GUENON E LA SUA OPERA (dal saggio Cronologia Ermetica)

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di Mike Plato

Gli inizi, la massoneria e la conversione all’Islam sufico

Preso sotto l’ala protettrice di Papus (Gerard Encausse), indiscusso leader del movimento occultistico francese dal 1888, anno in cui è diventato corrispondente e Segretario della Società Teosofica in Francia, il fìlosofo mistico perennialista francese Rene Guenon (René Jean-Marie-Joseph Guenon, conosciuto anche come Shaykh Abd al-Wahid Yahya dopo la conversione all’Islam), nel 1906, inizia la sua brillante carriera esoterico-iniziatica. Guenon viene ammesso in tutte le varie organizzazioni occulte controllate da Papus, tra cui l’Ordine Martinista. Per un periodo, è fortemente coinvolto nella Chiesa Gnostica a Parigi, dove adotta il nome iniziatico Palingenius e assume il ruolo di vescovo. Su sollecitazione di Synesius, patriarca della Chiesa Gnostica, Guenon crea e pubblica una rivista chiamata La Gnose, di cui è direttore fino al 1912. È in questo periodo, intorno al 1912, che si converte all’Islam attraverso la mediazione di un teosofo svedese di nome John Gustaf Aguéli, pseudonimo Abdul-Hadi, ed è accettato come allievo dall’insegnante di Aguéli, il maestro Abder-Rahman Elish el-Kebir per la preparazione e l’iniziazione in una tarika Sufi. Molti dei biografi di Guenon considerano il 1912 un anno fondamentale nella sua vita, a causa della sua conversione all’Islam e la sua successiva inevitabile rottura con la maggior parte delle organizzazioni occulte con cui era affiliato (persino col Rito antico e primitivo di Memphis Misraim, ovvero la cd Massoneria egizia), per non avervi trovato l’insegnamento esoterico che andava cercando. All’epoca della fondazione della rivista “La Gnose”, aveva istituito un “Ordine del Tempio” che riuniva coloro che come lui avevano rinunciato all’occultismo. Si fece iniziare nella Loggia massonica Thébah di Rito Scozzese Antico ed Accettato all’Obbedienza della Gran Loggia di Francia. Guenon, pur riconoscendo che la Massoneria conteneva una “trasmissione iniziatica reale”, non accettava che la maggior parte dei massoni, dopo il secolo XVIII, professassero il materialismo e manifestassero ostilità nei riguardi delle religioni. Egli scrive sulla Massoneria deviata: «I primi responsabili di questa deviazione, (la Massoneria moderna n.d.r.) a quanto sembra, sono i pastori protestanti Anderson e Desaguliers, che redassero le Costituzioni della Gran Loggia d’Inghilterra, pubblicate nel 1723 e che fecero scomparire tutti gli antichi documenti su cui poterono mettere le mani, perché non ci si accorgesse delle innovazioni che introducevano, e anche perché questi documenti contenevano delle formule che essi consideravano limitanti, come l’obbligo di fedeltà a Dio, alla Santa Chiesa e al Re, segno incontestabile della origine cattolica della Massoneria. I protestanti avevano preparato questo lavoro di deformazione mettendo a profitto i quindici anni che passarono tra il ritiro di Christopher Wren, ultimo Gran Maestro della Massoneria antica (1702), e la fondazione della nuova Grande Loggia d’Inghilterra (1717)». All’inizio della sua ‘carriera tradizionale è ravvisabile un intervento di influenze spirituali islamiche, indù e taoiste, nonché proprie dell’antico centro ritirato della tradizione occidentale, mentre Cristianesimo e Buddhismo non hanno parte in questo processo.

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Le prime pubblicazioni e “Il Re del Mondo”

Nel 1921, Guenon pubblica il suo primo libro, Introduzione generale allo studio delle dottrine Hindù. Nel 1923, Guenon pubblica Il Re del Mondo, il cui oggetto è una delle tante tematiche che Guenon ha svelato. Egli si sofferma su due scritti presistenti: “Mission de l’Inde” di Saint-Yves d’Alveydre e “Bestie, uomini e dei” di Ferdinand Ossendowski, citando inoltre, con scarso entusiasmo, “Les fils de Dieu” di Luis Jacolliot. Sia d’Alveydre che Ossendowski, pur interessandosi ad aree geografiche diverse, suppongono l’esistenza di Agartha, un regno sotterraneo, abitato da iniziati e governato da un monarca con straordinari poteri: il Re del Mondo. Ossendowski riferisce di aver raccolto numerose prove sull’esistenza di questo straordinario impero ipogeo. Alcuni la pongono in India, altri in Afghanistan, altri ancora nell’Asia centrale. Sembra certo, comunque, che Agartha sia un luogo felice, popolato da milioni di anime che coltivano scienza e saggezza; ne è signore il “Re del Mondo”, al quale sono demandati i destini dell’umanità intera.Guenon indica che le tradizioni relative ad un ipotetico regno sotterraneo si ritrovano in vari popoli della Terra. Secondo lui queste tradizioni sono da ricollegarsi al “simbolismo della caverna” e quindi a quello del Cuore, che per antonomasia è il ricettacolo del sangue, il centro dell’Essere Umano e dell’Universo. Fa notare Guenon che anche nella tradizione ebraica vi è l’indicazione di una misteriosa città detta “Luce” (Genesi XXVIII, 19). Vicino all’entrata per la città sotterranea “Luce” vi è un albero, che simboleggia la Vita e la Conoscenza, come i due alberi del Giardino. Per Guenon il titolo di “Re del Mondo”, fa risalire a tradizioni vediche con Manu, il legislatore primordiale, ma anche a miti degli antichi Egizi con Menés o dei Greci con Minos. Questo titolo, per il filosofo francese non designa una persona o entità reale, ma indica un principio, che fa da tramite, tra il mondo del trascendente e il mondo materiale. A tale proposito ricordiamo il titolo di “pontefice” o “costruttore di ponti”, seguendo un termine prettamente massonico, che indica colui che media tra il mondo soprasensibile e quello materiale. Così come il Giardino dell’Eden è divenuto inaccessibile all’uomo, che si è macchiato del peccato, ecco che l’Agarttha è inaccessibile agli uomini, ma è lì che le tradizioni originali e il segreto della nostra origine e della nostra creazione sono mantenute intatte. Tornando al titolo di “Re del Mondo”, Guenon fa anche notare che nella tradizione ebraica, Melkizedek è considerato re e sacerdote allo stesso tempo. Il suo nome significa “il mio re è giustizia”, ma è considerato anche come “re di Salem” ovvero “re della pace”. Questi due attributi sono anche quelli del “Re del Mondo” ovvero di Brahmatma. Guenon, con acuta saggezza, indica che Melkizedek riunisce le tre funzioni dei Re Magi in una sola. In ultima analisi, per René Guenon l’Agartha non è un luogo reale, ed è pertanto inutile andare a cercarlo. Vi sono però notevoli similitudini tra le varie religioni e correnti filosofiche che si riferiscono a centri spirituali, più o meno occulti e inaccessibili. Per Guenon, l’unica spiegazione è che l’analogia tra queste differenti interpretazioni derivi dalle emanazioni di un antichissimo centro di culto e conoscenza primordiale, dal quale si sono poi sviluppate le differenti religioni.

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Altre pubblicazioni e il concetto di “Centro Mistico”

Nel 1924, Guenon pubblica Oriente e Occidente, lavoro in cui più direttamente allude alla funzione che potrebbe avere una élite intellettuale (cioè spirituale, secondo la sinonimia tra i due termini affermata dall’autore) qualora si ricostituisse in accordo a princìpi di ordine metafisico: favorire una «trasformazione mentale» inevitabile per un riavvicinamento tra i modi generali del pensiero orientale e di quello occidentale. Sviluppi di tale argomento in relazione all’esistenza di tale élite in epoca medievale, e alla sua coscienza anche nell’ambito della Cristianità, in relazione ai suoi legami con quello che Guenon definisce il «centro spirituale supremo», o sorgente primordiale di tutte le tradizioni, sono oggetto di libri quali il citato Il Re del Mondo, L’esoterismo di Dante (1925), Autorità spirituale e Potere temporale (1929), San Bernardo (1929), nonchè di numerosi articoli pubblicati sulle rivista «Le Voile d’Isis» ed «Études Traditionnelles», successivamente raccolti nei volumi Sull’esoterismo cristiano (1954) e Simboli della Scienza sacra (1962). Il concetto del Centro da cui si dipartono tutte le rivelazioni come raggi, è un tema molto caro a Guenon. Del Centro primordiale, di un’Identità Suprema, collocata al di fuori di ogni spazio-tempo, con caratteri di totalità, infinitudine, assolutezza, nulla si potrebbe dire, essendo, di fatto, preclusa qualsiasi forma di conoscenza, anche indiretta. Gli uomini che s’ispiravano a tale Tradizione, sostiene Guenon, sarebbero andati incontro ad una sorta di degenerazione a causa di una forma di caduta originaria, che li avrebbe progressivamente allontanati dal Centro primordiale al quale, fino a quel momento, sarebbero stati connessi in sublime unione. Detto centro Guenon lo identificava con la dimora della cosiddetta Tradizione Primordiale, deposito della sapienza metafisica eterna e incontaminata. Un ulteriore allontanamento e diversificazione avrebbe fatto seguito alle vicende della creazione (che egli preferiva chiamare “manifestazione”), generando la forma multipla delle varie religioni, connaturate alle particolari sensibilità dei diversi popoli, civiltà ed epoche, e delle relative rivelazioni connesse. L’allontanamento dell’uomo dal suo Centro, fin quasi a perderne il contatto, sarebbe culminato nell’avvento dell’Umanesimo e della Riforma, per giungere ai nostri giorni, quando la distanza tra messaggio primordiale e chi lo avrebbe dovuto ricevere, si sarebbe fatta incolmabile, suscitando un “regno della quantità”, della materia, in netta e inconciliabile contrapposizione con quello della “qualità” dello spirito.

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L’uomo e il suo divenire

Nel 1925, Guenon inizia la sua collaborazione con la rivista Le Voile d’Isis, poi divenuta Études Traditionnelles nel 1936, allorchè Guenon smette la sua collaborazione. E nello stesso anno, Guenon scrive quello che è considerata la sua opera più profonda, e forse quella che più di ogni altra mostra l’impalcatura del suo pensiero: L’Uomo e il suo Divenire secondo il Vedanta (1925). Il Vêdânta è una delle sei «visioni» (darshana) che, secondo le più antiche testimonianze indiane, ci permettono di capire ciò che è. Tutte vere, ma ciascuna in rapporto a un certo livello della realtà. Il più alto, che consente di inglobare in sé ogni altro, è appunto quello del Vêdânta, «il ramo più puramente metafisico di tali dottrine». Così si può dire che il Vêdânta è una sorta di dottrina suprema. Nessuno ha saputo esporla in Occidente come Guenon, il quale descrive l’obiettivo finale della tradizione iniziatica vedantina: la «Liberazione» (Moksa o Mukti), vale a dire l’universalizzazione definitiva dell’essere. Essa è la realizzazione dello stato supremo ed incondizionato, mentre tutti gli altri stati, anche se elevatissimi, sono sempre condizionati, vale a dire sottomessi a certe limitazioni che li definiscono, che li fanno essere ciò che sono, e che propriamente li costituiscono come stati determinati. L’acquisizione o il possesso di stati superiori, qual che essi siano, non è dunque che un risultato parziale, secondario, contingente; quantunque questo risultato possa apparire immenso se paragonato allo stato individuale umano (e soprattutto a quello corporeo, il solo di cui gli uomini ordinari abbiano il possesso effettivo durante la loro esistenza terrestre), non è men vero che, in se stesso, è rigorosamente nulla se paragonato allo stato supremo, poiché il finito, anche se divenuto indefinito, in virtù delle estensioni di cui è suscettibile, vale a dire in virtù degli sviluppi delle sue proprie possibilità, resta sempre nulla se paragonato all’Infinito. la «Liberazione» può essere ottenuta dallo Yogi (Iniziato) con l’aiuto delle osservanze indicate nello Yoga‑Shutra di Patanjali. La Liberazione è effettiva solo quando implica essenzialmente la perfetta Conoscenza di Brahma; inversamente, questa Conoscenza, per essere perfetta, suppone necessariamente la realizzazione di ciò che abbiamo chiamato l’«Identità Suprema» (Ishvara). Perciò, la Liberazione e la Conoscenza totale ed assoluta sono veramente una stessa ed unica cosa; se si dice che la Conoscenza è il mezzo della Liberazione, si deve aggiungere che il mezzo ed il fine sono qui inseparabili, poiché il frutto della Conoscenza è in se stesso. L’ignoranza è la nemica di ogni realizzazione spirituale e di ogni avanzamento verso l’Essenza Suprema. Il “Sé” (Atma) di colui che ha raggiunto la perfezione della Conoscenza Divina (Brahma‑Vidya), e che ha, per conseguenza, ottenuto la Liberazione finale, lasciando la sua forma corporea, ascende (senza traversare stati intermediari) alla Luce Suprema (spirituale) che è Brahma, ed a Lui s’identifica in un modo conforme ed indiviso, come l’acqua pura si confondende col lago limpido, senza tuttavia affatto perdervisi.

L’attacco al mondo moderno, alla pseudo-spiritualità e alla contro-iniziazione

Dal 1930, Guenon vive al Cairo, ove muore nel 1951. Pur Guenon avendo pubblicato decine di articoli e recensioni in numerose riviste, è meglio conosciuto per le sue opere più importanti pubblicate in forma di libro. La sua opera, estesa in un arco temporale di trent’anni (1921 al 1951), concepita a partire da una ridefinizione in senso tradizionale della nozione di metafisica, intesa come «conoscenza dei princìpi di ordine universale» da cui tutto procede, non si presenta, nelle intenzioni dell’autore, come un sistema filosofico basato sul sincretismo o come la formalizzazione di un pensiero neospiritualistico, ma è volta all’esposizione di alcuni aspetti delle cosiddette «forme tradizionali» (Taoismo, Induismo, Islam, Ebraismo, Cristianesimo, Ermetismo, Libera Muratoria, Compagnonaggio, ecc.), intese come differenti espressioni del sacro,  funzionali allo sviluppo delle possibilità di realizzazione spirituale dell’essere umano. In ogni modo, per una preparazione veramente particolare in fatto di tradizioni religiose, miti e simbolismi e specialmente di dottrine orientali, l’opera del Guenon non è da paragonarsi a quella di altri che hanno trattato problemi analoghi. La posizione del Guenon è accettare o meno un dato sistema di riferimento. Chiuso nella tenaglia del materialismo, l’Occidente negli ultimi decenni è stato preso da un anelito confuso verso qualcosa di «altro», non sapendo però giungere che a forme equivoche, superstiziose e inconsistenti le quali, contraffacendo la vera «spiritualità», hanno costituito, alla fine, un pericolo altrettanto reale quanto quello del materialismo contro cui erano partite. È così che il Guenon, per primo, ha creduto opportuno prendersela con i neospiritualismi, pseudo-iniziazioni, contro-iniziazioni, contro-tradizioni più in voga, eseguendone una demolizione sistematica: Teosofismo, Spiritismo, Metapsichica, sincretismo e in generale l’intero mondo moderno profano e totalmente distaccato dal Centro Mistico. Primo a cadere sotto i suoi colpi è stato lo spiritismo.

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L’attacco allo Spiritismo

In nessun altro libro se non nel suo L’Erreur Spirite (Errore dello Spiritismo, 1923) si trova un’analisi così dettagliata del fenomeno spiritico. Con questo saggio, Guenon cessa le sue ricerche in ambito occultistico e spiritistico, e fornisce una definizione circostanziata dello spiritismo, esaminandone le origini storiche e le correlazioni con l’occultismo. Vi fu all’epoca il boom dello spiritismo, mentre dall’oriente giungevano echi di conoscenze millenarie riassemblate a beneficio della borghesia europea: il movimento Teosofico. Inoltre, le rinnovate logge massoniche ed innumerevoli ordini iniziatici conquistarono i rampolli dell’alta società, ed iniziava così quel processo, che dura ancora ai giorni nostri, che avrebbe reso familiari tali tematiche anche agli strati più vasti della popolazione. Rene Guenon sente quindi la necessità di stabilire un termine consono per definire queste nuove correnti, per poterle così distinguere dagli ordini autenticamente tradizionali che tramandavano quella che lui definiva l’autentica spiritualità. Quello che effettivamente differenziava i movimenti neospiritualisti era la superficialità con cui si approcciavano al sapere arcaico ed esoterico, e sopratutto il grande malinteso di cui si fecero portatori, ovvero l’aver scambiato lo psichico per lo spirituale (per questo Guenon fu anche critico verso la Psicologia e Jung). Due universi che potevano sembrare equivalenti per chi aveva fino ad allora vissuto di solo positivismo, queste due realtà rappresentano invece le due direzioni verso cui l’animo umano può tendere: il mondo psichico è il mondo popolato dai “demoni”, quelle stesse entità che facevano la loro comparsa una volta evocate nelle sedute spiritiche; mentre il mondo spirituale racchiude in sé la realtà celeste, la dimora dell’ Uno da cui tutte le cose create hanno tratto origine, e con cui, secondo le autentiche scienze tradizionali, le stesse creature dovranno ricongiungersi. Egli non contesta la realtà dei fatti, ritenendosi anzi fondato ad ammettere molto più di quel che non possa qualsiasi spiritista, tuttavia afferma che tali fatti (medianità, ecc.) non hanno nessun valore spirituale (avrebbe detto la stessa cosa dei moderni UFO); che ogni interesse extrasperimentale per essi è malsano e incentivo di degenerescenza; che l’ipotesi spiritica oltre che arbitraria, è in sé stessa contraddittoria e che è soltanto aberrante la pseudoreligione che in certi ambienti ne deriva. I fenomeni su cui si appoggia, o almeno i più comuni di essi, possono per giunta essere facilmente ottenuti da tutti, e pescano nello psichismo astrale, nel basso astrale, che è il regno delle forze maligne e ingannevoli. L’aver prediletto l’introspezione psichica a scapito della elevazione spirituale, avendo confuso le due realtà, è quindi stato l’errore che i movimenti neospirituali hanno trasmesso fino ai giorni nostri. Guenon dimostra come i fenomeni spiritici siano confinabili al mondo delle forze psichiche o basso-astrali attirate dalla figura del medium, non avendo quindi alcuna relazione con l’immaginario mondo degli «spiriti dei morti». L’origine dello spiritismo risaliva, secondo Guenon, alla H.B. of L. (Hermetic Brotherhood of Luxor). Secondo Guenon, lo scopo della H.B. of L. era di opporsi al materialismo spingendo su “fenomeni” che, da tempo noti, avevano delle cause e delle spiegazioni ben diverse da quelle che lo stesso spiritismo suggeriva. Ora, questa azione sfuggì di mano alla H.B. of L., il che testimoniava del fatto che quest’ultima associazione era composta d’iniziati di rango minore, troppo interessati al lato psichico – infatti l’origine della H.B. of L. era “ermetizzante”, se non proprio “ermetistica” od ermetica.

L’attacco alla Teosofia

Il secondo colpo cade sulla teosofia anglo-indiana della Blawatsky, e le sue derivazioni più o meno «occultistiche», per le quali vien proposto il termine di «teosofismo» (Le Théosophisme. Histoire d’une pseudo-réligion, 1921). Il Guenon si dimostra terribilmente informato di tutti i retroscena privati del movimento. Simultaneamente, se pur non sistematicamente (e per questo il primo volume è migliore), egli si dà a mostrare quanto, nel teosofismo, si risolva in una morbosa divagazione di menti confuse, mista a singolari travisamenti di dottrine orientali per opera dei peggiori pregiudizi occidentali. Ed anche qui, come l’antispiritismo del Guenon, non vuol dire filisteismo materialista, ma proprio il contrario, così pure il suo antiteosofismo parte unicamente dal bisogno di difendere certe posizioni e dottrine spirituali e tradizionali a cui lo stesso teosofismo vorrebbe rifarsi, non giungendo invece che a delle contraffazioni più dannose. Notevole anche il suo attacco contro il Sincretismo, uno dei mezzi più semplici che le organizzazioni pseudo-iniziatiche hanno a disposizione per fabbricare una falsa tradizione ad uso dei loro aderenti. Esso consiste nel riunire bene o male elementi presi a prestito un pò dappertutto, nel giustapporli in qualche modo “dall’esterno”, senza alcuna comprensione reale di quel che essi rappresentano veramente nelle diverse tradizioni a cui specificatamente appartengono. Ma poiché occorre dare a questa accozzaglia più o meno informe una certa apparenza di unità, allo scopo di poterla presentare come “dottrina”, si cercherà di raggruppare quegli elementi intorno a certe “idee direttrici”, le quali a loro volta, ben lungi dall’avere un’origine tradizionale, saranno in generale concezione del tutto profane e moderne, cioè antitradizionali.

Ancora sull’Occidente, sull’Anti-Tradizione e sul mondo moderno

Ma l’opera negativa del Guenon non si arresta a tanto. Dopo le velleità «neospiritualiste» ecco che l’intera cultura dell’Occidente diviene l’oggetto dei suoi attacchi. Guenon non esita a riconoscere la perversione più completa di ogni ordine ragionevole di cose con saggi come Orient et Occident (1924), La crise du monde moderne, (1927), ed anche Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues (1921). Più semplicemente, si tratta di ciò a cui l’Occidente ha generato a partire dall’Umanesimo e dalla Riforma. Una caratteristica chiave della cultura di una società di tipo tradizionale è l’assenza di una biforcazione di sacro e profano. A causa di inesorabili cicli cosmici, il mondo moderno è attualmente quasi del tutto laico, quindi in antitesi alla Tradizione. Due dei suoi più grandi libri, La crise du monde moderne (La crisi del Mondo Moderno) e Le règne de la quantité et les signes des temps (Il Regno della Quantità e la Segni dei tempi), si occupano in primo luogo proprio delle vicissitudini della modernità in Occidente, a partire dal Medioevo, e delle inversioni delle verità metafisiche che secondo Guenon vanno a formare la struttura della cultura moderna. Guenon critica le concezioni materialistiche e neospiritualistiche, considerate come conseguenza ultima del punto di vista profano imperante nell’epoca attuale: la critica alla modernità è volta a favorire una drammatica presa di coscienza, da parte del lettore, dei limiti di tale punto di vista. Lo «spirito tradizionale» non è quindi riconducibile a uno sterile «tradizionalismo» profano. Più nel dettaglio, Guenon sostiene che la causa della crisi del «mondo moderno» risieda principalmente in un perduto contatto con la «realtà metafisica», con il Centro Mistico, e nel conseguente estinguersi di tradizioni che avevano il deposito di un corrispondente corpus di principi di valori e di insegnamenti. Per il Guenon, queste tradizioni sarebbero le «scienze tradizionali» conosciute negli antichi cicli di cultura, in opposizione alle scienze moderne, induttivo-esterioristiche, particolaristiche, prive di un punto unitario di riferimento, incapaci di conoscere oltre che di «sapere», puramente «profane». Che siano Scienze profane o filosofie o pseudospiritualismi, per lui non fa differenza. D’altra parte, trasportata sul piano dell’azione, la «conoscenza» relativamente alla «realtà metafisica» darebbe dei punti di vista superiori, dei princìpi per dirigere gli interessi terreni, per inquadrare le attività mondane, per prolungare, insomma, la «vita» in qualcosa che è più che «vita». Il Guenon si dichiara avversario irriducibile di tutto ciò che è «nuovo» e «moderno». Ad esso contrappone la Metafisica, da lui intesa come un mondo di essenze intellettuali, come la più reale delle realtà, e non come ipotesi o come astrazione della mente. Ad essa si contrappone tutto ciò che è spaziale e temporale cioè soggetto a mutevolezza e impertinenza, che è intriso di particolarità, di individualità e di sensibilità. L’uomo potrebbe «realizzarlo», cioè averne un’esperienza diretta così certa, come quella datagli dai sensi fisici, quando riesca ad elevarsi ad uno stato «soprarazionale» di «intellettualità pura», cioè ad un atto trascendente dell’intelletto scisso da ogni elemento propriamente umano, psicologistico, affettivo-soggettivo e così pure «mistico» e individualistico; ed è in relazione a ciò, e non nel riferimento ad una speculazione filosofica, che viene usato il termine: «metafisico». Dall’Umanesimo in poi, il Guenon vede costituirsi una cultura «involutiva» in quanto basata unicamente sull’«umano». Sono le facoltà razionali che prendono il posto dell’«intellettualità pura»: l’astrazione filosofica e la scienza si sostituiscono alla conoscenza metafisica, l’immanenza alla trascendenza, l’individuale all’universale, il movimento alla stabilità, l’antitradizione alla tradizione. Simultaneamente, il polo materiale e pratico della vita si ipertrofizza, si ispessisce, prende la mano su tutto il resto. Il panorama dell’«età moderna» si presenta dunque al Guenon in modo non troppo luminoso. Né egli ammette transazioni: dice no allo spirito occidentale preso in blocco e dubita che si sia ancora in tempo per arrestare la corsa che forse già precipita verso un epilogo di catastrofe. A Guenon resta comunque il merito di aver affermata la necessità del ritorno ad un punto di vista «non-umano» nel senso più integrale, chiaro e virilmente ascetico e soprarazionale del termine. Questo Non-Umano è la Tradizione. Ora, L’Antitradizione è una “pura e semplice negazione” della Tradizione, e vive sotto il segno del “materialismo integrale”. Se la Tradizione è il Sacro, l’Antitradizione è ciò che dissacra. Se la Tradizione si ricollega al Centro mistico, l’Antitradizione ne vuol far allontanare. Si tratta solo di una parodia della spiritualità, o meglio di una sua imitazione in senso inverso, di modo che avrà tutta l’apparenza d’essere l’opposto di tale spiritualità. Apparenza e non realtà perché, quali che siano le sue pretese, nessuna simmetria od equivalenza è possibile in un campo del genere. Molti, lasciandosi ingannare dalle apparenze, credono nell’esistenza di due principi opposti che si contendono la supremazia del mondo: è una concezione erronea, analoga in fondo a quella comunemente attribuita a torto o a ragione ai Manichei, e che, in linguaggio teologico, mette Satana allo stesso livello di Dio. Questa concezione equivale all’affermazione di una dualità principiale radicalmente irriducibile, o, in altri termini, alla negazione dell’Unità suprema che è al di là di tutte le opposizioni e di tutti gli antagonismi. Questa “spiritualità alla rovescia” è dunque solo una falsa spiritualità, falsa all’estremo limite del concepibile; ma si può anche parlare di falsa spiritualità tutte le volte che, per esempio, lo psichico viene scambiato per lo spirituale, ma trattasi sempre e solo di metapsichico. La fase che viviamo, architettata dalle forze “sataniche” per sconvolgere l’ordine tradizionale, è caratterizzata dalla “chiusura verso l’alto”, cioè dalla diffusione di una serie di teorie culturali e politiche che trovano nel materialismo e nella negazione del primato del Sacro la loro essenza più profonda. Individualismo, egualitarismo, razionalismo, evoluzionismo, utilitarismo, scientismo, economicismo marxista o liberale ecc. non sono altro che i tasselli di un unico progetto sovversivo il cui vero obiettivo di fondo è rendere inefficace ogni presenza e tendenza da parte dell’uomo verso “il Sacro”. Il regno della “contro-tradizione”, in effetti, è quanto designato come “regno dell’Anticristo”: questi è comunque colui che concentrerà e sintetizzerà in sé stesso, in vista di tale opera finale, tute le potenze della “contro-iniziazione”, sia che lo si percepisca come un individuo, sia come un collettivo; in un certo senso potrebbe essere ad un tempo l’uno e l’altra, in quanto dovrà esistere una collettività che rappresenti l’ esteriorizzazione” della organizzazione “contro-iniziatica” vera e propria venuta finalmente alla luce del giorno, e dovrà esistere altresì un personaggio, posto a capo di quella collettività, che sia l’espressione più completa e come l’“incarnazione” stessa di quel che essa rappresenterà, non foss’altro che a titolo di “supporto” di tutte quelle influenze malefiche le quali, dopo essersi concentrate in lui, dovranno da lui essere proiettate nel mondo. Evidentemente sarà un “impostore” (significato del termine daggiâl con cui viene abitualmente denominato in arabo), poiché il suo regno non sarà nient’altro che la “grande parodia” per eccellenza, l’imitazione caricaturale e “satanica” di tutto ciò che è veramente tradizionale e spirituale; e tuttavia la sua costituzione sarà tale, se così si può dire, da essergli veramente impossibile non svolgere tale funzione. In tal senso, la Contro-Iniziazione: è qualcosa che si presenta come un’Iniziazione e che può darne l’illusione, ma che va nel senso contrario della vera Iniziazione. La sua intenzione vera non è quella di imitarla ma di opporvisi. Nelle sue stesse origini, la “contro-Iniziazione” non si presenta come un qualcosa di autonomo e indipendente: se essa si fosse costituita spontaneamente, altro non sarebbe che un’invenzione umana, e non si distinguerebbe dalla “pseudo-iniziazione”. Per essere più di questa (come effettivamente è), è necessario che essa proceda dalla fonte unica alla quale si ricollega ogni iniziazione, e, più in generale, tutto ciò che manifesta nel nostro mondo un elemento “non umano”, mediante una degenerazione. Sembra che si tratti, scrive Guenon, di un’Iniziazione deviata e snaturata basata su influenza di natura psichica e non spirituale. Questa influenza psichica, nondimeno, può imitare l’influenza spirituale nelle sue manifestazioni esteriori, al punto che coloro che si fermano alle apparenze si ingannano, dato che questa influenza psichica appartiene all’ordine di realtà nel quale si producono queste manifestazioni. I rappresentanti della “contro-Iniziazione” intendono opporsi all’autorità spirituale suprema, alla quale, per il Nostro, nulla può in realtà opporsi, perché è evidente che, allora, non sarebbe affatto suprema: la supremazia, infatti, non ammette dualità. Ad ogni modo, anche questi sostenitori della “contro-Iniziazione” sono ugualmente sottomessi alla Volontà divina e sono anch’essi utilizzati, benché loro malgrado, alla realizzazione del piano divino nel mondo umano: neturalmente essi, come tutti gli altri esseri, vi giocano il ruolo più consono alla loro natura. Guenon era peraltro fortemente critico verso forme di sincretismo, secondo lui «semplice sovrapposizione di elementi di diversa provenienza, riuniti dall’esterno, senza che alcun principio d’ordine più profondo entri in giuoco». Il sincretismo è sempre un procedimento essenzialmente profano, per via della sua stessa esteriorità: e non solo non ha un carattere di sintesi, ma ne ha uno contrario. Infatti la sintesi, per definizione, parte dai principii, ossia da quel che vi è di più interiore. Essa va, per così dire, dal centro alla periferia, mentre il sincretismo resta nella periferia, nella pura molteplicità di elementi considerati in sé stessi, staccati dal loro principio e poi artificialmente associati. In tal senso, Guenon rifiuta la Teosofia, ritenuta una mistica estremamente sincretistica, che non è possibile considerare in alcun modo un’istituzione spirituale orientale autentica, nè una forma della Tradizione. Pur legato alle dottrine induiste, forse a causa del suo fortissimo legame con l’Islam, Guenon rifiuta il concetto di Reincarnazione. Già in Errore dello Spiritismo, Guenon affermava: «Nessuna dottrina tradizionale autentica ha mai parlato della reincarnazione, invenzione del tutto moderna e occidentale […] l’espressione “concezione sociale” sarebbe probabilmente ancora più giusta nella circostanza, se si considera quale fu l’origine reale dell’idea di reincarnazione. In effetti, per i socialisti francesi della prima metà del secolo XIX che la inculcarono in Allan Kardec, questa idea era essenzialmente destinata a fornire una spiegazione dell’ineguaglianza delle condizioni sociali, la quale assumeva ai loro occhi un carattere particolarmente urtante». Per poi scrivere ne Il Demiurgo: «Quando parliamo di nascite mortali, con ciò intendiamo le modificazioni dell’essere, il suo passaggio attraverso forme molteplici e mutevoli; ciò non ha niente a che vedere con la reincarnazione». E conclude ne L’Uomo e il suo Divenire: «La vecchia forma che un essere non liberato dall’individualità lascia, e la forma nuova di cui si riveste, appartengono necessariamente a due stati differenti, perché un essere, qualunque esso sia, non può passare due volte per un medesimo stato». Samsara, considerato nell’Induismo e nel Buddhismo la ruota delle rinascite, andrebbe tradotto con manifestazione universale (divenire); solo secondariamente lo si può rapportare alla trasmigrazione, ovvero alle indefinite modificazioni di stato cui ogni essere soggiace. Anche se i soggetti dei libri di Guenon coprono una gamma relativamente ampia di campi di indagine, nel contesto più ampio delle religioni mondiali, dell’esoterismo e della metafisica, ci sono diversi temi comuni nelle opere di Guenon. In primo luogo, il tema di un “Principio universale”, che è inerente a tutto, e di cui può dirsi che ogni altro principio è derivato. Poi ci sono i relativi temi della Rivelazione, dell’iniziazione, e dell’Intelletto (quest’ultimo concetto contiene la componente “intuizione”, mediante cui la conoscenza e la comprensione di una verità esoterica può essere appresa direttamente senza il ricorso alla ragione e dialettica).

I concetti iniziatici

Guenon affronta spesso nozioni come «tradizione», «religione», «metafisica», «teologia», «filosofia», «esoterismo», «exoterismo», «realizzazione», fondamentali per lo sviluppo di tutta la sua produzione. La pars costruens dell’opera di René Guenon riguarda la Tradizione, intesa non come mero insieme di usi e costumi, ma come «trasmissione» di un patrimonio simbolico e metodologico, cioè come veicolo imprescindibile per accostarsi alla «metafisica», termine con il quale Guenon intende la conoscenza sovra-razionale da realizzare attraverso il procedimento immediato dell’intuizione intellettuale: la conoscenza metafisica è quell’identificazione tra conoscente e conosciuto che non può avvenire neanche mediante la più elevata tra le facoltà individuali, cioè la ragione, ma solo attraverso l’Intelletto superiore, facoltà trascendente che partecipa della natura divina insita nell’essere umano, al di là delle illusioni a cui la prospettiva individuale pare limitarlo. La conoscenza metafisica, la quale è «identità tra il possibile e il reale», è «la verità in sé», che «può venire concepita come l’adeguamento della conoscenza alla Possibilità totale», ovverosia come la realizzazione dell’Infinito. Alcune tradizioni presentano un aspetto exoterico rivestito di forma religiosa e un aspetto esoterico al quale accedere attraverso un’iniziazione: per esempio, nella tradizione ebraica l’aspetto esoterico è la Cabala, nella tradizione islamica è il Tasawwuf. La pars destruens dell’opera di R. Guenon è riconducibile, in estrema sintesi, alla condanna intellettuale di tutto ciò che si pone quale ostacolo alla realizzazione spirituale: rivolgendosi al lettore occidentale moderno, è tale specifica mentalità, considerata alla stregua di un «dogma indiscutibile», che l’opera mira a mettere in discussione. Le considerazioni sull’argomento sono effettuate da Guenon in accordo con la «dottrina dei cicli cosmici», in particolare nei termini in cui essa viene presentata nella tradizione indù: qualunque realtà (macrocosmica o microcosmica) sviluppa determinate possibilità fino al loro esaurimento, che è a un tempo la fine del ciclo precedente e l’inizio di quello successivo. Tale processo, esemplificabile dal susseguirsi delle stagioni nel ciclo annuale, riguarda anche le civiltà umane, che si sviluppano simbolicamente a partire da una Età dell’Oro, in cui i princìpi spirituali informano pienamente l’esistenza di tutti gli esseri, a una Età del Ferro, in cui appare sovrano l’aspetto quantitativo delle cose, considerato secondo una prospettiva materialistica. Quando tale tendenza «cristallizzante» è portata alle sue estreme conseguenze, a essa subentra una tendenza «dissolutiva», tesa a far emergere in superficie le regioni inferiori dell’ambito psichico.. Secondo questa lettura non rettilinea del tempo, la tendenza alla dissoluzione deve condurre a quanto è simbolicamente indicato da tutte le tradizioni come la fine dei tempi, attraverso una vera e propria parodia della spiritualità primordiale, un suo completo rovesciamento: il «regno dell’anticristo», per usare un’espressione nota al lettore occidentale. Essendo del tutto illusorio, però, questo regno deve immediatamente dissolversi, avendo condotto all’esaurimento definitivo le sue possibilità, per lasciare il campo a un nuovo ciclo, in cui sarà restaurata la tradizione primordiale, puramente metafisica e universale. Guenon tratterà poi altri argomenti correlati come la polarità, le corrispondenze, che insieme alla ciclicità, sono collettivamente denominati “princìpi primi” della Tradizione, considerati essenziali nelle società tradizionali. Durante gli ultimi tre decenni della sua vita, soprattutto dopo il suo spostamento in Egitto, Guenon si è impegnato in una corrispondenza a lungo termine con Ananda K. Coomaraswamy, altro perennialista. Guenon resta il grande uomo della Tradizione Spirituale e il grande metodologo della distinzione tra ciò che è tradizionale e ciò che non lo è. L’insegnamento di Guenon è l’espressione particolare, rivelata all’Occidente contemporaneo, di una dottrina metafisica ed iniziatica che è quella della Verità unica ed universale. Esso è inseparabile da una funzione sacra, di origine sovra-individuale, che Michel Vâlsan ha definito come un “richiamo supremo” alle verità detenute, ancora ai giorni nostri, dall’Oriente immutabile, e come un’ultima “convocazione” che comporta per il mondo occidentale un avvertimento ed una promessa, nonché l’annuncio del suo “giudizio”.

Guenon visto da Evola (da Prefazione del volume Considerazioni sull’Iniziazione (Lumi, 1946), antologia di scritti di René Guénon)

Per la serietà e la sicurezza delle vedute, per una preparazione veramente particolare in fatto di tradizioni religiose, miti e simbolismi e specialmente di dottrine orientali, per una costante cura nell’affrontare tutti i dettagli pur mantenendo sempre un punto di vista di sintesi, l’opera del Guénon non è da paragonarsi a quella di altri che hanno trattato problemi consimili.La posizione del Guénon è una posizione di blocco. Si tratta di accettare o meno un dato sistema di riferimento: ma aderendovi è difficile non seguirlo nelle deduzioni che ne trae. I vari libri del Guénon obbediscono ad un piano prestabilito, che essi vanno ordinatamente svolgendo, il compito iniziale è puramente negativo e se ne può chiarire il senso come segue. Chiuso nella tenaglia del materialismo, l’Occidente negli ultimi decenni è stato preso da un èmpito confuso verso qualcosa di «altro», non sapendo però giungere che a forme equivoche, superstiziose e inconsistenti le quali, contraffacendo la vera «spiritualità», hanno costituito, alla fine, un pericolo altrettanto reale quanto quello del materialismo contro cui erano partite. È così che il Guénon, per primo, ha creduto opportuno prendersela con i «neospiritualismi» più in voga, eseguendone una demolizione sistematica e, a nostro avviso, salutare. Primo a cadere sotto i suoi colpi è stato lo spiritismo. Il suo libro L’Erreur Spirite, del 1923, merita veramente di esser letto, perché in nessun altro si trova una mise au point del genere. Bisogna, a questo proposito, comprendere l’attitudine del Guénon: egli non contesta la realtà dei fatti, ritenendosi anzi fondato ad ammettere molto più di quel che non possa qualsiasi spiritista. Quel che egli afferma, conformandosi all’opinione di chi, come gli Orientali, purtuttavia erano così addentro in fatto di fenomeni psichici – quel che egli afferma è che tali fatti (medianità, ecc.) non hanno nessun valore spirituale; che ogni interesse extrasperimentale per essi è malsano e incentivo di degenerescenza; che l’ipotesi spiritica oltre che arbitraria, è in sé stessa contraddittoria e che è soltanto aberrante la pseudoreligione che in certi ambienti ne deriva. Spiragli oltre il «normale» possono pur aprirsene, ma con ben altri metodi e con ben altra attitudine interiore, se si deve parlare di «spiritualità». Il secondo colpo cade sulla teosofia anglo-indiana e le sue derivazioni più o meno «occultistiche», per le quali vien proposto il termine di «teosofismo» (Le Théosophisme. Histoire d’une pseudo-réligion, 1921). Il Guénon si dimostra terribilmente informato di tutti i retroscena privati del movimento. Simultaneamente, se pur non sistematicamente (e per questo il primo volume è migliore), egli si dà a mostrare quanto, nel teosofismo, si risolva in una morbosa divagazione di menti confuse, mista a singolari travisamenti di dottrine orientali per opera dei peggiori pregiudizi occidentali. Ed anche qui, come l’antispiritismo del Guénon, non vuol dire filisteismo materialista, ma proprio il contrario, così pure il suo antiteosofismo parte unicamente dal bisogno di difendere certe posizioni e dottrine spirituali e tradizionali a cui lo stesso teosofismo vorrebbe rifarsi, non giungendo invece che a delle contraffazioni più dannose. Ma l’opera negativa del Guénon non si arresta a tanto. Dopo le velleità «neospiritualiste» ecco che l’intera cultura dell’Occidente diviene l’oggetto dei suoi attacchi (Orient et Occident, 1924; La crise du monde moderne, 1927; ed anche: Introduction générale à l’étude des doctrines hindoues, 1921). Più semplicemente, si tratta di ciò a cui l’Occidente ha dato luogo partendo, ad un dipresso, dall’Umanesimo e dalla Riforma. Guénon non esita a riconoscere la perversione più completa di ogni ordine ragionevole di cose. Per chi voglia seguire il Guénon, qui il terreno comincia a farsi difficile, perché difficile, per i più, è il rendersi conto del punto di riferimento assunto dall’autore. Il Guénon sostiene che la causa della crisi del «mondo moderno» risiede principalmente in un perduto contatto con la «realtà metafisica» e nel conseguente estinguersi di tradizioni che avessero il deposito di un corrispondente corpus di principi di valori e di insegnamenti. Per la comprensione del termine «realtà metafisica» come l’usa Guénon, è d’uopo retrocedere a dottrine «premoderne» e «superate», nell’opinione della moderna filosofia: alla scolastica, per esempio, o a Plotino o alle grandi scuole speculative orientali. Di là da tutto ciò che è spaziale e temporale che è soggetto a cangiamento, che è intriso di particolarità, di individualità e di sensibilità, esisterebbe un mondo di essenze intellettuali, ma non come ipotesi o come astrazione della mente, sibbene come la più reale delle realtà. L’uomo potrebbe «realizzarlo», cioè averne un’esperienza diretta così certa, come quella datagli dai sensi fisici, quando riesca ad elevarsi ad uno stato «soprarazionale» di «intellettualità pura», cioè ad un atto trascendente dell’intelletto scisso da ogni elemento propriamente umano, psicologistico, affettivo-soggettivo e così pure «mistico» e individualistico; ed è in relazione a ciò, e non nel riferimento ad una speculazione filosofica, che viene usato il termine: «metafisico». Cose, come ognuno vede, tutt’altro che nuove. Ma il Guénon a priori si dichiara avversario irriducibile di tutto ciò che è «nuovo» e «moderno»; e nell’idea che l’esser «originale» e «personale», anzi che l’esser vera, decida dell’importanza di una dottrina, egli accusa una delle più singolari deviazioni della mentalità contemporanea. Dal contatto con la «realtà metafisica» l’uomo, come si è detto, ricaverebbe un insieme di principi, che renderebbero possibile una visuale non-umana per considerare e ordinare le cose umane: avrebbe dei punti fermi, da cui per adattazione ai vari piani potrebbero esser dedotti principi per conoscenze particolari e varie, ma sempre ordinate «gerarchicamente» intorno ad un asse unico sovrannaturale. Questo, per il Guénon, sarebbe stato il carattere delle «scienze tradizionali» conosciute negli antichi cicli di cultura, in opposto alle scienze moderne, induttivo-esterioristiche, particolaristiche, prive di un punto unitario di riferimento, incapaci di conoscere oltre che di «sapere», puramente «profane». D’altra parte, trasportata sul piano dell’azione, la «conoscenza» relativamente alla «realtà metafisica» darebbe dei punti di vista superiori, dei principi per dirigere gli interessi terreni, per inquadrare le attività mondane, per prolungare, insomma, la «vita» in qualcosa che è più che «vita». E a questa seconda applicazione non va dato un valore puramente ideale o contrappuntistico: ciò che non comincia né finisce nell’elemento «uomo», proietta dei precisi rapporti di distinzione e di «dignità» nelle forme di vita; e così nasce la possibilità di quella «gerarchia», che antiche organizzazioni sociali conobbero: nell’India, nell’Estremo Oriente, anche nei centri paleomediterranei sino a quel medioevo cattolico-feudale al quale il Guénon, rivendica uno speciale significato di valore. Invece che un gioco di forze esterne, sarebbe dunque stata l’azione universale e, diciamo così, «catalittica» della «conoscenza metafisica» a instaurare simili strutture d’ordine sin nella vita concreta e politica. Per la sua natura non-umana, una tale «conoscenza» avrebbe un carattere universale, di una universalità concreta basata sopra un’esperienza trascendente, ripetiamolo, e non astratta o comunque razionale. E come secondo antiche teorie, la potenza del fuoco esisterebbe sempre e ubiqua, per quanto non si manifesti visibilmente che quando siano presenti dati determinismi e ora sotto questa o quella forma contingente, così pure la conoscenza metafisica avrebbe per sue manifestazioni il corpus degli insegnamenti di varie tradizioni e religioni, varie secondo il tempo e il luogo, ma pure riconducibili all’«invariante» di una Tradizione unica o «primordiale», espressione, questa, da prendersi però non in senso temporale e storico, ma in senso metafisico e spirituale. Dall’Umanesimo in poi, il Guénon vede costituirsi una cultura «involutiva» in quanto basata unicamente sull’«umano». Sono le facoltà razionali che prendono il posto dell’«intellettualità pura»: l’astrazione filosofica si sostituisce alla conoscenza metafisica, l’immanenza alla trascendenza, l’individuale all’universale, il movimento alla stabilità, l’antitradizione alla tradizione. Simultaneamente il polo materiale e pratico della vita si ipertrofizza, si ispessisce, prende la mano su tutto il resto. Nuove manifestazioni dell’«umano», il moralismo, il sentimentalismo, l’esaltazione dell’«io», dell’incomposto agitarsi (attivismo), della tensione senza luce («volontarismo») balenano dappertutto nel mondo moderno, fra una completa mancanza di «principi», fra un caos sociale e ideologico, fra una contaminazione mistica della «vita» e del «divenire» che batte il ritmo ad una specie di corsa verso l’abisso, sotto il cielo arimànico di una grandiosità puramente meccanica e materialistica. E dall’Europa il male si estende altrove come una nuovissima barbarie: l’antitradizione insinua dappertutto il suo standard of living, «modernizzando» quelle civiltà che, come l’Islam, l’India e la Cina, sia pure in lontani riflessi ancora conservano valori dell’altro ordine. Onde – giustamente, a parer nostro – il Guénon dice contro Massis che, se mai, non di un «pericolo orientale» per l’Occidente, bensì di un «pericolo occidentale» per l’Oriente si deve parlare. E gli scatti di reazione, si è visto già dove conducono, in Occidente: sono le deviazioni neospiritualistiche e spiritistiche che esse stesse, riflettono la tirannia delle facoltà infraintellettuali e l’incomprensione per una realtà che si può esser talvolta mostrata, per spiragli luciferinamente socchiusi. E quand’anche non si tratti di teosofismi, spiritismi e simili, la stessa riviviscenza cristiana in sette e in «ritorni» è la più lontana di tutto dal senso di quel severo contenuto di conoscenza ascetica e simbolica, che attraverso il cristianesimo, potrebbe condurre ad un rinnovato contatto con la «realtà metafisica» e con la «Tradizione», al titolo di una liberazione e di una reintegrazione dell’io. Il panorama dell’«età moderna» si presenta dunque al Guénon in modo non troppo luminoso. Né egli ammette transazioni: dice no allo spirito occidentale preso in blocco e dubita che si sia ancora in tempo per arrestare la corsa che forse già precipita verso un epilogo di catastrofe. Ad ogni modo, a ciò si richiederebbe anzitutto formare delle élites, nelle quali si ridesti il senso della realtà metafisica. Ma fra queste élites (che, fra l’altro, potrebbero già esistere, più o meno fra le quinte) e le grandi masse della società moderna, come si può pensare che si stabilisca una comunicazione? E allora, anche fatto questo passo, la «Tradizione», in senso grande, non resterebbe nuovamente un problema? Il tentativo di partire da una delle tradizioni ancora esistenti e da là procedere per «integrazione», forse avrebbe migliori possibilità. A questo riguardo, lo sguardo del Guénon si è portato sul cattolicesimo. Egli, come si è detto, ritiene che, più di ogni altra, la tradizione cattolica abbia avuto in Occidente il deposito della «Tradizione primordiale»: deposito anzitutto ricevuto in una forma religiosa e poi, al giorno d’oggi, passato allo «stato latente» come corpo di simboli e di dottrine, nella cui comprensione non entra ormai niente più di metafisico. Occorrerebbe invece che nel cattolicesimo si formasse una élite capace di tanto; e alla reintegrazione, secondo il Guénon, potrebbe servire la conoscenza di dottrine orientali che, come quella vedantina di cui il Guénon ha dato una buona esposizione: L’homme et son devenir selon le Vedanta, 1925, conserverebbero tuttora l’insegnamento «ortodosso» in una forma più pura e più metafisica. Allora il cattolicesimo potrebbe rianimarsi e costituirsi come un principio positivo contro la crisi del mondo moderno. Quanto siano chimeriche speranze del genere, qui non staremo a rilevarlo: e il Guénon lascia quasi comprendere una certa sua delusione dopo certe «esperienze» personali in proposito. Ma, in ogni caso, resterebbe questo problema: sino a che punto lo stesso cattolicesimo, anche così reintegrato, si può pensare che possa riorganizzare nell’unità di una Tradizione universale il mondo moderno? Come «base», non bisogna illudersi: il cattolicesimo ormai è estraneo al centro del mondo moderno: ed anche là dove ancora domina, il suo dominio è tutto in superficie e non impedisce che la direzione principale della vita e degli interessi miri a tutt’altra cosa, sia laica e antitradizionale. Diciamo di più: la stessa comprensione della realtà metafisica, come il Guénon la presenta, è tale da essere essa stessa in contrasto con lo spirito dell’Occidente non pure post-umanistico, ma altresì classico, nordico-germanico, ellenico; onde il Guénon deve forzatamente vedere una via senza uscita e ridursi ad un verdetto di condanna privo di effetti. Tuttavia ci si può chiedere: il modo con cui il Guénon concepisce il metafisico è forse l’unico possibile e legittimo? Qui siamo al punto fondamentale ove la cinta di difesa del Guénon lascia una zona scoperta. Si è che il termine di «intellettualità pura» usato dal Guénon per l’organo della «conoscenza metafisica» cela un equivoco, anzi un paralogismo, perché effettivamente esso vuol dire «realizzazione» e ogni «realizzazione» comprende due aspetti, due possibilità che sono: azione e contemplazione. Il Guénon surrettiziamente identifica il punto di vista metafisico con quello in cui la contemplazione domina sull’azione, laddove è di uguale dignità l’altro, in cui l’azione invece domina sulla contemplazione e viene a fornire essa stessa una via e una testimonianza della trascendenza, così come nelle tradizioni di sapienza eroica degli kshatriya (guerrieri) conosciute dallo stesso Oriente, se pure in frequente contrasto con quelle più predominanti dei brahmana, alle quali si rifà l’attitudine del Guénon. Ma dal punto di vista brahmano, l’antitesi con l’Occidente si fa aspra ed irriducibile, perché lo spirito dell’Occidente ha appunto una tradizione essenzialmente guerriera, epperò rivela possibilità di latenti vie di reintegrazione solamente quando gli si vada incontro partendo dai principi e dalla comprensione del metafisico che sono propri ad una sapienza guerriera: e quei valori occidentali, come quelli dell’affermazione individuale, della pluralità, della libera iniziativa e dell’immanenza, più che negazione, apparirebbero come elementi allo stato materiale da elevare ad un piano spirituale, secondo l’anima di una tradizione veramente occidentale, cioè guerriera. Si può dunque dire che l’opera del Guénon è positiva nella sua parte negativa e negativa nella sua parte positiva, perché qui la sua leva manca del punto d’appoggio necessario per poter agire su quella realtà, su cui vorrebbe agire. È invece comprendendo la radice guerriero-eroica che tuttora sta dietro alle forme oscure del mondo moderno e mostrando per quale via si possa liberarla da tale piano e condurla a riaffermarsi in un ordine superiore – quelle antiche tradizioni, in cui l’Eroe, il Signore e il Re apparivano simultaneamente come portatori di valori e di influenze non-umane potrebbero, a questo proposito, insegnarci più di una cosa – che si può giungere in Occidente a qualcosa, più che ad una sterile negazione, che ne disconosce la fisionomia. A Guénon resta comunque il merito di aver affermata la necessità del ritorno ad un punto di vista «non-umano» nel senso più integrale, chiaro e virilmente ascetico e soprarazionale del termine: giacché questo è il principio, ciò che, anzitutto, importa e senza di cui il problema dello spirito moderno sarebbe condannato a rimanere tale.

GUENON E LA SUA OPERA (dal saggio Cronologia Ermetica)ultima modifica: 2019-02-15T17:42:56+01:00da mikeplato
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