L’UOVO, IL MONDO E DIO

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di Ezio Albrile

La tradizione esoterica islamica, meglio conosciuta come «sufica», conosce in Rumi un grande aedo di mitologie arcaiche. Il suo Diwan, al pari di altri capolavori della poesia neopersiana, è colmo di motivi gnostico-iranici. Il grande iranista Alessandro Bausani, cogliendo una gemma noetica, aveva segnalato in esso una strana sequenza «ovulare» il cui protagonista è una sorta di Uccello-Anima. Secondo Rumi il Cosmo, inteso e percepito come zaman, «Tempo» – parola che ha una lunga posterità nella storia religiosa iranica – è l’espressione visibile di un «altro» Cosmo non manifesto, impalpabile e virtuale come un futuribile pulcino racchiuso in un Uovo. L’Uovo è un microcosmo, il suo interno è un sistema planetario in miniatura nel quale, fra il bianco e il rosso, trova posto il barzað = stereōma, l’intermondo onirico, l’involucro che separa le essenze divine e avvolge l’universo somatico. Dio in forma di Uccello cova questo Uovo contenente i due mondi, il presente e il futuro, il visibile e l’invisibile, generando a sua volta un pennuto che è stigma del ritorno verso l’unità. Altrove, nello stesso Diwan, la sostanza primigenia è definita come gauhar (< medio-persiano gohr), parola che rinvia al significato di «essenza» e «perla». Tale gauhar ribolle come un Uovo, divenendo Mare e poi Terra, mentre dal vapore sprigionato sorge il Cielo. Secondo una mitologia diffusa in area indo-iranica, la Perla ha una funzione cosmogonica peculiare, originando dalla sostanza medesima di Dio, dalla sua impenetrabile essenza. L’espressione qui usata, da un lato allude alla rappresentazione di Dio in sembianze di uccello, mentre dall’altro indica come all’immagine della Perla si sovrappone quella dell’Uovo primordiale, analoga sotto il profilo della funzione cosmogonica. La letteratura del mazdeismo zoroastriano parla di un dio sommo e trascendente (Ahura Mazda > Ohrmazd) autore di una creazione che si sviluppa in due livelli ontologici e cosmologici, il menog e il getig, ed esprime la sfericità del mondo, la sua genesi, con l’immagine dell’Uovo primordiale. La «Forma di Fuoco», rotonda, bianca e splendente, lo «strumento» splendido come una fiamma e l’Uovo cosmogonico sono lo stesso Ohrmazd, sono il suo sperma, il suo seme igneo. Lo sperma nella tradizione iranica è l’essenza della vita (ziwandagih gohr) e gaya, «Vita», cioè la prima parte del nome Gayomart, l’Uomo primigenio. È il seme di Ahura Mazda che, germogliato dentro la terra, si trasforma in Gayamaretan, cioè in «Vita mortale». Così nel pahlavi Zadspram Ohrmazd afferma di aver collocato la Terra al centro del Cielo «come il tuorlo nel centro di un Uovo»; una metafora analoga è nel Dadestan i menog i xrad, dove l’insieme degli elementi cosmici, «il Cielo, la Terra, le acque e tutto ciò che vi è in essi», è rappresentato in forma di Uovo: «proprio come l’uovo di un uccello». Il significato cosmogonico di questa immagine affiora egualmente nella testimonianza di Plutarco sulle dottrine dualistiche iraniche: Ohrmazd (Horomazes), dopo aver creato ventiquattro dèi, li pose in un Uovo, ma Ahriman (Areimanios), creati altrettanti esseri demoniaci, li fece penetrare al suo interno, provocando così la mescolanza di beni e mali, mescolanza che corrisponde esattamente al gumezisn, il «miscuglio» mazdeo tra menog e getig, tra «spirito» e «materia». È stato riconosciuto da più parti lo stretto legame esistente tra la fonte plutarchea ed i testi iranici. Come nel De Iside et Osiride, anche nei testi pahlavi il simbolismo dell’Uovo è utilizzato in ambiti cosmogonici: nella Rivayat pahlavi che accompagna il Dadestan i denig si dice che con uno «strumento» (abzar) «simile ad una fiamma» (ciyon xwarag i ataxs) di pura Luce, forgiato nella «Luce Infinita» (asar rosnih), fu fatta tutta la creazione, che venne poi inserita in un corpo umano, dove restò e crebbe per tremila anni. Dalla sua testa fu formato il Cielo, senza supporto «materiale» (getig), ed in esso si stabilì Ohrmazd con tutta la sua creazione. Dai piedi fu fatta la Terra, che è retta dalle montagne, ove è racchiusa la «sostanza» (gohr) dello xwarrah (< avestico xvar‰nah-), lo «splendore» consustanziale alla gloria divina. Questo gohr i xwarrah, questa sostanza luminosa, riveste una funzione essenzialmente germinale. Difatti fa crescere le montagne: per millesettecento anni le montagne crebbero di sopra e di sotto e poi soltanto di sopra per altri ottocento anni. Sopra e sotto, in alto ed in basso circola lo xwarrah, lo «splendore», ed il tutto, cioè la creazione della terra senza supporto «materiale» (getig), è immaginato simile ad un Uovo che racchiude un uccello in embrione. L’embrione all’interno dell’Uovo e le acque latrici del germe igneo, dello xwarrah, esprimono un identico referente simbolico: possiedono ambedue una struttura lunare, in quanto immagini che raffigurano il divenire non ancora manifestato, ossia una realtà virtuale e pre-formale celata nelle Tenebre, nella Notte e nel Chaos primigenio. In un’area di diffusione sostanzialmente dualistica il mondo mazdeo conosce una mitologia «ovulare» cosmogonica che forse è alla base delle vicissitudini animiche di un Mago balcanico, un Prospero slavo di nome Koscej l’immortale. L’Anima del Mago dimora su un’isola, sotto una quercia, racchiusa in una serie di involucri di cui l’ultimo è un Uovo. L’Anima di Koscej è un microcosmo, un sistema planetario in miniatura al cui centro alberga il principio vitale, il serpente astrale che la gemmologia gnostica dipinge avvolto attorno all’Uovo cosmico: non a caso in una variante della favola Koscej è descritto come Serpente. Un Serpente che la mitologia iranica vede ipostatizzato in Azi Dahaka e poi in Zahhak, il diabolico tiranno vittima e seguace di Ahriman. La variante forse più antica e interessante di questo racconto è stata scoperta a suo tempo da Richard Reitzenstein in un papiro magico demotico. Si tratta del viaggio intrapreso dal principe Neneferkaptah sulle tracce di un libro magico scritto dal dio Thot. Un libro dai poteri meravigliosi custodito nelle sinuosità del «Serpente senza fine» e racchiuso in sette casse di metallo, una dentro l’altra. Esiste un legame palese fra gli involucri metallici ed il simbolismo planetario: il principio vitale e spirituale è racchiuso in un mondo instabile, notturno, stellare ma sotterraneo. Analogamente in Iran la fortezza metallica e infera chiamata Hankana (> medio-persiano Hang/Kang, da kan- «scavare» ma anche «distruggere») custodisce Afrasiyab, il potentissimo guerrriero agente di Ahriman, ed è la replica daevica del var di Jamsid. Affiorano qui in embrione le tematiche care allo gnosticismo ellenistico: demonizzazione dello spazio cosmico ed intrappolamento in una sfera di oblivione del principio spirituale, racchiuso in una serie di involucri ovulari. Nella gnosi mandea il termine hilbuna designa l’Uovo cosmico, inteso come abitazione celeste e dimora degli esseri di Luce. In quanto embrione del cosmo, l’Uovo è la soglia che introduce nel mondo dello splendore pleromatico, è la «Porta dell’Uovo», baba d-hilbuna, menzionata in Drasa d-Yahia. Ancora in un inno liturgico tratto dal Qolasta l’Uovo è celebrato quale misterioso segreto (hilbuna raza kasia) e «vestimento interiore che proviene dal segreto», lbusia gauaiia d-mn kasia. Si tratta dell’involucro avvolgente l’Anima, del «corpo sottile» a metà strada fra l’universo noetico ed il corpo vero e proprio: un tertium quid che sopravvive alla morte somatica, un «Abito di Luce» indistruttibile come l’athanaton sōma, il «corpo immortale» ermetico e perfetto come il misterico sōma teleion, il «corpo perfetto» che qualcuno riteneva di origine iranica. Da un punto di vista prettamente «gnostico» la dottrina si coniuga con l’idea dell’anthrōpos phōteinos, l’Uomo di Luce dimorante in una modalità di esistenza «altra», iperuranica e adamantina. La mistica neoplatonica designa l’abito celeste che l’anima indossa o sveste con un termine specifico, chitōn, la «tunica», prerogativa degli iniziati. È plausibile che dietro a queste dotttrine si celino consuetudini molto più antiche: è il caso di una iscrizione di Keos del V secolo a.C., che prescrive di avvolgere i morti in un candido chlaina; così abbigliato il defunto era pronto ad intraprendere il viaggio nell’aldilà. I neoplatonici si richiamano costantemente alla auctoritas di Platone: è lui il referente ultimo della dottrina dell’ochēma, il «veicolo» dell’Anima. Nel Fedone si parla degli ochēmata quali «navigli» che conducono le Anime dei defunti tra i flutti dell’Acheronte. Più esplicito il Timeo, che paragona gli astri a carri celesti, mentre lo stesso involucro somatico dell’uomo è definito ochēma dell’Anima: un raffronto importante, dal momento che nelle Leggi Platone sostiene che il Sole, la Luna e tutti gli astri sono guidati dalle rispettive Anime. La dottrina sarà rielaborata dal neoplatonico Proclo che nella sua «Teologia» parlerà di due ochēmata per i tre tipi di Anime: un ochēma luminoso per l’Anima divina e un ochēma pneumatico o elementale per le Anime demoniche, mentre le anime umane possederebbero entrambi gli ochēmata infusi negli involucri somatici.
Tornando all’ambito iranico – questa volta «esterno», cioè caucasico –, presso gli Osseti l’anima di Bibyts, il gigante contro cui lotta l’eroe narte Soslan, dimora anch’essa racchiusa in una serie di recipienti. L’ultimo è uno scrigno contenente l’anima ovulare suddivisa in tre colombe. Una tradizione che ha anche un parallelo slavo. Il tratto saliente della mitografia «ovulare» è dato dal fatto di racchiudere entrambi i principi ierogamici iniziali, il bianco, spermatico, maschile, e il rosso, mestruale, femminile. Ebbene, questi due colori contraddistinguono nella topografia religiosa iranica – ab origine sistanica – i due monti del culto di Zur a Zabul; del primo monte sembra esistere una sola concreta identificazione, quella del Kuh-i Xwaja, il mitico Mons victorialis affiorante dal lago Hamun-i Helmand, mentre del secondo (l’A-lu-nao delle fonti cinesi) sono state proposte diverse identificazioni. L’immagine epifanica e tellurica del monte si identifica perfettamente con quella della madre e del suo seno nutriente: l’antropogonia si configura quindi nei termini di una ontogenesi. La formazione dell’embrione = uovo e il parto ripetono l’atto iniziale, archetipico, della nascita dell’umanità, concepita come emersione dalla più profonda matrice tellurica. Il concetto predominante è che tutto quanto giace nel ventre della terra è vivo, anche se allo stato di gestazione: il minerale grezzo estratto dalle montagne è un embrione, un germe che deve essere nutrito ed alimentato. La realtà cosmica è intuita come vivente e in quanto tale sessualizzata.

L’UOVO, IL MONDO E DIOultima modifica: 2009-11-03T20:19:00+01:00da mikeplato
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5 Responses

  1. richmond
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    Mi piace il tuo nuovo look, Mike ,suggestivo al 110/110…e questo rosso di fuoco,il rosso porporio come il sangue arteriale,rinnovato, m’incanta l’occhio e anche il cuore mi lo rinforza…

  2. richmond
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    mamma mia,dovrò rileggermi le favole…ma quelle non sono favole ma testi iniziatici!!! li ci sono tutte le chiavi…caspita, solo adesso realizzo il senso della favola con Kascej Bessmertnji (senzamorte), tra le piu amati nel folcloro russo.La più bella è il poema del grande Pushkin “Ruslan e Liudmila”.Infatti Liudmila viene rapita da Kascej e Ruslan intraprende una lunga e travagliata via per salvare la sua amata,sua promessa sposa.Ma è un vero trattato alchemico! Ora capisco che va a salvare la sua anima e attraversa sette mari e sette mondi per raggiungerla,viene sottoposto ad altretante prove…ma non basta,perche deve lottare col drago a tre teste(tangenti con la Bibbia) e per sconfiggere Kascej deve spezzare l’ago(l’anima di costui).Quest ago è nascosto in 7 involucri, in un uovo,poi in uno scrigno di cristallo,etc.etc.che non mi ricordo più. Ecco perche mi piacevano cosi tanto le favole e non volevo leggere altro fino all’adolescenza…Dovro invece tornare a capirne il vero significato.
    Sono stra-stra-stra…stratutto…mamma mia,ragazzi…quanti tesori… alla portata di tutti, ahh purtroppo non alla comprensione di tutti..che peccato…

  3. Katia
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    Barzað… interessante.

    In arabo è برزخ, in italiano BARZAKH, ma la translitterazione non rende giustizia ( ð e خ sono foneticamente più simili di quanto sembri ).

    Barzakh è l’equivalente persiano dell’arabo hajiz, molteplici i significati: intervallo, pausa, ostruzione, partizione, barriera, frontiera, istmo, confluenza.
    Qualcosa di mezzo, che separa e unisce a un tempo, unione-divisione fra la realtà sensibile e quella spirituale.
    Barzakh è la congiunzione di due mari: il mare dei significati spirituali e il mare degli oggetti sensoriali.

    E’ alla “confluenza dei due mari” che è possibile incontrare al-Khidr.
    Al-Khidr “risiede” in una dimensione che è soglia tra l’esistenza materiale-terrestre e i mondi spirituali-celesti, “luogo non-luogo”, che separa e al contempo unisce il mondo sensibile e quello sopra-sensibile, “confluenza dei due mari” dove avviene l’incontro di Mosè ( Surat 18, 60-82 ).

    Mosè e il suo servo “trovarono” al- Khidr.
    Il verbo wajada-trovarono deriva dalla radice W J D , che rende sia l’idea di esistenza, presenza ma anche di “creazione” nel senso di creare, suscitare, far esistere.
    Tramite al-Khidr, il “Verdeggiante” possiamo trovare nuova esistenza.
    Il ritorno alla confluenza è una nuova creazione, un andare verso una nuovo stadio di maturazione, un divenire lo stesso al-Khidr.

    Il Corano (Sūrat Ar-Raĥmān) dice:
    “19. Ha lasciato liberi mari affinché si incontrassero ,
    20. (ma) fra loro vi è una barriera che non possono oltrepassare
    21. Quale dunque dei benefici del vostro Signore negherete?
    22. Da entrambi si estraggono la PERLA e il corallo”.

  4. mike plato
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    TU HAI RAGIONE…INFATTI QUEL REGNO E’ IL DORMIVEGLIA…E QUI RISIEDE UN GRAN SEGRETO…

    SE QUALCUNO DI VOI SA COME ALIMENTARE IL DORMIVEGLIA, VI GARANTISCO CHE VADO A PARLARE CON DIO. MA IL DORMIVEGLIA (TORPORE E’ CHIAMATO ALL’INIZIO DE PIMANDRO) DURA POCHISSIMO.

    FORSE GLI ANTICHI SAPEVANO COME DILATARLO.

    E’ LI’ CHE HO QUASI SEMPRE INCONTRATO MELKIZEDEK, RARAMENTE IN FASE CONSCIA

  5. Katia
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    Il dormiveglia è un momento particolare.

    Credo che il Corano ne parli riferendosi al SONNO.

    Sūrat Az-Zumar,42 “DIO ACCOGLIE LE ANIME al momento della morte e DURANTE IL SONNO”.
    La spiegazione di questo āya accomuna il sonno ad una piccola morte. In quel momento, Dio “prende” le anime liberate dai vincoli della carne.

    Non solo.

    Shihâb âlDîn Suharawardî, uno dei massimi maestri dell’esoterismo sufi, nel Qissat âlGharbat âlgharbîya (Racconto dell’esilio occidentale), scrisse: “La notte è la caduta delle pastoie imposte dalle percezioni sensorie. E’ la libertà per l’Immaginazione attiva al servizio dell’Intelligenza che l’ispira. Questa notte mistica è dunque, di fatto, l’ora dell’ Îshrâq (la Luminosità, l’Illuminazione)”.

    Un scrittore iraniano, rimasto anonimo, interpretò ulteriormente: “…durante la notte, grazie al sonno, è possibile salire nel mondo superiore e contemplare le pure forme spirituali, grazie al fatto che, durante il sonno, i sensi sono dismessi dalle loro funzioni e non dominano più. Ma durante il giorno, nello stato di veglia, è impossibile che si possa fare ciò, a causa della tirannia dei sensi. In altre parole: con la morte si può giungere al mondo degli esseri spirituali puri. Orbene, il sonno è una seconda morte. Il Corano allude a ciò: Dio riceve le anime nel momento della morte, e riceve anche quelle che, senza morire, sono nel sonno … Durante il sonno, grazie all’abdicazione dei sensi noi possiamo contemplare qualche cosa del mondo dell’Angelo (…). Allora sentiamo nostalgia della nostra patria spirituale, poiché anche noi apparteniamo a quel mondo”.

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