MAGIA SESSUALE E SEME MASCHILE

Pubblico qui i contributi di Massimo Introvigne e di Ezio Albrile sulla magia o alchimia sessuale e vi invito a riflettere. Leggeteli con grande attenzione, v’è qualcosa in comune. Chiedo scusa per il primo articolo di Albrile, vi sono molte omissioni dovute all’uso di un carattere non riconoscibile dal browser. Una premessa mia personale. L’alchimia si basa anche sulla ingestione del seme maschile e del mestruo femminile. Nell’antichità si parlava di via ad un vaso, se l’alchimista agiva in solitario, e di alchimia a due vasi se l’alchimia era praticata in coppia. Gli alchimisti mescolavano il rosso e il bianco, e facevano la ROSA-CROCE. Ma la pratica richiede la conoscenza del CICLO 40, onnipresente nel testo biblico. E qui, mi spiace, non posso e non devo aggiungere di più.L’Alchimia orientale, soprattutto quella del Tantra, e del Tao, era molto maschilista. La donna espletava la funzione di creare un MAG nei confronti dell’uomo, il quale poi, giungendo all’orgasmo, riteneva l’effusione del seme, spingendo facendo pressione sul perineo. Successivamente, con una pratica segreta di respirazione, faceva rifluire l’energia seminale lungo il pilastro dorsale. La donna aiutava l’uomo, ma il suo compito cessava lì, il che implica che l’illuminazione fosse un traguardo riservato solo agli iniziati maschi. L’alchimia occidentale invece prevede lo scambio tra i partner, come suggerirebbe, fra le altre cose, il Cantico dei Cantici di Salomone, cui rimando.

Rimane il fatto che nel trattato gnostico PISTIS SOPHIA v’è un passo ben strano in cui si descrive un dialogo tra un discepolo e il Cristo. Il discepolo dice:

“MAESTRO, SAPPIAMO CHE SULLA TERRA VI SONO ALCUNI CHE MESCOLANO IL SEME MASCHILE E IL MESTRUO FEMMINILE E POI LO INGERISCONO. COSA DICI AL RIGUARDO?”

E IL LOGOS RISPOSE: “A QUELLI CHE FANNO CIO’ NON SARA’ PERDONATO NE’ IN CIELO NE’ IN TERRA”

E’ vero ciò che è scritto nella Pustis Sophia? Certo che è vero, ma sono certo che il trattato cerchi paradossalmente di allontanare da questa pratica coloro che non sono degni nè pronti. Non può discutersi il fatto che dietro la cerimonia del pane e del vino, del sangue e della carne, del rosso e del bianco, si celi un significato alchemico che parte dall’intimo del corpo umano, poichè è incontrovertibile che IL REGNO DI DIO E’ DENTRO DI NOI. Se Introvigne è un profano che si tuffa in un mare non suo, documentando e registrando, Albrile è un pesce molto più avvezzo a certe acque calde, è consapevole di ciò che indaga e ciò che scrive, e non è scettico. Buona lettura, spero di suscitare un vespaio di polemiche. E mi attendo l’attacco dei soliti noti che ora parleranno di pratiche sataniche. Ma la prima parte del contributo di Introvigne e il secondo articolo di Albrile, chiariranno perchè i maestri achimisti utilizzavano il loro MERCURIO. Sapete perchè lo SPERMA era chiamato Mercurio? Perche gli spermatozoi sono iper-cinetici, velocissimi, come topi. Infatti, tra gli animali, i topi, soprattutto se in branco, sono una figura analoga agli spermatozoi. E qualcuno si chiederà: COME FACEVANO GLI ANTICHI A SAPERE CHE LO SPERMA ERA FORMATO DA MILIONI DI SPERMATOZOI E VELOCISSIMI? NON AVEVANO UN MICROSCOPIO. Eppure io vi chiedo: COME FACEVANO A CONOSCERE IL DNA, SE IL CADUCEO MERCURIALE E’ LA PROVA CHE IL DNA ERA NOTO ALLE CASTE SACERDOTALI INIZIATICHE? Misteri dell’antichita!

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MAGIA SESSUALE E PARADIGMA ESOTERICO

di Massimo Introvigne

Nel 1990, nel mio “Il cappello del mago – I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo” (SugarCo, Milano), avanzavo tra l’altro l’ipotesi che il “segreto” soggiacente a molti (non tutti) gli ordini iniziatici che si occupano di “alchimia interna” consistesse nell’idea secondo cui non tutti gli uomini hanno un’anima immortale: solo pochi iniziati sono in grado di “costruirsi” un’anima attraverso determinate tecniche. Per generare questo “corpo di luce” o “bambino interiore” si utilizza come “materia prima” la stessa necessaria per la generazione di un figlio: il seme maschile, che non è in questo caso “disperso” all’esterno, ma (si dice) fatto “rifluire” all’interno: o attraverso tecniche che fermano l’orgasmo prima dell’eiaculazione, ovvero attraverso la successiva ingestione del seme. L’ipotesi lasciava aperti due problemi, appena accennati nel testo: uno storico e uno metodologico. Dal punto di vista storico, era ovvio che le tecniche ritrovate in ordini iniziatici occidentali dei nostri giorni fossero estremamente simili ad altre usate in Oriente, dalla Cina all’India, fino almeno dal Medioevo. Il testo citava, al proposito, la classica opera di Mircea Eliade (1907-1986) “Occultismo, stregoneria e mode culturali. Saggi di religioni comparate” (trad. it., Sansoni, Firenze 1982), un capitolo della quale era dedicato all’equivalenza simbolica, in correnti dello gnosticismo e del tantrismo, fra la luce il seme maschile e a un’analisi delle tecniche di ingestione. Tuttavia, rimaneva aperto – con altri – il quesito se e in che misura fossero tuttora attivi in Asia ordini iniziatici che si sarebbero potuti utilmente paragonare a quelli studiati in Occidente. Dal punto di vista metodologico, il testo costituiva già di per sé una risposta a un dilemma classico nello studio di ordini iniziatici per definizione segreti: come è possibile allo studioso accertarne le caratteristiche, dal momento che sono appunto segrete? Nell’ipotesi in cui le abbia accertate, come può lo studioso divulgarle senza venire meno alla deontologia delle associazioni professionali che si occupano di sociologia e storia delle religioni, risolutamente contrarie all’osservazione partecipante “coperta” e al tradire la fiducia di chi è stato osservato? In realtà, l’esperienza de Il cappello del mago mostrava, in primo luogo, che molti segreti in questo campo sono tali solo di nome, dal momento che le biblioteche e gli archivi abbondano di materiali che permettono di ricostruire la maggior parte dei rituali, se solo si abbia, oltre all’indispensabile pazienza, un minimo di esperienza sul come e dove cercare. E, in secondo luogo, che lo studioso che abbia svolto il suo “compito a casa” in archivio e in biblioteca e si presenti a intervistare membri di ordini iniziatici contemporanei conoscendo già quanto si ricava da fonti scritte, riesce nella maggior parte dei casi ad aprire un dialogo senza vincolo di segreto (anche perché gli intervistati sono spesso a loro volta interessati a confrontare quanto deriva dalla loro esperienza con quanto il ricercatore ha ricavato dagli archivi, non necessariamente a loro già noto, dando luogo così a quello che Pierre Bourdieu chiamerebbe uno scambio di capitale simbolico).

Negli ultimi anni è emersa una nuova generazione di studiosi del tantrismo – categoria peraltro contestata da alcuni come mera etichetta creata da orientalisti occidentali per unificare in un’unica categoria fenomeni disparati e contraddittori -, i quali criticano autori come Eliade o come Sir John Woodroffe (che scriveva sotto lo pseudonimo di Arthur Avalon, 1865-1936) accusandoli di avere ricostruito il tantrismo sulla base o semplicemente di testi antichi ovvero di contatti con maestri che rappresentano una tradizione “colta” tipica delle classi (e caste) alte in India e in altri paesi, trascurando la ricca esperienza del tantrismo popolare. Un’opera in tal senso esemplare è quella del 1996 di David Gordon White, “The Alchemical Body. Siddha Traditions in Medieval India” (University of Chicago Press, Chicago), che – nonostante il titolo – non si limita a rintracciare le radici medievali di certe tecniche, ma ne esamina la perdurante presenza nell’India contemporanea. White fa cenno sia a un fine (l’immortalità), sia a tecniche (la ritenzione ovvero l’assimilazione del seme) assai simili a quelle praticate in ordini iniziatici occidentali, benché – per quanto riguarda, in particolare, l’assimilazione – descriva pure una tecnica in uso in India (non, invece, in Occidente) che (riprendendo un’espressione di Wendy Doniger O’Flaherty, che ne aveva accennato nel suo “Women, Androgines, and Other Mythical Beasts”, (University of Chicago Press, Chicago 1980, p. 38) paragona alla “ricarica di una penna stilografica” e che consiste nell’imparare a “riaspirare” il seme emesso tramite lo stesso organo genitale maschile, il che richiede anni di faticoso addestramento. Dopo altri studi della stessa impostazione (in relazione ai quali è almeno necessario citare qui l’attività all’Università di Chicago di Edward C. Dimock, Jr., 1929-2001, e dei suoi allievi), il panorama è ora arricchito da due volumi di Hugh B. Urban, docente presso la Ohio State University, entrambi pubblicati nel 2001 dalla University of Chicago Press: il primo, “The Economics of Ecstasy. Tantra, Secrecy, and Power in Colonial Bengal”, ricostruisce la storia e le dottrine del movimento religioso bengalese dei Kartabhaja (“Adoratori del Maestro”), con importanti considerazioni metodologiche; il secondo, “Songs of Ecstasy. Tantric and Devotional Songs from Colonial Bengal”, è una raccolta di fonti primarie sullo stesso tema, che consistono principalmente in inni e cantici.

Il movimento dei Kartabhaja – del cui fondatore, Aulcand (?-1779) si sa pochissimo – appartiene al filone Gaudiya Vaisnava, che origina in Bengala da Krishna Mahaprabhu Chaitanya (1486-1533), la cui derivazione più nota in Occidente è la società Gaudiya Math, fondata sulla scia di Thakura Bhaktivinoda (1838-1914) dal figlio di quest’ultimo Bhaktisiddhanta Sarasvati (1874-1937), con cui a sua volta entra in contatto nel 1920 Abhay Charan De (1896-1977) – in seguito iniziato al samnyasa (ordine di rinuncia) con il nome di Bhaktivedanta Svami, e generalmente più conosciuto con il titolo di Srila Prabhupada (“Colui ai cui piedi siedono i maestri”) – che è alle origini dei moderni Hare Krishna. In realtà, secondo Urban, quello di Bhaktivinoda e Bhaktisiddhanta è un movimento puritano e reazionario che nasce in ambito Gaudiya Vaisnava, anche per influsso della mentalità vittoriana importata dagli inglesi, come reazione contro l’ala numericamente più consistente nel XIX secolo, quella appunto dei Kartabhaja, che godeva di pessima stampa per le sue “scandalose” attività di magia sessuale e per il suo reclutamento sociale nei ceti e nelle caste più basse sia tra gli inglesi (e gli orientalisti ottocenteschi, i quali si rifiutavano di interessarsi a questi movimenti popolari, benché contassero milioni di seguaci), sia fra gli esponenti di un induismo “riformato” come i membri del Brahmo Samaj, che era stato fondato nel 1828 da Raja Ram Mohan Roy (1772-1833). La società Gaudiya Math, secondo Urban, mirava appunto a rendere “presentabile” la tradizione Gaudiya Vaisnava depurandola dagli elementi tantrici e adottando in materia di sessualità uno stile di vita puritano, che del resto si ritrova tra gli Hare Krishna. Quanto ai Kartabhaja, la loro fisionomia deriva ampiamente dal discepolo di Aulcand chiamato Ramsaran Pal, dalla moglie (di famiglia, a differenza della maggioranza dei dirigenti Kartabhaja, particolarmente benestante) Sarasvati Devi (“Karti Ma”, a proposito della quale – come del marito – l’incertezza regna sulle date di nascita e di morte e che operano comunque tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo), e dal loro figlio Dulalcand (?-1833), dopo la morte del quale si generano divisioni e scismi che segnano ancora oggi la comunità, divisa in varie branche rivali. Dal punto di vista essoterico i Kartabhaja, che incorporano elementi sufi accanto a quelli di origine Gaudiya Vaisnava, si presentano come un movimento devozionale che insiste sulla venerazione del Karta, il “maestro”, reincarnazione di Chaitanya e quindi di Krishna, della sua consorte e dei suoi discepoli diretti, cui sono attribuiti poteri miracolosi. Ancora oggi il Ghoshpara Mela, il festival annuale nel villaggio bengalese di Ghoshpara (sede del principale pretendente al titolo di Karta), attira migliaia di persone alla ricerca di miracoli (attribuiti in particolare all’intercessione della prima Karti Ma), per quanto sia attaccato dalla stampa indiana per la sua atmosfera dove si mescolano contro ogni convenzione persone di ogni casta, per il suo carattere trasgressivo (che ricorda a Urban i carnevali medioevali europei) e per una certa spudorata commercializzazione. Dietro il livello essoterico ce n’è però uno esoterico, consacrato alle pratiche tantriche di ritenzione e di assimilazione del seme. Se queste pratiche sono nella sostanza quelle descritte da White (“ricarica della penna stilografica” inclusa; qualche tratto meno comune appare semmai tra i Sahebdhani, che costituiscono secondo alcuni uno scisma del movimento di Aulcand, secondo altri un gruppo indipendente influenzato dalle stesse fonti), originali dei Kartabhaja sono la loro disponibilità a iniziare uomini e donne di ogni casta, con una prevalenza di persone umili, e il loro uso di metafore tratte dal linguaggio commerciale della Compagnia delle Indie, per la quale molti adepti lavoravano come manovali o facchini. Come tutti i segreti esoterici, anche quello dei Kartabhaja – che pure praticano la dissimulazione – diventa ben presto generalmente noto nel corso del XIX secolo, e provoca una reazione violenta sia del potere coloniale inglese sia dell’establishment religioso indù del Bengala, con la conseguenza di un declino numerico del movimento (che probabilmente, verso la metà dell’Ottocento, era invece maggioritario all’interno della tradizione Gaudiya Vaisnava) e della riduzione della sua branca principale di Ghoshpara a una realtà puramente devozionale nel XX secolo. Altre branche conservano invece la dimensione esoterica, anche se alcune – risolvendo così una discussione che turba il tantrismo fin dalle sue origini – insegnano che le pratiche di magia sessuale sono lecite solo fra coniugi, mentre altre mantengono una tradizione ottocentesca che raccomanda invece (perché elementi affettivi non si mescolino al puro perseguimento della tecnica) di “praticare” al di fuori del matrimonio e con partner occasionali (purché scelti tra iniziati di pari grado).

Urban dedica, come si è accennato, molto spazio alle questioni metodologiche e denuncia in esplicito l’ambizione di affrontare problemi rilevanti per lo studio dell’esoterismo in genere. Discutendo tesi di Antoine Faivre e di altri, Urban si concentra sul movimento esoterico come movimento detentore di segreti. In questo senso, il “paradigma esoterico” cui fa cenno PierLuigi Zoccatelli (cfr. il suo “Il paradigma esoterico e un modello di applicazione. Note sul movimento gnostico di Samael Aun Weor”, La Critica Sociologica, nr. 135, autunno 2000 [ottobre-dicembre], pp. 33-49) non fa riferimento, secondo Urban, a un contenuto (che per Zoccatelli è di tipo neo-gnostico) ma a un’economia simbolica (di qui il titolo del suo saggio, con evidente allusione alla sociologia di Bourdieu). Influenzato da Umberto Eco (il cui testo “I limiti dell’interpretazione”, Bompiani, Milano 1990, è tra i più citati da Urban), lo studioso americano descrive i movimenti esoterici come quelli in cui il segreto rimanda a un altro segreto e così via quasi all’infinito, così che – più che ai contenuti – lo studioso dovrebbe essere interessato alla modalità di funzionamento del segreto (che negli ordini iniziatici opererebbe in una sorta di “mercato nero dell’economia simbolica”). Si risolverebbe così anche il dilemma deontologico tipico degli studi scientifici su movimenti “segreti”, dal momento che lo studioso – senza violare il diritto alla riservatezza degli intervistati, né farsi scoraggiare dalle loro eventuali reticenze – potrebbe appunto concentrare la sua attenzione non su “che cosa dice” il segreto, ma su “come funziona”.

Peraltro, Urban si preoccupa di dissipare l’impressione – inevitabile per chi di Eco non abbia letto solo I limiti dell’interpretazione ma anche “Il pendolo di Foucault” (Bompiani, Milano 1988) – secondo cui chi ragiona in questo modo pensa che in realtà non vi sia nessun segreto, e tutto si riduca agli inganni di profittatori o ciarlatani. “Non voglio dire – scrive lo studioso americano – che lo studio del contenuto del segreto sia la ricerca futile di un’entità inesistente (dopo tutto, alcuni segreti sono molto reali e molto importanti). Voglio solo affermare che in molti casi, se non nella maggioranza, è più utile spostare l’attenzione ed esaminare il segreto nei termini delle sue forme e tattiche, come specifica strategia discorsiva e meccanismo per la produzione di valore simbolico” (The Economics of Ecstasy, p. 212). Si può tuttavia notare che la stessa opera di Urban smentisce questa teorica ricostruzione del “paradigma esoterico” in termini puramente formali. Sul contenuto dei segreti dei Kartabhaja lo studioso americano ha molto da dire, ed è il contenuto che permette di qualificare i Kartabhaja come un ordine esoterico: se, per esempio, la forma delle loro oscure metafore mercantili nascondesse un segreto politico di rivolta anti-coloniale piuttosto che un segreto tantrico, Urban parlerebbe ancora di esoterismo? Quanto ai dilemmi deontologici del ricercatore, la strategia di ricerca più sopra menzionata a proposito de Il cappello del mago offre una possibile alternativa, che forse anche Urban ha in qualche modo implicitamente praticato in India. Questo non significa che l’indagine sull’aspetto formale e sui modi di funzionamento del segreto non sia indispensabile allo studio dell’esoterismo: semplicemente, non lo esaurisce né lo definisce.

Con queste precisazioni, i lavori di Urban costituiscono una preziosa integrazione al corpus di conoscenze relative al “tantrismo” (comunque lo si intenda), agli ordini iniziatici moderni in genere e a quelli che praticano tecniche di magia sessuale in specie. Lo studio sul campo di gruppi contemporanei appare al riguardo, come sostiene Urban, indispensabile, se si vuole evitare che lo studio di movimenti fondati sul segreto rimanga “generale in modo deludente, universalistico, e ampiamente separato dal contesto sociale e storico”.

 


IL DEMONE E LA LUNA

di Ezio Albrile

I. Mondi lunari

Tra le paludi dell’Iraq e dell’Iran, a sud di Bagdad, alle foci del fiume formato dalla confluenza del Tigri con l’Eufrate, lo Satt al-!Arab, e nel Kuzistan, sulle rive del fiume Karun, vivono ancora ai giorni nostri i discendenti di un’antica religione gnostica. Il loro nome, Mandei1, è la traduzione aramaico-orientale del greco Gnōstikoi: essi sarebbero cioè gli “Gnostici” per eccellenza. Sotto l’aspetto dottrinale le linee narrative del mito mandaico conservano le identiche strutture riscontrabili in testi quali l’Apokryphon Johannis o l’Hypostasis Archonton, tipiche espressioni di una gnosi giudeo-iranica2 reinterpretata in parvenze cristiane. Il dato centrale, comune in tale affabulazione mitologica, emerge chiaramente dalla distinzione tra un Dio supremo, ineffabile e trascendente, designato con i termini di “Prima Vita” (Hiia Qadmaiia), “Grande Vita” (Hiia Rbia) o “Signore della Grandezza” (Mara d-Rabuta), ed un creatore inferiore, un demiurgo maldestro che ha le sembianze di Ptahil3, nome esoterico sotto cui spesso si cela l’Angelo Gabriele, Gabr!il sliha4. Altro tratto comune è la demonizzazione dello spazio astrale e planetario: in sintonia con la gnosi antica i “sette ed i dodici”, suba sibiahia u trisar mastusia, cioè i Pianeti e le Costellazioni Zodiacali, sono rappresentati quali entità demoniache5 che agiscono sul divenire condizionandolo in modo negativo. Tra questi, un posto di rilievo è tenuto da Sin, la Luna6, il pianeta della notte immaginato quale soglia demoniaca che introduce nel regno delle forme cangianti, nella instabilità dello spazio cosmico. Essa è

baba d-qra agz!il d-sin qarilh kulhun almia sin kulhun almia qarilh amintul d-saina dmth bkul atar

…la porta che Agz!il ha evocato, che tutti i mondi chiamano Sin; Sin è chiamata da tutti i mondi, poiché la sua immagine è disprezzata ovunque7.

In questa sequenza del Ginza, un importante testo mandaico, Sin viene chiamato all’essere da un demone, Agz!il, il quale custodisce l’accesso alla sfera lunare, secondo un modello magico-teurgico tipico dello Gnosticismo che ritroviamo in testi quali i Libri di Jeu, la Pistis Sophia, o nelle invocazioni ofitiche agli Arconti planetari del Contra Celsum di Origene8. Questo demone linguisticamente richiama l’iranica ag-dēn, locuzione utilizzata per designare i seguaci della religiosità ahrimanica9, tenebrale. Il termine è composto infatti dal medio-persiano ak-, “malvagio, maligno”10, e dalla dēn (< daēnā), la religione intesa quale unità psichica sia individuale che collettiva11. Significativamente il medio-persiano ak- rimanda all’avestico aka-, il principio negativo che nelle vesti di Aka Manah, il “Pensiero Malvagio”, si contrappone a Vohu Manah, il “Buon Pensiero”12, e che nei testi pahlavi13Akōman, il demone primigenio legato all’enunciazione della parola malefica, akōmand14, funesto proselita della dottrina ahrimanica. Agz!il potrebbe quindi essere l’esito mandaico (con l’aggiunta del teonimo ‘el) del medio-persiano ag-zay, dove il secondo termine, zay (< zaya-)15, “strumento, arma”16, qualificherebbe l’astro lunare come strumento ahrimanico e veicolo del male nel cosmo; il che è in perfetta sintonia con quanto affermato nel passo del Ginza. Di passaggio noteremo che la presenza di prestiti iranici nella demonologia mandaica non è un fatto isolato17: in un’altra sequenza del Ginza18 troviamo una demonessa, anch’essa egemone delle forze lunari e fluidiche, il cui nome Zahr!il rinvia al medio-persiano zahr, “veleno”, dall’avestico *jara “strumento per uccidere”19. Zahr!il sarebbe perciò la “dea velenosa”, etimologia che ne confermerebbe la natura demonica e lunare di veicolo del male e custode dei “misteri della tenebra”, razia d-hsuka20. appare nelle sembianze di

L’idea espressa nel mito mandaico è che tutta la meccanicità del cosmo dipenda dalla Luna: essa è una sorta di strumento per cogliere e trasmettere le influenze astrali e planetarie, in quanto serve come veicolo di comunicazione tra la terra ed i pianeti. Tale comunicazione può avvenire con la morte.

La grotta, teatro del desiderio di Selēnē è platonicamente immagine del cosmo, luogo in cui Endimione giace addormentato in un sonno privo di sogni, nell’attesa che la creazione degli esseri superiori infonda in lui l’anima. Il sonno, l’oblìo dell’Anima divina, della scintilla di  intrappolata nella , è tema costante nello Gnosticismo: così nel sistema di Simon Mago i fonemi primigeni, “la Voce e il Nome, sono il Sole e la Luna”, espressioni della , “la grande potenza, l’infinita”, che è , colui che permane immutabile24. L’idea qui enunciata è quella della sostanza luminosa che dimora potenzialmente nel cosmo secondo uno schema settenario. Al culmine dell’ebdomade c’è lo , il fonema lunare che manifesta l’infinità della , l’apice della crisi erotica simoniana che probabilmente coincide con il plenilunio.

Anche nella gnosi manichea la scansione divina, ritmata nelle fasi di novilunio e plenilunio, è stigma della morte e della rinascita del Redentore celeste, il Gesù cosmico. Così nel Pur karām, un inno manicheo sogdiano con paralleli in partico25, la “grande Luna lucente” (RBw rwsny m’)26, il casmān abarēn, l'”occhio supremo”, la “pupilla luminosa” (rwsny csmy)27, è il Gesù cosmico che appare “al declinare vespertino, al sorgere della Luna” (rty pnt y’r’k c’nkw ZY ZK ‘ysw stty)28. Un altro inno partico parla del Redentore cosmico in questi termini:

wxasnām yso’ az bagān afradom nōgmāh tō bag *ay

O Gesù veritiero, primizia degli dèi! Tu sei il novilunio!29

Nei testi manichei copti la Luna è il “vascello luminoso” (pgai nouaine), il vascello notturno (pgai nte tousē) che solca le “acque viventi” (pgai nmmouieue etanh) recando l’Uomo primigenio (pgai mpsarp nrōme)30. Gesù cosmico e Uomo primordiale sono quindi strettamente coniugati31: Gesù è il novilunio32, poiché con la sua morte si compie la ricorrrenza animica, il ciclo metempsichico in cui la fine e l’inizio (cioè le fasi di Luna nuova e Luna piena) si ricongiungono. Ciò spiega anche il termine medio-persiano (e partico) zād-murd, “nascita-morte”, utilizzato33 dai manichei per definire lo stato lapsario in cui dimorano i molti, i non-eletti vincolati al susseguirsi infinito delle nascite e delle morti. Si tratta dell’evento che le fonti manichee in siriaco designano come taspīkā, “rifusione” dell’anima, equivalente del , la trasfusione animica dei testi manichei greci, la revolutio di sant’Agostino34. Nascita e morte coincidono dunque nel loro divenire ciclico. Non è un caso che ancora nel X secolo d.C. gli abitanti di Harran, la città degli adoratori della Luna (e dell’omicidio di Caracalla)35, celebrassero in onore di Ta’uz (= Tammuz), il dio ciclico che al pari di Gesù muore e risorge36, una festa in cui le donne si sarebbero astenute dal mangiare “qualunque cosa macinata” in segno di lutto per il loro dio Ta’ uz, crudelmente fatto macinare37.

II. La Luna e la trasmutazione

Nel cosmo tutto è collegato e le cose non esistono separatamente. Ciò spiega l’identificazione di Gesù con il “dio della Luna” in quanto strumento attraverso il quale le potenze astrali e planetarie governano il divenire ciclico, e quindi tramite di realizzazione dei fenomeni trasmutativi. Caratteristica comune ad esempio a Baba-jaga, la “strega lunare” del folklore slavo che può trasformarsi in un serpente o in un drago38 e che nella sua tipologia demonico-polimorfa rinvia a Mar Gōcihr, il serpente-drago lunare dell’escatologia iranico-mazdea. L’archetipo è avestico: gaocira- è infatti l’epiteto della Luna in alcuni Yast e nel Vidēvdād39. Nella mitologia pahlavi Gōcihr è il drago ahrimanico che perirà nel metallo fuso: siffatta identità “liquida”, stigma del ritorno nell’elemento caotico ed indeterminato, è sicuramente da correlare all’elemento fluido per eccellenza, l’acqua, poiché le acque sono il ricettacolo di tutti i germi e come tali divengono la sostanza magica, taumaturgica e trasmutativa più peculiare40. Le acque sono il principio della pre-formalità, della virtualità, della materia che contiene i semi di tutte le cose, e come tali posseggono una evidente struttura “lunare”41, quindi oscura. Ora, esiste una diretta corrispondenza tra il simbolismo delle tenebre e quello delle acque, che si ritrova – come ha magistralmente mostrato Gherardo Gnoli – nella religione mazdeo-zoroastriana, dove il dualismo Luce-Tenebre corrisponde perfettamente a quello fuoco-acqua42, ed ancora nella gnosi sethiana, in cui la Tenebra è esplicitamente identificata con l'”acqua inferiore, oscura e terribile”43 ().

Sovrapposizione che troviamo in altri contesti arcaici. Nel “Libro dei Sogni” di Artemidoro si dice che la dea Artemide è – fra l’altro – propizia ai pescatori a causa del suo epiteto di , “Lacustre”44. È noto dalla mitologia antica che Artemide equivale alla Luna45. Sempre Artemidoro fa un’altra importante osservazione quando asserisce che la Luna provoca la morte di ammalati e naviganti, “i primi per idropisia, poiché la Luna è umida per natura, gli altri perché faranno naufragio”46. È probabile che il tutto si riallacci ad antiche dottrine, diffuse specialmente dallo Stoicismo, secondo cui la Luna sarebbe in stretto rapporto con le acque terrestri. Secondo Posidonio d’Apamea, citato da Diogene Laerzio (VII, 145), la Luna attingerebbe il suo nutrimento dalle “acque potabili” () della terra. Sempre a questa dottrina stoica accenna Plutarco nel De Iside et Osiride, dove sostiene che le acque di fonti e di paludi colmano la Luna di “dolci e leggeri effluvi”4748. Probabilmente in virtù di ciò si ritiene che la Luna conferisca una forza speciale alle invocazioni magiche e agli incantesimi49. Tali effetti benefici sono sicuramente da collegare, come si legge in Apuleio in riferimento ad Iside quale regina coeli, al fatto che essa provocherebbe il formarsi della rugiada notturna: u(n)dis ignibus nutriens laeta seminae50. (). Anche Filone Alessandrino accenna, tra i tanti benefici dispensati dalla Luna, ai suoi legami con i corsi d’acqua

Dalla Cena Trimalchionis di Petronio sappiamo che la metamorfosi da uomo in lupo avviene durante le notti di Luna piena: luna lucebat tamquam meridie51. In riferimento a ciò si deve sottolineare che, stando ad altre tradizioni, l’uomo si trasmuta in lupo entrando in uno spazio limitato52 e dopo aver attraversato a nuoto un certo stagno. Così Plinio, citando il greco Evante53, racconta che un membro della famiglia di un certo Anto, estratto a sorte, viene condotto presso una palude dell’Arcadia. Lì, appesi gli abiti ad una quercia54, attraversa a nuoto uno specchio d’acqua e si trasforma in lupo. Il licantropo potrà riacquistare le sembianze umane solo dopo un periodo di nove anni – quo in tempore si homine se abstinuerit – se ritornerà nello stesso stagno e di nuovo lo attraverserà nella direzione opposta55. Un’altra enigmatica trasmutazione è quella evocata da Properzio sullo sfondo di un incantesimo erotico, dove una misteriosa maga audax cantatae leges imponere lunae/ et sua nocturno fallere terga lupo/ posset et intentos astu caecare maritos56.

Tornando a Petronio, si deve notare che il miles, il soldato protagonista della trasmutazione in lupo mannaro, viene ferito al collo durante una razzia di pecore57. È significativo che Nicerote, il narratore della Cena Trimalchionis, nel raccontare la metamorfosi di ritorno, ovvero la ritrasformazione del lupo in uomo, ritrovi il miles in uniforme disteso sul letto tamquam bovis58. In questa similitudine c’è infatti da considerare l’identificazione del soggetto con il suo termine di paragone59: il bue (oppure toro, a seconda di come si vuole intendere il lat. bovis) è un animale sacro, legato alle Tenebre ed alla Luna60, nel quale per di più può trasformarsi un essere umano, come avviene al re Nabucodonosor per sette anni, secondo il racconto biblico del Libro di Daniele, svolto come interpretazione di un sogno61.

Secondo la versione dei LXX Nabucodonosor, estromesso dalla comunità degli uomini, inizia a nutrirsi di erba come un bue (), ed il suo corpo viene bagnato dalla rugiada celeste ()62. Che si tratti di una metamorfosi simile a quella del licantropo63 è confermato da Eusebio di Cesarea nella Praeparatio evangelica, dove si legge che Nabucodonosor – come il lupo mannaro di Plinio64 – attraversa il deserto prima di trasformarsi in lupo65. Il greco  traduce l’aramaico taurā, il bovino (toro o bue)66 nel quale si trasforma il potente re assiro-babilonese. Il testo masoretico ha però un significativo particolare andato perduto nella traduzione greca:

u-mi-ttāl scmāyya gismēh yistābba!

…e la rugiada celeste intrise il suo corpo67.

Il corpo di Nabucodonosor trasmutato in bovino è quindi immerso nel fluido lunare per eccellenza, la rugiada cosmica.

Ora, non è un caso che l’aramaico taurā sia anche il logogramma (TWRA) del medio-persiano (pahlavi) gāw, “bovino”68. Ciò implica una breve digressione su una suggestiva ipotesi riproposta anni orsono da Antonino Pagliaro. Le linee generali dei primi sviluppi della scrittura iranica esigono infatti, come suo precedente, l’uso dell’aramaico, che non fu solo lingua di comunicazione, ma anche e soprattutto lingua scritta per ogni manifestazione culturale. Poiché i logogrammi, conservati in pahlavi in così grande numero, insieme con i settori della vita pratica toccano anche quello religioso, c’è da chiedersi se non ci siano state traduzioni aramaiche di testi avestici69. Una notizia di Plinio70 attesta che Ermippo, filosofo ed erudito discepolo di Callimaco, aveva interpretato due milioni di versi lasciati da Zarathustra e aveva redatto gli indici delle materie. Palesemente si tratta degli scritti in aramaico e in tardo-babilonese che nella biblioteca di Alessandria erano riuniti sotto il nome di Zarathustra71: non è da escludere che tra tali scritti vi fossero versioni aramaiche di testi mazdeo-zoroastriani.

Se l’ipotesi di una vulgata aramaica dei testi avestici72 fosse plausibile, ciò spiegherebbe in modo più agevole la cospicua presenza di materiali e mitologhemi iranici sia nel testo biblico, che negli scritti giudaici intertestamentari e apocrifi73, di cui questa sequenza del Libro di Daniele è una chiara testimonianza. Nel bovino si riconosce difatti la creatura centrale del culto mazdeo-zoroastriano74, rinvenibile nella forma di gcus urvan-, l'”Anima del Bue”75 che in Gāthā Yasna 29 eleva un lamento ad Ahura Mazdā perché oppressa dalla furia e dalla violenza mondane76 e, nei testi pahlavi, sotto le sembianze di gōs-urvan, l’anima del bovino77, protettrice delle greggi e del bestiame, che dal mondo eidetico, mēnōg, prega di non essere scagliata nell’oblìo del gētīg, il mondo corporeo, esposta all’aggressione delle creature demoniache, preda del “miscuglio” ahrimanico tra Luce e Tenebre78. Tauromorfismi che a loro volta si sovrappongono al gāw ī ēwdād, il Toro o Bovino Unicreato79 ucciso da Ahriman e dai suoi demoni; dal suo corpo nascono le piante e dallo sperma numerose specie animali.

Il passo del Libro di Daniele richiama il gāw iranico principalmente nei rapporti con l’haoma, la “rugiada celeste”, il fluido lunare più caratteristico80. Nell’escatologia iranica al tempo finale, nel frasgird (< frasō.kcrcti), il Saosyant-, il Salvatore futuro81, compirà il sacrificio ultimo: con il grasso del bovino e l’hōm i spēd, l’haoma bianco, preparerà l’ambrosia (anōs), la libagione miracolosa che risusciterà i morti e renderà immortali i viventi82. Lo stesso sacrificio saoshyantico è compiuto nei Misteri di Mithra83, dove l’anima del Toro, cioè il suo sperma, viene portato dal cane84, fedele aiutante del dio, sulla Luna. L’archetipo è sicuramente gnostico-iranico. Ecco cosa si legge infatti nel Wizīdagīha i Zādspram, una antologia pahlavi85 che raccoglie tradizioni molto antiche, sicuramente avestiche:

u-s pas pad ham rōsnih i andar zōr az tōhm ī gāw abar grift u-s ō māh burd rōsnih ī andar gāw bud be ō māh yazd abespārd pad gāh pad-is ānōh ān tōhm pad rōsnīh ī māh be pālud u-s pad was cihragīhā be wīrāst u-s gyānōmand be kard az ānōh frāz ō ērānwēz brēhēnīd

E poi [Ohrmazd] trae dallo sperma del bovino la Luce in cui è celata la forza e la porta sulla Luna. E reca a Māh yazd86 la Luce che era nel bovino. Per questo motivo in quel luogo [Ohrmazd] purificherà lo sperma tramite la Luce della Luna, lo ripartirà secondo la specie. Donerà ad esso l’anima vitale e di lì la creerà trasferendola nell’ērānwēz87.

III. Il bovino saoshyantico

Lo splendore racchiuso nel fluido lunare è celebrato nel Mah Nyayisn, la liturgia mazdea della Luna88, quale sacrificio officiato al pianeta che custodisce il gōspand tōhmag, il seme del bovino89, l’essenza macroantropica rilucente e colma di xwarrah, la forza luminosa90 da cui procedono la vita e la prosperità91. Questo xwarrah, che nella litania zoroastriana è reso con il logogramma GDE92, è racchiuso nelle acque del mitico lago o fiume onirico Dāityā93, sul quale regna il sovrano immortale che porta il nome di Gōpatsāh94. Come ha convincentemente mostrato Gherardo Gnoli, l’etimologia più verosimile di Gōpatsāh sembra quella ovvia di gō-/gāv-, “bue, toro, vacca”, da cui gōpat < gāv-pati, cioè “padrone del bue”95, che pad bār i āb i dāityā, “sulla riva dell’acqua Dāityā”96, custodisce il gāw i Hatāyōs, il bovino che fornirà la materia per il sacrificio del Salvatore futuro.

Vittima del fratello Frāsyāp97, la figura di Gōpatsāh, probabile replica del personaggio avestico antropomorfo Araēraa, “ucciso violentemente, assassinato” (zurō.jata-)98, del Gos Yast99, è inserita in un contesto rituale ben preciso: essa è un’entità mitica che svolge una funzione di tutela, di custodia dell’oggetto del sacrificio rinnovatore, ed è certo per questo che porta il nome di “Signore del bue” e che viene ucciso dal fratello “turanico” Frāsyāp. Gōpatsāh è inoltre un frasgird kardār, un aiutante nella grande opera di rinnovamento e di trasfigurazione del cosmo100, la frasō.kcrcti, quando l’ultimo Saosyant preparerà l’ambrosia (anōs), la libagione d’immortalità per i viventi, con il grasso del bue Hatāyōs misto ad hōm bianco. Egli è ad un tempo il guardiano e il purificatore: purifica infatti, secondo il Dādastān i mēnōg i xrad, l’acqua del mare onirico Varkas (< Vouru.kasa), sulla cui riva egli siede eternamente, versandovi in continuazione acqua santa, al fine di distruggere gli animali ahrimanici che la infestano101; ed è nel Vouru.kasa che cresce il Gaokcrcna (> Gōkarn), il mitico Albero della Vita sul quale germoglia l’haoma102. Non v’è quindi ombra di dubbio che in questo complesso motivo mitologico si ritrovino elementi strutturali importanti per comprendere i legami che uniscono il simbolismo lunare all’idea della morte, vista quale palingenesi dell’essere.

In questo virus lunare103 si nasconde l’idea di un’essenza fluidica che sta al bivio tra la morte e la vita, dove i valori semantici paiono scambiati: la vera morte è infatti quella del carcere cosmico, oblìo della scintilla divina, mentre la vera vita è la morte, intesa come fuga dal mondo corporeo. Parallelamente a questo motivo dualistico troviamo l’idea tipicamente indo-iranico-gnostica dello spazio macroantropico, immaginato nelle sembianze del bovino primigenio e del suo seme, che è il ricettacolo della sostanza luminosa.

Troviamo un linguaggio simbolico affine in una ramificazione della gnosi ofitico-sethiana, i Perati. Ippolito di Roma, probabilmente travisando e capendo poco o nulla delle dottrine gnostiche dei Perati, nella sua Refutatio cita un lungo estratto104, espressione di una gnosi ai limiti dell’affabulazione onirica, di uno dei libri “tenuti in grande considerazione tra di loro” e intitolato , “Gli abitanti della periferia sino all’etere”. Tale libro, come rivela il contenuto dell’opuscolo, si riferisce agli dèi e ai demoni preposti ad ogni sfera planetaria che in qualche modo costituisce la “periferia” () del luogo eterico dove risiede il principio originario. Ogni divinità è presentata con nomi diversi, paredri, funzioni, segni e cifre magiche. L’esordio dello scritto introduce in un mondo irreale, al confine tra immaginazione astrale ed estasi visionaria:

Io sono la Voce del risveglio nell’eone della notte (). Ora inizierò a descrivere la potenza che sorge dal Chaos; la potenza delle tenebre abissali (), che sorge dal fango dell’eterno vuoto acquatico ()…105.

Questa potenza acquatica, venuta dal Chaos e dal limo dell’abisso, procreatrice di Titani, è sempre in movimento, in preda agli spasmi caotici della materia in continua trasmutazione; i Perati la descrivono come “la fedele tesoriera106 dell’impronta fluidica” () che deliba ciò che scaturisce dai , dai “dodici occhi” della Legge107. La frase, apparentemente incomprensibile, si spiega con il gioco di parole tra , “occhi”, e , “sorgenti”108, implicito nel significato dell’ebraico ed aramaico !ayn, “occhio” e “sorgente”. Lo scambio di contenuto semantico si comprende alla luce di un enigmatico passo di Esodo 15, 25-27, in cui Mosè, dopo aver dato al suo popolo una serie di norme legislative e di prescrizioni rituali, giunge in un luogo chiamato Elim, dove si trovano dodici sorgenti d’acqua e settanta palme109. L’affabulazione gnostica, perennemente indirizzata ad elaborare ermeneutiche esoteriche del testo biblico, ha sicuramente sviluppato l’ambiguità della pericope di Esodo in una prospettiva totalmente nuova. Il riferimento ai “dodici occhi della Legge” quali espressioni di una potenza caotica in sempiterno movimento non è portato a caso: in esso infatti troviamo una chiara allusione ad uno sviluppo embrionale del cosmo110, peraltro già presente in modo esplicito nelle dottrine di Simon Mago111.

Nel quadro di una ermeneutica gnostica che si modula su forme espressive di tipo cosmogonico e, di riflesso, antropogonico, si deve rilevare come l’esistenza fisica e creativa dell’uomo – come peculiarmente rilevato dal prof. Gianroberto Scarcia – si serva della percezione cinetica prima che di quella visiva. L’embrione umano si trova immerso in un mondo di movimenti molto prima del formarsi dell’occhio come organo di percezione: la vista è quindi condizionata dalla percezione del movimento; in altre parole essa rappresenta una diversa possibilità di costruire il mondo, senza tuttavia annullare il precedente mondo di ciò che è mosso, ma trasformandolo grazie alla percezione visiva del movimento stesso.

IV. Gnostici, Astrali e Teurghi

Con ciò la dottrina degli gnostici Perati sembra adombrare la possibilità che il mondo umano, cosmicamente arcontico, si costruisca in un primo tempo, in balìa delle tenebre abissali, con la percezione del movimento e dell’instabilità, mentre la vista sopraggiungerebbe solo in un momento successivo. Da questo si può dedurre che esiste un modo di vedere senza occhi112: il processo visivo dipende infatti dal movimento oculare, se si fissa non si vede niente.

Importante sembra infine il legame simbolico tra l’occhio e la Luna113, già presente nel Gesù manicheo che è l'”occhio supremo” del cielo114. La Luna, come ricordato, è l’elemento di trasmissione delle forze astrali e planetarie e, come tale, diventa l'”occhio” tramite cui le potenze arcontiche governano il ritmarsi del divenire: la liberazione gnostica potrà compiersi solamente quando il fluire della heimarménē si arresterà coagulandosi in se stesso. Tornando ai Perati, dal loro misterioso libro sembra di capire che ciò sarà possibile all’adepto, allo gnōstikos in possesso del “sigillo” () della potenza che governa le acque che s’innalzano invisibili dal Chaos primigenio. Esse corrispondono alla potenza del Mare, Thalassa, che i profani chiamano Kronos “in vincoli dopo aver chiuso con possenti catene il denso, nebuloso, oscuro e tenebroso Tartaro”115. Segue nel libro dei Perati una ulteriore spiegazione: , “la potenza che custodisce Thalassa è androgina”116, il suo nome è Chorzar, la “figlia tifonica”, , fedele guardiana delle acque che ammansisce con dodici piccoli flauti, e che i profani chiamano Poseidone117. Poseidone/Chorzar è circondato dalla , la “piramide dai dodici angoli”, cioè il dodecaedro zodiacale118, e con il suo movimento “oscura la soglia della piramide con diversi colori, compiendo il tempo notturno ()”119: sembra chiaro il riferimento alla ciclicità di Chorzar/Poseidone quale moto notturno della Luna. Congettura avvalorata dal seguito del libro, dove i Cureti sono associati al sorgere del Sole, mentre Ariel è il capo dei venti. Osiride ed Iside, identificata con la costellazione del cane120, cioè con , Sirio121, designano gli Arconti delle ore della notte e del giorno. Un’altra serie di divinità presiede ai frutti, agli alimenti ed al fuoco, e rappresenta il duplice movimento, ascendente e discendente, da destra a sinistra, dei segni dello Zodiaco sul piano dell’eclittica. Le potenze di sinistra, che hanno il dominio sulle stagioni, sono governate dal dio che i profani chiamano Luna (), nella cui immagine sono stati generati il “Grande Bue” ()122 ed una serie di personaggi profetici tratti da vari ambiti religiosi antichi, tra cui spiccano i nomi di Ostanes e Zoroastro123. Significativo sembra quindi l’inserimento del “Grande Bovino” lunare al vertice di una genealogia di importanti figure profetiche: a livello comparativo si può dire che esso incarni l’arcantropo iniziale, affine al gāw ī ēwdād iranico, il Bovino primigenio che è alle origini dell’umanità.

Tali valenze simboliche, al crocevia fra aspettative religiose, immaginazione astrale e affabulazione onirica, riaffiorano in un incantesimo bizantino descritto dal Delatte124:

125

Suggestiva in questo , la sovrapposizione tra le cifre magiche del signum Tauri e del caput Draconis, intese quali espressioni iconiche della potenza lunare.

Immagini di finitudine altresì evocate in un papiro magico, dove la menzione di un misterioso demone di nome / disvela – come tempo addietro ha mostrato il Dölger – un retaggio semitico: ha-lcbanāh è infatti la denominazione ebraica della Luna126 in alcuni luoghi dell’Antico Testamento127; il pianeta notturno che il Tetrabyblos di Claudio Tolomeo designa, nella congiunzione con i segni zodiacali della Bilancia, dell’Ariete e del Leone, come responsabile della nascita di ,  e 128. A simili manipolazioni magico-oniriche si deve ascrivere anche la menzione del rito lunare nel Philopseudes di Luciano. Lo scrittore di Samosata narra l’episodio di un certo Glaucia che, innamorato di una fanciulla di nome Criside, ricorre alle arti di un Mago Iperboreo () al fine di possederla. Il Mago, attesa la Luna piena129, scava una buca in terra ed a mezzanotte compie un singolare rito necromantico: prima evoca l’ombra cadaverica, , di Alessicle, padre di Glaucia morto da più di sette mesi, il quale, sebbene indignato per la passione lussuriosa del figlio, acconsente a che si prosegua la cerimonia. Indi il Mago evoca, traendola dagli abissi infernali, la sitibonda dea Hekatē, che sopraggiunge recando al guinzaglio Cerbero, il fedele custode della finitudine oltretombale, e



Tra le molte forme che assume la Luna agli occhi degli astanti, la prima è quella di una donna (); segue, non a caso, la metamorfosi in un bellissimo bue (), ed infine il pianeta della notte si trasforma in un piccolo cane (). Quindi il Mago prende della creta e con essa modella una figura magica, verosimilmente un piccolo Cupido ()130, per mezzo della quale attrae a sé l’immagine psichica, quindi “lunare”, della fanciulla desiderata da Glaucia. In un probabile delirio onirico, lo stesso Glaucia si unisce ad essa in un impetuoso amplesso visionario che dura sino al canto del gallo, momento in cui l’incantesimo si dissolve nell’aria mattutina ().

Come si è già sottolineato, la Luna evocata dal Mago Iperboreo assume le sembianze di un prosperoso bovino; tutto il rito magico presuppone inoltre la mutevolezza e l’azione fluidica della Luna sul mondo del sogno; essa agisce come una sostanza inebriante sul desiderio erotico di Glaucia, suscitando in lui la materializzazione di conturbanti immagini psichiche. In termini magico-simbolici il pianeta della notte, mutevole e crepuscolare, diventa la dimora del mondo astrale del Mago Iperboreo, luogo indefinito dove le immagini si formano, si deformano, si trasmutano, irriconoscibili alla coscienza.

V. L’estasi lunare

Pulsione erotica ed instabilità lunare sono tratti salienti anche nelle dottrine della gnosi simoniana131. Nella letteratura pseudoclementina troviamo parecchio materiale interessante sulla biografia del “Padre di tutte le eresie”. Gli esordi di Simon Mago sarebbero infatti, secondo le Recognitiones, da ricercare in seno alla setta di Dositeo, un discepolo di Giovanni Battista132. Motivazioni astrologico-esoteriche impongono che gli adepti siano in numero di trenta, più una muliere quae Luna vocitata est (con probabile allusione ai giorni del mese lunare)133. Ben presto, grazie ai portentosi e prodigiosi poteri teurgici, Simon Mago assume la guida della conventicola. A ciò segue – come da copione – l’innamoramento per la fanciulla di nome Luna. Nelle concezioni simoniane essa sarebbe “un essere disceso dai cieli superiori”, de superioribus caelis deductam134, ovvero la Madre cosmica, la Sapienza primigenia “per cui greci e barbari hanno combattuto”: l’allusione è al mito omerico di Helena135, qui sovrapposta a Luna/Selēnē per mezzo di una metafora dal sapore squisitamente pitagorico136.

Nel sistema di Simon Mago Helena, cioè Ennoia, il Pensiero sorgivo137, viene percepita dai greci e dai troiani quale  lunare, ovvero come immagine fluttuante nell’intermondo onirico138, invisibile ad occhi profani; essi infatti, come gli Arconti dei miti gnostici, intravedono di lei solo un’immagine139, un'”impronta” psichica, riflesso della prima e unica realtà divina, che in termini gnostici coincide con la stessa persona di Simon Mago140.

L’identità selenita ed esoterica dei settari gnostici la ritroviamo in una misteriosa fazione pauliciana141 dell’Oriente bizantino, gli Athinganoi142. Nella formula di abiura a loro consacrata si fa esplicita menzione di tre principali demoni lunari chiamati ,  e , utilizzati dagli Athinganoi a fini magici143. L’anatema difatti è rivolto a coloro che per mezzo delle potenze demoniche “attraggono a sé la Luna usandola a fini oracolari” ().

L’accesso al mondo onirico è proprio dell’instabilità lunare, della fluttuazione animica, simile alla inlocalitas neopitagorica144, espressione di un vincolo “astrale” che solo apparentemente è connesso agli “astri” quali coagulazioni di sostanza onirica; al contrario, etimologicamente esso rimanda al greco , con il significato di “senza sostegno”, “privo di corpo”, “vagante”. Si può infine dire che questa metafora, poiché lunare ed angelologica, a suo modo sia “sabea”145 proprio perché in essa confluiscono due contenuti semantici legati al mondo degli astri e della mobilità animica. Curiosamente un testo esorcistico bizantino inneggia proprio ad una creatura angelica di nome  o , manifestazione di una forza “dracontica”146 che etimologicamente rinvia al copto sabe, “sapiente, saggio”147, termine che troviamo per esempio in un testo gnostico di Nag-Hammadi, il Testimonium Veritatis, ad indicare il serpente edenico148 come il più saggio tra gli animali paradisiaci, seduttore ed istruttore di Eva. Sabaēl/Sabē sarebbe quindi l’angelo della gnosi lunare, l’egregore della sapienza selenita che governa la forza dracontica celata nelle tenebre esteriori.

* * *

Dagli ambiti storico-religiosi sostanzialmente gnostico-sincretistici presi in considerazione si può osservare un duplice sviluppo, se vogliamo in senso diacronico e in senso sincronico, del simbolismo lunare. Umidità e morte, mutabilità e magia, sono specificità chiaramente “lunari”: tramite esse la ciclicità selenita si dispiega in un avvicendarsi di morti e rinascite149. È un divenire legato alla ciclicità femminile150, limitato non solo alle lunazioni catameniali, ma che investe l’intero universo onirico, instabile e continuamente cangiante. Per tale motivo l’astro notturno nella sua triplice epifania151152, cioè , “splendente”, che rimanda a , “splendente agli occhi di tutti”153. Ora, Pasiphae è anche il nome della regina di Creta, sposa di Minosse, invaghitasi di un aitante toro bianco154. È cosa risaputa che dal concubito della regina con il bovino nasce il Minotauro, un essere mezzo uomo e mezzo bue rinchiuso da Minosse, guarda caso, in un palazzo, il Labirinto, etimologicamente connesso con la , l’ascia rituale formata da due falci di luna unite per il dorso. è la dea che sovrintende alla nascita, all’iniziazione ed alla morte, in una mutazione circolare conchiusa in se stessa dove la nascita coincide con la morte; mitologicamente essa è personificata da Hekatē, la dea dell’iniziazione infera, e da Artemide, la cacciatrice divina i cui segugi sono gli astri. Un altro aspetto, come s’è visto, è quello sincronico, fenomenologicamente legato al cibo celeste ed allo spazio macroantropico, cioè al mitologhema del bovino cosmico. Un ultimo riferimento a questo riguardo sta in un oracolo onirico del Peloponneso dedicato ad Helios, il Sole, ed a Pasiphae, la Luna

Alla luce di tutto ciò e con malcelata nostalgia, in ultimo non si può non ricordare che, pur trascorso quasi un secolo, le idee di un Bousset o di un Reitzenstein sull’ipotesi di una religiosità gnostico-iranica, forse eccessive, restano intrise di una geniale vitalità intuitiva, a scapito di tanta religionistica “di mestiere”, che non ha saputo cogliere e continuare le intuizioni di una scuola come la cosiddetta religionsgeschichtliche Schule, le cui percezioni comparative rimangono a tutt’oggi insuperate.



ALESSANDRO DI LICOPOLI CONTRO MANI

di Ezio Albrile

3. I navigli celesti e il mare cosmico

Il simbolismo lunare e solare, corrispondente agli egizi Iside e Osiride, che abbiamo qui richiamato, si presta a un importante raffronto con la gnosi manichea: anche il Sole, come l’egizio Osiride, nel Manicheismo è immaginato simile a una nave o a un vascello celeste a cui le anime divine, cioè le particelle di Luce, si ricongiungono dopo aver attraversato gli elementi cosmici. Tale vicenda mitica è così descritta da Alessandro di Licopoli:

“… indipendentemente dal Demiurgo, c’è un’altra Potenza che è discesa attraverso i raggi luminosi del Sole, impegnata nell’opera di separazione… La Luna crescente, infatti, non fa altro che raccogliere la Potenza che si è separata dalla Materia, sino a esserne piena; quella calante, invece, dal plenilunio in poi, la rimanda al Sole, e questi infine la restituisce a Dio. Quando ciò si è compiuto, il Sole riceverà, proveniente dal prossimo plenilunio, una nuova parte di Anima che si trasferirà a lui, e, quando l’avrà ricevuta, nel medesimo modo la restituirà a Dio. E questa è l’opera continua del Sole”.

Il dramma cosmogonico che ha portato la Luce, la sostanza divina, a essere “smembrata” e imprigionata nella hyle, nella Materia, e che comporta, quale azione compensatrice da parte di Dio, una serie di “evocazioni” o “chiamate” (siriaco qraya, medio-iranico xrotag), ha un suo primo epilogo nella cosìddetta “terza evocazione”, in cui il “Padre della Grandezza” (Abba d-Rabbutha delle fonti siriache, Zurvan di quelle iraniche) invia lo “Spirito Vivente” (il Demiurgo di Alessandro) – che nelle versioni iraniche del mito si identifica con Mihryazd (= Dio Mihr/Mithra) – e un “Messaggero” (’Izgadda nel resoconto di Theodoro bar Koni) per recuperare le particelle di Luce ancora prigioniere. Figura principale di questa terza, e ultima, “evocazione” è appunto il “Messaggero”, che Alessandro di Licopoli definisce come “un’altra Potenza discesa attraverso i raggi luminosi del Sole”. I Salmi e i Kephalaia copti parlano anch’essi di un “Terzo Inviato” (pmaramt mpresbeutes), a cui corrisponde esattamente l’espressione latina Tertius Legatus utilizzata da Evodio di Uzala nel suo De fide contra Manichaeos. Il trattato cinese tradotto da Chavannes e Pelliot lo definisce il “Grande Inviato della Luce Benefica”; infine i tesi iranici di Turfan lo designano come il “dio Narisah” (o Narisaf), nome sotto cui si cela l’angelo mazdeo Neryosang (avestico Nairyo.saha), divinità del fuoco dimorante nell’ombelico dei re e “messaggero degli déi”.

Accompagnato da Mihryazd / Spiritus Vivens, il Tertius Legatus mette in moto la gigantesca macchina cosmica, permettendo ai “navigli” celesti, cioè il Sole e la Luna, di funzionare come dei “mulini” nei quali man mano si purificano i cinque elementi luminosi o “splendori” (siriaco ziwane), e le cui “ruote” sono il Vento, l’Acqua e il Fuoco: durante i primi quindici giorni del mese, la luce liberata dalla Materia sale attraverso una “Colonna di Gloria” (greco stylos tes doxes) sino alla Luna, per poi, durante la seconda quindicina del mese, riversarsi o “travasarsi” dalla Luna al Sole, luogo quest’ultimo da dove la sostanza luminosa sottratta alla hyle farà ritorno al “Paradiso delle Luci”, ossia alla dimora del “Padre della Grandezza”. E’ importante notare come questo processo purificatorio abbia un suo corrispondente riflesso nel microcosmo: se l’universo è il luogo in cui tutti i corpi luminosi sono purificati, allora tale processo si riproduce in modo pressoché speculare nel corpo dell’Eletto manicheo: il suo apparato gastrico, in particolare il suo stomaco, è concepito come una sorta di athanòr alchemico in cui la Luce contenuta nei cibi viene purificata da ogni impurità attraverso un doppio ciclo di raffinazione e di risalita delle particelle filtrate e poi restituite.

Il processo che porta la “macchina gastrica” dell’Eletto manicheo a distillare la Luce dispersa negli alimenti corrisponde così biologicamente al processo cosmico di purificazione degli “splendori”, gli ziwane, da parte dei “mulini” a tre ruote messi in moto nel corso della “terza evocazione”. In altri termini, l’Eletto manicheo è, in quanto al suo stomaco, ciò che il Demiurgo, lo Spiritus Vivens/Mihryazd e i suoi figli, i “Cinque Inviati della Luce”, sono in rapporto al mondo, cioè un produttore di Luce: il microcosmo riproduce così il macrocosmo. S. Agostino sembra aver compreso bene il meccanismo di questo ciclo purificatorio; dopo aver riassunto nel suo De moribus Manichaeorum, il mito del “miscuglio” culminante nel panpsichismo, egli aggiunge infatti:

“… Se gli alimenti composti di legumi e di frutti entrano nel corpo dei santi (=Eletti), per mezzo della loro castità, delle loro preghiere e dei loro salmi, tutto ciò che di bello e di divino c’è in questi alimenti è purificato, cioè messo perfettamente nella condizione di riguadagnare i propri regni al riparo da ogni contaminazione”.

Masticazione, deglutizione e digestione portano a una separazione tra la Materia tenebrosa del cibo, che è evacuata nelle latrine, e la sua parte luminosa e divina, il “membro di Dio” (membrum Dei) che compie l’epistrophé, il ritorno verso la pura Luce.

4. Antropologia manichea

Ma Agostino fa un’altra, più importante osservazione, egli infatti, trattando della regola dei “tre sigilli” (tria signacula) a cui sono sottoposti gli Eletti manichei (astensione dai lavori agricoli, dai cibi carnei e dai rapporti sessuali), osserva che se il “sigillo del seno” proibisce le relazioni sessuali agli Eletti, nel medesimo modo la dottrina di Mani insegnando che “con il cibo dei santi (=Eletti) l’anima si sprigiona dai semi… perché non lo si crederebbe a proposito del seme degli animali?”. Se è impura la carne di un animale, perché questo animale è morto – e quindi senza anima -, invece, trattandosi del seme di un essere animato vivo, seme che racchiude una parte di sostanza divina poiché proprio questa animerà l’essere generato, allora nulla impedirebbe che anch’esso venga sottoposto a un processo di purificazione affinché la particella luminosa e divina in esso contenuta sia liberata dai lacci della hyle. In una simile prospettiva cosmo-antropologica sarebbero perciò gli stessi Eletti manichei che tra loro, e segretamente, si dedicherebbero a questa purgatio dello sperma umano. Cibandosi dello sperma si attiverebbe infatti nell’Eletto un processo catartico, che in termini alchemici potrebbe definirsi di “coobazione” (o uroborico) in cui la Luce racchiusa nel seme verrebbe, di volta in volta, purificata dalle impurità derivanti della commistione con la hyle, verrebbe, cioè, separata dal “miscuglio” materiale.

Questa sconcertante congettura avanzata da Agostino, trova riscontro nelle – peraltro rare – accuse di libertinismo e immoralità rivolte ai Manichei da antagonisti e avversari religiosi. Tipica in questo senso è la testimonianza del Ginza mandaico. In questo testo i Manichei, indifferentemente chiamati Zandiqi e Mardmani, sono accusati di mescolare lo sperma, ottenuto attraverso un coitus interruptus, con vino sacramentale situando il loro atto in antitesi al rito liturgico mandaico: essi infatti “seminano seme nel nascondimento e affidano la loro parte alla tenebra. Uomini e donne giacciono insieme, raccolgono il seme, lo mettono nel vino e lo danno da bere… e dicono che è puro. Invocano il vento, il fuoco e l’acqua…”. La notizia sembra confermata da una fonte siriaca dello stesso periodo, che descrive le pratiche cultuali libertine di una comunità manichea localizzata nella regione di Behqawadh, a sud dell’Eufrate. Aderenti al tipico modello eresiologico, i riti di questi presunti Manichei si presentano in tutta la loro dimensione trasgressiva e anticosmica. Leggiamone il resoconto nella traduzione latina del Guidi:

… Hos autem ferunt domi loco subterraneo includere solitos hominem ab inuente anno, omnia ei edenta per totum annum suppenditantes quae ipse appeteret; tum denique eum occidere, hostiam daemonibus, et per eius caput divinationes et artes magicas toto anno tractare; singulos vero quotannis mactare. Ferunt etiam adferre solitos virginem intactam quacum omnes concumbebant, infantem autem qui ex ea nasceretur statim coquere donec caro et ossa veluti oleum fierent, tum in pistillo tundere et farina indita parvas placentas inde parantes conficere; tunc singulis sibi coniunctis singulam placentam comendam dare,…“.

Anche se alcuni eventi riportati in questa notizia sembrano esulare in parte dal contesto macro-microcosmico analizzato, è indubbio postulare lo stretto legame esistente tra questa fonte siriaca e la citata sezione del Ginza mandaico: in entrambi i casi confluiscono rappresentazioni complesse, in cui si inseriscono rituali volti a trascendere l’orizzonte mondano per mezzo di pratiche rituali spesso aberranti; eros e ascesi sono difatti coinvolti nella ricerca del medesimo fine ontologico: il riscatto dal piano della generazione corporea è così realizzato coinvolgendo la stessa energia che fonda il ciclo dell’esistenza. Il compito dell’Eletto manicheo – “straniero” al mondo – consiste perciò nell’annientare la legge del demiurgo, rappresentata dall’ordine mondano.

L’impostazione culturale di queste comunità manichee, che agli occhi dei polemisti e degli eresiologi appare lassista e libertina, non può evidentemente spiegarsi con una chiave di lettura unicamente “morale” o antinomistica. E’ da ritenere, perciò, che la dura polemica contro simili aberranti pratiche rituali sia dovuta in sostanza a precomprensioni di lettura, più che alla reale mostruosità dei riti.

L’idea di purificazione, di rigenerazione, di palingenesi, insita nell’ontologia manichea, presuppone che presso la comunità degli Eletti fosse attuata una tecnica rituale, che mediante i digiuni – probabilmente sincronizzati con il ciclo zodiacale -, la pratica dell’ascesi e del rigorismo sessuale, permettesse una più rapida reintegrazione nello stato luminoso. Di fatto la pratica “sessuale” degli Eletti manichei si presenta come un’ascesi, una castità intrisa di eros, che porta a far sì, tramite un processo di purificazione, che le particelle di Luce imprigionate nelle Tenebre corporee si possano emancipare dal vincolo della hyle e dell’heimarmene.

5. Il Culto della Luce

Nell’immaginazione religiosa di queste conventicole manichee, il cibarsi ritualmente del semen virile, oltre a inserirsi nella chiara omologia tra macro- e microcosmo, costituisce anche il corrispondente cultuale del mito inerente la “Seduzione degli Arconti”. Ecco infatti come tale evento mitico è presentato da Alessandro di Licopoli:

“Nel Sole si può scorgere un’immagine (eikona) simile alla forma di un uomo; questa immagine suscitò il desiderio della Materia, cosìcché essa stessa (ex autes) creò un uomo, grazie al miscuglio totale (da pases michthesetai) che l’univa alla Potenza: anche l’uomo perciò possiede una particella di Anima. Questa forma ha tuttavia dato un grande contributo affinché l’uomo sia partecipe più di ogni altro essere vivente e mortale della Potenza divina, poiché egli stesso divenga immagine della Potenza divina.

Il Cristo è un Intelletto (ton de Christon einai noun). Quando un giorno egli giunse dall’alto, non solo riuscì a liberare una grande parte della Potenza per restituirla a Dio, ma alla fine, con la sua crocefissione, ha fatto conoscere come anche la Potenza divina sia rimasta vincolata, o, per meglio dire, crocefissa (enestauosthai) nella Materia”.

Anche nell’interpretazione fortemente demitizzante data da Alessandro, si scorgono i tratti salienti del Mito manicheo: per liberare le particelle di Luce dalla Materia, personificata dai Figli delle Tenebre, il Tertius Legatus Narisah escogita uno stratagemma: egli infatti appare nudo nel Sole, ora sotto forma di femmina (la “Vergine di Luce”) ai demoni, e ora sotto forma di maschio (l’”Adamo Luminoso”) alle demonesse. I demoni, vinti dal desiderio e dalla bramosia, lasciano cadere in terra il loro sperma e con esso la Luce che avevano inghiottita. Una parte della semenza luminosa viene recuperata dallo Spiritus Vivens Mihryazd (il Demiurgo di Alessandro) e da Narisah, una parte cade in mare e genera un drago marino, mentre una terza parte dà origine al mondo vegetale, e ingravida le demonesse. Queste ultime, colte dalla nausea per la rotazione del cerchio zodiacale a cui sono legate, partoriscono degli Aborti che si danno poi a loro volta, in preda alla concupiscenza, alla riproduzione della loro specie demoniaca.

Ma il dramma cosmogonico non si esaurisce qui: la Materia, che nelle versioni iraniche è personificata da Az, la “Concupiscenza”, per conservare la maggior quantità di sostanza luminosa, dispiega una contro-creazione “ahrimanica” antitetica al divino e ontologicamente negativa. Personificazione del non-essere, il demone Aaqlun, al fine di inghiottire la maggior quantità di Luce, divora gli Aborti delle demonesse e si accoppia con la demonessa Namrael, generando Adamo ed Eva.

Adamo raccoglie inconsciamente in sé la maggior parte della Luce caduta in possesso della Materia tenebrosa: egli diventa così il fulcro da cui si svilupperà l’opera salvifica dell’Uomo Primordiale, indifferentemente chiamato Ohrmizdyazd (”Dio Ohrmizd”), Io’-Ziwa (”Gesù-Splendore”), Nous, Manvahmed vazurg (”Grande Intelletto”), ossia il Cristo-Nous, il Gesù luminoso che viene ad “aprire gli occhi” di Adamo per liberare il Jesus Patibilis che si trova crocefisso in ogni angolo del cosmo, in cielo e in terra, nei corpi umidi e nei corpi secchi, “in ogni seme di albero, di erba, di uomo, di animale”.

La reticenza di Alessandro di Licopoli nel descrivere il dramma manicheo nella sua prospettiva mitica, e il silenzio nei riguardi di tutte le emanazioni e le ipostasi collaterali a quella dello Spiritus Vivens – eccezion fatta per la fugace menzione dei due Luminari – rivelano l’interesse specifico che egli dimostra di avere unicamente per la problematica metafisica neoplatonica. Il filosofo di Licopoli trascura infatti parte del mito manicheo, così come riportato nella maggioranza delle fonti greche e copte a lui contemporanee, che narrano di come il Dio supremo, il “Padre della Grandezza”, incapace per la bontà che gli è consustanziale di concepire qualsiasi atto malvagio (e risoluto a non compromettere i suoi “figli” o eoni, ma di combattere con la sua Anima) decida di “emanare” o di “evocare” da sé stesso la “Madre dei Viventi”. Quest’ultima a sua volta evocherà l’Uomo Primordiale, che armato di cinque figli che fungono da corazza (Etere, Vento, Luce, Acqua e Fuoco) discenderà nel mondo delle Tenebre per liberarvi la Luce imprigionata.

Anche l’Uomo Primordiale però rimane intrappolato nella hyle: per liberarlo il Padre allora evocherà l’”Amico delle Luci”, e questi a sua volta il “Grande Architetto”; il processo evocativo continuerà sino a giungere allo Spiritus Vivens, la cui Intelligenza, Scienza, Pensiero, Riflessione e Coscienza costituiscono altrettante ipostasi divine (o “splendori”, ziwane): “Ornamento di Luce”, “Grande Re d’Onore”, “Adamo Luminoso” (Adamo-Luce o Adamante-Luce), “Re di Gloria” e “Omoforo”.

MAGIA SESSUALE E SEME MASCHILEultima modifica: 2009-08-03T13:12:00+02:00da mikeplato
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8 Responses

  1. templier64
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    stavolta sono in disaccordo con quanto espresso. Quanto riportato nella Pistis Sophia non è un paradosso ma la pura e semplice risposta del Cristo. Le verità poste in evidenza non hanno mai un significato letterale; è come se nell’Eucarestia venisse sancito il cannibalismo (non ci nutriamo di corpo e sangue durante il rito-mistero?). La Golden Dawn si basava su questi tipi di iniziazione ma il risultato è stato che i suoi adepti veramente alla ricerca ne sono usciti (vds ad esempio Coelho) per cercare la Via altrove.
    Nell’alchimia c’è una forte componente sessuale (ma soprattutto spirituale da non dimenticare) e riti fortemente intrisi della “materia” non penso abbiano possibilità di successo. La congiunzione mascolino-femminino non è il maschile-femminile, soprattutto ai ns giorni dove il femminino-femminile ha confini ormai troppo indefiniti. E qui mi fermo lasciando spazio ad altri per il loro pensiero.
    N.N.D.

  2. mike plato
    at |

    TEMPLIER 64…
    QUESTO E’ UN ARGOMENTO ESTREMAMENTE DELICATO, E LASCIO A CIASCUNO LA FACOLTA’ DI VALUTARE.

  3. templier64
    at |

    so che è un argomento delicato e che il confine è più sottile di una lama di rasoio, tra la possibilità di crescere il proprio sperito e quella contraria di dar piacere alla propria carne. Ma proprio per questo ero così interessato da non creare più confusione su un argomento, il sesso, che già domani le nostre vite terrene e che fa parte del potere arcontico ma che allo stesso tempo è un mezzo per un ascesi superiore.
    Cmq grazie Mike per il tuo interessamento.

  4. stinrich
    at |

    penso che il centro sessuale bisogna tenerlo in armonia,cosi come quello del cuore e quello della mente.
    tanto tempo,quanto i falsi insegnamenti riguardo al sesso e ogni forma di falso pudore dominera sui nostri modelli comportamentali,non si potra sperimentare la conessione con lo spirito e beneficiare veramente del rinnovamento a livello cellulare mentre si prattica l’intimita’.l’amore fisico dovrebbe essere una cosa sacra per poter ridestare il fuoco del serpente,la Kundalini che attraverso il midollo spinale ci porta alla Multidimen sionalita’.S’è visto cosi,l’amore non è un ostacolo per la crescita spirituale,ma un modo per arrivarci.
    Templier64, credi ch’è possibile trovare la via di mezzo? e tu, Mike cosa suggerisci ?

  5. Ermete
    at |

    Certi insegnamnti Hindu e Bhuddisti spiegano come anche per le tecniche di NON emissione vi siano 2 strade, corrispondenti ai cosiddetti “orgasmo di picco” ed “orgasmo di valle” (Osho ed altri lo spiegano molto bene): nel primo le possibilità sono 2: Emissione, Ritenzione che però come accennato nell’ articolo, ssendo comunque una forzatura è generalmente sconsigliata ai più e rimane appannaggio solo di persone molto esperte e padroni del proprio corpo a livelli molto elevati, in ogni caso è una situazione attiva in un sensoo nell’ altro; nel secondo NON si raggiunge lo stimolo ad emettere quindi si rimane in una situazione passiva (che secondo me concilia meglio la meditazione e l’ unione) che può prolungare molto l’ atto. I due casi in cui NON si emette sono, secondo me, i pocessi trasmutativi più propriamnte detti.

    C’e’ una disputa antica come l’ essere umano su questo tema….
    E’ evidente che si tratti più di un problema maschile che femminile.

    Secondo una scuola il seme essendo il mercurio alchemico deve essere trasmutato internamente per andare ad alimentare la Kundalini e innalzarsi attraversando tutti i chackra fino a quello ultimo sul vertex craniale; solo così si eleva l Kundalini in vibazioni superiori (si puo’ svegliare anche in quelle inferiori); al livello puramente fisico-materiale la mdicina oggi ci dice che SE il seme non è emesso questo comunque viene naturalmente riassorbito nell’ organismo; quindi in generale la ricerca attiva dell’ emissione NON è necessaria di per se, dipende solo da una scelta individuale. Naturalmente la via della trasmutazione passiva è aiutata da tecniche (attive) di meditazione-respirazione, cito le principali: l’ Asana Sacra, il PranaYama, l’ HamSa.

    Ognuno pratica la via che più sente vicina a se, personalmente sono incline alle opzioni di NON emissione, in ogni caso NON è possibile valutare se prima no si è sperimentato, se prima no si è raggiunto un sufficente grado di confidenza conoscenza(che non significa padronanza) con il proprio corpo e in particolare in questa specifica funzione.

    Sta di fatto che le tecniche che consentono di non emettere (o almeno di non farlo sistematicamente e senza il proprio controllo) consentono anche una certa padronanza della pianificazione familiare in una coppia che abbia un progetto di unione a lungo termine.

  6. Ermete
    at |

    Il maschilismo prevalente nella concezione tantrica orientale NON è in questo caso relazionabile alla particolare tecnica adoperata: l’ insieme delle tcniche tantriche sviluppate nella cultura orientale sono sostanzialmente corrette ma è sbagliato il MODO, l’ atteggiamento in cui vengono praticate.

    In realtà, sebbene molto meno evidente, anche nella struttura fisica femminile esistono fluidi interni che possono (e dovrebbero) essere trasmutati: nell’ unione sul piano fisico NON c’è ncessità di uno scambio di essi anche perchè sarebbe sostanzialmente unidirezionale dal maschio alla femmina e questo genererebbe comunque una situazione di NON parità, quindi anche in questo caso si precluderebbe la controparte femminile al’ accesso alla trasmutazione deresponsabilizzandola da un lavoro interiore di ascensione; in realtà il vero scambio PARITARIO si realizza dal livello eterico in su; concentrasi eccessivamnte sull’ aspetto fisico, che sta comunque alla base ed è imprescindibile, come più importante rispetto agli altri, è un errore che sta poi alla base di tante situazioni fallimentari proprio su *quel piano*, altrettanto importante di quello fisico è certamente quello astrale-emozionale…. per non parlare di tutti gli altri (e tuttavia tutto part da un impulso sul piano animico e causale).

    Il maschilismo può (e deve) essere eliminato attraverso un cambiamento di atteggiamento, attraverso un mutamento consapevole di INTENZIONI, è l’ intenzione la chiave di tutto (ma che sia però coerente anche con i comportamenti sul piano fisico) considerando l’unione come il mezzo completo per un lavoro di ascensione; si deve quindi prima interiorizzare la convinzione sui piani animico e causale attraverso il mentale che deve essre reso ricettivo (vacuo) con le pratiche meditative; l’ atteggiamento dei sopracitati praticanti yogi che utilizzavano strumentalmente il partner femminile è certamnte errato e frutto di una convizione sbagliata, infatti questo si ripercuote in buona parte delle socità dell’ area dl globo orientale con una condizione feminile veramente abrrante, umiliante, una condizion complessiva di diffusa povertà con il maschio spesso completamnte deresponsabilizzato: pensare che il modo e l’ atteggimento in cui vine diffusamente praticata una tecnica spirituale NON abbia correlazioni alle condizioni che si vivono sul piano fisico è non solo errato ma smentito dai fatti.

    Credere che in certe società orientali sa tutto buono, tutto giusto, tutto più vicino allo spirito divino perchè tutti più poveri semplici è frutto di una mistificazione-distorsione NewAge: molto brahmini hanno scelto sempicemente la via di una ASCNSIONE INCOMPLETA… scaricando la loro parte oscura O sul resto della popolazione o, per chi praticava il tantrismo, ANCHE in particolare sul partner femmnile….

    Ora ditemi…. cosa si osserva in quelle società OLTRE la cortina fumogena di una realtà NewAge edulcorata? MISERIA generalizzata e condizioni feminili tragiche. Questo è il risultato di tante preghiere e mditazioni nei secoli fino ad oggi? Beh lasciate che vi dica: quei brahmini già ascesi in dimensioni superiori si porteranno dietro TUTTO il loro karma ma enormmente amplificato dal processo di ascensione(incompleta); per rimdiare dorvranno fare in modo di redimersi SU questo piano fisico attraverso la loro parte di se, anima fratturata, lasciata indietro su questo piano, dovranno fare un LAVORO AGGIUNTIVO.

    Si sono comportati con il “MODELLO ARCONTICO” succhiando +o- inconsapevolmente energia psichica dai prorpi adepti, allievi e pressando sul piano fisico tridimensionale la loro parte oscura invece di affrontarla, trasmutarla, sublimarla. Atto di superbia frutto di una sostanziale IGNORANZA (non crediamo che gli Arconti sappiano tutto, su alcuni aspetto intuitivi dell’ esistenza sono più ignoranti di tanti esseri umani)

    Vivere in semplicità NON vuol dire vivere in MISERIA e NON è affato vero che “Dio” Cristo hanno bisogno dei poveri e della povertà nel mondo: anche questo è un modello arcontico da superare.

    Gli Arconti vivono in una situazione di “vantaggio” perchè sono esseri che NON solo si nutrono di energia psichica di altri esseri invece che abbeverarsi all’ UNICA fonte utile ma pressano TUTTO il loro lato oscuro nella nostra dimnsione causando quà la vale di lacrime (con qualche isoletta felice ma di solito temporanea). LORO dovranno prima o poi affrntare la loro “parte oscura” e infatti stanno cominciando ad apparire non più sseri di luce ma per quello che sono.

    Tornando al discorso iniziale NON serve a molto una tcnica piutosto dell’ altra se l’ atteggiamnto di fondo nel rapporto di coppia rimane invariato. I modeli comportamentali si trascendono sia con la tecnica ma prima ancora abbandonando la superbia con una presa di coscenza che sono errati e un consegunte atto di volontà.

  7. arunadidi
    at |

    Riguardo alla luna ricordo nei Veda il Soma, misterioso elisir di lunga vita bevuto dai Deva e desiderato dagli uomini, associato alla divinità lunare

  8. Foorrydep
    at |

    Da, vjerojatno tako je

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