di Claudio Lanzi
C’era un gioco che si faceva da bambini e che, forse a causa della sostituzione in blocco di tutti i giochi tradizionali con play station o con simili, allucinatori rimbambimenti per l’infanzia, non so se si fa ancora… o se si farà mai più.
Aveva varie versioni e vari nomi; la modalità più comune consisteva nel mettersi tutti in fila, ognuno con le mani giunte, quasi “in preghiera”, mentre un bambino o una bambina passava con le sue mani chiuse fra le mani di tutti gli altri bambini in fila. Le mani si schiudevano e abbassavano leggermente e un anello poteva essere furtivamente introdotto tra le dita di qualcuno. Ma la mossa doveva esser fatta abilmente in modo che non si capisse il destinatario; bisognava stare attenti che l’anello non cadesse e sia il “donatore” come il destinatario del dono prezioso, dovevano restare impassibili. Se il destinatario veniva scoperto pagava pegno e quello che lo aveva individuato diventava il nuovo detentore dell’anello. Se invece non veniva scoperto acquisiva potere e poteva chiedere lui vari “pegni” ai bambini presenti mentre diventava il nuovo donatore e il nuovo custode dell’anello.
Il simbolismo del gioco è evidente: c’è un detentore del potere dell’anello che può disporre liberamente della successione (che non è ereditaria) e c’è un destinatario che viene insignito del nuovo potere. I custodi, dell’anello si tramandano l’anello ma il segreto della trasmissione può essere scoperto. Il potere segreto va tenuto nascosto ed esercitato con giustizia e non va fatto cadere in mani sbagliate. Questa era, più o meno, l’essenza del gioco[1]. Essenza che contiene, al pari di tanti altri giochi una volta celebri e oggi dimenticati, tante piccole perle di antica saggezza. Le fiabe sono piene di anelli magici, che fanno volare, fanno sparire, fanno diventare grandi o piccoli, fanno apparire cose o persone, danno la preveggenza, ecc., ma qui vorremmo invece fare qualche accenno ad alcuni aspetti della mitologia degli anelli. Iniziamo dalla forma geometrica. L’Anello è un cerchio (da anus, dim, anulus in lat.), o meglio un toro o una sezione di cilindro, di spessore e altezza variabili, composto di tutti i materiali possibili, vegetali, minerali e perfino animali, e viene generalmente portato al dito. Ma assume un significato assai diverso a seconda del dito che lo accoglie e di quale falange viene interessata. L’anulare, dito apollineo e solare per eccellenza, è da sempre stato il prescelto per infilare anelli d’ogni genere ma si conoscono varianti per tutte le altre dita. Possiamo dire che il rapporto fra le sostanze planetarie e gli anelli è sempre stato particolarmente sentito, soprattutto in epoca arcaica egizia, ma anche in India e in Cina. Per cui un dito dedicato a Giove come l’indice, sarà particolarmente adatto alle pietre gioviane, il mignolo a quelle mercuriali, il pollice a quelle veneree e così via.
I metalli scelti nell’antichità (fino al nostro medioevo) erano principalmente il ferro o il bronzo, a volte l’argento e frequentemente l’oro, soprattutto per anelli con funzione sacra o destinazione principesca. Gli egizi usavano spesso il famoso electro, sbrigativamente definito da noi moderni come lega di argento e oro, ma in realtà mai ben compresa. La ritualità magica arrivata fino al nostro rinascimento, prevede un abbondante uso di anelli, opportunamente preparati e dotati di iscrizioni o addirittura di rispostigli dove conservare formule, o veleni, o elisir, o amuleti, ecc. ecc.. Agrippa e Lullo ce ne danno ampie testimonianze e possiamo dire che in tutta la storia dell’ermetismo, non esista mago o filosofo o alchimista che, prima o poi, non abbia dovuto faticare per realizzare il suo anello o, forse, per trovare la natura segreta nascosta nel particolare significato proprio dell’anello. Antesignano di tutti gli anelli magico terapeutici è forse quello che riporta Cartari nel suo “Immagini degli Dei degli Antichi” (fig 1). Cartari ci parla dell’Antro Trofonio e del fatto che alcuni credevano che Esculapio fosse il primo vate della grotta, insieme a sua figlia Higeia (Salute); altri pensavano che fosse Trofonio stesso. Il simulacro di Higeia veniva particolarmente onorato. La Donna veniva raffigurata nell’atto di sfamare un serpente sopra un ara, ma la rappresentazione geometrica e quindi astratta della Salute era mostrata dal sigillo che compare in figura e poi, come sappiamo, adottato sotto i più terribili giuramenti di segretezza, dalla scuola pitagorica. Tale sigillo, a detta di Pausania, era stato consegnato in sogno ad Antioco da Alessandro Magno medesimo, assicurandolo che, se lo avessero portato addosso i suoi soldati, non sarebbero stati feriti e avrebbero vinto la battaglia contro i Galati. Nella versione riportata da Cartari le lettere di Higeia si alternano a quelle latine di Salus. Da Cagliostro a Nostradamus, da Lebano a Kremmerz, non c’è ermetista che non si soffermi sugli aspetti particolari di tale sigillo. Alcuni ne esaltano le virtù terapeutiche, altri le virtù terrifiche o evocative. Tutti hanno particolari suggerimenti sulle modalità di preparazione o attivazione del medesimo. I pochi che volessero sapere cosa ne pensa anche il sottoscritto, sotto il profilo della geometria sacra, possono rifarsi al già citato Ritmi e Riti o al bellissimo libro di Graziotti.
Alcuni anelli dell’antichità sono diventati celebri:
quelli che i cartaginesi, secondo Aristotele conferivano ai comandanti che avevano ottenuto molte vittorie; quello famosissimo dei Nibelunghi, a cui era associata una maledizione terribile o una possibile benedizione; quello che Prometeo, dopo esser stato liberato da Eracle, fu costretto a portare perennemente come segno di obbedienza permanente a Zeus. Ancora più famoso fu quello del pastore Gige. Secondo la versione di Platone (Repubblica), Gige, dopo un terremoto che spalanca le viscere della terra e mostra un varco per entrare nelle profondità dell’Ade, trova un anello d’oro al dito di un morto gigantesco, nascosto nel ventre di un cavallo di bronzo pieno di fori. Gige scopre che tale anello rende invisibili quando il castone è rivolto verso l’interno della mano. Egli non farà buon uso di tale strumento ma simbolicamente evidenzia come il fatto di “girare l’anello” sia connesso al volgere ineluttabile del tempo e delle situazioni. Tale episodio ci ricorda, a nostro avviso, anche l’ineluttabilità dell’anello della “ruota degli inganni” che compare nei rosoni gotici e nei tarocchi. La tradizione ermetica ci dice che l’uomo comune è fatalmente legato a tale ruota ma che, se iniziato, ha il potere di accelerare o ritardare il volgersi degli eventi, influendo sul movimento della ruota stessa. Con tale atto se ne assume ovviamente tutte le conseguenze e i pesi karmici. La magia degli anelli si collega in tal modo allo zodiaco e al più grande degli anelli: L’eclittica celeste, dove ruotano le stelle che orientano i destini dell’uomo. Dobbiamo ricordare che l’anello si accompagna ad altri cinque monili circolari: la corona, la collana, la cintura, il bracciale e la cavigliera. Consideriamo infatti sia l’orecchino che l’anello sul naso o in altre parti del corpo come appartenenti alle famiglie precedenti. Ognuno di tali oggetti ha una lunghissima storia simbolica su cui ci ripromettiamo di tornare. In comune, hanno la forma circolare, motivata, fisiologicamente, dalla necessità di aderire al corpo.
In particolare la cintura che, con i suoi lacci, o nodi può rappresentare gli obblighi, le dignità, le prerogative di una regola o di una fratellanza sia religiosa che esoterica, ha molti collegamenti all’anello. Ci permettiamo di offrire un piccolo stimolo, una piccola riflessione, apparentemente banale che, a coloro che non lo avessero già chiaro, sicuramente porterà ad approfondire interiormente le valenze del simbolo: La cintura si porta stretta intorno alla Vita… Come sappiamo, tra i significati geometrici archetipali del cerchio[2] abbiamo: il vuoto, il caos primordiale (l’allume dell’alchimia), lo zero metafisico, il cielo, il ciclo cosmico, l’ouroburos, ecc. C’è da notare che, dal cerchio ideale di raggio r, in cui il cui limite dell’area è rappresentato da 2pr, si può passare a due cerchi concentrici, dove l’area vuota centrale può essere determinata da un qualsiasi cerchio inscritto di raggio inferiore al primo. Tutte le tradizioni pongono spesso a confronto l’elemento quadrato con l’elemento rotondo attribuendo in genere al primo il significato di terra e al secondo quello di cielo (fig 2). Quando le due figure sono entrambe presenti in un solo oggetto ci troviamo sempre di fronte a qualcosa che ha un significato rituale assai antico (come negli yantra asiatici o nelle monete cinesi, o nelle piante di edifici religiosi che hanno entrambe le configurazioni).
Un particolare gioiello cinese (Pi), spesso in giada, e quello costituito da un cerchio con un piccolo foro centrale (fig 3). Tale gioiello ha la caratteristica di avere il foro di un diametro uguale o proporzionale allo spessore della lastra. Il Pi rappresenta appunto il cielo e la giada la terra, mentre il foro centrale è connesso all’asse cosmico, al passaggio tra determinato e indeterminato. E’ la porta vuota. Si tratta di uno dei simboli più profondi che sia il Confucianesimo che il Taoismo hanno ereditato dalla sapienzialità della Cina primordiale. Abbiamo infatti reperti antichissimi raffiguranti il Pi in epoca precedente sia Lao Tzu che Confucio. In realtà un gioiello con funzioni analoghe sembra esser stato presente anche in area celtica e mesopotamica. Questo tipo di anelli potevano essere semplicemente esposti o a volte portati, con un laccio speciale, appesi al collo, ovviamente non era possibile portarli sulle dita. C’è da dire che l’anello con pietra incastonata o griffata assolve spesso il duplice archetipo simbolico. L’anello ha infatti il cerchio rotondo per poter essere infilato al dito ma esternamente la forma può diventare lineare per sorreggere la pietra di forma quadrata o rettangolare.
Esiste una bibliografia vastissima sulle tipologie di anelli e sulle pietre più adatte alle varie occasioni. I romani i greci e gli egizi avevano una grande cura nella scelta degli anelli. Oltre a contraddistinguere l’appartenenza ad una collettività, ad una gens, ecc, avevano assai spesso funzioni protettive, apotropaiche. Ad esempio l’anello etrusco istoriato dietro uno scarabeo di fig 4 rappresenta Ercole armato di clava vicino ad una fonte con evidenti funzioni magiche. Questa particolare funzione degli anelli prosegue nei miti e nelle fiabe di tutta l’umanità. Citeremo una storia poco conosciuta in occidente ma famosissima in oriente, quella di Callimaco e Crisorroe, attribuita addirittura al principe Andronico, nipote di Michele VIII. All’inizio di tale storia ci sono tre fratelli che vengono inviati dal padre-re, in cerca di gloria e di avventure. Uno dei tre fratelli che costituiscono l’ossatura del racconto, si deve separare dagli altri per andare ad affrontare, manco a dirlo, draghi e orchi terribili e per salvare una bellissima fanciulla. Ma il fratello maggiore gli dice: “Eccoti questo mio anello d’oro, te lo regalo a modesto sollievo e consolazione tua: Se sarà necessario, ricordati che potrai trarne conforto. Se te lo metterai in bocca ti darà le ali ai piedi, e potrai sfuggire ad ogni pericolo”. Abbiamo citato questo episodio in quanto vi compare un uso non troppo frequente dell’anello. Questo rito, del mettere in bocca l’anello per assimilarne le virtù, pur provenendo dalla raffinata corte bizantina, ha un evidente sapore magico-sciamanico. L’occultamento dell’oggetto di potere consente contemporaneamente di assorbirne le qualità per osmosi. E’ anche un evidente suggerimento ermetico, da valutare a nostro avviso con attenzione, soprattutto perché si svolge in contesti fiabeschi dove il simbolismo astrologico alchimico è continuamente invischiato in sensualissime storie d’amore e guerra[3]. Al di la delle fiabe d’oriente o d’occidente, l’anello può esser parte di una successione. La catena di anelli, oltre a suggerire nefaste situazioni di prigionia, rappresenta un giogo simbolico antichissimo. E’ un nodo che non può essere sciolto in quanto ogni anello ha, come mobilità singola, quella consentita dallo spazio vuoto dell’altro. L’unione di due o più anelli è uno dei segni più arcaici dell’umanità per indicare l’indissolubilità, spesso con una connotazione fortemente positiva, come nel matrimonio. Lo scambio degli anelli forma una catena simbolica dove la materia dell’uno passa all’interno del vuoto dell’altro. Nel rinascimento, l’alchimia cristiana, soprattutto attraverso il Khircher, fece grande uso del simbolismo degli anelli, e della catena in particolare, ad indicare il magnetismo o il magnete stesso che consente la Grande Opera. Comprendere la reale portata di tale gioco simbolico non è semplice; vuol dire comprendere qualcosa sul potere primigenio degli anelli che hanno tanto affascinato Tolkien. Una ulteriore magica successione di anelli possiamo trovarla nell’ultimo canto dell’Odissea. Ulisse, dopo esser stato portato dai Feaci nell’antro delle Ninfe ed aver subito l’ultima trasformazione d’ordine iniziatico, arriva finalmente nella sua reggia occupata dai Proci. Dissimulando inizialmente la sua Vera Natura e coprendosi di stracci, può finalmente rivelare il suo esser rex e il suo indiscutibile collegamento con la Potenza legittima. La sfida è quella di infilare tutti gli anelli delle asce con la freccia scoccata dall’arco, che può esser teso solo da chi “ha il potere sull’arco”. E’ interessante osservare che anche Telemaco, in quanto erede d’Ulisse, sarebbe riuscito nell’impresa ma viene dissuaso da padre che può quindi rimpossessarsi del suo strumento. Riportiamo, secondo la traduzione del Monti (che resta, a nostro avviso, insuperata), l’istante in cui Ulisse compie l’impresa:
”Posto su l’arco ed incoccato il dardo
Traea seduto, siccom’era, al petto
con la man destra il nervo: indi la mira
tra i ferrei cerchi prese, e spinse il telo
che senza quinci deviare o quindi
passò tutti gli anelli, alto ronzando”
Come si vede gli anelli ferrei e terribili delle asce di guerra costituiscono, in questo caso, una magica catena e non solo uno strumento per un esercizio d’abilità. Attraverso di essi passa la freccia dell’eroe che ha compiuto il ciclo delle sue imprese, e che può finalmente iniziare la sua vendetta o meglio, il ripristino della giustizia e dell’ordine nella sua Casa. Teniamo presente che il vuoto dell’anello dell’ascia viene per così dire, fissato, dal potente ronzio causato dal passare della freccia.
Solo colui che sa flettere l’arco e che sa centrare i fatidici bersagli allineati è in grado di ripristinare l’ordine. E crediamo che Omero, in questa parte, abbia lasciato una delle più belle e luminose tracce della sapienza arcana. Anche l’anello del principe o del sacerdote hanno questa funzione unitiva nei confronti del divino. Il primo nel dito dell’uomo con l’opportuno simbolon identificativo; il secondo è nelle mani di Dio, che lo offre all’uomo, come ad esempio nell’abside della bellissima chiesa di S. Cosimato, piccolo capolavoro di ermetismo cristiano medioevale. Oppure possiamo avere anelli che uniscono rotondo a rotondo, come in quello sufi palestinese di fig 5 (risalente al 1300) oppure rotondo a ellissoidale, come in quello pakistano di fig 6 (del XVII sec). Su quest’ultimo possiamo dire che il nodo presente sulla pasta vitrea rossa è un piccolo misterium trasmesso, bocca orecchio ai nomadi, dalla saggezza tribale: un segno che rappresenta contemporaneamente un nodo isiaco e la metafora dell’infinito. Anello come potere sulle cose, dunque, o come collegamento ai cieli.
Come dimenticare, a questo punto, fra gli anelli-sigillo di grande potere, quello pontificale, detto anche del Pescatore, in omaggio a Pietro ma anche alla funzione particolare di collegamento con la Chiesa e con i fedeli: Tale anello viene spezzato alla morte del papa e per il successivo se ne prepara un altro. La cerimonia ci ricorda da lontano quella del Rex Nemorensis. Il ciclo del Vicario in terra del potere celeste non si arresta. Ma anche in questo caso è necessario spezzare il potere ciclico di colui che ha regnato, perché uno nuovo regno possa partire. In tutto il cristianesimo gli anelli ebbero una grande importanza dal punto di vista rituale e identificativo. Lo hanno perso solo a partire dal secolo dei lumi quando sono diventati per lo più elementi decorativi. Clemente Alessandrino consigliava di avere gemme o castoni con un ancora, un pesce, o una colomba. Questi segni, assai più della croce erano i sigilli identificativi della appartenenza alla comunità. Un ultimo anello che in queste brevi note vorremmo ricordare è quello del Flamine di Giove (come ci dice Aulo Gellio nelle “Notti Attiche”). Era un anello spezzato. Ciò potrebbe sembrare contraddittorio nei confronti di quanto abbiamo detto fino ad ora ma dobbiamo pensare che il Flamine era già unito alla potenza divina e l’anello l’avrebbe circoscritta, contenuta al volere del Flamine stesso, invece di permetterle di manifestarsi in tutta la sua immensità di cui il Flamine era solo un mezzo ed un interprete.
Sulla preparazione degli anelli
Lungi da noi l’idea di parlare operativamente sull’uso degli anelli: le indicazioni, per gli incoscienti e i fricchettoni di tutto il mondo, si trovano in bella mostra su centinaia di libri di magia più o meno seri in vendita ad ogni angolo di strada. Su tali libri, manca spesso un avviso: pasticciare con le pietre e gli astri, con gli angeli e i demoni è cosa pericolosa e ci si può fare seriamente del male. Grazie a Dio si tratta di operazioni estremamente difficili quindi, nella maggior parte dei casi, tutto si conclude con un po’ di scenografia per gonzi, e con le solite… sensazioni, vibrazioni, emozioni che riempiono di sussiego tutti coloro che non sanno ciò che fanno. Però gli Antichi sapevano e, come abbiamo succintamente visto in precedenza, l’uso delle pietre è scienza arcana, che riempie trattati di medicina Ajurvedica, che coinvolge colossi come Paracelso o Ippocrate. Dunque non va sottovalutata l’opera degli scavatori e di tutti coloro che si sono industriati a sgrezzare i metalli e a lavorare le pietre. Perché un anello, per chi ha orecchie per intendere, è per l’appunto composto di pietre e metalli.
Premesso doverosamente quanto sopra e aggiungendo che quanto andremo a dire è solo un accenno, cerchiamo spendere poche parole sui rapporti tra metalli, pietre, pianeti, ciclo zodiacale, profumi. Quanto segue è reperibile in forma assai più vasta, in testi abbastanza famosi (Da Lullo, a Agrippa, a Bruno, a Valentino ecc.. Noi ci accolliamo la responsabilità di alcune semplificazioni e schematizzazioni e forse di qualche suggerimento.
Sappiamo che gli astronomi caldei relazionavano sempre le “risposte” del mondo vegetale e animale alla situazione astrologica. Nel senso che il passaggio di un pianeta in determinati gradi del segno, il passaggio di una cometa, l’influenza di una costellazione in una certa ora, ecc, erano tutti eventi che potevano favorire o disturbare la preparazione di un “gioiello alchimico”. Per tale ragione la preparazione di un anello che doveva fare da… “scudo spaziale” in situazioni eterogenee, poteva richiedere giorni, o mesi o addirittura anni. Bisognava infatti aspettare, per la fusione, l’incastonatura e la benedizione, che fossero arrivate le giuste situazioni celesti.
Ricordiamo, al momento i più elementari abbinamenti planetari:
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Marte:ferro, rubino, diaspro, magnetite
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Venere: zaffiro chiaro, perle,agata, smeraldo turchese, corallo
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Mercurio: mercurio, agata, topazio, corniola
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Luna: argento, cristallo, berillo, perle.
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Sole: oro, diamante, rubino, carbonchio
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Giove: stagno, zaffiro blu, turchese, ametista, lapislazzulo
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Saturno: piombo, onice, corniola, zaffiro, perle nere.
Sarebbe molto lungo spiegare dar conto del rapporto fra certe pietre e i rispettivi pianeti, e chissà perché quasi nessuno ne da spiegazioni esaurienti: diciamo che gli abbinamenti sono funzione, in genere, del colore, della lucentezza, degli elementi naturali che circondano il “pianeta-Dio”, della sfaccettatura cristallografica, della preziosità, ma soprattutto delle combinazioni alchimiche che sono possibili tra i vari elementi minerali; inoltre sono determinati anche dalla loro risposta ai vari agenti aggressivi (acidi, ossidi ecc) della trasparenza e del sapore (quest’ultima cosa è poco conosciuta ma è molto importante).
La “logica” operativa è la seguente: I metalli e le pietre sopraindicati “rafforzano” per così dire le qualità del pianeta. Poiché il metallo è proprio del segno zodiacale è evidente che il “segno” verrà enfatizzato da tutti i metalli e le pietre che lo rappresentano.
Ora ci sono due teorie, apparentemente contrastanti: La prima spinge ad usare le pietre proprie del pianeta come protezione nei confronti degli influssi negativi del pianeta stesso. La seconda porta ad usare le pietre complementari (ad esempio neutralizzare Marte con Venere, Giove con Saturno ecc.). Questa seconda modalità è decisamente più “guerriera e pericolosa. Possiamo dire che usare la pietra propria del segno ha un effetto “omeopatico” (similia similibus curantur…), usare delle pietre complementari ha invece un effetto allopatico e decisamente più impegnativo.
Altrettanto importante è l’abbinamento tra pietre e aromi. Un metallo e un anello non si preparano senza gli opportuni aromi per cui sarà interessante questa seconda serie di abbinamenti:
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Marte: Aglio, Cardo, Cipresso, Euforbia, Ortica, Senape, Fiele, Sangue, Zolfo
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Venere: Ambra, Aloe, Capelvenere, Coriandolo, Laudano, Mirto, Muschio, Rosa, Verbena, Viola
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Mercurio: Acacia, Cannella, Incenso, Maggiorana, Prezzemolo, Ibis
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Luna: Canfora, Incenso, Issopo, Mirto, Papavero,
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Sole: Alloro, Ambra, Cedro, Frassino, Garofano, Ginepro, Incenso, Menta, Sandalo rosso.
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Giove: Agrifoglio, Benzoino, Mandorlo, Mastice, Pino, Quercia, Viola, Storace.
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Saturno: Aconito, asfodelo, Cipresso, Mandragora, Mirra, Sedano.
Un terzo abbinamento riguarda i giorni della settimana. Ora, anche se tale abbinamento concerne il calendario solare e non lunare, per cui i giorni sono ormai una pura convenzione, non essendo dettati dal ritmo planetario ma dalla convenienza del tempo degli uomini, risulta interessante l’abbinamento tra i pianeti del giorno e le profumazioni “consigliate”).
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Domenica: Zafferano, Balsamo, incenso
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Lunedì: Papavero Canfora Mirra
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Martedì: Euforbia Elleboro
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Mercoledì: Mastice Garofano
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Giovedì: Frassino Storace Benzoino
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Venerdì: Muschio, Ambra, Aloe.
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Sabato: Papavero, Mandragora, magnetite.
Ora, a parte il fatto che la “mandragora” non si trova dietro l’angolo, i suffimigi adatti per il giorno sono anche adatti per la preparazione della relativa pietra e per la fusione dell’anello.
A questo punto sarebbero necessari i suffimigi dell’ora. Questi sono più complessi in quanto le ore sono mobili e l’influenza planetaria è connessa ai cosiddetti Angeli.
La materia si fa assai complessa in quanto si entra nella magia rituale, quella delle evocazioni e delle invocazioni, delle preghiere e delle purificazioni e ogni tradizione ha le sue.
C’è chi va matto per tali opere e pretende o crede di modificare gli eventi del mondo. C’è chi si accosta con grande rispetto alla materia e, prima di fare cerca di capire e soprattutto di rendersi degno. Ma questo è un discorso che non intendiamo affrontare. Noi siamo certi che il rapporto con gli elementi offerti dalla natura, usati con semplicità e senza presunzione, è già un grosso beneficio. Per cui possiamo dare per certo che il rapporto naturale con certe sostanze vegetali o minerali aiuta sicuramente la natura umana a ritrovare i suoi equilibri e riteniamo che, soltanto leggendo fra le righe di quel poco che abbiamo detto, si possa già fare un ottimo uso di alcune sostanze, senza disturbare piani sottili che, senza qualifiche, possono provocare solo guai, ma tanti.
[1] Potremmo trarre dalla successione delle varie fasi, delle indicazioni assai più particolari, diciamo pure esoteriche, ma la soddisfazione di raccontare qualcosa di strano non ci compenserebbe dalla preoccupazione di aver straparlato; per cui ci si consenta di lasciare nella curiosità alcuni e nella voglia di sapere gli affamati di gloria e nell’indifferenza o gli ignoranti o coloro che già sanno
L’articolo è molto interessante.