contrassegna al contempo la dimensione intermedia, quella mercuriale, nella sua funzione di ponte fra le due sponde del fiume espressa a mezzogiorno, ora solare per eccellenza, e nel suo sacrificio finale. Il processo aureo mercuriale, identificabile nell’ambito capillare del cuore, connota l’in­carnazione dell’impulso cristico e del profondo senso misterico del motto rosacruciano “In Christo morimur”. Il sacrificio del Golgotha costituisce il lievito mercuriale per il divenire del­l’Umanità. Le monete d’oro ricompaiono a sorpresa nel finale della Fiaba, tentazione per tutti i visitatori del tempio. Monete d’oro cadono dal cielo e viene rimessa all’uomo la scelta di operare la realizzazione della fraternità, il valore guida della di­mensione economica nella Tripartizione sociale. Il serpente, in una prospettiva immaginativa, fa da ponte diurno tra la saggezza ieratica e la conversazione goethiana nella dimensione salina; fa da ponte notturno tra la brama egoica e la fraternità nella dimensione sulfurea.. Il serpente verde con il suo sacrificio si trasforma in pietre che, a contatto del­l’acqua, scintillano come stelle, creando un arcobaleno mercuriale per traghettare gli uomini dal sacrificio del Golgotha al senso del sacrificio. Il serpente connette in tre modalità le due sponde del fiume: da una parte la vita fisico-sensibile, dall’altra la vita ultrasensibile. Sta a noi uomini attraversarlo come un triplice processo aureo. Una leggenda narra che l’arcobaleno pesca in una pentola d’oro da cui attinge i suoi colori. Il simbolo alchemico dell’oro, coincidente con quello del Sole, risale all’epoca dell’antico Egitto, e con Horus preannuncia la futura incarnazione dell’Essere Solare. Nella Fiaba la parola “oro” ricorre proprio trentatré volte, in undici triplette distribuite nel corso del racconto. Scorgiamo il sorriso enigmatico dell’Autore, silenzioso custode della chiave della Fiaba.



IL SERPENTE VERDE di J.W. Goetheultima modifica: 2019-01-28T14:50:02+01:00da mikeplato
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