IL KHIDR di AL QAYSARI

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Šaraf al-Dīn Dāwūd b. Mahmūd b. Muhammad, detto Al-Qaysarī, originario della Cappadocia, visse a cavallo tra il XIII° e XIV° secolo e morì in Turchia probabilmente nel 1350. Discepolo di Al-Qāšāni, fu uno degli esponenti più rivelanti del sufismo di scuola akbariana, ed è in particolare ricordato per la sua intensa attività pedagogica, nonché di meditazione, apologia e diffusione dell’opera di Ibn ‘Arabī. Tra le cariche che rivestì è da segnalare il ruolo di primo direttore e di insegnante di scienze islamiche presso l’università di Iznik, istituzione voluta dal figlio dell’emiro ‘Otmān I, fondatore della dinastia Ottomana, dove, tra i primi nelle regioni orientali dell’Islam, Al-Qaysarī approfondì e diffuse la dottrina del “Più Grande dei Maestri”.

Lo scritto più importante di Al-Qaysarī  è un imponente commentario al Fusūs al-Hikam di Ibn ‘Arabī; si tratta di un’opera di riferimento nel suo genere, più volte ristampata e chiosata nei secoli e frequentemente citata da studiosi e autorità spirituali di primissimo piano come Haidar Āmulī e Mullā Sadrā. Per descriverne la fortuna, basti ricordare che tale commento è tutt’ora utilizzato negli ambienti intellettuali sciiti iraniani come testo di riferimento per lo studio dell’‘irfān, la gnosi islamica. Tra le opere principali di Al-Qaysarī sono inoltre da ricordare due importanti commenti mistici agli scritti poetici di ‘Umar Ibn al-Fārid;  lo scritto dedicato all’Hamriyya, la famosa «Ode al Vino», è considerato un classico di rilevanza non inferiore al commento all’opera di Ibn ‘Arabī.

Il testo tradotto e opportunamente commentato da Giovanni Maria Martini nel volume che presentiamo, il Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār («La Conquista dell’Acqua di Vita nello svelamento dei segreti delle tenebre»), segue di alcuni anni la prima traduzione italiana del Risāla fi ‘Ibn al-Tasawwuf, presentata nel volume a cura di Giorgio Giurini intitolato «La Scienza Iniziatica», pubblicato nell’ambito del medesimo progetto editoriale, l’encomiabile collana I Gioielli delle “Edizioni Il Leone Verde” di Torino.

Il Tahqīq Mā al-Hayāt fī Kašf Asrār appartiene alla produzione minore dell’autore, la quale si compone di cinque scritti originali, concisi ma densissimi dal punto di vista dottrinale, trattanti argomenti di ordine teologico e metafisico generalmente destinati alla cerchia ristretta di chi, avendo già ricevuto l’iniziazione alla Via, poteva rettamente intenderne i contenuti utilizzandoli come supporto all’insegnamento orale.

Lo scritto in questione muove dal quesito legato alla determinazione degli stati spirituali e della funzione del Khidr, ovvero se egli sia un Profeta (nabī), un Inviato (rasūl) o un Santo (walī). Ricordiamo brevemente che il Khidr è la figura enigmatica identificata dalla tradizione islamica con il “servo di Dio” che compare accanto a Mosè nella diciottesima Sura, detta Al-Kahf (la Caverna). Egli è descritto come detentore di una scienza infusa di origine divina, a cui Mosè desidera accedere e che pertanto appare essere superiore alla scienza profetica di quest’ultimo. La pietà popolare raffigura il Khidr con dei caratteristici abiti verdi che richiamano il ruolo attribuitogli di patrono della fertilità, delle acque e della primavera, funzione strettamente connessa all’attributo di longevità, la cui genesi, secondo i racconti tradizionali della vita del Profeta (Sīra), sarebbe connessa all’aver attinto alla sorgente dell’immortalità, come narrato in un noto episodio che lo vede accostato ad Alessandro Magno nell’attraversamento delle “tenebre” alla ricerca della fons vitæ. Il prolungamento della vita fino alla fine dei tempi ha reso frequente l’accostamento del Verdeggiante ad altre figure profetiche quali Elia, Enoch e Gesù, le quali, oltre a non aver conosciuto la morte, sarebbero associabili al Khidr anche per il loro peculiare carisma gnostico.

La coerenza e l’unità di significato di queste due dimensioni – quella legata al possesso e alla elargizione della scienza divina infusa e quella legata al potere vivificante e rigenerante della acque di cui il Verdeggiante è custode – sono oggetto dell’analisi dell’epistola di Al-Qaysarī.

E’ importante sottolineare come il Khidr nel sufismo sia designato come “Maestro degli Afrād”, ovvero di coloro che ricevono l’iniziazione non attraverso una regolare catena iniziatica, ma grazie a un intervento provvidenziale, il quale può avvenire mediante una presenza spirituale incorporea, come ad esempio un maestro assente, morto o sconosciuto (le cosiddette affiliazioni uwaysī), oppure direttamente dalla persona del Khidr. Per comprendere la portata di questa tematica nel pensiero della scuola akbariana, basti ricordare che, secondo le fonti tradizionali, lo stesso ‘Ibn Arabī incontrò il Khidr almeno quattro volte e che ricevette da lui l’investitura iniziatica; in questo senso, riflettere sulla funzione e sulla scienza del Verdeggiante è risalire alle radici e all’origine della scienza del “Più Grande dei Maestri”.

L’epistola di Al-Qaysarī  si articola in quattro premesse e in un capitolo conclusivo che raccoglie e conchiude i guadagni delle sezioni precedenti.

Nella prima premessa, in relazione all’episodio della Sura della Caverna, si affronta il tema del rapporto e della gerarchia tra scienza intuitiva e scienza profetica – di cui appaiono essere detentori rispettivamente il Khidr e Mosè – identificate come caratterizzanti il Santo e il Profeta. L’autore sostiene che Profezia e Santità sono espressioni del medesimo principio, laddove la Profezia è legata all’annuncio della Parola Divina, mentre la Santità fa riferimento alla perfezione che deriva dalla vicinanza a Dio; se la prima si esprime esteriormente e pubblicamente, la seconda riguarda invece il lato interiore e personale del soggetto a cui è attribuita. Va da sé che la Profezia perfeziona la Santità che è un suo requisito, il ché giustifica la superiorità riconosciuta tradizionalmente al Profeta sul Santo; al medesimo tempo, però, considerando i singoli attributi del Profeta, è la Santità a determinare il privilegio della funzione profetica accordatogli da Dio in virtù della propria perfezione, ed essa è pertanto essenzialmente superiore a qualsiasi mandato o funzione.

Nella seconda premessa il maestro disserta sull’Acqua di Vita in relazione alla vicenda del Khidr, sottolineando come tale espressione vada ricondotta al significato coranico di Sostanza Universale (al-hayūlā al-kulliyya) e di Scienza Divina (al-‘ilm al-ilāhī). Come Sostanza Universale, il cui simbolo è il mare, essa ha priorità ontologica sugli esseri in quanto condizione di possibilità e supporto della loro manifestazione, e proprio per questo ne rappresenta l’elemento vitale e vivificante. In quanto Scienza Divina, essa è identificata con la conoscenza intuitiva che procede direttamente da Dio mediante la grazia, il cui simbolo coranico ricorrente è la pioggia che cade dal cielo, e a cui è attribuito il potere vivificante in senso iniziatico.

La funzione vivificante connessa all’Acqua di Vita è pertanto sia quella fisica che quella spirituale, entrambe presenti in Khidr quale vivificatore immortale e quale maestro della scienza infusa. Al-Qaysarī afferma sussistere una gerarchia di gradi della vita autentica, identificata con la Conoscenza Divina, la quale permea il mondo gradualmente precipitando dall’alto fino a raggiungere il piano fisico: la vita vera è pertanto quella realizzata dallo gnostico, in quanto prossima al grado divino, e non quella effimera del mondo materiale, dove la Conoscenza Divina si manifesta attenuata in forma di sensibilità.
L’aver realizzato la Conoscenza Divina spiega le peculiarità fisiologiche che tradizionalmente vengono attribuite ad Elia e a Gesù, il primo capace di non mangiare e dormire per anni, il secondo assunto in cielo in anima e corpo in attesa di tornare alla fine dei tempi: avendo essi raggiunto l’Acqua di Vita ed essendosi così reintegrati totalmente negli stati sottili, il loro corpo è divenuto libero dalle condizioni e dalle limitazioni del mondo sensibile, in primis dai vincoli di spazio e di tempo, partecipando così dell’incorruttibilità propria del piano spirituale.

La terza premessa si interroga sulla questione legata alle tenebre, che ricordiamo comparire nella leggenda del Khidr quale elemento che contiene la sorgente miracolosa, in relazione al viaggio con Alessandro il Macedone alla ricerca della fons vitæ. Il maestro identifica tali tenebre con le Tenebre della Possibilità (al-zulma al-imkāniyya), le quali costituiscono la totalità del possibile latente in ogni singolo essere, la cui espressione e il cui progressivo esaurimento corrispondono alla sua completa realizzazione sul piano della Luce dell’Essenza divina, e quindi al raggiungimento della pienezza della verità e della realtà oggettiva. La tenebra è quindi quanto si contrappone alla luce, ma è anche ricettacolo della stessa, in quanto le tenebre della contingenza, contrapposte alla luce dell’essenza, sono anche il luogo dove esclusivamente può avvenire l’illuminazione spirituale. Come la luce si riverbera nei vari gradi di realtà, così ad ogni livello di illuminazione corrisponde la propria tenebra, che altro non è che la misura della distanza dell’anima da Dio; esiste pertanto una gerarchia dell’oscurità dove le tenebre più spesse sono associate a quelle del livello intellettuale e sono identificate con l’idolatria e la miscredenza.

Il viaggio attraverso l’oscurità è l’oggetto della quarta premessa; tale viaggio si configura come un risalire alla sorgente dell’Acqua di Vita, che è qui identificata con il Soffio del Misericordioso (al-nafas al-rahmānī), ovvero con l’agente che presiede all’intera manifestazione procedente dall’Essenza; si tratta in altre parole di un ritorno all’origine – in un percorso inverso rispetto a quello dell’atto creativo – che Al-Qaysarī chiama, conformemente al lessico tecnico sufi, Via dell’Estinzione (tarīq al-fanā). Le stazioni spirituali di tale percorso sono messe in corrispondenza con le tre componenti sottili dell’essere umano, ovvero l’Anima (al-nafs), il Cuore (al-qalb) e lo Spirito (al-rūh). Nel percorso iniziatico vengono sollevati i veli di tenebra che ineriscono a ciascuna livello di esistenza condizionata affinché l’illuminazione sia totale e l’iniziato sia reintegrato nello stato primigenio. Se alla stazione psichica si richiede allo gnostico di giungere alla piena sottomissione e obbedienza ai dettami della legge sacra attraverso l’ascesi e la mortificazione, in quella cardiaca egli diviene luogo di manifestazione degli attributi divini, accedendo così all’autentica visione intuitiva, che prelude agli stati mistici più elevati di ordine squisitamente spirituale, dove si realizza l’annientamento dell’individualità in vista dell’Unione. Solo a questo punto può avvenire la Grande Resurrezione (al-qiyāma al-kubrā), ovvero la rinascita dello gnostico a una nuova esistenza eterna e reale (al-wuğūd al-bāqī al-haqqānī), al riparo dalla morte e dal tempo, la quale conferisce al rinato la capacità di manifestarsi in tutti i mondi – da quello fisico, a quello archetipico, finanche a quello spirituale – essendo egli svincolato da qualsiasi stato di esistenza finita e condizionata. E’ in questa veste che egli è definito da Al-Qaysarī la beatitudine e l’augurio dei mondi (sa’īd al-‘ālamīn).

Dalla sintesi presentata diviene chiaro il significato da attribuire alla conclusione del testo, in cui il Khidr viene identificato con colui che, avendo attraversato le tenebre, ha bevuto l’Acqua della Vita e guadagnato la Conoscenza intuitiva, la quale gli permette di essere tramite ed agente della volontà divina nel mondo, cosa che spiega i suoi atti e la sua lungimiranza in relazione alla vicenda narrata nella Sura della Caverna. Egli è, in altre parole, colui che attualizza il Comando Divino (al-amr al-ilāhī)  in virtù della realizzazione di quella forma sublime di sottomissione a Dio che è frutto del pieno possesso della scienza infusa. E’ in virtù di tale sottomissione al Comando Divino che il maestro lo definisce non come profeta portatore di una legge sacra, ma come detentore di una funzione profetica interiore permanente, laddove esternamente egli è sottomesso alla legge istituita dal latore della funzione profetica legiferatrice. Il Khidr, difatti, è esteriormente sottomesso alla normativa sacra in vigore, mentre interiormente riceve direttamente dall’Altissimo quanto agli altri uomini è portato dalla figura del profeta istitutore della legge. La scienza del Khidr è quindi la chiave sia della sua immortalità, che è frutto della realizzazione spirituale, sia della sua proprietà vivificante, in quanto egli è l’agente che, dispensando eccezionalmente la propria scienza a colui che ne è meritevole agli occhi di Dio, conduce alla possibilità di rinascita iniziatica che, come abbiamo visto, è da considerarsi  quale ingresso alla vita autentica. Non sorprende pertanto che gli attribuiti e i poteri del Verdeggiante siano gli stessi di chiunque raggiunga il suo medesimo grado di perfezione lungo la Via.
Sulla scorta dell’insegnamento guénoniano, e in piena concordanza con i dati tradizionali della gnosi universale e in particolar modo islamica, nell’utile introduzione Paolo Urizzi ricorda che il Khidr è eminente figura del maestro interiore, ossia della teofania dello Spirito di Santità dell’iniziato. Nella forma del maestro interiore il Khidr indica al proprio discepolo la via che conduce al luogo atopico della Confluenza dei Due Mari (mağma‘ al-bahrayn), affinché quest’ultimo, abbeveratosi alla fonte di quell’acqua che estingue per sempre la sete, riscopra definitivamente la propria identità con l’altro.

IL KHIDR di AL QAYSARIultima modifica: 2019-02-23T19:39:51+01:00da mikeplato
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