L’UNICORNO e IL SUO SIMBOLISMO

di Paolo Galiano

(dal Sito di Symmetria)

Il mito dell’Unicorno ha origini antiche, ma è solo con gli Indikà del greco Ctesia nel III sec. a. C. che la sua descrizione viene per così dire “ufficializzata”. All’inizio dell’èra cristiana l’Unicorno viene assunto dai Padri della Chiesa e dai Dottori, Tertulliano, Giustino ed Agostino, come simbolo del Cristo nell’esegesi di alcuni Salmi (21, 29 e 91); l’interpretazione cristiana del mito dell’Unicorno venne ripresa nella Topographia christiana di Cosma Indicopleuste, scritta tra il 535 e il 537[1] FIG. 1. L’Unicorno assume nel cristianesimo una duplice valenza, in quanto simbolo del Cristo ma anche del male, come si legge nella Leggenda di Barlaam FIG. 2.

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Ma più importante, per quanto qui ci interessa, è l’opera di autore ignoto, il Physiologus, scritta tra il II ed il IV secolo, nella quale troviamo per la prima volta la menzione di quello che sarà in seguito conosciuto come il mito della Dama e dell’Unicorno.

La fabula della Dama e dell’Unicorno divenne un tema ricorrente nel Medioevo e nel Rinascimento, ma non ostante la possibile valenza simbolica raramente questo tema ebbe posto nell’Ermetismo e nell’Alchimia.

L’UNICORNO IN ALCHIMIA

L’interesse degli alchimisti per il simbolo dell’Unicorno sembra essere tardivo, e solo dalla metà del ‘500 esso compare nelle loro opere e nelle immagini, a meno che la serie di arazzi ora al Metropolitan Museum ma provenienti dal castello di Verteuil dei La Rochefoucauld FIG. 3 e datati tra il 1495 e il 1505 non siano stati tessuti, come alcuni sostengono[2] ma non so con quale fondamento, da cartoni disegnati da Jean Perrèal, pittore, architetto e alchimista FIG. 4[3].

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La prima testimonianza iconografica del rapporto tra Unicorno e Ermetismo la si trova nel cosiddetto “studiolo” di Francesco I de’ Medici, il secondo arciduca di Toscana figlio di Cosimo I, appassionato di Alchimia, il quale si fece costruire al primo piano del Palazzo Vecchio uno studio affrescato tra il 1570 e il 1572 da Giorgio Vasari e altri pittori con soggetti mitologici e alchemici (a differenza del padre che, pur essendo anch’egli alchimista, prediligeva soggetti religiosi): il soffitto FIG. 5, decorato da Francesco Morandini detto il Poppi[4], è diviso in nove riquadri, con i Quattro Elementi e quattro coppie di putti simboleggianti l’unione a due a due degli Elementi e al centro le figure di Prometeo e Pandora che allatta un piccolo Unicorno e un bambino circondata da altri animali FIG. 6. Tornerò più avanti su questo affresco, il cui significato è chiarito da Andrea Bacci[5], medico alla corte di Francesco I, in una sua esauriente descrizione del mito dell’Unicorno.

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I primi accenni espliciti al simbolismo di questo animale in Alchimia si hanno a partire dalla fine del XVI sec.: Bernard Georges Penot[6] nel Dialogus inter naturam et filium philosophiae, pubblicato nel Theatrum chemicum del 1602[7], in una complessa tabella sui sette minerali dell’Opera alchemica pone l’Unicorno tra i quattro animali simboli dell’Oro insieme con il Leone, l’Aquila e il Drago; un autore conosciuto con il nome di Abraham Lambsprinck o Lambspring, nel Libellus de lapide philosophicorum, stampato senza immagini da Nicolas Barnaud nel 1599[8] e riproposto con illustrazioni nel Musaeum hermeticum edito da Luca Jennis nel 1625[9], unisce nella Tertia figura l’Unicorno con il Cervo FIG. 7 a simboleggiare lo Spirito e l’Anima: “Unicornu esse Spiritum omni hora, Cervus vero nullum aliud nomen cupit quam Anima”.

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Il Matrimonio Chimico di Christien Rosenkreutz, comparso nel 1616 anonimo (ma forse opera di Valentin Andreae), descrive l’Unicorno in coppia questa volta con il Leone: “Venne avanti un bellissimo unicorno bianco come la neve con un collare d’oro attorno al collo che aveva incise alcune lettere. Subito si chinò su entrambe le zampe, come se avesse mostrato onore al leone che stava immobile presso la fontana, che io avevo creduto essere di pietra o ottone. Il leone immediatamente impugnò la spada nuda che aveva nella sua zampa, e la spezzò in due parti nel mezzo, e i pezzi di questa, mi sembrò, caddero nella fontana; dopo che ruggì a lungo, fino a che una colomba bianca portò un ramo di olivo nel suo becco, che il leone divorò all’istante, e poi tutto fu calmo. E così l’unicorno ritornò al suo posto con gioia”.

Nel 1604 Basilio Valentino spiega la capacità del corno dell’Unicorno di proteggere dai veleni sulla base dell’attrazione dei simili e repulsione dei contrari, per cui il corno è in grado di respingere tutti i veleni e di attrarre invece le sostanze non velenose: “Il vero corno dell’unicorno tutti i veleni da sé rigetta… ma se ad un puro pezzetto di pane non adulterato che nuoti nell’acqua si accosti, lo stesso corno senza contatto subito attirae il pane… è meravigliosissimo che tutte le cose a sé omogenee lo [il corno] seguitino e le contrarie lo odino e lo fugghino[10].

Mylius nel 1622[11] raffigura l’Unicorno tra i sette frutti FIG. 8 che il Dio Nettuno gli mostra in una insula amoenissima, ove tra piante di ogni genere si trovano i due alberi del Sole e della Luna, che hanno frutti e foglie rispettivamente l’uno d’oro e l’altro di argento vivo. Nell’immagine l’Unicorno è associato alla Rosa FIG. 9.

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Un aspetto particolare del mito dell’Unicorno è il suo potere di purificare l’acqua avvelenata da un serpente o da un drago (e per esteso prevenire dall’avvelenamento chi beve ad una coppa ottenuta con il cuo corno): anche in questo caso l’immagine compare tardivamente nei codici miniati come negli affreschi: l’immagine del ms Franҁ. 22971 della Bibliotèque Nationale de France è del XV sec. FIG. 10 mentre l’incisione di Jean Duvet risale al XVI sec. FIG. 11

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Il tema si ritrova in un affresco del Palazzo Crispo di Bolsena FIG. 12, costruito dal cardinale Tiberio Crispo tra il 1544 e il 1561[12]: il cardinale, figlio dell’amante di papa Paolo III Farnese e da lui beneficato con il cardinalato, faceva molto probabilmente parte di quella “cerchia ermetica” che ebbe inizio ad opera di questo papa, formatosi in gioventù alla fine del ‘400 all’Accademia neoplatonica fiorentina dei Medici[13].

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LA DAMA E L’UNICORNO NEL PHYSIOLOGUS

La presenza dell’Unicorno nei testi alchemici, come si è visto, sembra iniziare solo tardivamente non ostante le chiare valenze ermetiche che esso sembra avere e lo stesso si può dire del tema della Dama e l’Unicorno, anch’esso fonte di possibile interpretazione ermetica, pur essendo come narrazione e come iconografia un tema molto antico, in quanto nell’Occidente europeo la fabula[14] della Dama e dell’Unicorno compare tra il II e il IV secolo con la descrizione del Physiologus, un trattato scritto in greco e poi tradotto in latino, che ebbe larga diffusione nei bestiari medievali, in cui la fauna, la flora e i minerali vengono illustrati ed interpretati in chiave cristiana: nel capitolo dedicato all’Unicorno, animale selvaggio e pericoloso, è descritta per la prima volta la sua possibile cattura solo per mezzo di una giovane vergine che riesce ad ammansire l’animale e a farlo prendere o uccidere dai cacciatori FIG. 13.

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Il Physiologus così descrive l’Unicorno e il modo della sua cattura nel ms di Berna scritto tra l’825 e l’850[15]: Vi è un animale simile ad un capretto[16] mansueto e con un solo corno sul capo, e il cacciatore non lo può avvicinare perché ha un corno solidissimo… Lo si cattura in questo modo: si porta davanti a lui una vergine castissima e quando l’animale vede la vergine subito va mansueto da lei e le si pone in seno. E allora si riscalda [?][17] e così viene portato subito al palazzo del re[18]. Infatti nessun cacciatore è capace da catturarlo. Così il nostro Salvatore è colui di cui il profeta disse: ‘Innalzò un corno di salvezza per noi nella casa di David’. Allora si vide che nessun potere maligno può nuocere a Lui, quando il Verbo si fece carne ed abitò tra di noi”.

In altri manoscritti è specificato che la vergine allatta l’Unicorno, come nel De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico[19]: si trova “el log là ol [l’unicorno] usa” e “se mete una zovenzella vergin e quand l’unicorn arditament ven a ela ella faur el sen e monstraie le peit e le mamelle” e quando l’animale “vez le beleze al peit e sentant l’odor de la virginità… ie mete el co sul peit e coy laure de la boca ie toca le mamelle e segant la virgen in fra el fa dormeza intre y so braz e no se recorda d’alcuna soa forza né d’alcuna soa vita e la polzella ha le cadene e ligal”, così l’animale la segue “e ha tut el so cor a la beleza de la carn de la virgen e al diletevol odor de la virginitàFIG. 14.

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L’allattamento, particolare per cui la fanciulla divenne in àmbito cristiano la Vergine Maria che allatta il Cristo, costituisce una palese contraddizione, perché se la fanciulla è vergine non dovrebbe aver partorito e quindi essere in grado di allattare. Gli scrittori islamici notarono l’incongruenza e la corressero: Abu Haiyan (morto dopo il 1010) scrive che l’Unicorno cerca di allattarsi ai seni della vergine sebbene non vi sia latte e questo lo intossica come se avesse bevuto vino, mentre un altro trattato islamico, il Manāfi’-i hayavan (scritto prima del 1295), forse sapendo che per gli infedeli cristiani la vergine è identificata con Maria, sostituisce alla vergine una giovane prostituta la quale ha partorito[20].

La narrazione viene ripresa anche in un contemporaneo testo greco del IV sec. noto come Kyranides, tradotto in latino intorno al VII sec., e attribuito ad Arpocrate o ad Hermes, in cui l’Unicorno viene sostituito dal rinoceronte: “Il rinoceronte è un quadrupede con un grosso corno sul naso. Non può essere catturato, ma (solo) per mezzo del profumo e della bellezza di donne ben fatte, perché è una creatura lasciva in fatto di sesso. Il corno o la pietra che cresce sul naso della creatura caccia i dèmoni, e i suoi testicoli o il membro genitale, bevuto da uomini e donne, li esalta violentemente alla lussuria[21].

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Una variante della fabula si ha nel Bestiaire d’amour di Richard de Fournival del XII sec.[22] FIG. 15, il quale associa gli animali alle diverse forme dell’amore tra uomo e donna e per quanto concerne l’Unicorno scrive: “Fui catturato anche per mezzo dell’odorato, come l’unicorno che si addormenta al dolce profumo della verginità di una damigella. Questa è la sua natura: non esiste alcun animale così pericoloso da catturare, e in mezzo alla fronte ha un corno al quale nessuna armatura può resistere, tanto che nessuno ha il coraggio di attaccarlo e di avvicinarglisi tranne una fanciulla vergine. Perché quando ne riconosce una al fiuto, si inginocchia davanti a lei e si inchina con umiltà e dolcezza come volesse mettersi al suo servizio. Sicché i cacciatori avveduti che conoscono la sua natura mettono una vergine sul suo passaggio, e l’unicorno si addormenta nel suo grembo; allora, quando è addormentato, giungono i cacciatori che non avevano il coraggio di attaccarlo da sveglio e lo uccidono”.

Nelle miniature medievali la figura della Dama si presenta nei modi più diversi: vestita in abiti della Roma imperiale FIG. 13 o della corte bizantina, come nel ms Barb. Gr. 372 della Biblioteca Apostolica Vaticana, in cui l’immagine è accompagnata in alto dalla figura di Maria e del Cristo bambino FIG. 16, a volte invece nuda FIG. 17, o ancora ritratta nel gesto di trattenere l’Unicorno perché possa essere ucciso o al contrario nel tentativo di difenderlo dal cacciatore FIG. 18.

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POSSIBILI FONTI DELLA FABULA: L’INDIA

L’origine della fabula della Dama e dell’Unicorno è certamente oscura: vi è chi la fa risalire alla storia del monaco-unicorno Rishyashringa “Corno-di-gazzella” dell’epica indiana del Mahābhārata[23] FIG. 19, che ricorre anche se in forma diversa nei racconti connessi con le vite anteriori del Buddha chiamati jataka[24], in cui l’eremita ha il nome di Isisinga “l’Unicorno”.

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La traslazione da questi scritti ad un bestiario mi sembra difficile, data la diversa natura del racconto (espiazione di un’offesa agli Dèi, elemento assente in tutte le versioni occidentali della fabula), il passaggio del personaggio principale da essere umano ad animale e la difficoltà per uno scrittore del II-IV secolo di venire a conoscenza di questi testi, il che richiederebbe una precedente traduzione dal testo sanscrito in greco, a meno che l’ignoto autore del Physiologus non fosse un orientalista provetto.

L’origine della fabula della Dama e dell’Unicorno è a mio parere più complessa, e potrebbe essere nata dalla contaminazione delle storie sulla ferocia dell’Unicorno con una descrizione allegorica di lavorazione del mercurio risalente all’alchimista Zosimo di Panopoli[25], autore di cui poco sappiamo e che si ritiene sia vissuto tra il IV e il VI secolo d. C.

LA DAMA E L’UNICORNO NELL’ALCHIMIA: DA BISANZIO ALL’ORIENTE

Nella versione siriaca del trattato attribuito a Zosimo sullo pseudo Democrito, versione scritta circa tra l’800 e il 1000 ma che potrebbe conservare il testo originale greco a noi giunto incompleto considerata la sua diffusione anche presso gli alchimisti dell’Estremo Oriente, Zosimo descrive sotto forma di racconto una singolare tecnica di estrazione e preparazione del mercurio: in un’imprecisata regione occidentale si trova una sorgente di acqua nella quale si trova lo stagno, chiamato nel testo siriaco con il sostantivo neutro zws, letteralmente Zeus (in Alchimia Zeus-Giove è correlato con il minerale stagno), e quando sulla superficie dell’acqua si è formato uno strato sufficiente del minerale viene scavata una fossa ai bordi della quale prende posto una fanciulla nuda di grande bellezza, tanto da eccitare lo stagno-Zeus (a questo punto nel testo il termine zws da neutro diviene maschile) il quale, spinto da un frenetico desiderio sessuale, fuoriesce dall’acqua “simile in forma a un dragone ribelle e violento” per possedere la fanciulla, ma i giovani appostati intorno al fosso lo assalgono e lo percuotono con bastoni finché esso da sé congela e dallo stagno congelato viene estratto il mercurio: “Questo è il motivo per cui chiamano il mercurio estratto dallo stagno acqua di fiume”, conclude Zosimo[26]

Il tema riportato da Zosimo si ritrova, come scrive sempre White, in diversi trattati alchemici orientali sull’estrazione del mercurio di età posteriore, i quali fanno sempre riferimento ad un luogo situato “ad occidente”, trattati sia indo-iranici del periodo tra XIII e XVII sec.[27], sia cinesi, il più antico dei quali, redatto dallo storico Zhu Derun, risale al 1347 ma si riferisce a fatti avvenuti tra il 1314 e il 1320[28].

Così White traduce il più antico testo sanscrito del XIII sec.: “Una giovane che ha avuto il suo primo ciclo mestruale [quindi in grado di concepire] si avvicina ad una pozza [di mercurio] su di un cavallo e egli [cioè il mercurio personificato, in precedenza definito “il seme di Śiva”], che la desidera per prenderla in sposa, la insegue per un intero yojana [circa nove miglia] e poi ritorna alla pozza, ma spesso si deposita nella cavità scavata lungo la sua strada e così viene raccolto dalle persone che vivono in quel luogo”.

Il mercurio secondo gli antichi testi induisti è originato dal seme di Śiva durante il suo amplesso con Parvati, ed esso viene utilizzato allo scopo di dare immortalità al corpo, primo passo per la liberazione dell’essere umano in questa vita[29].

Quale possa essere stata l’eventuale via seguita per la fusione di questi temi tra Alchimia occidentale ed orientale, se da ovest ad est o viceversa, al momento non è possibile affermarlo. Però è da rilevare un elemento, sia pur tardivo, presente in una miniatura dell’Impero moghul del XVIII sec. FIG. 20, nella quale in alto a sinistra sono disegnate tre figure che vestono abiti europei FIG. 21 con in mano strumenti per raccogliere il mercurio che la giovane sta portando fuori dall’acqua: forse questo potrebbe essere un indiretto segno che in Persia si sapeva che il mito originario era stato importato dall’Occidente, forse per mezzo della “via della seta”.

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Si potrebbe pensare ad una contaminazione tra il testo di Zosimo e i racconti dell’eremita Rishyashringa “Corno-di-gazzella” nei testi indù, contaminazione possibile data la diffusione dell’operazione alchemica descritta da Zosimo presso gli alchimisti indiani.

Lo schema della storia del monaco unicorne e del trattato di Zosimo a loro volta presentano troppe affinità con la descrizione dell’Unicorno nel Physiologus per essere casuali: nei racconti indiani un asceta di grande potere provvisto di un corno sulla fronte è attratto sessualmente da una donna esperta nell’arte amorosa (prostituta) o meno (figlia del re ma non detta vergine), e dalla loro unione sessuale ha origine un beneficio per il paese (la remissione della colpa del re o la caduta della pioggia), nel processo alchemico Zeus, antropomorfizzazione del minerale stagno contenuto nel lago, è spinto dal desiderio sessuale verso una fanciulla, la quale lo attrae fuori dall’acqua, e viene così trasformato nel mercurio, nel Physiologus una fanciulla vergine attrae l’Unicorno, lo allatta e lo fa uccidere o catturare per portarlo al palazzo del re.

Se è stata operata una fusione tra le due storie allora il passo fondamentale, del quale non è possibile determinare la causa, è stata la sostituzione del monaco unicorne e di Zeus con l’animale Unicorno, a cui si è aggiunta, nella cristianizzazione del Physiologus, il pudico passaggio del soggetto femminile da tentatrice a vergine e l’abolizione del rapporto sessuale (tentato o riuscito che sia da parte di Zeus o del monaco).

Sorvolo ovviamente sulle interpretazioni della fabula della Dama e l’Unicorno su basi psicologico-simboliche, per cui il corno è un simbolo sessuale, forma riduttiva analoga, anche se su di un piano diverso, a quella esposta da Parpola[30], secondo cui questi miti indiani sarebbero figura di riti agricoli. Questi miti sull’Unicorno sono anche espressione di cerimonie concernenti l’agricoltura con un significato di ierogamia, ma ciò avviene su di un piano materiale o rituale che non esaurisce la portata di un simbolo che, in quanto tale, ha significati molteplici.

UNA POSSIBILE INTERPRETAZIONE ALCHEMICA?

Se la fabula della Dama e dell’Unicorno deriva dalla contaminazione tra il testo siriaco di Zosimo e i miti indiani, l’Unicorno corrisponderebbe allo stagno contenuto nella sorgente, e questo autorizzerebbe a cercare nella fabula un significato simbolico ermetico-alchemico al di là del senso allegorico datogli dagli scrittori cristiani. Lo stesso colore del mantello dell’Unicorno, raffigurato nella quasi totalità delle miniature e dei dipinti di colore bianco, potrebbe essere segno della sua corrispondenza con Giove-stagno: in alcuni testi alchemici è detto che Giove contiene un “mercurio imperfetto”, per cui “nella fusione di Giove vedrai un fumo bianco che è segno di un mercurio non fissato e chiarificato, né mondificato né puro[31], e se l’Unicorno è simbolo della trasmutazione dello stagno in mercurio l’uso del latte con cui la Dama lo nutre assumerebbe il significato di lac virginis, cioè di acqua solvente e corrosiva con cui ne vengono eliminate le impurità.

La vergine, che nella descrizione di Zosimo attira lo stagno-Giove, potrebbe rappresentare il simbolo della forza “legante” dell’Eros della metafisica orfica, che qui si esprime nella sua duplice forma di Amore e di Lussuria, rappresentate dalla vergine casta e dall’animale descritto nei testi come lascivo e impetuoso.

Le due figure potrebbero rappresentare i due aspetti del Mercurio che si devono contemperare a vicenda per giungere alla trasmutazione in Oro: il Mercurio di fuoco (l’Unicorno, immagine del principio maschile e solare, assimilato al seme generatore di Śiva) e il Mercurio di acqua (la Vergine come potenzialità generatrice, la quale è detta essere al suo primo mestruo e quindi in grado di essere fecondata).

Questa interpretazione del rapporto tra l’Unicorno e la Dama come simbolo della forza legante dell’Eros sembra trovare conferma nelle parole del medico fiorentino Andrea Bacci[32], il quale, nello scrivere al granduca Francesco de’ Medici, critica l’interpretazione della fabula della Dama e l’Unicorno come simbolo della castità, perché “la suddetta historia è molto lontana, se non contraria, dalla natura dell’alicorno”, in quanto l’animale è solitario e ha in odio anche le sue femmine, “eccetto che nel tempo che vanno in amore, perché (come chiaramente dice Eliano) allora il maschio diventa alla femmina piacevole e per forza d’amore deposta ogni ferocità vien con esse alla pastura”. Prosegue il Bacci: “Et in questo è fondata la allegoria dell’Alicorno in braccio ad una vergine: cioè per una forza significante (secondo me) una delle forze d’amore, che sì come l’Alicorno per fera asprissima e inimica… con tutto ciò viene tal volta a cedere e rendersi vinto per amore, così e molto maggiormente habbia egli [= l’amore] possanza ne’ cuori degli huomini”.

Sappiamo che Francesco de’ Medici era conoscitore delle dottrine alchemiche ed ermetiche, come si è visto negli affreschi del suo “studiolo”, e d’altronde Firenze era stata la sede dell’Accademia neoplatonica istituita da Cosimo il Vecchio, al quale è dovuta la rinascita della conoscenza ermetica e alchemica con la traduzione fatta dal Ficino sia del Corpus hermeticum, in quegli anni giunto nella biblioteca di Cosimo, sia degli Inni orfici, per cui le dottrine ermetiche ed orfiche erano ben note ai frequentatori di questo cenacolo.

Che l’interesse per l’Unicorno non fosse per semplice sfoggio di conoscenze intellettuali o di rarità preziose[33] potrebbe essere testimoniato anche dalla sua presenza nella “Grotta degli Animali” della Villa Medicea di Castello (FI) FIG. 22 nella scultura di Nicolò Tribolo, eseguita intorno al 1540 su incarico del granduca Cosimo I padre di Francesco, dove la statua dell’Unicorno campeggia al di sopra delle rappresentazioni degli animali terrestri mentre la sua testa si erge tra le immagini degli uccelli che volano nel cielo della grotta, ponendosi così come un Mercurio intermediario tra il mondo terrestre e quello celeste.

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SVILUPPO STORICO E SIMBOLICO DELL’UNICORNO

A completamento della Prima Parte dell’articolo, nel quale si è trattato il possibile significato ermetico ed alchemico dell’Unicorno, viene qui illustrato lo sviluppo storico e simbolico del mito dell’Unicorno dai Sumeri al XVI secolo con una galleria di immagini, attraverso le quali sono esposti i numerosi e differenti aspetti di esso.

Il mito dell’Unicorno da argomento naturalistico dei Bestiari, descritto per la prima volta da Ctesia nel IV sec. a. C. sulla base di conoscenze che forse si rifacevano a tempi molto più antichi risalenti al mondo mesopotamico e indiano, si andò trasformando fin dall’inizio dell’èra volgare con l’interpretazione allegorico-morale del Physiologus e degli autori cristiani, i quali applicarono gli aspetti positivi e negativi di esso all’interpretazione dei Salmi, fino a vedere nella fabula della Dama e dell’Unicorno una figura del Cristo e di sua Madre. Nel Medioevo le rappresentazioni dell’Unicorno nei codici miniati e poi nei dipinti e nelle opere d’arte divennero sempre più frequenti, fino a costituire un simbolo che trovò la sua espressione anche con i grandi artisti del Rinascimento.

L’Unicorno è il soggetto di miti e di descrizioni che si ritrovano nel mondo eurasiatico ma anche in Africa centrale, rappresentato sotto varie forme, tanto da renderne impossibile darne una descrizione in modo univoco: a volte questo nome indica un animale con il corno sul muso, evidente contaminazione con il rinoceronte, più di frequente con il corno sulla fronte, liscio oppure a spirale, con zampe fornite di zoccolo unico come il cavallo o fesso come i bovini e gli ovini o ancora munite di dita come un leone, ha la sua origine da un mammifero acquatico come il narvalo[34], il cui corno è uguale a quello di tante descrizioni dell’Unicorno, o è un quadrupede terrestre, un rinoceronte “modificato”, un equino, cavallo o asino, un’antilope o un orice), o un ovino. La sua coda è quella di un cavallo, di un bove o di un suino, come si legge in Solino[35] quando parla del monoceros.

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L’Unicorno è anche descritto a seconda dei miti di taglia differente: se per alcuni la sua grandezza è paragonabile a quella di un grande quadrupede, per altri, come viene raffigurato in molte immagini, è invece di piccole dimensioni, con barba caprina e zoccolo fesso, tutti caratteri morfologici che ne consentono la classificazione come un capride. Autori come Bernabò[36] e van der Geer[37] prendono in considerazione l’origine dell’immagine dell’Unicorno a partire dalla capra markhor (Capra falconeri) FIG. 1, presente in Persia, India e Afghanistan, il cui nome iranico, significante “mangiatore di serpenti”, potrebbe essere collegato alla capacità attribuita al corno dell’Unicorno di preservare dall’azione dei veleni[38]. La descrizione e la raffigurazione più frequente del corno dell’Unicorno in forma a spirale ben si addice a quelle del markhor o di un ovino consimile e non al corno liscio di un rinoceronte o di altri animali appartenenti alla famiglia dei Bovidi, il cui progenitore (Eotragus sansaniensis) era già fornito di corna lisce e diritte FIG. 2.

La possibilità della reale esistenza di un animale unicorne per alterazione genetica potrebbe essere confermata (qualora non si tratti di fake news) da due avvistamenti avvenuti in Italia nel 2008 nei boschi presso Prato e nell’agosto del 2017 sui Monti Sibillini[39] di un capriolo nato con un solo corno FIG. 3, il che dimostrerebbe la possibilità in natura di tale anomalia; all’inizio del XX sec. sono stati “costruiti” presso l’Università del Maine[40] bovidi unicorni mediante alterazioni genetiche.

Un argomento così complesso richiede un excursus sulle differenti tipologie dell’Unicorno[41], estendendo la ricerca dai Sumeri e dai popoli della Valle dell’Indo del III e II millennio a. C. fino alle descrizioni degli autori cristiani ed islamici dei primi secoli dell’èra volgare e alle raffigurazioni nei codici miniati e nei dipinti dal Medioevo al Rinascimento.

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  • I Sumeri e la Valle dell’Indo

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Le prime immagini di un unicorno sono state ritrovate sia nella civiltà dell’Indo, fiorita tra il III e il II millennio a. C. Fig. 4 -5 – 6, che nella civiltà sumero-babilonese, come nella Porta di Ishtar a Babilonia, costruita da Nabucodonosor nel VI sec. a. C. Fig. 7, ma le immagini potrebbero essere in realtà quelle di un animale visto di profilo, come nel Papiro satirico dell’Egitto del Nuovo Regno, dove l’animale con un solo corno è un orice Fig. 8. Si potrebbe in tal caso identificarlo con il bovide arcaico vissuto fino al XVIII secolo nell’Europa orientale e conosciuto col nome di uro o auroch (Bos taurus primigenius), anche se sono note terrecotte provenienti dalle stesse zone raffiguranti chiaramente animali con un solo corno[42].

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  • Estremo Oriente: il K’ilin cinese

L’unicorno è conosciuto in Cina FIG. 9 con il nome di k’ilin o qilin, la cui prima citazione si legge nel Zuo zhuan[43] (“I commentari di Zuo”), testo scritto tra l’VIII e il V sec. a. C., e in Giappone come kirin. Secondo Cardini[44]l’unicorno sembra esser nato fra Cina e India: in queste aree, quanto meno, si radicano le prime testimonianze di esso o di qualcosa che gli somiglia; mentre in Occidente esso è soltanto un emigrante, qualcosa d’importato… il ‘K’i-lin’, nome che sembra riassumere il principio maschile e quello femminile e che è raffigurato come un grande cervo con coda di bue e zoccoli di cavallo, armato di un solo corno, dai peli dorsali di cinque colori e da quelli del ventre gialli o bruni; non calpesta erba viva né uccide animali viventi; compare quando appaiono sovrani perfetti, e la sua comparsa è di cattivo auspicio se viene ferito”.

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La descrizione cinese, molto diversa da quella euroasiatica, fa riferimento ad un animale composito di grandezza paragonata a quella di un cervo, corpo di drago ricoperto di scaglie, testa di cavallo, coda di bue, zoccoli equini, di carattere benevolo verso il mondo vegetale e animale, con significato di presagio favorevole, la cui morte è fonte di disgrazie.

Una curiosità: l’agenzia ufficiale della Corea del Nord Korean Central News Agency nel 2012 ha riportato la notizia secondo cui gli archeologi avrebbero ritrovato presso il tempio Yongmyong la tana (o la stalla per maggior precisione) in cui il re Tongmyong, regnante sulla Corea e su parte della Cina meridionale circa nel 680 d. C., avrebbe tenuto l’Unicorno che aveva come cavalcatura, secondo testi coreani del secolo XVI[45].

  • India: l’asino “a Tre Zampe”

Nella religione zoroastriana[46] in Yasna 42, 4 un animale con un solo corno è descritto con il nome di “asino giusto”, designato con il termine avestico xara– che specificatamente non si traduce semplicemente “asino” bensì “asino unicorne”; questo animale favoloso è chiamato anche in un lungo brano del Bundahišn avestico “asino a tre zampe” (in cui è descritto però un animale multicornuto e non semplicemente unicorne) e in due brevi passi del Dādestān i Mēnōg i Xrad (Detti dello Spirito della Sapienza). Nel Bundahišn si trovano due elementi che diventeranno parte integrante nel mito dell’Unicorno: la connessione dell’Unicorno con l’acqua (in questo caso l’Oceano primordiale) e la prerogativa di questo “asino unicorne” di purificare le acqua con il suo corno aureo.

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Più attinente all’aspetto euroasiatico dell’Unicorno è il mito del “monaco unicorne” trattato in testi postvedici, argomento trattato nella Parte Prima di questo articolo.

Nel Buddhismo si trova traccia di questo animale in due racconti noti come jataka: di uno, il racconto noto come Isisinga (o Nalininga) jataka, si è detto nella Prima Parte, l’altro è la storia di un uomo inseguito dall’Unicorno (che verrà ripresa in àmbito cristiano nel Romanzo di Barlaam e Joasaf [47] nel terzo apologo FIG. 10, “Il Viandante e l’Unicorno”), dove si descrive la vicenda di un uomo inseguito da un unicorno, che nella versione cristiana è figura del male e del demonio, il quale, cadendo in un precipizio, si aggrappa ad un cespuglio ma si trova assediato da un drago e da serpenti mentre due topi vanno rodendo l’arbusto a cui si è aggrappato: il viandante, invece di temere per la morte imminente, gusta il miele che stilla dall’arbusto.

  • Persia achemenide

Nell’Impero achemenide la figura di animali con un solo corno nella statuaria come nei bassorilievi è frequente ma, come si è detto in precedenza, è difficile dire se l’animale in questione abbia un solo corno o sia così raffigurato in quanto visto di profilo dall’artista; questo si può vedere in un sigillo del V sec. a. C. appartenuto a Dario I che sembra mostrare un quadrupede unicorno FIG. 11.

  • Islam: il Karkadann e lo Hạrish

Nella Persia islamizzata l’Unicorno prende diversi nomi, di cui il più frequente nei bestiari in lingua araba è karkadann, significante “il signore del deserto”, termine adoperato per indicare sia il rinoceronte che l’Unicorno: nel XIII sec. il naturalista persiano Al-Qazwini descrive le meravigliose capacità del suo corno riprendendo quanto scritto da Ctesia e raffigurandolo in un codice manoscritto nella forma di un quadrupede con il mantello maculato, la coda simile a quella di un cavallo ma con gli zoccoli fessi FIG. 12.

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L’Islam conosce oltre al karkadann altri animali con il corno unico, descritti e illustrati nel lavoro di Ettinghausen The unicorn[48]: tra di essi il più vicino alla descrizione “classica” dell’Unicorno è lo hạrish[49] (Ibn Bukhtlshu’, contemporaneo di al-Tawhidi, identifica il karkadann e lo hạrish come lo stesso animale[50]), animale della dimensione di un agnello o di un capretto ma di grande forza e rapidità, le cui caratteristiche derivano dalla versione siriaca del Physiologus, da cui in particolare Abu Haiyan al-Tawhidi, morto dopo il 1010[51], trae la notizia della fanciulla vergine mediante cui si cattura il bellicoso animale, al cui seno lo hạrish cerca di allattarsi senza riuscire nell’intento essendo la fanciulla vergine. L’impossibilità di succhiare il latte viene corretta in un altro trattato, il Manāfi’-i hayavan[52], scritto prima del 1295, in cui alla vergine è sostituita una giovane prostituta la quale ha appena partorito, però il testo descrive un animale provvisto di doppio corno; la nptizia della prostituta in luogo della vergine potrebbe anche essere dovuta alla conoscenza da parte dell’autore dell’identificazione fatta nel cristianesimo della fanciulla con la Madre del cristo e quindi costituirebbe una denigrazione anticristiana in linea con i trattati ebraici del IV-VI sec. conosciuti come Sepher Toledot Yeshu (Libro della generazione di Gesù), derivanti da una tradizione orale che si fa risalire al I-II sec.

Nell’Islam, pur essendo conosciuto il mito della vergine che cattura l’Unicorno, è assente una valorizzazione allegorica, analoga a quella del cristianesimo in cui i soggetti sono interpretati come il Cristo e Maria, e l’argomento è solo trattato per motivi naturalistici.

  • Grecia: Ctesia, Aristotele e Megastene

Ctesia, medico e storico greco vissuto tra la seconda metà del V sec. a. C. e la prima metà del IV in Persia alla corte degli Achemenidi, nei suoi Indikà, di cui ci rimangono solo estratti tramandati da altri autori, parla di “asini selvatici” che si trovano “nel territorio degli Indiani… della dimensione di un cavallo e anche più grandi. Il loro corpo è bianco e la loro testa è porpora, e hanno gli occhi di colore blu scuro. Hanno sulla fronte un corno della lunghezza di un cubito e mezzo: la parte inferiore del corno, che si estende per due palmi sulla fronte, è molto bianca; la parte superiore è appuntita ed è color porpora e molto rossa. Quanto alla parte restante, nella sezione di mezzo, è nera… Il loro astragalo (è) il più bello fra quelli che ho visto ed è simile a quello dei buoi[53].

Ctesia riporta la virtù del suo corno di preservare dai veleni e dà alcuni particolari, tra i quali il fatto che esso inizia a correre lentamente per poi giungere ad una velocità superiore a quella dei cavalli. il che fa pensare che stia parlando piuttosto di un rinoceronte che di un asino, ma mentre il rinoceronte appartiene all’ordine dei Perissodattili con zoccolo indiviso, come asini e cavalli, Ctesia, almeno stando alla citazione di Fozio, dice del suo astragalo che è “simile a quello dei buoi”, e questi fanno parte degli Artiodattili, l’ordine a cui appartiene anche la capra [54]. Inoltre il testo riportato da Fozio descrive un animale che vive in gruppo con i suoi consimili, cosa che il rinoceronte non fa e che invece è tipico sia degli equini che degli ovini.

È stato fatto notare che il “corno” di cui parla Ctesia potrebbe essere in realtà un singolare generico al posto di un plurale[55], per cui l’animale da lui descritto potrebbe essere un animale della famiglia delle Antilopine o consimili: “Shepard, in particolare, ha pensato all’asino indiano di Ctesia come ad una agglutinazione di rinoceronte indiano, antilope tibetana (la Pantholops hodgsonii, detta anche ‘chiru’) e onagro (Equus hemionus onager)… Quanto all’onagro, gli si riconoscono i tratti equini che Ctesia avrebbe attribuito al suo asino indiano; soprattutto, l’onagro è – esattamente come l’asino indiano – difficilmente addomesticabile[56].

Mentre è molto probabile che Ctesia non abbia mai visto l’animale di cui parla ma si sia solo basato sulla descrizione di viaggiatori di buona fantasia, il fatto che abbia vissuto per un certo tempo in Persia alla corte del Grande Re di certo gli consentì di vedere personalmente le immagini del re’em scolpito o raffigurato nelle città persiane, il quale, come detto, è raffigurato di profilo e quindi in apparenza provvisto di un solo corno.

La descrizione di Ctesia dell’Unicorno-asino venne ripresa da Aristotele, il quale in un certo senso dovette creare una classe intermedia tra Artiodattili e Perissodattili considerato quanto scritto dal suo predecessore: “Vi sono però rari animali che hanno un solo corno e sono perissodattili come l’asino indiano… Unico fra i perissodattili l’asino indiano possiede anche un astragalo[57]. Accanto all’asino Aristotele descrisse per ragioni inspiegabili un secondo animale provvisto anche’esso di un solo corno, identificabile con l’orice, il quale entrò così a far parte della schiera degli animali monocorni. Secondo Ettinghausen[58] esso è da identificare con l’arabo āras, citato per la prima volta da Geber nel X sec.

Nel III sec. a. C. Megastene, vissuto anch’egli come Ctesia alla corte dei Re persiani, riporta le descrizione, giunta a noi nel II sec. d. C. nella citazione di Claudio Eliano, dell’Unicorno come un equino per taluni aspetti molto simile ad un rinoceronte (lo chiama kartazonos, termine da taluni considerato alterazione del persiano kargadann), con un corno nero, però ritorto e non liscio come quello del rinoceronte, e non tricolore come quello descritto da Ctesia, situato sulla fronte e che vive solitario, i cui giovani esemplari vengono catturati per essere portati come omaggio al Re, particolare che verrà ripreso nel Physiologus.

  • Roma: Cesare e Plinio il vecchi

A Roma il primo a parlare di un animale unicorne è Giulio Cesare, il quale nel De bello gallico descrive una sorta di bovide con corno unico che all’estremità si apre in ramificazioni, di cui nessun’altro naturalista dopo di lui dà notizia: ”C’è un bue, dalla forma di cervo, che in mezzo alla fronte, tra le orecchie, ha un corno unico, più alto e più dritto di quelli a noi noti: sulla sommità, il corno si divide in ampie diramazioni. Uguale è l’aspetto della femmina e del maschio, con corna di identica forma e grandezza[59].

Plinio nella Naturalis historia scrive di due animali distinti, un ”bue indiano con un solo corno o tre” e un “feroce unicorno”, che non sembra essere on ostante la descrizione il rinoceronte, che i Romani conoscevano e che era stato raffigurato fin dal I sec. a. C. nel mosaico nilotico di Palestrina con il corno sull’estremità del muso e non “al centro della sua fronte”, come lo descrive Plinio : “Vi sono in India buoi con un solo corno o con tre[60]… In India si trovano buoi con zoccolo indiviso e un singolo corno… e un feroce animale chiamato unicorno (monoceros), che ha la testa del cervo, i piedi dell’elefante e la coda del bove, mentre il resto del corpo è simile a quello del cavallo; emette un basso suono rumoroso e ha un singolo corno di colore nero che si erge dal centro della sua fronte lungo due cubiti. Questo animale si dice che non possa essere catturato vivo[61].

  • Congo: l’Abada

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Una tardiva testimonianza dell’esistenza dell’Unicorno viene dal Congo, ove esso fu descritto, solo per sentito dire, dal padre cappuccino Girolamo Merolla da Sorrento, il quale nel 1682 nel suo viaggio missionario in Congo parla del “lioncorno” che i locali chiamano abada[62] FIG. 13, al tempo del suo viaggio non più rintracciabile ed esistente anche, a quanto il Merolla riferisce, nell’Africa orientale: “Queste boscaglie non escludono i Lioncorni, da loro chiamati Abada, le virtù de’ quali da me non si narrano, per haverne tutti notitia. I Lioncorni di queste selve sono differenti da gli altri, che sogliono comunemente nominar gli Scrittori, mentre di quelli, se vogliamo adherire a ciò, che quivi ho udito, non più se ne trovano. Anzi essendomi incontrato con un P. Teatino Missionante di ritorno da Goa nell’ Indie Orientali, mi disse, d’haver procurato d’haverne uno, e per qualunque diligenza da lui usata, già mai poté trovarlo; aggiungendo, d’haver udito anche egli da quei Orientali, versatissimi ne’ Astrologia, massimamente i Chinesi, che secondo il computo fatto da loro, tutt’ i veri Lioncorni morirono il giorno medesimo, in cui spirò CHRISTO N. S. forsi (io direi) per esser’ il nostro Redentore rassomigliato a sì casto animale: Et dilectus quemadmodum filius Unicornium. Psalm. 28.6. il tutto però si rimette alla verità, conforme anche disse lo stesso P., il di cui nome non mi sovviene. I Lioncorni dunque, o Abada di queste Regioni, arrivano alla grandezza d’un Bue, con un sol corno in fronte, concesso dalla natura per arma, solamente a maschi. Possiedono questi la stessa virtù de gli antichi, se si prendono giovanetti, e vergini. Gli altri più annosi tengono pure la virtù, ma più debole, per la congiuntione fra di loro, a cagion della prole”.

  • Ebraismo e Cristianesimo

Nel Vecchio Testamento il nome dell’Unicorno compare più volte, a partire dall’episodio di Balaam in Numeri XXIII, 22 e soprattutto, come si dirà più avanti, nei Salmi. L’Unicorno è citato anche in alcuni testi del Talmud babilonese, dove viene ripresa l’immagine dell’Asino a tre zampe della mitologia persiana[63].

Esso entra precocemente nella letteratura e nell’iconografia cristiana conservando la sua duplice valenza simbolica di animale pericoloso e diabolico FIG. 14 ma anche immagine del Cristo, caratteristica quest’ultima che si conserverà nel Medioevo e nel Rinascimento.

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Citato da numerosi autori, da Tertulliano e Giustino a S. Agostino, Isidoro di Siviglia e Onorio di Autun[64], l’Unicorno giunge al Cristianesimo per una erronea traduzione dell’ebraico re’em, indicante l’uro (Bos primigenius), in monokeros (unicorno), nella versione dei Settanta del Vecchio Testamento, dove il nome si trova sette volte tradotto in tal modo, forse per la conoscenza che si aveva a quel tempo dei testi di Ctesia e di Aristotele (mentre la versione latina di S. Girolamo porta correttamente rhinoceros[65]).

L’animale identificato nella traduzione dei Settanta come unicorno è animale temibile e diabolico come si legge in Ps. XXI, 22: “Salvami dalle fauci del leone e dai corni dell’unicorno”, ma esso ha anche un aspetto positivo, in quanto simbolo del fedele, come venne letto nel Ps. XCI, 11: “Ed hai innalzato il mio cuore come il corno dell’Unicorno FIG. 15, e soprattutto divenne figura del Cristo: “Il Signore fa balzare (i cedri) del Libano come un vitello e il diletto come il figlio dell’unicorno[66]” (Ps. XXIX, 6).

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Didimo il Cieco (318-398) nel suo commento ai Salmi, ritrovato nel 1941 nei papiri scoperti a Tura, parla dell’Unicorno descrivendolo più simile ad un rinoceronte che ad un equino: “Questo animale si dice abbia grandezza non inferiore a quella di un grosso vitello, è molto compatto, è grasso e ha un corno sopra le narici. È un animale fortissimo e quando si inferocisce il suo corno diventa durissimo così da essere più resistente dell’avorio, quando non è agitato è molle come carne. E talvolta se ha caldo riesce a spostare grossi massi per mettersi in un determinato posto perché è fresco… I cacciatori cercano di prendere il suo corno perché è prezioso. Dal momento che vogliono che sia duro non lo colpiscono all’improvviso, non viene cacciato, non viene preso con trappole o simili espedienti. Lo colpiscono con l’arco e quando si è infuriato lo uccidono con una freccia”.

L’Unicorno, prosegue Didimo, è simbolo del Cristo “se viene inteso in senso elogiativo. Sta ad indicare un regno che non si deve condividere con un fratello. Il regno del Salvatore non ha nessuna limitazione ma è assoluto, perché è il regno del Dio fatto uomo: per questo viene detto unicorno. Se viene inteso in senso negativo, viene inteso così per la sua ferocia, non per il corno[67].

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Cosma Indicopleuste FIG. 16 nella Topographia cristiana[68], scritta tra il 535 e il 537[69], lo descrive più simile ad un capride che non ad un rinoceronte o un equino, considerando la capacità dell’animale di saltare sulle rocce di una montagna: “Quando l’unicorno è inseguito da molti cacciatore ed è sul punto di essere catturato si getta dalla cima di un precipizio e nel cadere gira su se stesso in modo da atterrare sul suo corno, che sostiene tutta la forza dell’urto, e fugge sano e salvo. E le Scritture così parlano di lui dicendo: ‘Salvami dalle fauci del leone e preserva la mia debolezza dal corno dell’unicorno’ [Ps. XXI, 22], e ancora: ‘Egli è amato come il figlio dell’unicorno’ [Ps. XXVIII, 6]. E nella benedizione di Balaam quando benedice Israele egli dice: ‘Dio lo trasse dall’Egitto come la Gloria dell’unicorno’ [Num. XXIII, 22][70], dando così una completa testimonianza della forza, dell’audacia e della gloria di questo animale”.

Anche nel testo gnostico di Nag Hammadi conosciuto come Parafrasi di Sēem[71] troviamo la citazione dell’Unicorno ma nel suo aspetto malefico, come sembianza assunta dal dèmone Molychta: “E Molychtha è un vento, senza il quale nulla diviene sulla terra. Ha sembianze di Serpente e di Unicorno”.

  • Il Physiologus

Fondamentale nella diffusione della conoscenza dell’Unicorno nel mondo cristiano fu il Physiologus, opera naturalistica sulla fauna, la flora e il mondo minerale diffusa dal II sec. d. C. o almeno dal IV[72] e riprodotta in numerosi manoscritti sia come solo testo che arricchito con immagini, a iniziare dal il ms Bongarsianus 318 di Berna, scritto tra l’825 e l’850.

Con il Physiologus ha origine il topos della cattura per mezzo della fanciulla e la traslazione in senso morale-allegorico della narrazione, come si legge nella versione del ms Bongarsianus: “Il Fisiologo ha detto di esso che è un piccolo animale, simile ad un mansueto capretto, ha un solo corno sopra la testa e non ci si può avvicinare ad esso perché ha un solo corno solidissimo… Così gli si dà la caccia: si pone davanti ad esso una vergine castissima, e quando vede la vergine subito diviene mansueto e si poggia sul suo seno [ms Vat. Lat. 290 c. 38v: e si stringe a lei; altre versioni aggiungono: ed essa lo allatta] e mentre si riscalda a lei viene preso e portato al palazzo del re[73]. Infatti nessun cacciatore è così valoroso da poterlo catturare. ‘Ha innalzato per noi il corno della salvezza nella casa di David’… Ed egli si è fatto carne ed ha abitato tra di noi”; in altri testi più esplicitamente è espresso lo stesso concetto: “L’unicorno è un’immagine del Salvatore… ha preso dimora nel ventre della vera e immacolata Vergine Maria”.

  • L’unicorno tra Medioevo e Rinascimento

Rinviando alla Parte Prima nella quale si è detto della presenza dell’Unicorno nei testi e negli affreschi in àmbito ermetico-alchemico, si può rilevare come nel periodo tra Medioevo e Rinascimento in Europa la figura dell’Unicorno venga rappresentata nei modi più diversi: è portato in trionfo davanti al re tra musici e bandiere FIG. 17, è solo un elemento decorativo nei codici miniati FIG. 18, o un oggetto artistico FIG. 19. Da segnalare anche una singolare versione dell’Unicorno: Bucefalo in alcuni codici miniati del Roman d’Alexandre è raffigurato con un corno frontale ed è descritto come antropofago FIG. 20.

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L’immagine dell’Unicorno e della Dama ha una grande diffusione tra Medioevo e Rinascimento, e la si ritrova nelle pale d’altare FIG. 21 e Fig. 22, ma anche in opere laiche, come nel Tondo da parto di Apollonio di Tommaso[74] dipinto intorno al 1450-1460 FIG. 23, in cui una coppia di unicorni tira il carro di una divinità (Venere con Eros in catene?) accompagnata da un corteo di sole donne, mentre il Pisanello lo utilizza nella medaglia in bronzo fusa in onore di Cecilia Gonzaga nel 1447 FIG. 24. Grandi artisti ritraggono la coppia Dama-Unicorno: Leonardo intorno al 1480-1482 lo abbozza insieme con la Dama in due disegni, l’uno all’Ashmolean Museum FIG. 25 e l’altro al British Museum, Raffaello lo raffigura FIG. 26 come un piccolo animale con il mantello velloso di un ovino in grembo alla Dama[75], mentre Dürer raffigura l’Unicorno come cavalcatura di Ade nel rapimento di Proserpina, sottolineandone così il valore infero FIG. 27.

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Nei manoscritti medievali la fabula dell’Unicorno e della Dama è raffigurata in diversi modi, a iniziare dal ms Bongarsianus di Berna, dove la Dama è vestita con abiti della Roma classica FIG. 28; il tema preferito nelle miniature sembra essere quello dell’uccisione dell’animale mentre riposa in grembo alla Dama, in cui l’animale viene ucciso da parte di uno o più guerrieri con lancia FIG. 29, spada FIG. 30 o in un caso con una morgensterne FIG. 31; in altre immagini l’Unicorno viene gentilmente catturato senza che gli sia arrecato danno FIG. 32 e in una miniatura del 1300-1350 sembra anzi che la Dama cerchi di proteggerlo dai suoi nemici FIG. 33.

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Nei codici come negli arazzi e nei quadri la Dama è raffigurata vestita, a volte con abiti sontuosi FIG. 34, ma in alcune miniature della prima metà del XIII secolo, forse seguendo la descrizione di Zosimo della “cattura” dello stagno di cui si è detto nella Parte Prima, la donna è raffigurata senza abiti FIG. 35; in altre immagini, a sottolineare l’allattamento dell’Unicorno, la Dama è presentata col seno scoperto, come in un arazzo di Strasburgo del 1500-1510 (ora conservato a Basilea) FIG. 36 e in un affresco dipinto tra il 1506 e il 1524 che si vede nel castello di Carbognano (VT) FIG. 37, appartenuto a Giulia Farnese, sorella del cardinale Alessandro Farnese, poi papa Paolo III.

Paolo Galiano

[1] Per la datazione si veda E. Albrile, La liturgia dell’Asino. Elementi di una transizione simbolica, in “La Persia e Bisanzio. Atti del Convegno internazionale Roma 14-18 ottobre 2002”, Accademia Nazionale dei Lincei, Atti dei Convegni Lincei 201, Roma 2004, pp. 457-472, p. 459.

[2] In www.alchimialascienzadeifolli.net/la-chasseallunicorno,html, consultato il 5 Gennaio 2020.

[3] Perrèal è l’autore del Complainte de nature à l’alchimiste errant, nel cui manoscritto si trova l’immagine conosciuta con lo stesso nome (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, ms 3220; Parigi, Musée Marmottan Monet, Collection Wildenstein, ms. 147).

[4] Così soprannominato perché nato a Poppi nel 1544 ove morì nel 1597.

[5] A. Bacci, L’alicorno. Discorso dell’eccellente medico e filosofo M. Andrea Bacci nel quale si tratta della natura dell’Alicorno e delle sue virtù eccellentissime al sereniss. Don Francesco medici Gran Principe di Toscana, in Fiorenza, appresso Giorgio Marescotti, 1573.

[6] Bernard Georges Penot : alchimista francese autore dei Tractatus varii, de vera praeparatione et usu medicamentorum chymicorum nunc primum editi. Authore et collectore Bernardo G. Penoto à Portu S. Mariae Aquitano, Francofurti. apud Ioannem Feyerabend, impensis Petri Fischeri, 1594. Alcune sue opere sono state pubblicate nel Theatrum chemicum del 1602.

[7]Theatrum chemicum, praecipuos selectorum auctorum tractatus de chemiae et lapidis philosophici antiquitate, veritate, iure, praestantia, & operationibus, continens, Zetzner, Ursellis [Oberursel im Taunus], 1602 (Stiftung der Werke von C.G.Jung, Zürich, persistent Link: http://dx.doi.org/10.3931/e-rara-851), libro II.

[8] Triga chemica, De lapide philosophico tractatus tres, Leyden 1599.

[9] L’immagine qui riprodotta proviene dall’edizione del Musaeum hermeticum del 1677: A. Lambsprinck, Lambsprinck nobilis germani philosophi antiqui libellus de lapide philosophicorum, apud Hermannum à Sande, Francofurti, 1677, in Musaeum hermeticum reformatum et amplificatum, Nicolas Barnaud, Francofurti, 1677 (Stiftung der Werke von C.G.Jung, Zürich, persistenter Link: http://dx.doi.org/10.3931/e-rara-7703).

[10] Basilio Valentino, Il cocchio trionfale dell’antimonio, a cura di M. Gabriele,Mediterranee, Roma 1998, p. 62. La prima edizione dell’opera, in lingua tedesca, fu pubblicata a Lipsia nel 1604 da Johannes Tölde.

[11] Ioannis Danielis Milii Philosophia reformata, continens libros binos, Francofurti apud Lucas Iennis, 1622, p. 316.

[12] A. De Romanis, Il Palazzo di Tiberio Crispo a Bolsena, De Luca editori, Roma 1995, p. 1.

[13] Sull’argomento delle ville, dei giardini e dei castelli appartenuti alla famiglia Farnese e a quelle ad esse collegate rimando agli articoli sulla “Tuscia ermetica” che ho pubblicato sul sito www.simmetria.org.

[14] Adopero il termine secondo la sua etimologia originaria da fari, parlare, e non nel senso moderno di “fantasioso”.

[15]Est autem animal simile hedum [sic per haedus] mansuetum valde unum cornum habet super caput et non potest venator adpropinquare ei propter quod valde fortissimum cornum… Sic modo comprehenditur: proicitur ante eum virgo castissima et dum videret virginem statim venit mansuetus et in sinu eius se conlocat. Et dum calefiet [sic] eum portat festinans in domo regis. Nam nullus eum venator adprehendere valet. Ita et salvator noster est de quo propheta dixit: Erexit cornu salutis nobis in domo David. Dum enim videretur nulli sic potestates malignae valuerunt nocere eum, cum verbum caro factum est et habitavit in nobis” (Bern, Burgerbibliothek Bern, Codex Bongarsianus 318, cc. 16v-17r). Il codice, scritto a Reims tra l’825 e l’850, è il primo esemplare di Physiologus miniato.

[16] Nel tardo latino hedus è il nome della macchina bellica nota come ariete (Du Cange Glossarium mediae et infimae latinitatis, s. v. hedus): l’autore, giocando sul significato del termine, sembra dire che l’animale è mansueto ma pronto a scatenarsi come una macchina da guerra.

[17] In altri codici si legge exilit in sinum virginis et complectitur eam (Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 290 c. 38v e Pal. Lat. 1064 c. 37r).

[18] Questo particolare è già presente in Megastene, di cui ho riportato il testo nella Parte Seconda di questo articolo.

[19] Londra, British Library, ms Add. 8785, scritto tra il 1300 e il 1309, manoscritto di difficile lettura essendo la traduzione del testo di Bartolomeo in dialetto mantovano, opera di Vivaldo del Belcalzer. Ho apportato alcune modifiche ortografiche al testo per migliorarne la lettura.

[20] R. Ettinghausen, The unicorn, The Lord Baltimore Press, Smithsonian Institution, Freer gallery of Art occasional paper, publication n° 3993, Washington 1950, p. 60.

[21] The magick of Kirani king of Persia and of Harpocratian… now published and translated into english from a copy found in a private hand, 1685.

[22] Parigi, Bibliotèque Nationale franҁaise, ms Franҁ.1951, scritto tra XIII e XIV sec.

[23] Ettinghausen, The unicorn, p. 96: “(Il Mahābhārata) sembra essere la principale fonte della storia del Physiologus circa la cattura dell’unicorno con l’aiuto di una giovane vergine”.

[24] A. P. Bell, Didactic narration: Jataka iconography, Lit Verlag, Monaco-Amburgo-Londra 2000, p. 24. Lo jataka di Isisinga è illustrato in un bassorilievo dello stupa di Bharhut nell’India centrale, che viene fatto risalire al I sec. a. C. (idem, pp. 17-18).

[25] Quanto segue prende lo spunto da D. G. White, Variations on the Indo-European “Fire and water” mytheme, in “Journal of the American Oriental Society”, 137, 4 (2017), pp. 679-698. Per Zosimo si veda in particolare pp. 687-689.

[26] “Acqua di fiume” è uno dei nomi dati dagli alchimisti bizantini al mercurio, il più usato era “acqua divina”.

[27] WHITE, Variations, pp. 679-685.

[28] WHITE, Variations, pp. 686-687.

[29] Questa concezione nell’Alchimia indiana si può far risalire al Rasahṛdaya dell’XI sec. e al Rasārṇava del XII sec. Il successivo passaggio dal mito di Śiva e Parvati alla storia della giovane vergine si ha a partire dal Rasendracūdāmani di Somadeva, scritto tra il XII e XIII sec. e dal Rasaratnasamuccaya di Vāghbata del XIII sec. (S. R. Sarma e Y. Sahaj, Gushing mercury, fleeing maiden: a Rasašāstra motif in Mughal painting, in “Journal of the āyurvedic society”, 4 (1955), pp. 150-162).

[30] Sorvolo ovviamente sulle interpretazioni della fabula della Dama e l’Unicorno su basi psicologico-simboliche, per cui il corno è un simbolo sessuale, forma riduttiva analoga, anche se su di un piano diverso, a quella esposta da Parpola, The Harappan unicorn, p. 138, secondo cui questi miti indiani sarebbero figura di riti agricoli. Sono anche questo, ma su di un piano materiale che non esaurisce la portata di un simbolo che, in quanto tale, ha significati molteplici.

[31]In fusione jovis videbis fumum album facere quod est signum argenti vivi non fixi et clari nec mundi nec puri”, Firenze, Biblioteca Centrale Nazionale, ms C.2.567, c. 12r (scritto nel 1491).

[32] Bacci, L’alicorno, p. 64 e p. 71.

[33] L’Unicorno era ben conosciuto alla corte dei medici, come si vede dall’inventario manoscritto dei beni di Lorenzo de’ Medici redatto dopo la sua morte, in cui si annovera un “corno d’unicorno lungo 3 braccia e 1/2”, stimato del cospicuo valore di 6.000 fiorini (Questo libro d’inventarii è copiato da un altro inventario, el quale fu fatto alla morte del magnifico Lorenzo de’ Medici, copiato per me, prete Simone di Stagio dalle Pozze, oggi, questo 23 di dicembre 1512, per commissione di Lorenzo di Piero de’ Medici, c. 18r; il manoscritto si legge nel link www.memofonte.it/home/files/lorenzoilmagnifico.pdf, consultato 14 /12/2020).

[34] Tra i più recenti assertori di questa origine G. Acerbi, Il Re Pescatore e il Pesce d’Oro, in corso di pubblicazione: “l’Unicorno –nonostante la cosa sia da certuni negata– costituisce lo sviluppo iconografico del Pesce Monodono e cioè del Narvàlo”.

[35] Solino, Collectanea rerum memrabilium, LII: “Atrocissimus est monoceros, monstrum mugitu horrido, equino corpore, elephanti pedibus, cauda suilla, capite cervino. cornu e media fronte eius protenditur splendore mirifico, ad magnitudinem pedum quattuor, ita acutum ut quicquid impetat, facile ictu eius perforetur. vivus non venit in hominum potestatem et interimi quidem potest, capi non potest”.

[36] M. Bernabò, Il Fisiologo di Smirne, p. 95.

[37] A. van der Geer, Animal in stone. Indian mammals sculpture trough time, Koningklijke Brill NV, Leiden 2008, p. 176 e nota 1.

[37] Le proprietà benefiche del corno hanno la più antica fonte in Occidente negli Indikà di Ctesio, proprietà probabilmente descritta in precedenti testi indoiranici (M. Restelli, Il ciclo dell’unicorno, Marsilio, Venezia 1992, p. 8).

[38] Si veda https://www.vice.com/it/article/3knpjb/capriolo-unicorno-monti-sibillini-parco-scienze-naturali-prato (consultato 12/12/2019), con il riferimento all’articolo pubblicato sul giornale La Repubblica.

[39] P. Li Causi, L’asino indiano da Ctesia ad Aristotele I primi passi dell’unicorno nel mondo della realtà, in ClassicoContemporaneo 5 (2019), p. 29.

[40] Chi volesse approfondire l’argomento si potrà rifare ai testi di O. Shepard (The lore of the unicorn, 1930), E. Ettinghausen (The unicorn, 1950), M. Restelli (Il ciclo dell’unicorno, 1992), A. Parpola (The harappan unicorn, 2011).

[41] A. Parpola, The Harappan unicorn in Eurasian and South Asian perspectives, in “Linguistics, Archaeology and the Human Past”, a cura di T. Osada e H. Endo, Indus Project Research Institute for Humanity and Nature, Kyoto, Japan 2011, pp. 140-142.

[42] In https://en.wikipedia.org/wiki/Zuo_zhuan (consultato 28/12/2019).

[43] F. Cardini, L’unicorno, in “Abstracta”, 1986 (6), pp. 42-49 (da www.liceofermibo.net, consultato 19/02/2020). Si veda anche l’Enciclopedia Treccani s. v. qilin.

[44] https://web.archive.org/web/20121203012958/http://www.kcna.co.jp/item/2012/201211/news29/20121129-20ee.html (consultato 28/12/2019).

[45] Il tema è trattato in E. Albrile, Gnostici a Montiglio. Il ricordo dell’antico in una pieve altomedievale, in “Medievalsophia”, 2012 (11), pp. 31-58. Parpola, The Harappan unicorn pp. 131 ss. riporta per esteso i testi citati.

[46] Un’esauriente panoramica sui rapporti tra Il romanzo di Barlaam e Joasaf e Il Buddhismo in S. Ronchey, Introduzione a ‘Il Buddha bizantino’, in Storia di Barlaam e Ioasaf. La vita bizantina del Buddha, a cura di S. Ronchey e P. Cesaretti, Nuova Universale Einaudi, Nuova serie 9, Milano 2012.

[47] R. Ettinghausen, The unicorn, The Lord Baltimore Press, Smithsonian Institution, Freer gallery of Art occasional paper, publication n° 3993, Washington 1950.

[48] Ettinghausen, The unicorn, p.60.

[49] Ettinghausen, The unicorn, p. 96.

[50] Ettinghausen, The unicorn, p. 11 nota 16.

[51] Ettinghausen, The unicorn, p.60.

[52] La citazione, riportata dalle epitomi di autori greci scritta dal Patriarca di Costantinopoli Fozio nel IX sec. d. C., è estratto da Li Causi, L’asino indiano, pp. 19-51.

[53] Sull’interpretazione di questo particolare si veda Li Causi, L’asino indiano, p. 32: per i Greci l’astragalo era solo quello di forma pressoché quadrangolare degli ovini, mentre si riteneva che non esistesse negli animali che lo avevano di forma diversa.

[54] Li Causi, L’asino indiano, pp. 22-23.

[55] Li Causi, L’asino indiano, p. 24.

[56] Aristotele, Τῶν περὶ τὰ ζῷα ἱστοριῶν (Indagini sugli animali), citato in Li Causi, L’asino indiano, pp. 40-41.

[57] Ettinghausen, The unicorn, p. 64 nota 22.

[58] Giulio Cesare, De bello gallico, VI, 26.

[59] Plinio, Nat. Hist., l. VIII c. 30; nel capitolo Plinio cita Ctesia di cui evidentemente conosceva l’opera.

[60] Plinio, Nat. Hist., l. VIII c. 31.

[61] P. Angelo Piccardo da Napoli, Breve e succinta relazione del viaggio nel regno del Congo nell’Africa meridionale fatto dal padre Girolamo Merolla da Sorrento sacerdote cappuccino missionario apostolico, Napoli 1726, pp. 39-40.

[62] R. Kiperwasser e D. D. Y. Shapira, IranoTalmudica I: The Three Legged Ass and Ridyā in B. Ta‘anith: Some Observations about Mythic Hydrology in the Babylonian Talmud and in Ancient Iran, in AJS Review, 2008 (32), pp. 101-116 (http://journals.cambridge.org/abstract_S0364009408000056, visitato 16/12/2019).

[63] Rimandiamo a C. G. Jung, Psicologia e Alchimia, Boringhieri, Torino 1995, pp.421-429.

[64] H. Humphreys, The horn of the unicorn, p. 15 (https://www.cambridge.org/core. UCL, Institute of Education, consultato 14/12/2019).

[65] Le recenti versioni del Vecchio Testamento traducono in modo diverso: “Il Signore fa balzare il Libano come un vitello e il Sirion come un giovane bufalo” (la Vulgata di S. Girolamo invece di “giovane bufalo” ha “filius rhinocerontis”).

[66] Didimo il Cieco, Lezioni sui Salmi (a cura di E. Prinzivalli), Paoline, Milano 2005, pp. 203-204.

[67] Cosma Indicopleuste, Topografia cristiana, l. VII, 360-361. Uno dei più antichi codici illustrati della Topographia cristiana è il ms Vat. greco 689 della Biblioteca Apostolica Vaticana del IX secolo, da cui è tratta l’immagine qui riportata.

[68] E. Albrile, La liturgia dell’Asino. Elementi di una transizione simbolica, in “La Persia e Bisanzio. Atti del Convegno internazionale Roma 14-18 ottobre 2002”, Accademia Nazionale dei Lincei, Atti dei Convegni Lincei 201, Roma 2004, pp. 457-472, p. 459.

[69] Cosma si rifaceva alla traduzione dei Settanta, mentre la traduzione attuale del Vecchio Testamento come detto ha ‘bufalo’ e non ‘unicorno’.

[70] Albrile, Gnostici a Montiglio.

[71] Physiologus, a medieval book of nature lore, translated by M. J. Curley, University of Chicago Press edition 2009 (prima edizione: 1979), pp. XVII-XXI descrive le diverse tesi sulla data di composizione del testo, che andrebbe posta tra il primo quarto del II sec. e la fine del IV; la traduzione in latino sarebbe della fine del IV sec. (p. XX), caratterizzata da un ampliamento del testo specie nella significazione allegorica (XXVIII).

[72] Questo particolare come detto si trova già in Megastene.

[73] Apollonio di Giovanni (1450-1460) fu tra i grandi miniaturisti del suo secolo, a lui sono attribuibili le raffinate immagini che decorano la Divina Commedia della Biblioteca Laurenziana di Firenze (ms Med. Pal. 72) ed altre opere classiche, quali le opere di Virgilio conservate nel ms Riccard. 492 della Biblioteca Riccardiana di Firenze.

[74] Forse da identificare con Giulia Farnese, sorella del cardinale Alessandro senior, poi papa Paolo III. Le gemme del pendente della Dama, un rubino, uno smeraldo e una perla, andrebbero studiate nel loro significato simbolico, di cui qui non è possibile trattare. Solo per dare un esempio, rubino, smeraldo e perla, insieme con lo zaffiro, erano a Bisanzio riservati all’Imperatore. In Occidente la perla era simbolo, secondo il Physiologus, della nascita verginale del Cristo, ma anche della vita celeste per Rabano Mauro, il quale considera il rubino simbolo della Parola di Dio e quindi della sapienza divina (E. Schoonhoven, Fra Dio e l’imperatore : il simbolismo delle pietre preziose nella Divina Commedia, in Dante, rivista internazionale di studi su Dante Alighieri, III 2006, pp. 76-78); lo smeraldo è connesso alla Fede ma anche alla Speranza (Schoonhoven, Fra Dio e l’imperatore, p. 83). Particolarmente significativi gli accenni a queste pietre in Dante: gli occhi di Beatrice sono smeraldi (Purg. XXXI), la perla è simbolo della verginità dedicata a Dio (Par. III), e l’Aquila simbolo imperiale che compare in Par. XIX è fatta di anime beate risplendenti come rubini.

L’UNICORNO e IL SUO SIMBOLISMOultima modifica: 2020-09-30T15:51:31+02:00da mikeplato
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